Anno: 2013

"Giovani, allarme lavoro. Napolitano: basta ritardi", di Marcella Ciarnelli

Il lavoro su cui la nostra repubblica «è fondata» sta diventando sempre più un obbiettivo difficile da raggiungere, specialmente per i giovani. Su questo, ancora una volta, a poche ore dalla celebrazione del 2 giugno, il presidente della Repubblica ha voluto ripetere il suo allarme, divenuto sempre più acuto man mano che l’uscita dalla crisi economica appare difficile. E la cui immediata conseguenza è quella di allontanare dall’Italia tante fondamentali energie, certamente quei ragazzi che non possono contare su una raccomandazione «un piccolo tassello del problema» ma sempre «una pratica da combattere e sradicare ». «Dobbiamo essere una Repubblica all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione » ha detto Il presidente Napolitano, in un colloquio con il direttore del Tg5 Clemente Mimun, evocando il confronto che ci fu in Costituente per arrivare alla stesura finale di quel primo articolo. «Ebbe grande significato, si discusse moltissimo e si scelse questa dizione anziché l’altra “una Repubblica dei lavoratori”. “Fondata sul lavoro” è qualcosa di più, significa che c’è un principio regolatore a cui si devono uniformare tutti gli attori …

“Noi lavoriamo anche per Matteo la sua corsa non ha una scadenza”, di Francsco Bei

Dario Franceschini: sulla targa fuori dalla porta del suo ufficio c’è scritto “ministro dei rapporti con il Parlamento e al coordinamento delle attività di governo”. Ovvero, come traduce lui stesso vista l’attuale maggioranza precaria, «il ministro alle rogne». Stavolta però, nonostante Renzi accusi il governo di “vivacchiare”, Franceschini alza la voce per rivendicare il gol segnato due giorni fa sulle riforme: «È stata una giornata molto importante, purtroppo in parte oscurata dalle distinzioni che ci sono state sulla legge elettorale. Non ci avrebbe scommesso nessuno che, a un mese dalla nascita del governo, fosse possibile definire un percorso certo verso le riforme, con una larghissima maggioranza e la non ostilità delle opposizioni». Percorso «certo»? Viste le bicamerali del passato, consenta un certo scetticismo… «Lo scetticismo è fondato. In passato la durezza dello scontro politico e le convenienze reciproche hanno sempre bloccato il percorso delle riforme. Ma stavolta è diverso». Perché mai? «Perché gli avversari di sempre oggi collaborano al governo. E questa finestra del governo di servizio può consentire la collaborazione anche sulla definizione delle …

"Salvate il soldato Beppe (ma da se stesso)", di Francesco Merlo

Grillo, nonostante le tue canagliate, io vorrei che tu, Renzi ed io…”. Ancora potrebbe, questa prima sconfitta di Beppe Grillo, mutarsi in valore civile. E forse solo un Epifani dantesco potrebbe aiutare Grillo a salvarsi dal Grillo impazzito che sproloquia persino contro Rodotà, che pure è stato il suo fiore di purezza, il suo Garibaldi o meglio il suo Mazzini, il suo alibi di nobiltà. Ha avuto la fortuna, Beppe Grillo, di subire un imperioso alt degli elettori quando ancora non tutto è perduto. Ha infatti il tempo di rivedere, correggere e ripensare anche il se stesso tramutato in canaglia. E il segretario del Pd, ora che non ne ha bisogno per sopravvivere, dovrebbe chiamare il furioso attaccabrighe al confronto diretto, senza il corteggiamento trafelato e penoso ai gregari che umiliò Bersani, ma lanciando un ponte di sinistra, un osservatorio, un blog a due piazze, una cosa (“ah, cosa sarà?, che fa muovere il vento”) che sia fatta di dibattiti serrati e anche di quegli sbeffeggiamenti (reciproci, però) che Grillo ha trasformato in scienza della …

