Latest Posts

"Una riforma che per ora resta a metà", di Elisabetta Gualmini

Aspettavamo una scossa e la scossa c’è stata. Siamo un po’ tutti sotto shock per il mezzo-Italicum che oggi o domani dovrebbe ricevere il primo suggello parlamentare. Con un colpo a sorpresa Matteo Renzi ha dato il via libera (tirandosi dietro, con doppia sorpresa, pure Berlusconi) alla proposta dei soci di minoranza dello strano governo (Ncd e cuperlian-dalemiani) di applicare la riforma solo alla Camera, dando per assodato che il Senato quanto prima scomparirà. Anzi, facendo come se fosse già scomparso. Da ieri l’altro. Game over, direbbe Matteo.

L’azzardo è dunque massimo, e pur essendo abituati alle corse senza respiro del Premier e alle vittorie al fotofinish molti elementi della sceneggiatura destano preoccupazioni che forse dovrebbero impensierire lui stesso.

Primo. Il Senato c’è ancora. A dirla tutta, dovrebbe anche approvare la non-riforma del sistema di elezione che lo riguarda, prima di decretare la sua buona morte.

Con una classe politica caduta al minimo della sua credibilità, cosa ci fa pensare che tra un anno e mezzo (referendum compreso) saremo approdati gioiosi e felici alla Terra Promessa? (Cioè alla Terza Repubblica?)

Non solo il testo base della riforma del Senato ancora non c’è. Manca pure l’algoritmo che dica, nero su bianco, come si fa, con il mezzo-Italicum, a trasformare i voti in seggi: non proprio un «dettaglio da addetti ai lavori». Non c’è nemmeno l’accordo tra i partiti della maggioranza su tutto il percorso, se Schifani può dire ai microfoni di Skytg24 e ad Avvenire – non due mesi fa, ma ieri l’altro – che è contrario alla riforma proposta da Renzi e che loro pensano a un Senato con funzioni differenziate rispetto alla Camera, che non dà e toglie la fiducia al governo, ma comunque elettivo. Quindi eletto con la proporzionale pura? Quando ne parleranno con il Pd e si metteranno d’accordo?

Se tira quest’aria nella maggioranza, figuriamoci all’opposizione. Il Movimento 5 Stelle è da sempre per mantenere per intero la doppia casta di senatori e deputati, ma con stipendi ridotti, benché a decidere sarà come sempre l’amatissima Rete. Le resistenze saranno fortissime. Rispunteranno le barricate contro l’eccessiva concentrazione di poteri come nel modello Westminster: una camera sola che decide, con la maggioranza nelle mani del leader del maggiore partito. E prepariamoci a rivedere l’eterno film della contrapposizione tra gli appassionati sostenitori della «più bella Costituzione del mondo» e i pasdaran del semi-presidenzialismo (già che ci siamo perché non cambiare tutto? mah si, rimescoliamo le carte e ricominciamo tutto daccapo…).

Secondo. Fare le cose a metà non equivale a «fare le cose». Bisogna prendere atto che questo governo non è riuscito a mettere in sicurezza la legge elettorale. Punto. L’Italicum-Consultellum è la perfetta combinazione degli opposti (premio e liste bloccate in piccoli collegi accanto a un proporzionale puro e preferenze in grandi circoscrizioni). Dopo eventuali elezioni tenute con quel sistema, la maggioranza fabbricata alla Camera sarebbe del tutto inutile e bisognerebbe negoziarne un’altra molto più larga al Senato. Per non entrare in altri dettagli, tipo il voto di preferenza che la Corte ha preteso di imporre ma che nella legge per il Senato non c’é, o le strampalate soglie differenziate per partiti coalizzati e non coalizzati che sono invece rimaste.

Dopo il tragico errore da parte del Pd di non votare la mozione Giachetti sul ritorno alla Mattarella, siamo ancora alla dimostrazione che non vi è un accordo su un sistema elettorale decente. Si è dunque scelto un rischio massimo e una soluzione pasticciata che per un anno e mezzo ci lascia sospesi in uno strano limbo che offende le istituzioni e sottrae ai cittadini il loro sacrosanto diritto, che dovrebbe essere in qualsiasi momento potenzialmente esigibile, di tornare a votare per scegliere da chi vogliono essere governati.

