Latest Posts

"ANCI su Titolo V: ci dovete coinvolgere", da tuttoscuola.it

Il Presidente dell’Anci Graziano Delrio ha inviato al Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, una lettera con la quale chiede “un immediato coinvolgimento degli Enti locali nella predisposizione della bozza di accordo avente ad oggetto ‘finalità, tempi e modalità di attuazione del Titolo V della Costituzione in materia di istruzione’ a cui Governo, Regioni e Province autonome stanno lavorando”.

Il tono della lettera lascia trasparire un certo disappunto dell’Associazione dei Comuni per il loro mancato coinvolgimento nelle più recenti fasi di predisposizione delle norme attuative del Titolo V in materia scolastica: “Negli anni passati – ricorda Delrio – si era lavorato, congiuntamente alle Province e alle Regioni ed ai rappresentanti delle Amministrazioni centrali, alla predisposizione di una bozza di accordo che, nel corso dei numerosi incontri tecnici che si sono svolti presso la Conferenza Unificata, è stata oggetto di approfondimenti in ogni sua parte, giungendo ad un buon livello di concertazione. Un percorso che, dalle notizie che abbiamo sembra essere stato abbandonato”, ma dal quale, nota puntigliosamente il presidente dell’ANCI, “non possono essere esclusi gli Enti locali che, come noto, svolgono le funzioni in materia di istruzione assegnate dalla vigente legislazione: dalla edilizia scolastica, al diritto allo studio, alla fornitura dei libri di testo, al sistema delle anagrafi”.

