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"La rappresentanza come valore", di Nadia Urbinati

Abbiamo due articoli della Costituzione, il 3 (sull’uguaglianza) e il 51 (sulla promozione delle pari opportunità) e metà della nostra popolazione è costituita da donne, eppure vi è il fondato sospetto che la nuova legge elettorale voglia dare un’interpretazione riduttiva della parità di genere: questo è il senso delle dichiarazioni fatte dalla presidente della Camera Laura Boldrini e da numerose parlamentari di tutti gli schieramenti politici. La preoccupazione è legittima e pertiene al diritto di equa rappresentanza, un diritto che le liste bloccate senza norme che regolino il criterio di collocazione nella lista fatalmente violerebbero.
Nel diritto di parità di genere si riflette il diritto di eguale partecipazione alla rappresentanza: non è un diritto “per” le donne e non è una concessione alle richieste delle donne. La rivendicazione della parità non è una rivendicazione di rappresentanza corporativa. È, al contrario, l’attuazione coerente di una visione della democrazia nella quale tutti i cittadini e tutte le cittadine debbano potere godere di uno stesso diritto di contare ed essere contati, di votare ed avere un’eguale opportunità di essere eletti, senza strategie truffaldine che vanifichino il principio mentre lo proclamano. La causa femminile è dunque una causa generale di cittadinanza. Mette in evidenza una lacuna di questa proposta di legge, la quale mostra di avere troppe evidenti resistenze nell’accettare il principio di giusta rappresentanza: per una soglia di sbarramento troppo alta; per la premiazione eccessiva di chi guadagna una maggioranza relativa; e per il piano di favorire l’eleggibilità dei cittadini di sesso maschile più di quella dei cittadini di sesso femminile. Una proposta, insomma, che è sporporzionata verso una parte: verso chi è più forte e chi è meglio posizionato.
Perché la sottorappresentanza di genere è un problema? E perché avere donne nelle istituzioni rappresentative è importante? Negli ultimi decenni, queste due questioni hanno intersecato il tema della giustizia politica e messo in discussione la qualità della democrazia nelle società europee, che con poche eccezioni (i paesi scandinavi) sono ancora troppo sproporzionatamente maschili. Si tratta di una discrepanza che pesa ancora di più se si pensa alla presenza fondamentale delle donne in tutti i settori della vita sociale ed economica. Ma non è questa la ragione che dà forza alla richiesta di giusta rappresentanza: perché il diritto di voto nelle democrazie non viene dal contributo delle persone alla vita collettiva, ma dal loro fatto di esistere come cittadini; i diritti politici sono diritti fondamentali, come lo è quello di voto e di opportunità di essere eletti.
Anne Phillips, che lottò nel partito labourista di Tony Blair per conquistare quote di genere nel suo partito, ha alcuni anni fa esaminato le buone ragioni per le quali le democrazie devono accrescere il numero delle donne in lista. Il riequilibrio di genere giustifica anche la temporanea violazione dell’eguaglianza cieca. L’articolo 51 della nostra Costituzione chiede al legislatore di “promuovere” con “appositi provvedimenti” le pari opportunità perché, evidentemente, queste non si affermano da sole. Per questo, diversi paesi hanno adottato quote; altri, come la Francia, hanno cercato di andare oltre le quote e affermato il criterio della parità di donne in lista (usando l’incentivo economico per indurre i partiti ad adottarlo); altri infine hanno scelto la strada della rappresentanza proporzionale (con basse soglie di sbarramento) per correggere la sottorappresentanza delle donne.
Queste diverse strategie riflettono il riconoscimento che la rappresentanza è un valore e una forma di partecipazione. La ricerca di ridisegnare o correggere strategie di rappresentanza è un fatto di indubbia rilevanza che testimonia il mutamento degli stessi movimenti femminili verso la rappresentanza politica, vista non più come un ripiego rispetto a una più genuina partecipazione. La comprensione del valore del suffragio e della rappresentanza hanno marciato insieme: non godere di una eguale possibilità di essere elette è una forma di decurtamento del diritto politico.
Queste riflessioni seguono due fenomeni correlati che pertengono ai mutamenti della democrazia nei paesi europei: la richiesta delle donne di essere egualmente rappresentate ha marciato in parallelo alla crisi dei partiti di massa e al declino della fiducia dei cittadini nei partiti. La crisi dei partiti ha reso le donne meno rappresentate e ha reso più forte la necessità di far sentire la loro voce direttamente, con la loro presenza. Quindi la parità è oggi più che mai un’esigenza di giustizia, proprio perché la rappresentanza non può contare più solo sulle piattaforme generali dei partiti nelle quali le donne possano riconoscersi. Presenza e voce stanno insieme ora più di quanto non succedesse nell’età dei partiti di massa. Pertanto, la resistenza nel nostro Parlamento verso la pari opportunità delle donne di essere elette ci induce a rivolgere ai rappresentanti uomini la seguente domanda: come spiegate all’opinione pubblica che volete i voti delle donne ma non volete dare loro la stessa opportunità di essere elette?