Siamo abituati con Matteo Renzi a viaggiare sulle montagne russe e a confidare sull’intuito, l’abilità e la fortuna che aiuta gli audaci. Continuiamo quindi a contare sul suo coraggio e ad attendere fiduciosi che il governo faccia le cose. Questa cosa qui, però, per ora zoppica.

La stampa 06.03.14

"Il profitto malato", di Giovanni Valentini

Fra i diritti fondamentali della persona, universalmente riconosciuti, quello alla vita e alla salute è senz’altro il più fondamentale di tutti. E dunque, si può considerare davvero storica la maxi-multa che l’Antitrust italiana ha comminato a due colossi farmaceutici mondiali come Roche e Novartis con l’accusa di essersi spartiti il mercato a danno dei pazienti.
n verdetto destinato a segnare una pietra miliare su scala internazionale nella difesa di quel bene indisponibile che è appunto la salute.
Bisognerà aspettare necessariamente l’esito dei ricorsi al Tar, già annunciati dalle due multinazionali, per verificare la fondatezza e la legittimità della sanzione. Si tratterà in particolare di stabilire se il farmaco equivalente più economico che il “cartello” avrebbe boicottato, danneggiando così oltre ai malati anche il Servizio sanitario nazionale e le assicurazioni private, ha in realtà la stessa efficacia terapeutica e analoghi effetti collaterali.
Ma un fatto intanto è chiaro: d’ora in poi, questa decisione costituirà un precedente e un deterrente. In Italia o altrove, Big Pharma sa che dovrà fare sempre più i conti con le autorità che tutelano il mercato e la concorrenza. La salute non è una merce e non può avere perciò un valore di scambio.
Registriamo pure con soddisfazione, allora, il favore con cui l’Agenzia italiana del farmaco ha accolto la sentenza dell’Antitrust. Se è “storica” (e lo è «per tutta l’Europa e non solo») anche per l’organismo di diritto pubblico che opera sulla base degli indirizzi e della vigilanza del ministero, questo promette bene per il futuro di un settore così rilevante sul piano sociale prima ancora che produttivo ed economico. Non si può fare a meno, tuttavia, di chiedersi come mai finora l’Aifa non sia intervenuta tempestivamente, per regolare la diffusione e la vendita di questi prodotti.
Secondo la documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza e gli accertamenti del Garante, le due aziende farmaceutiche non si sarebbero limitate soltanto a lucrare sui prezzi. Ma, attraverso un accordo fra di loro, avrebbero addirittura messo fuori mercato un prodotto alternativo assai meno costoso, impedendo di fatto a tanti malati di accedere a queste cure per i costi molto elevati incompatibili con i bilanci degli ospedali. E qui si parla di gravi malattie oculistiche che colpiscono soprattutto i più anziani, provocando spesso la cecità.
È la nostra stessa Costituzione, all’articolo 32, a sancire solennemente che la Repubblica tutela la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e a garantire “cure gratuite agli indigenti”. Ed è sulla base di questi principi, appunto, che in forza della normativa anti-trust l’Autorità sul mercato e la concorrenza ha il diritto-dovere d’intervenire per reprimere comportamenti che contrastano con l’interesse generale. Tanto più in un campo particolarmente sensibile come quello della sanità, dove gli “animal spirits” del capitalismo rischiano di compromettere le condizioni di vita delle persone.
Dal cibo all’acqua e alla conoscenza, dall’ambiente al clima, siamo nel campo invalicabile dei “diritti sociali” su cui si fondano la democrazia e la cittadinanza. Già nel Settecento scriveva Montesquieu in un aforisma: “Fare l’elemosina a un uomo nudo, per strada, non esaurisce gli obblighi dello Stato, che deve assicurare a tutti i cittadini la sopravvivenza, il nutrimento, un vestire dignitoso, e un modo di vivere che non contrasti con la salute”. E in quest’epoca di risorse scarse, la logica spietata dell’efficienza economica e del mercato non può prevalere sulle garanzie fondamentali di un welfare equo e ordinato.
Siamo di fronte a quello che il giurista Luigi Ferrajoli, nel suo recente libro La democrazia attraverso i diritti
(Laterza), chiama il “capitalismo anarchico”. E non a caso cita proprio lo smantellamento dello Stato sociale come principale minaccia per la democrazia, incardinata sull’uguaglianza dei diritti fondamentali. «Solo una rivoluzione giuridica e politica — aggiunge Ferrajoli — può oggi imporre la garanzia di tutti questi beni vitali, siano essi artificiali o naturali, come beni di tutti contro la loro mercificazione o devastazione a opera di un capitalismo sregolato e predatorio ».
L’industria farmaceutica ha un ruolo troppo rilevante nella vita sociale per sottrarsi alle sue responsabilità. Sono, innanzitutto, responsabilità etiche. E anche il “dio profitto” è tenuto a rispettarle.

