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"Non pensiamo ai fatti nostri", di Debora Serracchiani

Quali sono le priorità? Che cosa ci chiedono i cittadini? Che cosa ci rimproverano e come rimediare? Credo siano queste le domande alle quali dovrà rispondere domani la direzione nazionale del partito. E intendo l’intera direzione, non solo il segretario Bersani. Se dalla direzione verranno almeno alcune risposte chiare a queste domande, non avremo celebrato una ritualità nota, per quanto nobilitata dalla relazione del segretario.
Mi sembra infatti che il rischio incombente sia ancora una volta occuparci di noi stessi, quando dei fatti nostri al paese interessa sempre meno. E ciò avviene mentre, parallelamente, si parla moltissimo del Pd e dei suoi interna corporis, con un furore analitico che ricorda quello degli antichi anatomisti. Su quello che vuole e fa il Pd, sulle sue proposte per il paese attuale e sofferente, e per quello prossimo venturo, troppo spesso la comunicazione è balbettante quando non contraddittoria. Il recente episodio delle dichiarazioni del responsabile economico del partito sulla sorte del governo Monti ne è soltanto l’ultimo esempio.
Domani sembra che il segretario Bersani ci annuncerà le primarie aperte per ottobre. A parte il fatto che vari punti ci dovranno essere chiariti – primarie di partito? Di coalizione? Per la leadership? Per la premiership? – il mio dubbio è che stiamo prendendo una scorciatoia. Riconosco a Bersani di avere e di dimostrare coraggio umano e politico con questa sua disponibilità a scendere in campo e a misurarsi. Non vedo in giro molti segretari di partito pronti a rimettere in discussione la propria investitura, mettendola nelle mani dei cittadini.
Ma sento il dovere di chiedermi se, mentre il paese si sta infilando nel passaggio forse più stretto della sua storia recente, il primo dovere del Partito democratico sia cominciare una lunga campagna elettorale per riaffidare la pienezza della legittimazione al nostro segretario. Non ho sicurezze assolute, e avanzo perfino la supposizione che la mobilitazione potrebbe avere degli effetti positivi nel riagganciare fasce di elettori che si sono allontanati o intiepiditi. Ho però più forte la sensazione che rimarranno “fatti nostri”, da cui continueranno a essere esclusi quei ceti e quelle categorie, quegli elettori, con cui non siamo mai, o ancora, riusciti a parlare. Mentre noi avremo appena finito di far la conta dei sostenitori di Bersani, di Renzi o di un terzo e quarto animoso sfidante, il governo in scadenza, e quindi probabilmente non nel pieno delle forze, starà cominciando a fare i conti della sua ultima finanziaria. E nulla ci fa presagire che quella finanziaria sarà più leggera dell’ultima.
A ottobre, poi, sapremo se ci sarà o no un’altra legge elettorale, se sarà stato incardinato un set di riforme indispensabile per ridare fiato alle nostre imprese e per alleggerire i costi della politica e delle pachidermiche amministrazioni pubbliche. Saremo a due settimane dal test delle regionali in Sicilia e, non ultimo, sapremo anche se qualche paese avrà abbandonato l’euro o starà per farlo.
C’è il momento di discutere e c’è il momento di agire. Per questo, io avrei preferito che il tempo restante, poco e prezioso, di questa legislatura avesse visto il Partito democratico impegnato tutto assieme su queste priorità, che sono precisamente quelle che tanti nostri cittadini ci accusano di non sapere o non volere affrontare. Ma, se primarie saranno, mi auguro che porteranno frutti più positivi che negativi, che non saranno l’occasione per l’ennesima ricomposizione delle cordate e che le proposte che verranno dai candidati in corsa saranno chiare e concrete. Perché, almeno io, sceglierò in base a queste.