La Repubblica 09.03.14

"In difesa della civiltà", di Michela Marzano

Quello di ieri sarà ricordato come un 8 marzo tragico. Tre donne, Assunta, Ofelia e Silvana, sono morte: uccise dal compagno o dal marito.
Tre femminicidi da aggiungere alla lista nera di questi ultimi anni, nonostante le leggi e i decreti. E allora la giornata internazionale della donna che spesso viviamo con obbligo e stanchezza (nonostante le lotte e le conquiste femminili) diventa quello che era: una difesa della civiltà, un modo per attirare lo sguardo sulle reali condizioni di vita delle donne in Italia.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’ha spiegato ieri mattina al Quirinale durante la celebrazione della festa, ricordando come la violenza contro le donne sia «una tragedia che colpisce i sentimenti dell’intera nazione ». Finché non si sconfiggeranno il sessismo e le violenze, non si sarà fatto “abbastanza” per le donne. Finché gli uomini continueranno ad ucciderle per gelosia o per vigliaccheria, l’Italia non potrà smettere di essere a lutto. Ieri abbiamo vissuto le due facce dell’Italia: da un lato la barbarie e dall’altro le persone, vere, che contro la barbarie provano a lottare. Ecco perché le donne che sono state insignite delle onorificenze dell’Ordine del Merito sono delle “donne della realtà”. Come Lucia Annibali, l’avvocato di Pesaro sfigurata con l’acido che mostra il suo viso. Come Franca Viola, che ha avuto il coraggio di rifiutare un “matrimonio riparatore”. Donne che forse non tutti conoscono, ma che contribuiscono, giorno dopo giorno, all’integrazione di chi è ai margini della società, alla battaglia per un accesso paritario all’istruzione e al lavoro, alla lotta contro le violenze di genere. E che, soprattutto, mostrano quanto sia necessario battersi per le donne, per la loro dignità, per la loro stessa vita.
Il senso dell’8 marzo di quest’anno è tutto qui ed è il senso del nostro paradosso. Feste e cerimonie, esempi e riconoscimenti, lutto e dolore. Come se la cronaca continuasse inevitabilmente a contraddire le parole. Come se, nonostante gli sforzi che vengono quotidianamente fatti da tante donne per essere riconosciute, rispettate, valorizzate e ricompensate, la realtà continuasse a dire loro che non è vero, che la vita di una donna non ha valore, che la violenza trionfa.
Con un paradosso supplementare. Perché quest’anno, proprio in questi giorni, succede anche altro. In Parlamento si discute dell’alternanza di genere nelle liste elettorali. L’ennesima occasione, per alcuni, di ribadire il rischio che si correrebbe attraverso le “quote rosa” di non valorizzare le competenze, e di preferire la “quantità” alla “qualità”. C’è persino chi insinua che, attraverso l’alternanza di genere, verrebbero premiate soprattutto “le donne più docili”. Peccato che di docilità, tra le elette, ce ne sia ben poca e che Mara Carfagna o Stefania Prestigiacomo, a differenza di alcuni uomini che confondono la lealtà con l’obbedienza, scelgano di portare avanti una posizione non condivisa dal proprio leader.
Nonostante il silenzio assordante di chi, anche grazie alla retorica della parità, occupa oggi posizioni di rilievo, i femminicidi di questo 8 marzo obbligano la politica ad assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Al di là di ogni tatticismo, si tratta di permettere alle donne di riappropriarsi della battaglia sui diritti e di riconoscersi anche come “comunità”. Guardate la foto delle ragazze del Quirinale, ragazze normali ed eccezionali. Loro sono una comunità: la nostra. Per fortuna.

La Repubblica 09.03.14

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“Otto marzo, festa e tragedia: altri tre femminicidi Napolitano: il sessismo è il virus della politica”, di UMBERTO ROSSO

Napolitano ha celebrato l’8 marzo avvertendo che «il sessismo è il virus della politica ». Ma nelle ultime ore altre tre donne sono state uccise dai loro compagni.
Un «lutto collettivo», una tragedia che «colpisce i sentimenti dell’intera nazione». Giorgio Napolitano tuona contro femminicidio e violenza sulle donne, ma intanto nel nostro Paese si consuma un 8 marzo tragico: tre donne uccise dai compagni nel giro di poche ore. E le parole del presidente della Repubblica — che celebrando al Quirinale la festa della donna denuncia «il virus del sessismo» e nel nome delle «pari opportunità» fa riferimento anche alle polemiche sulla legge elettorale — trovano immediata, drammatica conferma.
Tre donne assassinate per gelosia. A Gualdo Tadino, in provincia di Perugia, un marito che accoltella la moglie in albergo e poi tenta il suicidio. A Vigevano, un uomo di 73 che uccide ancora a colpi di coltello in un bar la ex compagna più giovane, e dalla quale aveva avuto due figlie, che voleva lasciarlo. E vicino a Frosinone, un altro marito-killer: getta la moglie giù per le scale e poi se ne va a dormire. Strage senza fine. «Purtroppo questo tragico fenomeno in Italia non declina — denuncia il capo dello Stato — mentre cala il numero complessivo degli omicidi. Contro la violenza all’interno di legami pseudo sentimentali non siamo riusciti a fare ancora abbastanza».
Perciò, stavolta, la celebrazione della Festa della donna al Quirinale è tutta centrata sulla lotta alla violenza. L’obelisco della piazza illuminato di rosso («a ricordare il sangue impietosamente versato»), con i nomi delle donne vittime dei compagni-padroni. Invece delle «più tradizionali mimose» l’ingresso del Quirinale è sormontato da alloro, a «onorare i traguardi raggiunti senza indietreggiare ». E fra le sette donne insignite di onorificenza dal presidente della Repubblica ci sono Franca Viola, che nel ‘65 ad Alcamo rifiutò il matrimonio riparatore aprendo una nuova stagione in Sicilia, e Lucia Annibali, l’avvocatessa
di Pesaro sfregiata alcuni mesi fa con l’acido per vendetta dall’ex fidanzato. Napolitano saluta con un baciamano il suo coraggio, lei si schermisce: «Cerco solo di riprendermi la vita che qualcuno voleva togliermi». Il capo dello Stato “difende” anche la presidente della Camera Boldrini (presente alla cerimonia, con il presidente del Senato Grasso), finita nel mirino delle accuse sessiste di Grillo. Napolitano è molto duro: «Come il razzismo, anche il sessismo se da volgare battuta per la strada o da bar sale nelle sfere politiche rappresentative, se si esprime nel Parlamento, se usando blog e siti si diffonde legittimato da fonti irresponsabili, diventa un virus duro da estirpare». Il riferimento è al post sul blog in cui Grillo chiedeva «che fareste in macchina con la Boldrini?», scatenando in rete una valanga di offensivi e osceni commenti. «Ignobili accuse e insulti contro il presidente della Camera», solidarizza il capo dello Stato. I grillini però non ci stanno: «Strumentalizza la festa dell’8 marzo per attaccarci».
Ma c’è anche il tema delle pari opportunità, che il presidente della Repubblica affronta nel pieno dello scontro sulla parità di genere che rischia di saltare nella nuova legge elettorale. Napolitano ci tiene a smentire un «luogo comune». Questo: «Troppo spesso si sente dire che il tema delle pari opportunità è superato perché viviamo in una condizione ormai di uguaglianza giuridica e materiale tra i sessi. Ovviamente non è vero». In particolare non lo è in Italia, dove riconoscimenti e successi femminili crescenti «si traducono solo in parte in una maggiore presenza nei vertici delle varie professioni». Soddisfatto, Napolitano, per la parità di genere «sancita nelle formazione del nuovo governo». Ma certo, anche se non lo cita, anche l’appello delle novanta parlamentari che chiedono più donne nelle nuove liste elettorali sembra rientrare nella battaglia del Quirinale per la pari rappresentanza.