La Repubblica 06.03.14

"L'Italicum dimezzato", di Roberto D'Alimonte

Alla fine l’ha spuntata chi non vuole che la riforma elettorale si faccia ora. Questo è il senso di quanto sta succedendo in queste ore in Parlamento. Il nuovo sistema elettorale – l’Italicum – verrebbe approvato solo per le elezioni della Camera. In attesa che si faccia la riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario resterebbe in vigore per l’elezione dei senatori il sistema di voto uscito dalla sentenza della Consulta. Proprio un bel pasticcio. In questo modo, se si dovesse tornare a votare prima che la riforma del Senato fosse fatta voteremmo con l’Italicum – che è un sistema maggioritario – per la Camera e con un sistema proporzionale per il Senato. Anzi, alla Camera ci sarebbe anche il ballottaggio. E al Senato naturalmente no.
Il bello è che questa soluzione è stata proposta da coloro che si oppongono alla approvazione dell’Italicum per entrambi i rami del parlamento in nome della governabilità. Infatti l’argomento utilizzato per mettere i bastoni tra le ruote a Renzi è che un sistema elettorale a due turni potrebbe produrre maggioranze diverse tra Camera e Senato. Quindi meglio lasciare l’Italicum alla Camera e il proporzionale della Consulta al Senato. Come se questa soluzione non presentasse esattamente lo stesso rischio di ingovernabilità. Anzi, mentre nel primo caso il rischio è potenziale, nel secondo è certo. Infatti è vero che sulla carta l’Italicum potrebbe produrre due diverse maggioranze, ma le probabilità di questo esito non sono elevate. Mentre votando con l’Italicum ci sarebbe un vincitore certo alla Camera e certamente nessun vincitore al Senato. Cioè si riprodurrebbe esattamente la stessa situazione creatasi con le elezioni del febbraio 2013.
È così evidente la debolezza di questo argomento che non ci vuol molto a capire che la vera ragione di questa manovra parlamentare è quella di non dare a Renzi un sistema elettorale con cui puntare alle elezioni anticipate a suo piacimento. Renzi ha promesso ai parlamentari di durare fino al 2018. I parlamentari vogliono essere sicuri che mantenga la promessa. Tutto qui. Per loro questa è ovviamente una promessa che vale. Ma quanto vale? Qualche giorno fa abbiamo scritto che vale fino a quando non ci sarà una nuova legge elettorale. Fino ad allora avranno una arma potente per frenare l’esuberanza del premier perché con l’attuale sistema di voto non può ricorrere alle urne per cercare quella legittimazione popolare che gli serve per fare quello che veramente vuole. Infatti tornare a votare con il sistema della Consulta vuol dire non risolvere nulla. Ma adesso sappiamo che non potrà tornare a votare nemmeno con la “sua” legge elettorale perché sarà approvata solo a metà. Quindi è inutilizzabile. Fare una nuova legge elettorale solo per la Camera significa non fare la riforma elettorale. Nuove elezioni diventeranno possibili solo con la riforma del Senato. Quando? Chi può dirlo?
E allora perché Renzi ha accettato questo compromesso? Risposta difficile. Forse ha capito di non avere i voti per far passare la riforma. Di fronte all’eventualità di uno scacco ha preferito incassare l’approvazione di un Italicum dimezzato per poter dire che comunque una riforma – per quanto parziale – è stata fatta. Meglio metà riforma che nessuna riforma. È una spiegazione coerente con il pragmatismo dell’uomo. Una altra possibile spiegazione è che in fondo a lui avere o non avere un sistema elettorale pronto all’uso interessa poco. La sfida vera è quella di fare le riforme, di realizzare il cambiamento che la gente si aspetta. L’aver rassicurato i parlamentari, rinunciando alla pistola del nuovo sistema elettorale, forse gli consentirà di lavorare meglio con loro. Sono due spiegazioni plausibili e non mutualmente esclusive. Intanto nell’attesa di vedere se la seconda sarà quella buona ci teniamo il pasticcio dell’Italicum dimezzato.