"Il Reclutamento di Formigoni alla Corte Costituzionale!", di Osvaldo Roman

Il Consiglio dei Ministri n. 35 del 15 giugno 2012 ha deliberato l’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale: della legge Regione Lombardia n. 7, del 18 aprile 2012, recante “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”, per violazione dei principi fondamentali in materia d’ istruzione. L’art. 4. di tale legge recava le seguenti modifiche all’articolo 3 della l.r. n. 19/2007:
a) dopo il comma 2 dell’articolo 3 sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Al fine di realizzare l’incrocio diretto tra la domanda delle istituzioni scolastiche autonome e l’offerta professionale dei docenti, a titolo sperimentale, nell’ambito delle norme generali o di specifici accordi con lo Stato, per un triennio a partire dall’anno scolastico successivo alla stipula, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per reclutare il personale docente con incarico annuale necessario a svolgere le attività didattiche annuali e di favorire la continuità didattica.
2-ter. E’ ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola iscritto nelle graduatorie provinciali ad esaurimento.
2-quater. Le modalità di espletamento del bando di concorso sono definite, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità, con deliberazione della Giunta regionale, sulla base dell’intesa di cui al comma 2-bis.
2-quinquies. La Giunta regionale relaziona semestralmente sulla sperimentazione alla commissione consiliare competente.».
La decisione del Consiglio dei ministri appare inevitabile quanto ineccepibile.
Infatti è noto a chiunque si occupi anche superficialmente della materia che il reclutamento dei docenti, sia a tempo indeterminato che con nomina annuale, come competenza legislativa esclusiva, si colloca pacificamente fra le norme generali sull’istruzione di cui alla lettera n) dell’art.117 della Costituzione.
E’ altrettanto pacifico (art.117, c.6) che le potestà regolamentare sulle materie di competenza legislativa esclusiva spetta allo Stato salva delega alle Regioni. Inoltre (per l’art.118) lo Stato può delegare solo con legge alle Regioni proprie competenze amministrative. Quindi tra le “modalità di espletamento del concorso”che il commi abrogati dalla Corte, volevano attribuire alla Giunta regionale potevano figurare norme definibili solo legislativamente dallo Stato, come ad esempio i requisiti di accesso, ed altre che potevano essere regolate con atti amministrativi riservati allo Stato e delegabili solo con apposita legge statale.
E’ evidente comunque che nessuna legge regionale, come quella in questione, può attribuire alla Regione competenze amministrative statali.
L’iniziativa di Formigoni era quindi esclusivamente propagandistica e volta allo scopo di trovare un terreno di convergenza tra Lega e PDL che su queste stesse materie si sono finora prodotti in numerosi tentativi tutti finiti nel nulla.
Infatti già il pdl Aprea, prima delle modifiche soppressive apportate nel testo unificato, che attualmente riguarda sono le “norme per l’autogoverno delle suole statali”, prevedeva un reclutamento fondato su albi regionali degli abilitati e su concorsi per titoli a livello di reti scolastiche.
Sulla stessa scia si collocavano le diverse proposte di legge della Lega sia alla Camera che al Senato.
Tutte queste proposte si fondavano sulla previsione di un trasferimento alle Regioni di competenze amministrative statali. Un siffatto trasferimento di competenze amministrative, con apposita legge statale, è previsto dalla nostra Costituzione. Quello che purtroppo sfuggiva al legislatore leghista era che il trasferimento di funzioni legislative esclusive, non è previsto (se non con le procedure di cui all’art.116 della Costituzione)
Di tali funzioni infatti si tratta quando si trasferiscono ai regolamenti regionali, intendendoli come atti amministrativi, la regolamentazione di materie come quelle riguardanti la definizione delle caratteristiche generali del sistema concorsuale. Fra queste le modalità di svolgimento e i requisiti di accesso ai concorsi. Si tratta di materie intangibili a livello delle singole regioni che in tale caso non possono essere oggetto di trasferimento amministrativo e possono essere regolate solo e direttamente da una legge dello Stato.
La legge lombarda rinviata alla Consulta andava oltre perché in questo caso era la stessa legge regionale che trasferiva alla regione le competenze Amministrative statali in materia di concorsi!
Sugli albi regionali riservati ai residenti, sull’accesso ai medesimi dei docenti con commissioni esaminatrici di nomina politica locale e sul reclutamento per titoli da parte delle scuole si sono dunque esercitate le proposte della Lega ivi compresa quella presentata dal sen Pittoni nel 2008 (A.S. n 997). Nel 2010 lo stesso Pittoni ha presentato un nuovo disegno di legge n.2411 di cui, dopo quasi due anni, si conosce ancora oggi solo il titolo. Infatti del DDL dal titolo “Disposizioni per l’istituzione di albi regionali per il reclutamento del personale docente presentato in data 27 ottobre 2010, annunciato nella seduta n. 446 del 27 ottobre 2010, il testo non è ancora disponibile al Senato. Nei giorni scorsi un testo, che si ritiene conclusivo dopo un così travagliato iter, pare sia stato presentato, oltre che al Ministro Profumo anche all’on Violante, Quest’ultimo ha rilasciato al sen. Pittoni un benevolo attestato che è stato prontamente pubblicato dalla Padania e da altri giornali.
Ognuno è libero, nonostante i precedenti sopra ricordati, di “pronunciarsi” come gli pare, a me resta la curiosità di conoscere finalmente questo testo definitivo che sembrerebbe essere “ispirato da un pregevole equilibrio tra le diverse esigenze”.