La Repubblica 09.03.14

"La solitudine dei Bronzi nel museo svuotato dal Tar", di Sergio Rizzo

Mai slogan fu più azzeccato. «Gira e rigira la Calabria ti stupisce sempre», c’era scritto a caratteri cubitali nella sala del Consiglio regionale dove ieri il governatore Giuseppe Scopelliti presentava un accordo con l’Alitalia per far arrivare frotte di turisti da tutto il mondo: destinazione il museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, dove sono esposti da tre mesi i Bronzi di Riace. Ma soltanto loro, però. A proposito di stupore, immaginate quello di chi, entrando in quel museo, scoprirà che sono aperte soltanto due sale, con le statue meravigliose trovate nel 1972 nelle acque calabresi e pochi altri straordinari oggetti, come la testa del Filosofo. Il resto dello spazio è completamente vuoto, e tale rimarrà ancora per un anno: se tutto andrà per il verso giusto.
Perché il calvario del Museo progettato negli anni Trenta del secolo scorso dall’architetto Marcello Piacentini non è ancora finito. Si era impegnato allo spasimo il ministro dei Beni culturali del governo di Enrico Letta, Massimo Bray, perché aprisse i battenti prima di Natale. Quattro anni avevano aspettato i Bronzi di Riace sdraiati nell’androne di palazzo Campanella, dov’erano stati ricoverati in attesa che venisse completata la ristrutturazione del museo. Quattro lunghi anni, con i lavori che andavano a rilento, si fermavano, poi ripartivano, per rifermarsi ancora, e i costi che salivano e salivano, fino a triplicarsi: da 10 a 33 milioni. Mentre le più belle statue di bronzo giunte a noi dall’antichità, precipitate in un avvilente dimenticatoio, venivano trasformate in protagonisti di spot propagandistici travalicando il pessimo gusto («Che ne dici di un po’ di montagna?». «Dai, al mare ci siamo sempre divertiti!» «Uff! Duemila anni…»). E la riapertura si allontanava sempre più. Il museo della Magna Grecia doveva essere pronto per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, il 17 marzo 2011? Ebbene, i Bronzi vi rientrano soltanto a dicembre 2013.
Nell’occasione, Bray non nasconde «grandissima emozione» nel vedere i due capolavori rimessi finalmente in piedi dopo 1.460 giorni «qui nel loro museo, un luogo bellissimo che abbiamo restaurato e restituito alla città». Ma forse, preso dal comprensibile entusiasmo, eccede nell’ottimismo. Perché se i Bronzi sono tornati finalmente a casa, lo stesso non si può dire per le altre centinaia di formidabili reperti che dovrebbero essere esposti lì insieme alle due statue. Una delle collezioni archeologiche più importanti e ricche d’Europa rimane chiusa nei depositi perché manca ancora da realizzare l’allestimento nonché gli impianti climatici di tutti gli spazi rimanenti. Parliamo di quattro piani interi. E per quanto i soli Bronzi valgano assolutamente la visita al museo (provare per credere), è una cosa francamente inaccettabile dopo che Reggio Calabria ha dovuto aspettare tutto quel tempo solo perché le porte del palazzo di Piacentini venissero riaperte.
Da quando la ristrutturazione del museo reggino è iniziata hanno esaurito il loro mandato quattro ministri dei Beni culturali: Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi e Massimo Bray. La patata bollente ora passa nelle mani del quinto, Dario Franceschini.
Il 10 gennaio scorso la soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi, dichiara davanti alle telecamere di Uno Mattina: «Adesso si sta lavorando per consentire la riapertura completa del museo, prevista per giugno. Le condizioni per rispettare la scadenza ci sono tutte, dopo l’aggiudicazione definitiva dei lavori». L’appalto vale cinque milioni, non bruscolini.
Peccato solo per quel ricorso al Tar che ha di nuovo bloccato tutto. Il consorzio Research contesta l’esito della gara vinta da una cordata di cui fanno parte le società Set up live, Protecno e la cooperativa Gnosis, chiedendo la sospensiva. Che però il Tribunale amministrativo respinge. A concederla ci pensa invece il Consiglio di Stato, per ironia della sorte, proprio nelle stesse ore in cui Scopelliti e l’amministratore delegato di Alitalia Gabriele Del Torchio presentano l’accordo per portare i turisti al museo di Reggio Calabria. E la vicenda, ben raccontata da Antonietta Catanese sul Quotidiano della Calabria , prende una piega imprevedibile nel vortice della burocrazia. I lavori sono fermi e la palla, per la decisione sul merito della questione, rimbalza di nuovo al Tar. Che ha fissato l’udienza per il mese di luglio, cioè ben oltre il termine stabilito per la riapertura completa. Se il tribunale confermerà il risultato della gara, allora i lavori potranno riprendere, ma non termineranno prima di cinque mesi: tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015. Nella migliore delle ipotesi, ovviamente. E sempre che la decisione del Tar non venga seguita da un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato. In quel caso, è tutto da vedere. Se invece il Tribunale amministrativo darà ragione a chi ha promosso la causa, si dovrà rifare la gara.
Nel frattempo non resta che consolarsi con Giuseppe Verdi. Sabato 15 marzo il museo archeologico della Magna Grecia ospita una mostra dedicata al grande compositore, di cui l’anno scorso ricorreva il bicentenario della nascita, che ha già fatto tappa a Roma. Titolo: «Giuseppe Verdi. Musica, cultura e identità nazionale». Di spazio, si può starne certi, ce n’è in abbondanza.