Il Sole 24 Ore 05.03.14

"Condannati a cambiare", di Francesco Manacorda

Che cosa succederà se oggi – come pare probabile – arriverà l’annuncio che Bruxelles è pronta a mettere sotto osservazione l’Italia per le riforme che latitano? L’eterno dibattito su quello che andrebbe fatto e non si riesce mai a fare per riaccendere la crescita e liberare le forze del Paese uscirà forse da una dimensione finora compresa tra l’accademia e i dibattiti politici da talk show per entrare nella concretezza, e nei vincoli, delle procedure europee. È uno scenario realistico, come racconta all’interno del giornale Marco Zatterin. Fino alla scorsa notte, infatti, l’Italia era in fondo alla lista delle riforme attuate, assieme a due partner come la Slovenia e la Croazia, fra i «bocciati» dalla Commissione europea. E oggi, a meno di ribaltoni dell’ultimo minuto, potrebbe vedere sancita la sua grave insufficienza su questo fronte con tutto quello che ne consegue: un periodo da «sorvegliata speciale», il monitoraggio della Commissione sulle azioni intraprese per rispettare le sue richieste, fino all’ipotesi estrema di vedere l’Italia sottoposta a una procedura d’infrazione simile a quella per deficit eccessivo, dalla quale per inciso è uscita appena lo scorso maggio.

Condannati alle riforme, insomma. Se accadrà non è detto che sia necessariamente un male. Per Matteo Renzi l’esistenza di un «vincolo esterno» europeo potrebbe perfino trasformarsi in un mezzo per accelerare ancora di più quella spinta riformatrice che finora ha ampiamente evocato. Per la Commissione e per i partner comunitari, però, non è certo la riforma elettorale che il premier si prepara ad incassare quella che può rendere competitiva la nostra economia. La lista dei compiti a casa che Bruxelles ci darà è più lunga e approfondita e forse più scontata, visto che se ne parla da anni senza risultati apprezzabili: un sistema di ammortizzatori sociali che privilegi la protezione del lavoratore rispetto a quella del posto di lavoro, misure mirate contro la disoccupazione giovanile, un carico fiscale che non penalizzi il lavoro dipendente e l’attività d’impresa, un contesto economico che attiri gli investimenti stranieri, maggiore competizione nelle professioni e nei servizi… L’elenco potrebbe continuare, guardando anche a cosa ci chiedono il Fondo monetario internazionale o quell’Ocse da cui arriva il nuovo ministro dell’Economia. Del resto, come ha detto nei giorni scorsi il presidente della Bce Mario Draghi, «il problema non è cosa fare, ma farlo»; non ci sono insomma formule magiche da scoprire, ma serve la volontà di applicare ricette già conosciute.

Se un problema esiste, nella condanna alle riforme per mano europea, è però quello che finora si è evidenziato nel campo della finanza pubblica. L’ortodossia comunitaria ha visto l’austerità di bilancio come condizione imprescindibile, anche a costo di mancare azioni di ripresa nelle economie del Sud Europa. Allo stesso modo un’agenda riformatrice dettata da Bruxelles rischia di puntare molto sulla competitività e di non prendere in considerazione azioni straordinarie di cui pure l’Italia ha gran bisogno come il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. È un rischio che nei limiti del possibile andrà evitato.