da La Rosa Rossa News

"Ricostruzione delle scuole: in arrivo cento milioni di euro", di Stefano Luppi

Arrivano gli onorevoli della commissione cultura della Camera per rendersi conto di persona della difficile situazione post terremoti e fare “pressing” sul premier Mario Monti per ottenere maggiori fondi utili alla ricostruzione. La delegazione si è materializzata ieri a Cavezzo. Spiega il presidente della commissione, la deputata Manuela Ghizzoni di Carpi: «Ho portato qui i colleghi a confrontarsi con la realtà poiché per le scuole e i beni culturali dobbiamo raccogliere più soldi, quelli promessi dallo Stato, ossia i 76 milioni generali, non bastano. Per le opere di restauro dei beni culturali chiederemo 20 milioni di euro frutto dei nostri emendamenti al decreto emergenziale del governo che discuteremo in Aula a Roma lunedì prossimo, mentre per la vera priorità, le scuole, speriamo di arrivare ad avere alcune decine di milioni di euro. Chiederemo una quota parte dei 100 milioni di euro stanziati per le semplificazioni degli edifici scolastici italiani, oltre a una parte degli altri 100 milioni di euro già deliberati dal Cipe». Se arrivassero tutti sarebbero una “boccata di ossigeno” per tentare di risolvere problemi imminenti a due mesi dall’apertura dell’anno scolastico. Ieri alla riunione operativa insieme agli amministratori dei Comuni terremotati erano presenti, oltre alla presidente Ghizzoni (Pd) gli onorevoli Emerenzio Barbieri (Pdl), Enzo Carra (Udc), Paola Goisis (Lega nord), Giancarlo Mazzuca (Pdl), mentre mancavano i membri Ricardo Franco Levi, modenese, e Giovanna Melandri, ex ministro per i Beni Culturali. I parlamentari hanno ascoltato quasi in silenzio gli amministratori locali, facendo poche domande a parte il pidiellino Barbieri che tra le altre questioni si è anche arrischiato a dire che «forse sarebbe anche utile per i cittadini della Bassa consultare uno psicologo sulla paura del terremoto. In ogni caso speriamo di ottenere fondi dal governo: non lo faremo cadere, ma faremo la guerra civile per il terremoto dell’Emilia». Tutti, a livello locale e centrale, sono d’accordo nel potenziare i denari per l’edilizia scolastica: «Il bacino interessato dal terremoto – riassume l’assessore provinciale Elena Malaguti – comprende 200mila persone, solo nell’area Nord della Bassa almeno 90mila. Stiamo facendo tanto per i beni culturali, è stato individuato il Palazzo Ducale di Sassuolo per le opere d’arte lesionate che è ormai pieno tanto che si sta pensando a Vignola come alternativa possibile. Poi c’è il tema degli archivi che contengono le fonti della nostra storia e le biblioteche: a Cavezzo abbiamo la biblio-tenda appena inaugurata, a Medolla i 10mila libri donati dagli editori e a Rovereto e nella Bassa due biblio-bus. Complicato anche il tema scuole, il fondo straordinario delle fondazioni di Modena, Vignola, Mirandola si occupa degli istituti come “Luosi- Pico” di Mirandola e di tutti gli altri visto che abbiamo in tutto 500 aule con 18mila alunni di tutte le età. Siamo senza aule, per fortuna è arrivato il bando regionale. L’ente ex bancario di Carpi invece si occuperà di scuole e asili di Novi, Carpi e Soliera, che sono quasi tutti non utilizzabili». La parola agli amministratori. «Per ora – spiega il sindaco di Medolla Filippo Molinari – possiamo fare adeguamento sismico di classe terza solo al 60% non al 100%. Per fare la verifica di vulnerabilità serve molto di più. Le scuole in ogni caso a settembre saranno strutturalmente solide e poi si aprirà il tema dell’adeguamento sismico. Inoltre dovremo convincere i genitori a portare i figli in strutture prefabbricate e moduli, in ogni caso i cittadini sono inferociti anche per la questione dei campanili pericolanti che minacciano i centri storici». In tanti casi, infatti, le strutture storiche impediscono di utilizzare edifici pubblici, civili e religiosi sani, ma troppo vicini ai campanili lesionati. «Con la Soprintendenza – lamentano gli amministratori – è stato un ping pong insensato durato un mese, se c’è poco personale come sembra non può arrivare da altre sedi?». Sul tema è informata la Ghizzoni: «Purtroppo, secondo la legge, ai funzionari del ministero per i Beni Culturali non vengono pagati gli straordinari e in più devono mettere loro stessi i soldi per la benzina delle proprie auto private. Finora è stato reperito da fondi interni circa un milione». Il vicesindaco di San Felice Giovanni Giovanelli solleva problematiche economiche: «Circa il 50% degli immobili è inagibile e i Comuni e le municipalizzate hanno buchi di entrata per Imu, Irpef, Tarsu», ostacoli condivisi da Lisa Luppi (Cavezzo), Maria Cleofe Filippi (Carpi) e Luca Gherardi, vicesindaco di Camposanto, centro in cui a settembre sarà pronto un nuovo asilo antisismico. Alla riunione hanno partecipato anche l’assessore Lara Cavicchioli di Mirandola e il prefetto Basile, secondo cui «Il governo sta facendo il massimo». Intanto ieri la Bassa non si è fatta mancare qualche nuova scossa.