Il Corriere della Sera 08.03.14

"Una legge elettorale paritaria, il coraggio di essere liberi", di Valeria Fedeli

L’8 marzo di quest’anno è sospeso tra cambiamento e conservazione. E’, infatti, in corso una forte battaglia politica di tante donne e uomini, un impegno trasversale che attraversa diversi gruppi parlamentari, per poter finalmente realizzare una democrazia che sia realmente paritaria. Sarebbe inaccettabile, e il rischio che corriamo in queste ore è forte, se la nuova legge elettorale penalizzasse le donne, cioè la maggioranza del Paese. In questo modo un’occasione storica per sperimenta- re l’equità di genere e di moltiplicare il cambiamento andrebbe persa! Non si tratta qui solo di riequilibrare una sottorappresentazione di genere in Parlamento. Si tratta di un cambiamento culturale profondo.
Questa è una sfida centrale per ogni cambiamento politico, culturale e sociale, che vogliamo realizzare. Un cambiamento che è il cuore della responsabilità che Parlamento e nuovo governo si sono assunti in questa difficile fase storica. Il governo ha mostrato una capacità di innovazione nella parità tra ministre e ministri, scegliendo di legare il destino di molte importanti riforme proprio alle energie, alla competenza e alla concretezza delle donne. Poi, però, quel segnale positivo non è stato seguito nella successiva nomina di viceministri e sottosegretari, e al coraggio si è sostituito il solito adattamento alle abitudini maschili che dominano la nostra società, la politica e le istituzioni. Il coraggio serve, invece, se non vogliamo solo evocare il cambiamento, ma realizzarlo. E serve la determinazione di cercare azioni e risultati concreti, che stia- no in scia con quanto impostato in questo anno di legislatura e rilancino la necessità di trasformazioni culturali e politiche profonde.

Ricordiamoci sempre che l’8 marzo è una giornata dalla lunga storia, nata per iniziativa dell’Internazionale socialista donne, che nel 1910 propose questa data come giornata mondiale dei diritti della donna, anche per ricordare gli eventi del 1908, quando proprio l’8 marzo 15.000 operaie tessili sfilarono a New York, con lo slogan per il pane e per le rose, per chiedere condizioni di lavoro più giuste e diritti di cittadinanza. Ecco, il senso dell’8 marzo, a distanza di oltre un secolo, è ancora lo stesso. Una giornata per ricordare che per una società più giusta e con più diritti serve riconoscere e valorizzare la differenza tra donne e uomini, e su questa base costruire pari opportunità e benessere diffuso per tutte e tutti.

Dobbiamo agire per migliorare le effettive condizioni di vita e di lavoro delle donne, in Italia e in Europa: per consentire davvero libertà, autonomia e autodeterminazione, per valorizzare il capitale femminile, per realizzare un modello di democrazia realmente paritaria, che par- ta dal rendere paritaria la nuova legge elettorale e nel modificare, nello stesso senso, la legge elettorale per le europee.

Ora è il momento di produrre quegli atti e quei fatti, assumendo la logica del mainstreaming di genere per adeguare ad una effettiva parità tutte le scelte e le politiche pubbliche: per cambiare i linguaggi sessisti, superare gli stereotipi, facilitare l’accesso a lavoro e carriera, ridisegnare il welfare, partendo dalle persone e dalle persone che lavorano, agendo quindi su servizi e conciliazione e condivisione dei tempi privati e di lavoro. Abbiamo ratificato, lo scorso anno, la Convenzione di Istanbul, il più avanzato strumento del diritto internazionale per contra- stare la violenza maschile contro le donne, considerata una violazione dei diritti umani. La Convenzione impegna gli Stati europei a superare le discriminazioni che generano la violenza, con una serie di atti e fatti concreti a tutto campo, con un alleanza larga che coinvolga istituzioni, mondi associativi, società civile, scuola, media.

L’8 marzo deve essere una straordinaria giornata/festa laica del lavoro, della dignità, della libertà e della forza delle donne, e in tal modo essere festa del lavoro, della dignità, della libertà e della forza di ogni persona. Non è il giorno in cui l’agenda rende obbligatorio un gesto di galanteria da parte degli uomini, ma un momento per celebrare come comunità il rispetto reciproco e la parità effettiva fra tutte e tutti, e misurarne gli avanzamenti e ciò che ancora si propone di fare.

