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8 marzo, siamo la metà del Paese, ma, purtroppo, non facciamo ancora la differenza!

Il Parlamento che sta per lasciare, e di cui sono componente, è stato il più rosa della storia della Repubblica, un obiettivo a cui, come Partito democratico, avevamo contribuito in maniera determinante, grazie anche alle parlamentarie interne che avevano selezionato un numero uguale di candidati tra donne e uomini. Con la nuova legge elettorale, il Rosatellum, avremmo, in teoria, dovuto fare meglio, perché prevede espressamente non più del 60% di candidati dello stesso sesso (e quindi, presumibilmente, almeno un 40% di donne). E, invece, alla realtà dei fatti, il nuovo Parlamento che si insedierà il prossimo 23 marzo potrà contare su meno del 30% di componente femminile. Cosa è successo? Fatta la legge, trovato l’inganno. Il meccanismo delle pluricandidature ha permesso di aggirare le norme sulla parità di genere: la stessa donna, candidata capolista in più collegi, ha consentito di far eleggere in Parlamento fino a quattro uomini posizionati dietro di lei. Insomma, come Pd abbiamo convintamente voluto questo punto della legge, ma poi noi stessi siamo stati i primi ad eluderla.  Non è solo responsabilità delle “segreterie”, ma ahimè anche di coloro le quali hanno accettato questo schema. In realtà, dall’Emilia-Romagna le voci delle donne del partito si erano levate per denunciare il rischio concreto di un aggiramento della norma, ma sono rimaste isolate, anche dentro la nostra stessa regione, tanto che se la Legislatura che si chiude aveva mandato in Parlamento 17 emiliane, quella che si apre ne vedrà solo 5 (Paola De Micheli, Vanna Iori, Antonella Incerti, Paola Boldrini e Giuditta Pini). Contemporaneamente Almalaurea ha resi noti i risultati di un’indagine interna che ribadisce quanto, purtroppo, è ormai acclarato nella realtà quotidiana. Le donne sono più brave negli studi, ma vengono penalizzate quando entrano nel mondo del lavoro: per loro ci sono meno posti e quando il posto lo trovano, a parità di mansioni, lo stipendio è più basso. Insomma, abbiamo molto da lavorare e non solo per credere e far credere alle donne nel proprio talento (liberandoci così di vari patronage) ma per investire nella relazione tra le donne e nel sostegno reciproco per poter essere davvero la metà del Paese che fa la differenza.