La Gazzetta di Modena 03.07.12

"Se la crisi cancella una generazione", di Mario Calabresi

Non solo siamo «un Paese vecchio, con idee vecchie», come ha detto Cesare Prandelli ieri mattina, ma siamo anche tanto affezionati al mondo che abbiamo dietro alle spalle da spendere la maggior parte del nostro tempo nel rimpianto invece che nella voglia di futuro e di cambiamento. Viviamo di nostalgia del passato, un passato spesso idealizzato e totalmente riscritto nella nostra memoria, mentre avremmo bisogno di un’operazione radicale che torni a inserire nelle nostre teste il sentimento opposto: la nostalgia del futuro, la fame di futuro.

Viviamo in un mondo profondamente cambiato, ne conosciamo alla perfezione i limiti e stiamo provando sulla nostra pelle disagi e fatiche nuove, ma ormai ci concentriamo solo su queste rifiutandoci di vedere gli altri aspetti di quella rivoluzione globale che ci ha investiti. Perché esistono anche aspetti positivi, anche se dirlo appare ormai provocatorio, che vanno dal fatto che viviamo in un mondo con meno povertà (oltre un miliardo di persone sono uscite dalla fame negli ultimi trent’anni, un progresso che non ha precedenti nella storia), in cui si sono diffuse la coscienza ambientale e le sensibilità per i diritti, un mondo più vasto in cui a viaggiare non sono solo pochi privilegiati, in cui si è allargato l’accesso alle tecnologie e in cui si mette in discussione il potere e si chiede trasparenza con una forza che non ha precedenti.

In questo mondo le generazioni più giovani abitano di diritto, sono protagoniste, eppure sono quelle che pagano il prezzo più alto della crisi economica, sono le prime vittime della disoccupazione.

I dati diffusi ieri, seppur parziali e limitati, contengono un messaggio terribile: la disoccupazione generale diminuisce lievemente mentre quella giovanile aumenta ancora. Questo significa che anche dove si apre un posto, si intravede una possibilità, lì si preferisce assumere chi è già grande e lasciar fuori chi è ritenuto senza esperienza.

Si preferisce l’usato sicuro al nuovo, i giovani sono sempre stati inesperti, in ogni luogo e in ogni tempo, ma prima si apprezzava il fatto che dalla loro hanno l’energia e la passione, sono portatori di idee nuove e di cambiamento. Invece questo sembriamo essercelo dimenticato.

A lungo si è detto: è tempo di investire sui giovani, di scommettere sulle nuove generazioni, oggi basterebbe molto meno, basterebbe vederli, accorgersi che esistono.

Ma perché questi ragazzi più o meno giovani, visto che arrivano a superare i trent’anni, sono lasciati fuori? Perché non si batte per loro quella generazione di padri, madri e nonni che ogni giorno li protegge, li tiene in casa, garantisce loro i soldi per l’aperitivo, le vacanze, la benzina e li difende in ogni momento? Battersi per loro significherebbe capire che i sacrifici degli adulti (necessari per non lasciargli in eredità un debito spaventoso) e qualche passo indietro sarebbero l’unico vero regalo. Perché a forza di proteggerli e di tenerli al caldo non li abbiamo mai messi alla prova, non abbiamo lasciato che si scontrassero col mondo, così non sappiamo come se la caveranno. Abbiamo paura per loro e al momento di assumere si finisce per pensare che siano acerbi e immaturi.