Mi piacerebbe, allora, che questa sera, nelle piazze e nei locali d’Italia, si incontrassero comitive di uomini, riuniti per festeggiare la festa delle donne. Mi piacerebbe, più che ricevere un mazzo di mimose, sapere che in quel- le comitive, gli uomini discutono delle loro responsabilità, si interrogano, si sentono partecipi e protagonisti di questo 8 marzo e delle sfide aperte che abbiamo di fronte. Sfide da giocare insieme, donne e uomini, per vincerle nell’interesse di tutta la comunità.

Non possiamo più pensare che le possibilità delle don- ne di scelta sul proprio corpo, la maternità, le opportunità di lavoro e carriera, la partecipazione paritaria alle sfide del futuro, la libertà dalla violenza siano questioni femminili. Sono questioni che fanno appello alla responsabilità politica e civile degli uomini e di ciascuna e ciascuno di noi.

Buon 8 marzo allora, a tutte e tutti

L’Unità 08.03.14

Intervento del Presidente Napolitano alla Giornata Internazionale della Donna

Signor Presidente del Senato,
Signora Presidente della Camera dei Deputati,
Signor Presidente della Corte Costituzionale,
Autorità,
Care e cari invitati,
rivolgo un cordiale saluto a tutte e a tutti i partecipanti, ma un particolare augurio, come comprenderete, alle signore ministri che rappresentano la parità di genere sancita nella formazione del nuovo governo. Sono convinto che, al di là delle loro competenze e specifiche funzioni, non dimenticheranno di essere donne impegnate nella causa delle donne. E rivolgo anche un doveroso ringraziamento alla componente femminile del precedente governo per aver trattato situazioni complesse con professionalità e senso dello Stato e per l’impegno espresso in tema di pari opportunità.

Ma i miei affettuosi auguri e il mio incoraggiamento vanno a tutte le donne, che in Italia e nel resto del mondo, ieri e oggi, ribellandosi, reagendo contro leggi e tradizioni assurde hanno non solo difeso la propria dignità e i propri diritti, ma affermato libertà e opportunità per tutte. Ringrazio coloro che lavorano nelle associazioni, che operano come religiose, nei corpi dello Stato e anche negli organismi internazionali senza risparmiare fatiche e rischi per consentire alle bambine di studiare, per evitare che siano mutilate, sottratte ai giochi e date in spose, vendute sul mercato del sesso ; coloro che operano per sostenere psicologicamente e moralmente le donne che pagano il prezzo dello stupro nei conflitti etnici, nelle guerre civili, nei viaggi da profughe e migranti verso paesi considerati sicuri. Un grazie dobbiamo anche alle organizzazioni attive nel confortare, nel recuperare alla vita civile ragazze ridotte in schiavitù, nell’aiutare le più emarginate ad aprirsi la strada verso un lavoro e un reddito autonomo : non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche nelle aree disagiate del nostro stesso paese. Dobbiamo onorare tutti coloro che sostengono la volontà delle donne di vivere da persone libere. Abbiamo inteso sottolineare il valore di battaglie e gesti esemplari, offrendone qualche esempio nel video introduttivo e assegnando le nostre onorificenze ad alcune persone tra le molte che si sono distinte nel fare avanzare la causa comune. Come ha già detto la nostra conduttrice, abbiamo voluto onorare il loro impegno, le loro piccole e grandi vittorie adornando quest’anno l’ingresso del Quirinale con l’alloro al posto delle tradizionali più festose mimose.

L’8 marzo sarebbe solo una festa fatua e vuota, quasi irriverente nei confronti delle donne che affrontano ogni giorno difficoltà di ogni genere, se non servisse a puntare con maggiore determinazione l’obiettivo politico e sociale sulla realtà della condizione femminile, sui problemi aperti, sulle possibili strategie per affrontarli.

Dall’inizio della mia presidenza, ogni anno – e questo è l’ottavo – in occasione di questa cerimonia al Quirinale, abbiamo scelto un aspetto specifico della condizione femminile da trattare. Questo 8 marzo 2014 lo dedichiamo sia ai diritti negati, sia alle vittorie per affermare diritti e libertà. Lo dedichiamo in particolare al più tragico degli aspetti della condizione femminile : alle violenze perpetrate dagli uomini sulle donne, violenze che possono arrivare fino alla eliminazione fisica.

Purtroppo questo tragico fenomeno in Italia non declina. Mentre, negli ultimi anni il tasso complessivo di omicidi è diminuito, quello relativo alle donne è restato costante. Contro la violenza all’interno di legami pseudo sentimentali non siamo riusciti a fare ancora abbastanza. L’ultima legge del 2013, che si muove sulle direttrici della Convenzione di Istanbul – appena ricordata dal ministro Mogherini – per il contrasto della violenza di genere, prevede come aggravante per i molestatori il fatto di avere o di avere avuto con la vittima un legame sentimentale. È importante che l’aggressore sia fermato in tempo. E invece questo troppe volte non riesce.

In occasione dell’8 marzo abbiamo voluto dare un segnale chiaro del fatto che queste morti vanno considerate un lutto collettivo, una tragedia che colpisce i sentimenti dell’intera nazione. Perciò per onorare le tante vittime abbiamo voluto apprestare un monumento temporaneo, che ricordasse quel sangue impietosamente versato. I nomi proiettati sulle basi dell’obelisco in Piazza del Quirinale costituiscono – come è stato detto – una minima parte delle donne uccise. Ma il pensiero, il cordoglio è rivolto a tutte le vittime della violenza maschile e ai loro cari che le hanno piante e ancora le piangono. Non trascuriamo il fatto che anche gli uomini possono essere vittime di molestie e aggressioni, tuttavia è ben noto che le proporzioni tra vittime e aggressori nei due sessi sono clamorosamente diverse.