La Stampa 05.03.14

"L’autistico laureato non è autistico", di Gianluca Nicoletti

A Padova si festeggia il primo autistico in Italia ad avere preso una laurea. E’ una bella notizia per tutti, neuro diversi e non. Quello che ritenevano un ritardato mentale, in realtà, è stato capace di laurearsi dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche. Piercarlo Morello di 33 anni per laurearsi però è stato assistito da qualcuno che alle sue spalle guida la sua mano sulla tastiera di un computer, affinché lui possa esprimersi compiutamente. Ha sicuramente colpito tutti noi la frase del neo dottore che i giornali hanno riportato, e che è particolarmente intensa: «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce».

E’ veramente un’immagine molto profonda, anche troppo perché Piercarlo possa essere definito autistico, infatti l’associazione nazionale delle famiglie dei soggetti con autismo (Angsa) ha subito comunicato di essere strafelice per la notizia, ma su Piercarlo evidentemente era stata sbagliata la diagnosi, non era un autistico.

Nel caso che quel distico l’abbia scritto lui, e non il suo facilitatore, evviva! Significa che ha una comunicazione sociale più che buona, quindi non è da considerare autistico, cioè un soggetto la cui caratteristica principale sia quella di essere incapace a comunicare, indipendentemente dal modo in cui possa esprimersi.

Non sembri fuori luogo fare una precisazione del genere, a fronte di una notizia che mette solo allegria, e che sarà sicuramente fonte di orgoglio per quel ragazzo e la sua famiglia. E’ impietosamente necessario però fare un punto di chiarezza, proprio perché non si accenda all’istante la speranza in ogni altro genitore d’autistico che il proprio ragazzo, che magari non è capace di scrivere il suo nome o di dire mamma, possa emulare l’ambito traguardo di laurearsi, purché munito di facilitatore che lo aiuti a scrivere sul computer, tutto quello che, altrimenti, non sarebbe mai capace a esprimere parlando.

Penso che se passasse questo concetto sarebbe altrettanto grave del far credere che tutti gli autistici siano rappresentabili nel protagonista di «Rain Man», o nel prodigioso bimbo veggente matematico della serie televisiva «Touch».

L’autismo è un mondo complesso e variegato e sono veramente poche le modalità di trattamento che funzionino per tutti. Tra queste è da escludere che ci sia la comunicazione facilitata, ora presentata con il nome di Woce, che negli Stati Uniti da almeno quindici anni è dichiarata priva di evidenza scientifica, in Italia classificata dalla Linea guida n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi «non raccomandati per l’autismo».

Ora sicuramente ci sarà chi ribatterà, portando nomi e documenti trovati in rete, dove è scritto che qualcuno da qualche parte del mondo invece considera efficace questo tipo d’intervento. Di certo sappiamo che non è generalizzabile e questo ci basta. Abbiamo già recenti esempi di come l’emotività mediatica non sia buona consigliera in casi così delicati e che riguardano la salute. E’ solo d’augurarsi che Piercarlo non diventi un fenomeno da talk show, o per lo meno nessuno gridi al miracolo citando il suo caso.

Purtroppo chi ha conoscenza dell’autismo, così detto «a basso funzionamento», (sì non è bello come termine, ma anche mio figlio è di quel genere e c’ho fatto l’abitudine) sa che chi abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come i testi pieni di saggezza e profondità che spesso vengono attribuiti agli autistici «facilitati».

E’ giusto piuttosto che sia ribadito il concetto che per l’autistico il primo vero traguardo sia l’autonomia di base nei suoi comportamenti quotidiani. Inutile porsi l’obiettivo ambizioso di una laurea, se ancora il proprio figliolo ha difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a vestirsi da solo, a curare la propria igiene personale.

Chiediamoci anche cosa potrà fare il nostro figlio autistico una volta laureato, soprattutto se dovrà sempre essere seguito dai suoi facilitatori quando gli sarà chiesto d’esprimersi.

Ieri mio figlio Tommy si è cucinato da solo la pasta con le zucchine, faccio salti di gioia, mi basta per pensare che il cuoco potrà farlo, anche se non sa parlare.