da Europa Quotidiano 07.06.12

"La meritocrazia nella scuola senza equità", di Andrea Ranier

La parola “meritocrazia” fu coniata da un sociologo inglese laburista Michael Young agli inizi degli anni ’50. Il libro «L`origine della meritocrazia» fu pubblicato in italiano dalle edizioni di Comunità, di Adriano Olivetti. È un divertentissimo libro di fantasociologia, in cui, dopo aver all`inizio fatto l`elogio del termine contrapposto alle varie aristocrazie e gerontocrazie dominanti, mostra le assurdità di una società in cui ricchezza e potere vengono distribuiti sulla base di risultati scolastici e ancor peggio dei quozienti di intelligenza. La casta che ne deriverebbe, secondo Young, sarebbe ancora più chiusa, impermeabile, escludente, delle vecchie caste a cui si contrappone. In particolare la scuola finirebbe per rendere la selezione sempre più precoce concentrando sui pochi le eccellenze educative, ed aumentando a dismisura la selezione e la dispersione di quanti non si adeguano agli standard di intelligenza dagli stessi «intelligenti» definiti. Alla scuola della meritocrazia, sulle orme di Dewey, Young contrappone la scuola della democrazia, che è quella capace di valorizzare le diverse intelligenze e le diverse capacità di tutti i ragazzi, senza gerarchie ed alti e bassi predefiniti tra di esse, ma capace di dare valore al sapere delle mani, degli occhi, delle orecchie. E costruendo, nel momento stesso in cui riconosce le differenze individuali di merito acquisite con i diversi saperi, una comune idea di cittadinanza democratica, di partecipazione, secondo le diverse capacità, alla costruzione del bene comune. Mi è tornato in mente il vecchio libro di Young, e il vecchio ma sempre giovane «Scuola e democrazia» di Dewey, a proposito dell`enfasi del tutto spropositata che si dà alla questione del «merito» nel provvedimento legislativo di recente annunciato dal ministro Profumo. Ma questa enfasi risulta fuori luogo non solo rispetto ai sacri testi della pedagogia democratica, ma anche da una attenta disamina dei veri «spread» della scuola italiana rispetto agli altri sistemi scolastici. Se si guardano i dati dell`indagine Ocse-Pisa si scopre che tutti i Paesi che raggiungono livelli alti di eccellenza qualitativa sono anche Paesi in cui non c`è quasi dispersione scolastica. Il tasso di dispersione scolastica e il non raggiungimento di standard qualitativi elevati vanno assolutamente insieme. La Finlandia ha i livelli più alti di eccellenza e non boccia nessuno, porta quasi la totalità dei ragazzi a pigliare il diploma a 18 anni. I Paesi che stanno peggio di noi dal punto di vista qualitativo stanno peggio di noi nei livelli di dispersione scolastica. L`idea che per recuperare serietà dobbiamo concentrarci sui migliori non solo è iniqua, ma non funziona. Sia l`eccellenza che la lotta alla dispersione richiedono una scuola che sia flessibile e capace di personalizzare i propri obiettivi, richiedono autonomia perché il lavoro che bisogna saper fare per tenere dentro un ragazzo in difficoltà e il lavoro teso a valorizzare le eccellenze fanno parte della stessa professionalità. Una scuola inclusiva- la scuola del «non uno di meno»- e la scuola capace di valorizzare le eccellenze non sono due realtà contrapposte, ma vanno insieme. L`Italia ha tanti difetti, ma il più grave, secondo sempre i dati Ocse, è che ha il più basso indice di equità. È fra tutti i Paesi europei, quello in cui le differenze non risultano da attitudini individuali, ma risultano dal tipo di scuola che frequenti, da dove sei nato e dal livello di istruzione dei genitori. Se si vuole fare i conti con questo handicap occorre allora dare priorità ai fattori che segnano più di ogni altro questo differenziale di equità. La scuola dell`infanzia, a partire dalla valorizzazione della valenza educativa degli asili nido, che è il terreno prioritario per superare le differenze che derivano dai diversi contesti familiari, e la diffusione sul territorio di esperienze di educazione degli adulti. La variabile territoriale è decisiva. Quanto le città lavorano per mettere in rete le scuole tra loro e per mettere in rete le scuole con le opportunità educative del territorio, quanto cioè sanno essere o non essere città educative, è un elemento fondamentale del successo scolastico. Le scuole dell`autonomia funzionano più o meno bene quando non sono sole, quando sono inserite in una rete di opportunità. L`immigrazione, l`accoglimento e l`integrazione di alunni provenienti da Paesi diversi dal nostro, è oggi il primo terreno di verifica di questa capacità.

l’Unità 07.06.12

Sisma e Sanità, Ghizzoni “Grazie a chi aiuta e a chi non molla”