È ovvio che il nostro gesto simbolico, come altre manifestazioni in varii luoghi, da parte delle istituzioni e della società civile per dire no a questo scempio possono aiutare a porre drammaticamente il problema, a sensibilizzare l’opinione pubblica, ma certo non bastano. Serve un formidabile impegno educativo fin dai primi anni di istruzione – come ha sottolineato il ministro Giannini. Servono leggi e serve un’azione capillare. L’Italia, già prima della legge del 2013, ha messo in campo importanti misure di contrasto e di prevenzione. Di recente era stata anche allestita una task force interministeriale.

L’omicidio – l’abbiamo già detto – è il gesto estremo, spesso l’esito finale di azioni violente reiterate. E purtroppo la violenza fisica e sessuale sulle donne, terribile anche quando non arriva all’omicidio, è un comportamento molto diffuso. Secondo recenti indagini circa un terzo della popolazione femminile intervistata in Italia, ha dichiarato di aver subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita ; la larga maggioranza degli episodi di violenza non viene peraltro denunciata. E anche se l’indipendenza economica dovrebbe rafforzare le capacità di reazione delle vittime, si deve osservare che il maltrattamento delle donne è un fenomeno trasversale che coinvolge come bersagli e come autori, persone di tutte le classi sociali, quali che siano i livelli di istruzione. A volte è proprio la crescita culturale e professionale della donna, la sua volontà di emancipazione che costituisce l’elemento scatenante dell’aggressività fisica e psicologica maschile. Neppure i paesi del Nord Europa che abbiamo sempre considerato esemplari sotto il profilo delle relazioni di genere sono estranei al fenomeno della violenza sulle donne.

Questo fatto basterebbe a smentire un luogo comune : troppo spesso si sente dire che il tema delle pari opportunità è superato perché viviamo in una condizione ormai di uguaglianza giuridica e materiale tra i sessi. Ovviamente non è vero. In particolare non lo è in Italia, dove riconoscimenti e successi femminili crescenti nell’istruzione si traducono solo in parte in una maggiore presenza nei vertici delle varie professioni e soprattutto non bastano a produrre tassi di attività comparabili a quelli di altre economie avanzate. Ma non vorrei tornare oggi sul tema complesso della promozione dell’attività femminile e della conciliazione tra famiglia e lavoro al quale abbiamo già dedicato un precedente 8 marzo, né su quello più generale della discrepanza tra competenze acquisite attraverso l’istruzione, da una parte, e domanda di lavoro femminile dall’altra, argomento sul quale pure ho parlato più volte.

Preferisco integrare questo breve intervento sulla violenza e i diritti negati, innanzitutto il diritto alla sicurezza e alla vita delle donne, con qualche osservazione su cambiamenti e trasformazioni recenti che hanno attinenza col tema centrale del nostro incontro di oggi.

Penso alle nuove tecnologie informatiche che rappresentano una fonte di cambiamento sia in negativo che in positivo. I rischi sono forse più visibili, più raccontati sui media, rispetto ai vantaggi. Si rincorrono notizie di messa in rete di situazioni imbarazzanti riprese dall’ex partner o dai ragazzi di un branco con gli smartphone, per non parlare delle false identità attribuite su un blog a una ragazza di cui si traccia un ritratto distorto e umiliante. Queste aggressioni hanno indotto ragazze soprattutto adolescenti persino al suicidio.

La modernità mette a disposizione di persone pericolosamente aggressive strumenti inediti. Alle aggredite, in quanto donne, non si fanno mancare insulti e minacce a sfondo sessuale. Non bisogna minimizzare questi episodi tanto più gravi quanto più colpiscono avversarie in politica, e comunque donne nelle istituzioni (e ne abbiamo avuto in Italia esempi ignobili come gli insulti e le minacce contro la Presidente della Camera dei Deputati alla quale in questa occasione rinnovo la mia solidarietà). Come il razzismo anche il sessismo se da volgare battuta per la strada o da bar sale nelle sfere politiche rappresentative, se si esprime nel parlamento, se, usando blog e siti, si diffonde legittimato da fonti irresponsabili diventa un virus duro da estirpare.

Le nuove tecnologie sono però anche strumenti di difesa, alleati delle vittime. Di recente una giovane moglie segregata è riuscita a far intervenire la polizia, spedendo propri autoscatti con il telefonino che mostravano i segni delle percosse. In Spagna, a supporto di una legge organica molto articolata, la messa a disposizione delle vittime di stalking di strumenti di richiesta di aiuto e intervento immediato ha avuto come conseguenza una diminuzione significativa delle morti. Anche la nostra nuova legge prevede l’utilizzo di tecnologie avanzate a protezione delle vittime.

Si fanno dunque passi avanti. Dal 1996, quando è stata approvata la prima legge contro la violenza sessuale al 2012 le denunce sono decisamente aumentate. Anche se purtroppo appaiono ancora come la punta di un iceberg, ma è una punta che si allarga e può via via diventare un deterrente per i potenziali violenti. I principale deterrente contro la violenza maschile è tuttavia la dissociazione da parte degli altri uomini, siano essi amici, familiari o personaggi importanti della vita sociale e pubblica. La targa assegnata in occasione della giornata contro la violenza sulle donne al movimento “Noi no” premia proprio quegli uomini che si dissociano. Anche l’uscita allo scoperto dei maschi, quando si verifica, va considerata un significativo passo avanti.