Invece faremmo bene a metterli alla prova. Lo dovremmo fare tutti, genitori e datori di lavoro, dargli occasioni di sbagliare, di imparare e di correggersi. Ancora Prandelli, che in poche frasi di una conferenza stampa è riuscito a inquadrare alla perfezione i limiti che ci assillano oggi, ha ripetuto due volte che «forse non siamo ancora pronti per vincere» e ha aggiunto: «E’ un percorso lungo».

Ma come, non siamo pronti per vincere? Per noi italiani la vittoria è il migliore degli exploit, se poi è anche un po’ fortuita, imprevista e magari di rapina il piacere è quasi più grande. Prandelli ci dice invece che dobbiamo cambiare mentalità, tornare a pensare che le cose vanno costruite con pazienza, che la continuità è un valore: «Nel momento in cui saremo pronti a vincere, saremo anche pronti a rivincere, altrimenti resteremo sempre condannati a picchi seguiti da momenti bui». Mi sembra questa la sfida più grande, quella che Mario Monti sintetizza nell’augurio che l’Italia diventi un Paese «prevedibile», in cui noi siamo coscienti della nostra forza e del nostro valore e chi ci guarda da fuori sa cosa aspettarsi e cosa poter investire.

Allora proviamo a ripartire dai giovani, costruendo insieme a loro il futuro, mettendo in campo – come spiega benissimo Walter Passerini su queste pagine – tutti gli strumenti di supporto e di orientamento. Avendo il coraggio di guardare alla realtà per quella che è, senza coltivare la finzione di vivere ancora nel Novecento, perché il mondo non sta cambiando: il mondo è già cambiato.

Anche chi si lamenta e vede buio sostiene che c’è voglia di cambiamento, di rinnovamento ma, come diceva Albert Einstein, «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose». Lo scriveva all’inizio degli Anni Trenta, in un articolo raccolto poi in un libricino che si chiama «Il mondo come io lo vedo». Vale la pena riportare anche il resto della citazione, perché non ho mai trovato qualcosa di più lucido e coraggioso di fronte al buio e alla paura: «È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla».

La Stampa 03.07.12

"Bilanci in attivo e didattica al top ecco i premi agli atenei virtuosi", di Corrado Zunino