"Una proposta per fermare il femminicidio" di Simonetta Agnello Hornby

Nel 1909 la contessa Giulia Trigona, dama di corte della regina Elena, all’età di trentadue anni fu accoltellata e sgozzata dall’amante trentenne in una camera d’albergo accanto alla stazione Termini. L’omicida tentò poi di suicidarsi – con un’arma più nobile: una pistola, oggi esposta al Museo del crimine di Roma – e, dopo essere stato condannato all’ergastolo, nel 1942 meritò il perdono reale, su richiesta di Mussolini: morì sette anni dopo nel suo letto, accudito dalla domestica che aveva nel frattempo sposato. Per la notorietà e il rango dei personaggi coinvolti la notizia divenne di dominio pubblico come un fatto raro, invece la violenza c’era anche allora, e in tutti gli strati sociali. Tanta. Solo che la vergogna delle vittime e il desiderio della gente di non sapere la coprivano di un silenzio di perbenismo. Che io chiamo omertà. Ho incontrato la violenza domestica all’età di cinque anni. A Siculiana, guardavo dal balcone della cucina – insieme alle cameriere – un ubriacone che la sera tornava nel vicolo in cui viveva. I vicini lo aspettavano …

"L’ultimo insulto, quello del Tg2", di Natalia Lombardo

Come è facile scivolare sulla vita di una donna e cucirle addosso il vestito di sempre, col marchio impresso dalla cultura maschile che, come riflesso condizionato, quasi giustifica la violenza sul corpo e nell’anima delle donne. Basta un legame, un «finché», per sottintendere l’eterna e introiettata colpa della donna «bellissima» e pure femminista condannata all’inevitabile quanto orrido stupro. Così, nel giorno in cui la Rai dedica la mattinata contro la violenza sulle donne, con tanto di presidente Tarantola e di spot, grazie all’approvazione in Parlamento della Convenzione di Istanbul, al Tg2 proprio una donna scivola in quella coazione a ripetere che anestetizza la coscienza. Nel servizio dell’edizione delle 13, Carola Carulli descrive Franca Rame come attrice, indissolubilmente legata a Dario Fo, col quale ha condiviso la vita e «l’utopia sessantottina», tra «satira e controinformazione feroce» (esiste una controinformazione soft?). Certo era «Una donna bellissima, Franca», racconta la giornalista, «amata e odiata. Chi la definiva un’attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante» – ma …

"Se ai ragazzi insegnamo la diseducazione civica", di Benedetto Vertecchi

Premetto che considero l’educazione civica un aspetto dell’attività delle scuole al quale sarebbe necessario rivolgere un’attenzione ben più ampia di quanto il più delle volte accada. Ma, proprio per questo, mi chiedo se le condizioni politiche e sociali in cui la scuola opera siano le più favorevoli a costituire uno sfondo di riferimento. Non si può ignorare, infatti, che l’educazione civica, anche più di quanto non avvenga per altri aspetti dell’educazione scolastica, rischia di produrre effetti controproducenti nel profilo di bambini e ragazzi se la proposta di cui è portatrice si presenta contraddittoria rispetto alla sua traduzione empirica, ovvero al modo in cui determinati principi sono concretamente attuati, o inattuati, nell’esperienza quotidiana. In breve, non si può continuare a dire a bambini e ragazzi che la Repubblica è fondata sul lavoro, se poi non ci si preoccupa di superare le angosciose incertezze che segnano la condizione di vita di milioni di lavoratori o di giovani in cerca di occupazione. Non si può spargere moralità sociale se si consente che una parte consistente del reddito sfugga …

"L'Ilva di Taranto e le altre. Serve una regia pubblica", di Gianni Venturi*

A seguito delle ultime, clamorose iniziative giudiziarie, l’attenzione dell’opinione pubblica e del governo si è concentrata, in queste ore, sulle complicatissime vicende che hanno come epicentro lo stabilimento Ilva di Taranto e, intorno ad esso, il grande gruppo siderurgico di cui è proprietaria la famiglia Riva. Tuttavia non è possibile comprendere appieno implicazioni e conseguenze della vicenda Ilva se, andando oltre la cronaca politico-giudiziaria, non la si inserisce in uno specifico contesto industriale: quello del settore siderurgico nelle sue dinamiche europee e globali. L’11 giugno sarà reso noto, a Bruxelles, il Piano Ue per l’acciaio elaborato, in questi mesi, dalla Commissione e dal tavolo di alto livello presieduto da Antonio Tajani. Piano che deve confrontarsi con un fenomeno presente anche in altri settori industriali: un eccesso di capacità produttiva installata. Ebbene, se chiudesse l’Ilva di Taranto circa la metà di questa sovracapacità produttiva che pesa sugli impianti attivi nei Paesi dell’Unione sarebbe «tagliata»; almeno metà degli obiettivi di riduzione del Piano verrebbero raggiunti prima ancora della sua presentazione e tutti a carico del nostro Paese. …