La Stampa 05.03.14

"Quei 50 milioni in cassa che Pompei non riesce a spendere", di Francesco Erbani

A Pompei si prova a ripartire. Due milioni di euro per gli interventi urgenti. L’arrivo del nuovo soprintendente, Massimo Osanna. Consolidamento idrogeologico. Per l’ennesima volta, dopo i crolli, il ministero per i Beni culturali tenta di riattivare un motore ingolfato. Tocca ora a Dario Franceschini che, una settimana dopo l’insediamento, ha presieduto una riunione il cui esito era atteso dal commissario europeo Johannes Hahn, che ieri è sbottato: «Ogni crollo per me è una sconfitta enorme. Chiedo con forza alle autorità italiane di prendersi cura di Pompei».
L’Unione europea ha destinato a Pompei 105 milioni. Tempi di consegna lavori: fine 2015. Le procedure si muovono lentissime: negli ultimi mesi sono state bandite gare per 9 cantieri, che si aggiungono ai 5 già aperti (su 55 totali). A maggio del 2012 erano stati spesi 588 mila euro. Ora sono stati aggiudicati lavori per 18,7 milioni.
Ma i restauri delle
domus
sono
una parte della questione. I crolli avvengono perché è carente il monitoraggio quotidiano, compiuto da piccole squadre di tecnici che, rilevato un problema, intervengono immediatamente. A Pompei si è sempre fatto, ora non più. I 2 milioni stanziati ieri (un altro milione è andato a Volterra) saranno prelevati dai fondi della Soprintendenza e dovrebbero servire proprio alla manutenzione.
Nelle casse della Soprintendenza giacciono tuttora 54 milioni (62, secondo la Uil). Ma come, i soldi ci sono e si lascia che la pioggia inzuppi i terrapieni e gravi sui muri facendoli crollare? È uno dei paradossi
pompeiani. Trenta di quei 54 milioni sono un’eredità dei commissari — l’ultimo dei quali, Marcello Fiori, è scaduto nel 2010, ora è presidente dei club “Forza Silvio” ed è indagato per abuso d’ufficio. Quei soldi sono sotto il controllo di Corte dei Conti e magistratura, ma non è certo che siano inutilizzabili. E gli altri 24? Una parte ha già una destinazione. Ma un bel gruzzolo è comunque a disposizione, perché non si spende?
A Pompei tutto sembra inceppato. E ai grovigli ereditati con gli anni, altri si aggiungono. Con il Decreto Cultura, agosto 2013, è nata una direzione generale per il progetto
finanziato dai 105 milioni dell’Ue. A fine dicembre è stato designato il generale dei carabinieri Giovanni Nistri, uomo di grande esperienza nel recupero di beni culturali rubati. Nistri, però, non ha una struttura e si appoggia ai deboli ranghi della Soprintendenza. E solo ieri si è avviata la procedura per selezionare i suoi 20 collaboratori.
Le storie pompeiane sfiorano l’assurdo. La Soprintendenza viene periodicamente accorpata a quella di Napoli e poi da questa sdoppiata. Ora è stata separata: si è dovuti ripartire daccapo, per esempio, con la programmazione delle spese e gli uffici non hanno neanche il nuovo codice fiscale. Gli organici sono in calo e vaste zone, come le regioni V e IX, interessate da crolli, sono in condizioni precarie, già segnalate dagli ispettori Unesco. «Tante strutture a Pompei si stanno perdendo», dice sconsolato Fabrizio Pesando, professore all’Orientale di Napoli, che scava nel sito vesuviano dal 1980. «Ma la cosa più grave è la perdita di memoria: ogni volta sembra che si ricominci daccapo».

La Repubblica 05.04.13

Donne, Liotti “Un 8 marzo all’insegna di studio e formazione”

Dal 17 marzo al 29 aprile un corso sulla comunicazione politica dedicato alle candidate. Un corso di formazione per comprendere le dinamiche della comunicazione specifiche di una campagna elettorale in vista delle prossime amministrative dove, per la prima volta, si voterà con la doppia preferenza di genere: questo il progetto messo in campo dalla Conferenza delle Donne Pd della provincia di Modena in occasione dell’8 marzo . “Poiché la presenza femminile in politica è un valore, impariamo a trasmetterlo” sottolinea la coordinatrice delle Democratiche modenesi Caterina Liotti. Le lezioni si terranno dal 17 marzo al 29 aprile. Come di consueto, inoltre, proprio nella giornata dell’8 marzo, le donne del Pd organizzano un banchetto informativo in Piazzetta delle Ova.