Il Politecnico di Torino da tre anni è in testa alla gara dei finanziamenti pubblici. Più precisamente, nella gara di chi cresce nella “quota premio” dei finanziamenti, l’assegno che identifica le università virtuose (nella didattica, nella partecipazione a bandi di ricerca internazionali, nella capacità di attrarre studenti stranieri). I migliori ricevono di più. Dal “ranking istituzionale” quest’anno è uscita l’università di Trento, che l’anno scorso era seconda. A gennaio la “Unitn” ha scelto la strada del finanziamento a statuto speciale: ora prende i soldi dalla Provincia autonoma di Trento, che a sua volta in gran parte li prende dal ministero dell’Istruzione. È fuori concorso, quindi, ma è anche più ricca. È tornato invece in alto, secondo posto, il Politecnico di Milano. Ecco, per la quarta stagione alle singole università italiane sono stati assegnati premi in denaro e ogni anno questi bonus sono più consistenti del precedente. Nel 2009 erano il 7% per tutti (pari a 523,5 milioni), oggi, con gli atenei sottoposti a valutazione per volontà della legge Gelmini, questa quota di finanziamento è diventata in media il doppio: 910 milioni spalmati su 55 atenei, pari al 13% del finanziamento totale (è una media, appunto, perché ci sono università che arrivano al 21%).
Le risorse di Stato girate agli atenei continuano a scendere sotto la stretta delle
spending review annuali (6,9 miliardi nel 2008, 6,8 miliardi ancora nel 2011, 6,55 miliardi quest’anno), ma se le “quote fisse” precipitano le “quote premiali” sono crescenti. E adesso sostanziose. Il Politecnico di Torino, che tra l’altro è stato governato per sei anni da Francesco Profumo oggi ministro e che da tre cicli è leader dei “premi pubblici”, su 125 milioni ricevuti dal ministero 26 li ha presi per la capacità di attrarre insegnanti e studenti stranieri, capitali privati e dell’Unione europea. E per la qualità dei bilanci. Un premio pubblico, sì. La cifra rappresenta il 21 per cento del totale, un quinto.
È interessante notare come il ministero dell’Università e della ricerca stia provando a superare il concetto di “spesa storica” (il fabbisogno degli atenei, il costo fisso per i dipendenti) da sempre alla base dei finanziamenti pubblici e provi a offrire assegni in cambio del dinamismo dei rettori e dei loro consigli di facoltà. La gigantesca Università La Sapienza, che pure ha bisogno di oltre mezzo miliardo l’anno dallo Stato per andare avanti, nella quota premi è posizionata in basso: 36esima. E così la Federico II di Napoli, 41esima. Tra i grandi atenei restano nella parte alta della classifica l’Alma Mater di Bologna (quarta) e la Statale di Milano (settima).
Sono quindici i parametri, piuttosto rigidi in verità, a cui si ispira il ministero per definire i premi ai virtuosi. Nelle ultime stagioni quasi tutti gli atenei hanno migliorato le loro performance su molti punti, ma tre parametri sono qualificanti e su questi pochi riescono ad eccellere. L’internazionalizzazione delle facoltà (docenti e discenti) è il primo, poi c’è il fund raising, ovvero la capacità di attrarre investimenti privati e scovare bandi pubblici utili, infine la capacità di far chiudere agli iscritti il ciclo di studi nei tempi indicati. Il complesso sistema che regola i finanziamenti prevede, comunque, alcune perequazioni, ovvero risorse aggiuntive per gli atenei sottofinanziati. Chi fa buone performance non potrà essere premiato all’infinito, la “240” della Gelmini ha introdotto dei tetti, ma certo chi ottiene risorse private (non a caso primeggiano i politecnici che offrono per statuto consulenze e brevetti all’industria) viene premiato dal pubblico. Pagato due volte.