Ma in tempi recenti abbiamo assistito a fondamentali passi avanti soprattutto guardando al mondo sull’altra sponda del Mediterraneo. La professoressa Amel Grami ci ha illustrato in breve quella che può essere considerata la principale acquisizione del 2014 : l’inserimento della parità di genere nella Costituzione Tunisina, uno dei primi frutti delle rivoluzioni arabe, delle primavere arabe. Come tutte le conquiste non è al riparo da sfide. Lo stesso principio è stato inserito anche nella Costituzione Egiziana sebbene la forte turbolenza politica di quel paese consigli molta prudenza nel nostro giudizio. Meno formale appare la riforma Marocchina che abolisce il matrimonio riparatore.

La legge non si impone da sola. Sappiamo che esiste un rapporto forte tra consuetudini, comune sentire, da una parte, e incidenza delle leggi, dall’altra. Una norma ritenuta obsoleta dall’opinione pubblica viene disattesa, e se infranta troppo spesso i responsabili finiscono per non essere perseguiti. D’altra parte, consuetudini antiquate sopravvivono a prescindere dalle leggi che le reprimono perché restano nella cultura popolare. Purtroppo le mutilazioni sessuali sono ancora largamente praticate in molti paesi che le hanno messe fuori legge da tempo.

La rivolta delle donne alla guida dell’auto in Arabia Saudita, la fuga di spose bambine, la denuncia delle mutilate, la nostra insignita Franca Viola ci insegnano che quelle leggi obsolete, quelle tradizioni ostili hanno bisogno della reattività e del coraggio di ragazzine, di donne decise e ribelli. Anche di uomini fermamente dalla loro parte. Ne abbiamo e ne avremo bisogno sempre perché la storia dell’evoluzione della condizione femminile ci ha fatto rilevare anche tanti passi indietro. Oggi però vogliamo guardare avanti con fiducia. Adornare l’ingresso del Quirinale con l’alloro serve a onorare non solo le donne per merito delle quali sono state ottenute tante vittorie, ma anche le donne che ne conquisteranno altre, che difenderanno sempre i traguardi raggiunti senza arretrare.

Traguardi raggiunti e da raggiungere in molti campi e per diversi aspetti, accanto all’aspetto cruciale su cui ci siamo concentrati questa mattina. Per quel che riguarda il “diciamo basta!”, non posso concludere senza complimentarmi ancora con i vincitori della VII Edizione del concorso “Donne per le donne” : in particolare con gli studenti ragazzi e gli insegnanti uomini che hanno sentito e trattato come loro il tema delle violenze e ingiustizie che subiscono le ragazze e le donne.

Per quel che riguarda tante altre tematiche e iniziative che caratterizzano fuori di qui la celebrazione dell’8 marzo, mi limito a citare con vivo apprezzamento l’evento promosso dalla RAI e guidato dalla sua presidente : alla cui conclusione ho assistito avantieri. Si è parlato di quel che “la donna è” – puntini sospensivi – . Si è con particolare forza detto “la donna è crescita” – ed è vero, è giusto. Ma possiamo dire qui tutti e conclusivamente : la donna è civiltà. E che questa consapevolezza diventi realtà, è l’augurio che per l’8 marzo rivolgiamo a tutte le donne, italiane e straniere, che vivono in Italia, e a tutte le italiane che vivono all’estero. Ed è l’augurio che rivolgiamo non solo a loro ma rivolgiamo all’Italia, perché diventi il paese sempre più civile che fermamente vogliamo.

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"Le italiane meritano un 8 marzo di cambiamento, a partire dalla vita pubblica", di Roberta Agostini

Se chiediamo una legge elettorale che contenga norme per favorire la presenza femminile nelle istituzioni lo facciamo per una ragione politica generale e per un principio di civiltà che deve riguardare l’intero sistema politico. Le italiane meritano un 8 marzo di cambiamento, a partire dalla vita pubblica. L’8 marzo non può essere nel nostro paese una celebrazione retorica o una festa. Le statistiche ci raccontano puntuali della difficoltà delle donne italiane, delle vite precarie delle generazioni più giovani, delle disparità salariali, delle difficoltà di carriera, dell’impossibilita di tenere insieme famiglia e lavoro.
È di qualche giorno fa la ricerca Istat sul capitale umano che evidenzia come quello dello donne nel nostro paese valga la metà di quello maschile a causa delle massicce percentuali di disoccupazione. E l’istituto europeo per la parità di genere, colloca l’Italia al ventitreesimo posto su 27 paesi nella graduatoria delle pari opportunità tra uomini e donne.
Ma le donne italiane, la loro quotidianità, le loro speranze, le loro capacità sono anche il cuore di un progetto di rinascita per il paese. Io credo che sia anche questo il senso della composizione paritaria del nuovo esecutivo, che affida alle 8 ministre un messaggio di cambiamento. È un passaggio politico e simbolico, al quale dovremo dimostrare di saper corrispondere, affrontando le domande che le donne italiane pongono e che riguardano nel suo complesso la qualità della nostra democrazia ed una crescita economica e sociale diversa del paese.
Investire sul lavoro e su politiche di conciliazione, sulla rete del welfare, del sostegno all’infanzia e del lavoro di cura, su politiche di contrasto alla violenza, sul rilancio della scuola, cambia la vita delle donne e cambia la qualità delle relazioni sociali. Quando parliamo di democrazia paritaria parliamo di questo. Non di una quota rosa, non di un riflesso corporativo ma di una condizione essenziale per ricostruire il nostro sistema, cioè la partecipazione delle donne alla vita pubblica.
Il Pd ha assunto la democrazia paritaria come principio fondamentale della propria iniziativa politica e del proprio profilo identitario. Abbiamo definito norme dello statuto, regolamenti precisi ed abbiamo dato vita ad un organismo, la Conferenza delle democratiche, attivando una molteplicità di strumenti per ottenere gruppi parlamentari con una presenza equilibrata tra uomini e donne e gruppi dirigenti paritari. Ci siamo messi in ascolto ed in sintonia con un mondo femminile importante che chiede riconoscimento.
Dunque se chiediamo una legge elettorale che contenga norme per favorire la presenza femminile nelle istituzioni lo facciamo per una ragione politica generale e per un principio di civiltà che deve riguardare l’intero sistema politico e non può dipendere dalla scelta discrezionale di un singolo leader. Dobbiamo fare ancora molta strada per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena partecipazione delle donne alla vita pubblica, che sono di tipo economico, sociale, culturale,e dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti possibili, a partire da norme antidiscriminatorie che aiutino e sostengano il cambiamento. Senza doppia preferenza di genere qualche mese fa in Basilicata nessuna consigliera è stata eletta.
Il principio di eguaglianza sancito dalla nostra Costituzione negli articoli 3 e 51 deve essere sostenuto da misure specifiche che affermino una concezione sostanziale della parità. E se si assume il criterio delle liste bloccate, come nel testo, è inevitabile fissare regole che riguardano la collocazione in lista per rendere effettivo il principio di parità. Penso che questo cambiamento interessi tutti, anche e soprattutto gli uomini, ai quali in queste ore che ci separano dal voto sugli emendamenti che abbiamo presentato rivolgiamo un appello affinché sostengano una battaglia che riguarda la qualità delle nostra democrazia e la sua possibilità di includere idee, punti di vista capacità e competenze delle quali nessuno si può privare.