“Perché non far ripartire le chirurgie di eccellenza dell’ospedale di Carpi in prefabbricati?” Il terremoto ha portato alla ribalta storie di uomini e donne capaci, nel momento della difficoltà, di pensare agli altri prima ancora che a se stessi. Adesso, però, è urgente pensare al futuro della sanità nelle zone terremotate: perché, ad esempio, non far ripartire le chirurgie di eccellenza dell’ospedale di Carpi in prefabbricati modulari? Il commento della presidente della commissione Cultura della Camera Manuela Ghizzoni: «Questa terra deve un grazie a se stessa e a tutti coloro che in questo momento – e sono tanti – continuano a tenere alta la bandiera del dovere, della responsabilità, della solidarietà. Nella tragedia di un evento inaspettato e inusitato nella sua reiterata violenza, scopriamo storie di singoli e gruppi capaci di pensare, pur nel dramma e nell’inevitabile paura, innanzitutto, prima che a se stessi, agli altri. Nelle parole di Fabio Gilioli, il medico internista di Carpi, che ha raccontato lo sgombero dell’ospedale cittadino dopo la scossa del 29 maggio, ho rivisto proprio questo: il coraggio e l’abnegazione di chi ha scelto un mestiere per passione e ne ha abbracciato in toto il carico di responsabilità. Sono stati tanti coloro che, in questa situazione, hanno saputo intervenire al meglio delle loro possibilità. Penso ai sindaci della Bassa, penso agli uomini della Protezione civile, penso ai tanti che, pur preoccupati per i propri cari, per la propria casa, per il proprio lavoro, si sono caricati “sulle spalle”, in senso figurato (ma nel caso dei medici e degli infermieri dell’ospedale di Carpi, anche in senso proprio) qualcuno o qualcosa. Non è un caso che gli operatori del 118, in sole 5 ore, siano riusciti a collocare in altre strutture tutti i ricoverati dell’ospedale di Carpi.

Questo è il momento, credo, di pensare al futuro della sanità nelle zone del terremoto. Ad un futuro di più ampio respiro, ma anche a quello immediato. Se parliamo di programmazione, è indubbio che il terremoto ha cambiato la cornice in cui si muoverà il Pal, il piano attuativo locale: mi sembra che si possa, e si debba, cominciare a ragionare sul tema della sanità su “area vasta”, il carpigiano e la Bassa insieme. Se, invece, guardiamo all’immediato, due sono oggi i pericoli: che équipe mediche consolidatesi nel tempo possano sfaldarsi perdendo “pezzi” preziosi e che le strutture lesionate si traducano nei fatti anche in riduzione delle reparti specialistici. Non possiamo permettere che a Carpi rimangano il Pronto soccorso, la Medicina e poco altro. E allora, io lancio la mia proposta: perché non installare dei prefabbricati modulari in grado di ospitare in sicurezza tutte quelle chirurgie e specialistiche di eccellenza che avevano la propria sede proprio nell’area che presenta più incertezze sulla futura agibilità. Sarebbe un modo per ripartire, da subito, senza disperdere quel patrimonio di uomini, mezzi e conoscenze che con fatica abbiamo accumulato negli anni e che, lo abbiamo visto, anche nell’emergenza, si è rivelato la nostra più grande ricchezza.