La Repubblica 03.07.12

"Cento inventa una supergru per salvare i suoi campanili", di Giusi Fasano

Dopo le scosse del 29 maggio al Comune di Cento arriva una telefonata dal ministero degli Interni. «Volevamo capire quali danni hanno subito le nostre proprietà» spiega una funzionaria al sindaco, Piero Lodi. «E quali sarebbero queste proprietà?» si sorprende lui. «La chiesa, la canonica e il campanile di San Pietro» rivela la voce dall’altro capo del filo. «A sì?… Beh, la chiesa è inagibile mentre il campanile è un po’ inclinato ma i tecnici dicono che regge bene e non è a rischio».
Vai a sapere che quella «proprietà» fu confiscata da Napoleone e poi restituita dalla Francia allo Stato italiano… Chi l’avrebbe detto che non è della Curia…
«Si impara anche questo da un terremoto» scherza il sindaco. «E comunque Napoleone ci aveva visto giusto: si era preso il campanile più resistente, l’unico che ha tenuto botta agli scossoni, mentre tutti gli altri…».
Ce ne sono dodici soltanto nella parte vecchia della città, più quelli delle frazioni: sono tutti lesionati, «malati» così gravi da richiedere interventi davvero speciali. «Direi sperimentali», azzarda il sindaco. E non è un eufemismo. Perché a Cento si sta provando un esperimento di messa in sicurezza ancora mai tentato su un campanile, con materiali particolari e macchinari praticamente ideati per l’occasione da professori di ingegneria dell’Università di Bologna. Si tratta di mettere in salvo il campanile della discordia, quello della frazione di Reno Centese dove tutti i 940 abitanti — tutti — hanno firmato una petizione per abbatterlo pur di poter rientrare nelle loro case minacciate dal suo possibile crollo. Il terremoto lo ha sorpreso imbacuccato in una serie di ponteggi piazzati per ridipingere le facciate. «Senza speranza» hanno ripetuto i vigili del fuoco davanti alle lesioni. «Dopo un sopralluogo — dice il sindaco — ricordo che uno dei tecnici mi disse “non c’è un vero motivo per cui non sia ancora crollato”». Insomma, un disastro. Fino all’«invenzione-salvataggio», come la chiama Lodi. Che la descrive: «È una gru già in sé particolare, a tre segmenti snodabili, teleguidata, alla quale è stata agganciata una specie di enorme siringa costruita apposta e alimentata con un tubo collegato a una betoniera. In pratica il tubo pesca dalla betoniera un cemento speciale, modificato per avere una presa molto rapida, e lo fa arrivare alla siringa che lo spruzza nelle crepe sulle fiancate del campanile». La prima fase di questo intervento è finita, la sicurezza è migliorata ma lo scampato pericolo non è ancora certificato quindi servirà altro tempo prima di stabilire quando gli abitanti della frazione potranno rientrare a casa. Intanto hanno riavuto le loro abitazioni i centesi della frazione di Buonacompra, anche quella sulle prime evacuata perché minacciata da un campanile dopo la scossa del 20 maggio che ha fatto crollare la chiesa. Qui l’«invenzione» è servita ad abbattere. Il campanile era così pericolante che buttarlo giù a colpi di mazzetta sarebbe stato troppo pericoloso. Così, sempre l’Università di Bologna, ha ideato una piattaforma aerea attrezzata con un martello pneumatico guidato a distanza e l’abbattimento è stato veloce e sicuro.
«Tutti gli altri campanili li stiamo puntellando» assicura il sindaco. «Il nostro intervento si ferma con la messa in sicurezza, poi sarà la sovrintendenza a decidere cosa fare, compreso il fatto di smontarli pezzo per pezzo». Adesso è sicuro, dicono i tecnici, uno dei campanili più centrali: San Lorenzo, proprio accanto al liceo classico che potrà così riaprire senza ritardi a settembre.
A Cento non c’è angolo dal quale non si scorga un campanile. E accanto una chiesa, inagibile. Un tempo questa cittadina che ora conta 36 mila abitanti era ricca di canali, poi coperti e diventati le strade di oggi (non a caso nello stemma del Comune c’è un gambero). Questo spiega perché quasi tutte le chiese non hanno sagrati ma si affacciano su vie spesso strette (in una di queste viuzze è morta la donna colpita da un comignolo). Puntellare le parrocchie significa bloccare le strade e per non farlo si sta cercando di intervenire dall’interno, con il risultato che i tempi diventano più lunghi e gli interventi più complicati. Lo stesso discorso vale per gli edifici comunali inagibili, praticamente tutti: municipio, teatro, 7 cimiteri su 9, la galleria d’arte moderna, la pinacoteca con i suoi tesori per fortuna intatti e costretti all’esilio, a partire da Guercino, il cittadino più illustre.
«I campanili sono il nostro problema ma anche il resto non scherza» valuta il sindaco. Le scuole, per esempio. Ce ne sono 26 fra materne, elementari e medie. Di queste soltanto quattro sono agibili. E poi le superiori: sono cinque con una media di oltre 1000 alunni ciascuna. «Volevano darci i moduli» si infastidisce Piero Lodi. «Ma sono inguardabili. Allora siamo partiti in quarta con l’aiuto dei privati: ci prestano 15 milioni di euro e noi risistemiamo quelle salvabili e ne costruiamo cinque nuove, antisismiche in legno e cemento. Però quei 15 milioni poi dovremo restituirli…». Ce ne vorranno molti di più per affrontare il problema di chi non potrà rientrare a casa per l’inverno (almeno 1500-1600 persone) o dei tantissimi danni nei cascinali crollati un po’ ovunque lungo i 19 chilometri del territorio comunale. E, non ultimo, Cento è di fronte al «problemone», per dirla con il sindaco, della zona artigiana della frazione di Casumaro: 14 capannoni crollati e due danneggiati che forse potranno essere spostati in una vecchia area industriale da recuperare. Forse. Se tutte le caselle del puzzle della ricostruzione troveranno il loro posto.