da Europa QUotidiano 08.03.14

"E voi maschi dove siete?", di Sara Ventroni

Buongiorno, uomini. Questo otto marzo è a voi che parla.
Oggi noi donne, di ogni schieramento politico, siamo di vigilia. Oggi noi donne siamo in attesa di sapere cosa ne sarà dell’emendamento alla legge elettorale Italicum, sottoscritto da una maggioranza trasversale di donne per garantire l’effettiva parità nella competizione, in termini di eleggibilità concreta. Cose fruste, lo sappiamo. Ma essenziali, lo sapete. Eccome se lo sapete. Per questo ci si ritrova sulle barricate.

Noi donne non siamo le vostre metafore migliori. Non siamo il vostro spot vincente. Qui si parla di politica, qui si parla del futuro del Paese.

Mentre siamo in attesa che si compia la speranza di passare, finalmente, dalla democrazia formale a quella sostanziale – senza privilegi, senza quote, senza tutele – semplicemente rimuovendo gli ostacoli e gli artifici che risospingono caritatevolmente le donne ai piedi di lista, aspettiamo da voi una mossa, perché da oggi, ormai è chiaro a tutti, la questione delle relazioni tra uomini e donne – la loro differenza, nelle fondamenta della vita civile – è la questione nazionale. Meglio ancora: questione costituente, si sarebbe detto in altri tempi. Ma il tempo è adesso, e non c’è più tempo.

Cari uomini, questo otto marzo parla a voi perché a voi, ora, tocca fare un passo. Per non lasciare indietro l’Italia. Per non mettere l’appiombo all’unico capitolo – forse non contemplato dal cronoprogramma – che ha fretta di essere avverato: il futuro dell’Italia, in nome della speranza delle giovani donne e dei giovani uomini.

Siamo il Paese più depresso d’Europa, con il tasso di natalità molto al di sotto del ricambio generazionale.

Se l’Italia non è un Paese per donne, non è nemmeno un Paese per uomini, e non è un Paese per bambini.

I figli, è ora di dirlo, non sono un fatto privato. I figli sono i cittadini di domani. E un Paese che sin dalle sue leggi respinge il corpo e la differenza delle donne è un Paese destinato alla propria estinzione.

Una donna su due, anche se laureata, non ha lavoro e non lo cerca più; l’unica complicità con gli uomini è sotto il segno dell’esclusione: dalle relazioni, dal lavoro, dalla vita civile, dalla riproduzione della vita.

UN PEZZO DEL PERCORSO

Le donne hanno fatto la loro parte di cammino. Hanno detto che questo Paese ha i minuti contati. Ma le donne non vogliono un Paese di individui neutri, ciascuno con i propri diritti individuali da reclamare alla carta. Le donne lanciano una nuova sfida. Epocale. Perché una democrazia che nelle sue forme non sa accogliere le don- ne, e la differenza tra uomini e donne, è un Paese che respinge tutti.

E da qui si riparte. Oggi si inaugura il sito Se non ora quando Libere, con un editoriale che lancia una nuova stagione. Il femminismo si apre agli uomini. All’insegna di un nuovo cammino comune: «Noi abbiamo bisogno e voglia di fare di più: ideare e realizzare un mondo condiviso tra donne e uomini… Dobbiamo pensare e sper mentare insieme idee e strumenti per realizzare la condivisione alla pari, nelle relazioni familiari, lavorative, politiche… Vogliamo che la libertà femminile costruisca un mondo di incontri, di reciproci riconoscimenti, di desiderio».

La grande manifestazione del 13 febbraio 2011, aveva già – nel suo appello – una richiesta agli uomini: abbiamo bisogno della vostra amicizia per fare dell’Italia un Paese per uomini e donne. Un invito che affondava nelle radici della nostra democrazia, perennemente incompiuta, e nelle relazioni, nei corpi intermedi, nella società tutta. Perché, parafrasando la Torah, la domanda che ci impone una risposta è ancora questa: «Se io non sono per gli altri chi sono io? E se non ora, quando?».

L’Unità 08.03.14