"Le nomine lottizzate ultimo favore a Grillo", di Curzio Maltese

Quasi tutti conoscono l´apologo dello scorpione e della rana. Lo scorpione chiede alla rana di portarlo dall´altra parte del fiume, giurando che non la pungerà. Ma a metà del guado, la rana sente l´aculeo velenoso. «Perché? Annegheremo tutti e due». E lo scorpione: «È la mia natura». I partiti italiani sono oggi lo scorpione della favola. Commissariati dall´Europa e dai tecnici, sfiduciati dai cittadini, minacciati a morte dall´antipolitica, i partiti tutto avrebbero dovuto fare, tranne abbandonarsi al vecchio e odioso vizio della lottizzazione. E invece alla prima ghiotta occasione, le nomine delle Autorità delle Comunicazione e della Privacy, si sono lanciati come un´orda famelica sulla torta. Da bravi compari, detto con tristezza e non col giubilo dell´antipolitica, Pdl, Pd e Udc si sono divisi le fette. Fra i nomi, tutti con il trattino di appartenenza e tutti piuttosto deprimenti, spicca per involontaria ironia quello di Augusta Iannini, la moglie di Bruno Vespa, l´uomo del plastico di Cogne, inopinatamente piazzata a tutelare la privacy dei cittadini. Nelle nomine non sono stati presi in considerazione i novanta curricula di personalità competenti e indipendenti che pure i presidenti di Camera e Senato avevano sollecitato, forse per farsi qualche risata alle spalle dei cittadini onesti. Si è preferito concentrarsi sull´unico curriculum che conti in Italia, la raccomandazione del partito, il solito cortocircuito politico-professionale. Nell´impeto suicida, il Senato nel pomeriggio ha concluso la gloriosa giornata votando in massa contro l´arresto del pluri indagato Sergio Di Gregorio, accusato dai magistrati di truffa ai danni dello Stato per i fondi pubblici all´Avanti!» di Valter Lavitola. In teoria soltanto il Pdl era contrario alla richiesta dei magistrati, ma nel segreto dell´urna il ceto politico ha dato prova di straordinaria coesione intorno al nobile principio dell´impunità.
Ma ci sono o ci fanno? È in atto un complotto alla rovescia dei partiti per consegnare il 51 per cento al movimento di Beppe Grillo? Sono molti gli interrogativi, anche di natura psichiatrica, che circondano il misterioso comportamento. Sembra quasi una sfida agli elettori, a metà fra il folle e il volgare. Un po´ come il tizio che imbocca un senso unico contromano e fa pure le corna. Bisognerebbe ricordare che le autorità di garanzia, tanto più in settori cruciali come le telecomunicazioni e la privacy, dovrebbero per definizione essere composte da personalità super partes. Ma che senso ha mettersi a discutere di regole con chi dimostra di disprezzarle o di applicarle soltanto agli altri, ai comuni mortali?
Non resta che cercare di capire il possibile movente dei suicidi. Nel caso del Pdl è abbastanza chiaro. Il partito è allo sbando, dimezzato dal voto e nei sondaggi, sull´orlo del naufragio totale. Mentre Berlusconi intrattiene il pubblico con altre barzellette sull´euro e il presidenzialismo alla francese, il partito azienda sfrutta gli ultimi colpi per piazzare uomini negli organismi di controllo delle telecomunicazioni per i prossimi anni. L´obiettivo, vent´anni dopo la discesa in campo, è sempre lo stesso: evitare il fallimento dell´azienda televisiva.
Assai meno comprensibile è la complicità del Pd. I dirigenti del partito, a cominciare da Bersani, vanno in giro per l´Europa per incontrare i nuovi leader socialisti, da Francois Hollande a Sigmar Gabriel, si riempiono la bocca di slogan sulla rinascita del centrosinistra, e poi tornano a casa e si mettono a lottizzare come bolsi dorotei democristiani. Se c´era un´occasione felice per dare un segnale di novità agli elettori del Pd, prendere le distanze dalla moribonda partitocrazia e dimostrare ai «grillini» che destra e sinistra non sono uguali, ebbene Bersani l´ha buttata via nel peggiore dei modi. In questo caso sarebbe salutare il vecchio «contrordine, compagni» di una volta. Presto il Pd avrà un´altra possibilità di marcare la propria distanza dal sistema di casta della Seconda Repubblica, con le nomine Rai. Dove il centrodestra, Pdl in testa, spinge per l´ennesima grande abbuffata di poltrone. Ma a giudicare dalla giornata di oggi, è puerile farsi illusioni.
Nonostante il montare dell´antipolitica, anche alle ultime elezioni milioni d´italiani hanno continuato a votare i partiti presenti in Parlamento. Nel timore di veder precipitare il Paese in un´altra avventura tragicomica, come quella appena vissuta nel ventennio berlusconiano. Nella speranza che la politica trovasse il coraggio, la forza, l´onestà per riformarsi e rispondere alle domande di trasparenza dei cittadini. Oggi quei milioni d´italiani si sentono come la rana dell´apologo e si chiedono perché. È davvero questa la natura degli attuali partiti, quella dello scorpione destinato a trascinarci tutti a fondo?

