Anno: 2014

"I leader processano l’Europa", Alberto D'Argenio

Sotto una pioggerella autunnale i leader dell’Unione si ritrovano a Bruxelles per fare il punto dopo il voto europeo, drammatico in molti paesi per la vittoria dei populisti e della destra. Non in Italia, dove Matteo Renzi ha portato il Pd ad essere il primo partito dell’Unione. E ora traccia la strategia per andare all’incasso, per portare a casa una poltrona di peso per l’Italia: a partire dalla carica di ministro degli Esteri dell’Unione. Matteo Renzi arriva intorno alle cinque del pomeriggio, diserta il pre-vertice dei leader socialisti e insieme a Elio Di Rupo e a Francois Hollande sotto un cielo plumbeo va a rendere omaggio al museo ebraico, teatro della strage della scorsa settimana. Quindi corre al Justus Lipsius, sede dei vertici Ue, per tracciare con il suo staff la strategia con la quale condurre il negoziato che nelle prossime settimane occuperà la politica europea, quello per l’assegnazione delle presidenze delle istitutioni Ue: Commissione, Consiglio, Parlamento ed Eurogruppo. Riunione interrotta giusto da una telefona di Barack Obama, che si complimenta per la vittoria elettorale …

«La mossa decisiva a favore dei deboli», di Jean-Paul Fitoussi

«Quella conseguita da Matteo Renzi è una doppia, straordinaria, vittoria: perché è una vittoria italiana e al tempo stesso perché è una vittoria europea, in quanto aumenta fortemente il peso obiettivo dell’Italia in Europa e il suo peso negoziale nel vertice europeo». A sostenerlo è Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire Francais del Conjonctures Economiques, istitu- to di ricerca economica e previsione, autore di numerosi saggi, tra i quali l’ultimo è «Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale» (Einaudi, 2013). Quanto al successo, sia pur diversificato da Paese a Paese, del variegato fronte antieuropeista, Fitoussi annota: «I partiti antieuropeisti hanno intercettato il malessere della gente che dice no all’Europa dei sacrifici. Questo non significa, però, che la gente dice all’Europa. Vorrebbe vedere una Europa con un “viso più gradevole”». Professor Fitoussi, quale Europa emerge dal voto? «Un’Europa un po’ malata, ammaccata da sciagurate politiche iper liberi- ste che non solo hanno frenato la crescita ma hanno incrementato …

"La Ue e la sindrome del Re di Francia", di Timothy Garton Ash

Il giorno della presa della Bastiglia nel 1789, re Luigi XVI scrisse sul suo diario rien. Pochi leader europei avranno digitato la parola “niente” sui loro iPad ieri.Ma esiste il pericolo che in risposta al grido rivoluzionario risuonato nel continente effettivamente non facciano nulla. Il rien di oggi ha un volto e un nome. Si chiama Juncker. Jean-Claude Juncker. Sarebbe un disastro se i leader europei rispondessero scegliendo come presidente della Commissione Europea Juncker, lo Spitzenkandidat del maggior gruppo politico del nuovo parlamento europeo, il Partito Popolare Europeo, di centrodestra. L’astuto lussemburghese è stato a capo di un governo nazionale Ue più a lungo di qualsiasi altro nonché presidente dell’Eurogruppo nel periodo peggiore dell’eurocrisi. Benché possieda notevoli doti di politico e sia abile nel concludere accordi incarna però tutto ciò che di infido il voto di protesta, da destra a sinistra, associa alle remote élite europee. Possiamo dire che Juncker è il Luigi XVI dell’Ue. Il pericolo sta anche nei verosimili sviluppi nel Parlamento europeo. L’evoluzione più probabile è una sorta di grande coalizione implicita …