Il Corriere della Sera 03.07.12

"I partiti davanti alla scure del premier", di Mariantonietta Colimberti

Bersani: «Cercare soluzioni senza toccare la risposta sociale». Sarà anche vero che, come dice D’Alema, sulla spending review non sarà facile «raggiungere i record che raggiungemmo noi», eppure tra i partiti della “strana” maggioranza la preoccupazione c’è. Perché tutti pensano alle elezioni, sia pure nel 2013; perché il successo di Mario Monti in Europa ha reso più difficile “trattare” i contenuti dei tagli che il governo si appresta a varare; perché, infine, è altamente probabile che le misure vengano imposte per decreto.
Uno scenario, questo, di fronte al quale sia il Pdl sia il Pd stanno cercando di prepararsi allestendo, se non delle contromisure, almeno delle indicazioni di direzione di marcia, magari non per l’oggi, ma per il prossimo domani. Sembra non avere questo assillo l’Udc, che del sostegno granitico a Monti ha fatto la sua ragion d’essere fin dallo scorso novembre. Nell’ex Terzo polo c’è poi chi, come Mario Baldassarri, esponente del Fli e presidente della commissione finanze del senato, lancia un warning preventivo su un singolo aspetto contenuto nelle indiscrezioni di questi giorni: la chiusura della Fondazione Ime, l’istituto europeo di ematologia. Diverse le condizioni in cui si trovano ad affrontare la situazione il Pdl e il Pd. Anche e soprattutto perché le divisioni nel partito di Alfano e Berlusconi sono diventate così platealmente vistose in parlamento da rendere difficile a loro stessi l’adozione di un atteggiamento coerente e riconoscibile. Così ieri Maurizio Gasparri preferiva commentare le future alleanze nel centrosinistra secondo le interviste del week end, mentre nelle seconde file si insisteva nella difesa delle forze di polizia: Cicchitto poi si limitava a dire che sulla spending review «siamo in attesa di saperne di più», annunciando «precise proposte» del Pdl.
Dismesso il tono minaccioso del giorno dell’approvazione della riforma del lavoro («questa è l’ultima fiducia»), il capogruppo Pdl alla camera ha chiesto che i partiti siano informati. Soltanto Maurizio Lupi dichiarava dispiacere per l’intenzione ipotizzata dall’«amico Bonanni» di proclamare uno sciopero generale. Ben diversa la situazione del Pd. Perché è il più grande vero partito del paese e anche la spending review, come già la riforma pensionistica e quella sul mercato del lavoro, può incidere nella carne viva del proprio elettorato di riferimento; perché l’opposizione di Nichi Vendola e Antonio Di Pietro – con i quali le distanze si stanno allargando – rischia di far presa in parte di quell’elettorato, tanto più che dati come quelli diffusi ieri dall’Istat sulla disoccupazione giovanile (36,2 per cento) non rasserenano certo il clima; perché l’allarme dei sindacati potrebbe far ritrovare i dem dalla parte opposta rispetto alle confederazioni unite.
Così Pier Luigi Bersani, parlando ieri alla conferenza programmatica del partito a Livorno, ha messo i suoi paletti: «Dobbiamo trovare altre soluzioni, discutendo dell’attesa della pubblica amministrazione, senza andare a toccare la sostanza e la risposta sociale, che per noi non sarebbe accettabile». Il segretario chiede di poter discutere: i tagli, ammonisce, non sono «solo una cosa da funzionari del tesoro». Poi invita il governo a non avere «il pregiudizio» del dialogo nei rapporti sociali e sindacali: «Ho promesso che saremmo stati leali. Noi non facciamo scherzi e sosteniamo la transizione per tutto il tempo necessario. Ma questi pregiudizi devono essere evitati». Senza dimenticare gli esodati, che per il Pd sono 270-280 mila, ma spostando in là la soluzione del problema: «Su come affrontarlo, vedremo quando andremo al governo».

da Europa Quotidiano 03.07.12