“Campagna elettorale: istruzioni per l’uso”, questo il titolo del corso organizzato dalla Conferenza delle Donne Pd della provincia di Modena, rivolto alle candidate democratiche, ma anche a chi intende avvicinarsi alla politica. Lezioni frontali, testimonianze di donne della politica, esempi pratici ed esercitazioni di gruppo per imparare a comunicare in modo efficace, superando timidezze ed evitando errori. “L’obiettivo è rispondere a una semplice domanda: quali sono le cose da fare e quelle da non fare per vincere una campagna elettorale? – spiegano Caterina Liotti, coordinatrice e Daniela Depietri dell’esecutivo della Conferenza delle Donne Pd modenesi – Comunicare efficacemente è punto di partenza fondamentale per ogni intento politico. L’efficacia della comunicazione non si risolve in un semplice esercizio retorico, necessita infatti di una focalizzazione chiara del messaggio da trasmettere e di una familiarità con i tempi e i modi che ogni specifico contesto richiede. A guidarci – continua Caterina Liotti – saranno politiche già esperte accompagnate da un team di professioniste della comunicazione che forniranno alle candidate strumenti concreti e immediati per gestire la propria immagine politica e rafforzare la propria capacità comunicativa. Poiché la presenza femminile in politica è un valore, impariamo a trasmetterlo. La formazione è il nostro migliore investimento – conclude Caterina Liotti – Sin dal suo insediamento la Conferenza delle Donne ha cercato di essere uno strumento a disposizione delle Democratiche per la loro affermazione personale, professionale e politica in una società ancora troppo maschilista.” Le lezioni sono co-progettate e curate dalle giornaliste ed esperte di GIOl news, agenzia di comunicazione specializzata nella comunicazione sociale, politica e di genere. Il primo incontro in programma prenderà il via lunedì 17 marzo con il saluto del segretario provinciale del Pd modenesi Lucia Bursi: ospiti la parlamentare modenese Pd Giuditta Pini e Palma Costi, presidente dell’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia Romagna. L’incontro successivo, martedì 26 marzo, sarà dedicato invece alla presentazione di sé: immagine, linguaggio non verbale, coerenza del messaggio. La parlamentare modenese Pd Manuela Ghizzoni e la consigliera comunale Daniela Depietri racconteranno la propria esperienza nel corso dell’incontro di lunedì 31 marzo sul tema dell’organizzazione della campagna elettorale. La pianificazione della strategia comunicativa, con particolare attenzione alla rete e ai social media, è invece l’argomento della quarta lezione, in programma martedì 8 aprile. Si concentrerà sull’esposizione in pubblico e l’incontro con i media, carta stampata, tv e radio, l’incontro di martedì 15 aprile con esercitazioni pratiche e simulazioni. Infine martedì 29 aprile insieme a Mariangela Bastico, già viceministro all’Istruzione, e Lucia Bongarzone, coordinatrice della Conferenza regionale delle Democratiche, ci si concentrerà sul rapporto con gli elettori. Tutte le lezioni si terranno dalle 17.30 alle 20.00. Sede del corso sarà il Circolo Pd Madonnina, in via Barchetta 186 a Modena. Per partecipare è necessario iscriversi (059 582876 oppure email catia@pdmodena.it) entro il 17 marzo e versare un contributo di 30 euro.

Nella giornata dell’8 marzo, come da tradizione, sarà, infine, allestito un banchetto informativo sulle attività della Conferenza delle Donne sia a livello nazionale che locale. “Faremo il punto su temi che ci hanno viste al lavoro negli ultimi mesi – spiega Caterina Liotti – come l’impegno contro la violenza sulle donne anche con la proposta di legge regionale di iniziativa popolare che sta muovendo i primi passi in Assemblea legislativa e l’obiettivo di conseguire quel “50 e 50” nella legge elettorale nazionale, quando già nelle prossime amministrative si voterà con la doppia preferenza di genere”. L’appuntamento è in Piazzetta delle Ova dalle ore 10 alle ore 13.