"Il riformismo diventa maggioranza", di Ezio Mauro

Dunque è “un’Italia di pensionati”, si suppone vecchia, impaurita e stanca, che ha sbarrato la strada alla trionfale avanzata di Beppe Grillo e al suo forcone già pronto ad infilzare in un colpo solo Napolitano e Renzi, aprendo così il primo processo del popolo decretato da un comico contro tutta la classe dirigente del Paese, in nome dell’unica rivoluzione al mondo proclamata sui divani bianchi di Vespa: solo che gli italiani, finito lo spettacolo e spaventati dal programma, hanno cambiato canale e la ghigliottina è rimandata. È tipico del populismo autoipnotico dare la colpa agli altri dei propri errori e non saper leggere le ragioni della propria sconfitta. E infatti Silvio Berlusconi nasconde il suo declino dietro una campagna «dolorosa e sofferta per la condizione di uomo non libero», dimenticando che questa riduzione della libertà di movimento (non politica) è causa dei reati che ha commesso, accertati e sanzionati da tre Corti della Repubblica, dunque deriva interamente dalla sua responsabilità, non da una congiura. L’identica reazione spaesata e fuori dalla realtà indica il parallelo declino …

"Eventi storici, ma Renzi non ha tempo", di Stefano Menichini

Dal voto di domenica un’incredibile sequenza di novità clamorose per la sinistra. Eppure il premier non festeggia. Perché sa quanto sia volatile e quanto sarà esigente quel 40,8 per cento. E perché a Bruxelles lo aspetta una responsabilità enorme. In una sola domenica si concentrano più fatti storici che in sette anni di vita del Partito democratico. Ma colui che l’ha resi possibili non ci si ferma su, se non per una breve frase di circostanza, per dichiarare una commozione che non trapela da nessuna parte. È la prima volta nella storia della repubblica che un partito di sinistra sfonda la mitica quota 40. È il più ampio distacco mai registrato fra il primo partito e chi lo segue. È la prima volta che la sinistra è maggioranza in tutte le regioni. Un partito di sinistra torna dopo decenni a insediarsi nel Nord, con cifre da capogiro in una delle aree più industrializzate d’Europa, ritrovando contatto con pezzi di società che parevano irrangiungibili. Appena entrato nel Pse, il Pd ne prende già la guida, col …

"La grande occasione", da L'Unità

Nessuno si aspettava un successo del Pd di queste dimensioni. In nessuno dei grandi Paesi europei il responso elettorale è stato così netto. Si dovrà riflettere ancora su quanto è avvenuto (anche perché i sondaggi sbagliano sempre, e sempre di più). Di certo, è un risultato di portata storica. Basti pensare che nessun partito italiano, dopo la Dc nel 1958, ha più superato la soglia del 40% in un’elezione generale. Il Pd è stato percepito – nel pieno di questa crisi sociale, morale, istituzionale – come il «partito della nazione», il solo in grado di difendere le istituzioni dal rischio di un’azione distruttrice e al tempo stesso di guidare il Paese verso il rinnovamento necessario. ̀ certamente merito di Matteo Renzi aver creato un feeling con settori della società che guardavano alla sinistra con diffidenza. Ma ora sulla sua leadership, e sull’intero partito, c’è il carico di una grandissima responsabilità verso il Paese e verso l’Europa. Suscitare aspettative è un merito di chi fa politica. L’aspettativa contiene dosi di speranza e di fiducia che non …

"Foto di gruppo con sorrisi e vittoria è la Renzi-generation", di Filippo Ceccarelli

Gente allegra, il ciel l’aiuta. La frustrazione non fa prendere voti, e chi mette su il muso o fa l’isterico sembra condannato a perderli — o almeno così sembra. E quindi la vittoria del Pd si rispecchia come meglio non si potrebbe nella foto qui sopra, realizzata in super grandangolo alle ore 1,25 della notte. Boschi, Guerini e Serracchiani hanno appena finito di parlare: «Fino a quel momento — ricorda Giuseppe Lami, dell’Ansa — stavano come delle mummie». Lami è inginocchiato dinanzi al tavolo della sala stampa, inquadratura frontale, obiettivo 17 mm, dietro di lui una rumorosa ed eccitata moltitudine di giornalisti, fotografi e cameramen reclama una foto di gruppo, «come una squadra che ha vinto la Coppa Italia». Altri dirigenti e ministri presenti in sede prendono allora ad accalcarsi sul fondale, che proietta bandiere europee e del Pd. C’è euforia, qualcuno dal mucchio fa notare gridando: «Ohi, manca quello più importante! ». «Sì, però noi ci siamo! — rispondono — e siamo tutti importanti», e sorridono, ridono, battono le mani, e Lami scatta, clic-clic-clic. …