La Repubblica 07.06.12

"Bersani pronto a primarie di coalizione", di Maria Zegarelli

Alla direzione di domani il segretario del Pd punta a dare il messaggio di un partito che si apre alla società civile. No ai ricatti del Pdl sulle riforme. «Domani in direzione sentiremo cose parecchio interessanti», commenta un deputato piuttosto informato. Il segretario Pier Luigi Bersani non solo ribadirà la propria intenzione a candidarsi per la premiership ma aprirà a primarie di coalizione. È questa la notizia che filtra dal Nazareno. «Il messaggio che vogliamo dare al Paese è quello di un partito che si apre alla società civile sotto tutti i punti di vista».
Dunque l’idea su cui starebbe ragionando il segretario è quella di primarie aperte da fare in autunno, quando ormai sarà chiaro il destino della riforma elettorale. Ne ha parlato a lungo con i dirigenti del partito, da Dario Franceschini, a Walter Veltroni a Massimo D’Alema e Franco Marini, poi ha chiamato anche i segretari regionali per informarli del «cambio di passo» che la direzione di domani è destinata a segnare. Bersani è pronto a mettersi in gioco, convinto che a questo punto sia davvero necessaria una nuova legittimazione per arrivare alle elezioni del 2013 e dai colloqui avuti finora sarebbero in molti ad avergli assicurato l’appoggio anteponendo la necessità per il partito di restare compatto a tutto il resto. Non ne fa mistero il governatore della Toscana Enrico Rossi: «Io sono per Bersani, perché sono una persona disciplinata. È lui il nostro candidato. Io, come direbbe Bersani, appartengo a una bocciofila che si chiama Pd e come tutte le bocciofile ha uno statuto che prevede che il segretario regolarmente eletto sia anche il nostro candidato premier per le elezioni». Ma se dovesse cambiare la legge elettorale e quindi saltare la logica della coalizione che non è prevista né dalla bozza Violante né dal doppio turno francese che al primo round vede i partiti correre da soli la questione primarie si presenterà comunque: da Matteo Renzi a Pippo Civati la richiesta è di aprire le consultazioni interne e dunque il relativo congresso.
E proprio sulla legge elettorale il segretario tornerà alla carica: la priorità assoluta per il Pd in Parlamento è quella di incalzare tutte le forze politiche ad approvare la riforma e a non cedere al ricatto del Pdl che appoggerebbe la legge elettorale soltanto in cambio del semipresidenzialismo. «Non accettiamo ricatti, il Pd dice sì alla riforma elettorale e a quelle all’esame del Senato, a partire dalla riduzione del numero dei parlamentari avrebbe spiegato il segretario durante i confronti di questi ultimi giorni -. Non si può pensare di cambiare la Costituzione con un emendamento». Linea ribadita anche dalla capogruppo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro: «La riforma dello Stato in senso semipresidenzialista è una cosa seria che innanzitutto non può essere fatta se prima non si approva una legge sul conflitto di interessi seria, presente in tutti i paesi in cui vige un regime presidenziale o semi presidenziale. Poi una riforma che cambia la forma di governo, travolgendo il nostro impianto costituzionale di Repubblica parlamentare, richiede quantomeno una discussione pubblica e articolata, non è roba che si fa con un emendamento, per di più presentato per l’Aula». Nel Pdl è già partito l’attacco frontale, come ha anticipato ieri Angelino Alfano secondo il quale ci sarebbe tutto il tempo per approvare la riforma non fosse per il Pd che si mette di traverso.
D’altra parte il rischio di impantanare tutto è altissimo: mettere troppa carne sul fuoco può essere il tentativo estrema del centrodestra di far bruciare tutto e lasciare soltanto fumo. Per questo il Pd nella direzione di domani vuole giocare d’anticipo, ribadire la necessità di andare avanti con la legge elettorale, di avviare la fase del rinnovamento e dell’apertura alla società civile, tanto che il segretario lancerà l’appello «alle forze migliori del Paese», intellettuali, movimenti, associazioni, per dare il proprio contributo al programma dell’alternativa, annunciando sarebbe meglio dire ribadendo l’allargamento dei confini del proprio partito. La sfida della prossima legislatura che secondo il segretario dovrà essere “costituente” proprio a partire dalla riforma sul semipresidenzialismo sarà la sfida del futuro del Paese sia sul piano economico sia sul piano politico. E se l’appoggio a Monti non è in discussione è pur vero che secondo Bersani adesso è il momento di dare quei segnali che il Pd chiede al governo da tempo per la crescita. Segnali in Italia ma anche in Europa, dove l’asse Monti-Hollande potrebbe creare le condizioni per un cambio di rotta, come lo stesso Obama chiede dagli States. Se l’Europa non cambia la sua strategia nel giro nel prossimo mese secondo Bersani il rischio dell’effetto domino è altissimo: dalla Grecia alla Spagna al Portogallo lo scivolamento anche degli altri Paesi sarebbe difficile da evitare.

l’Unità 07.06.12

"Il Belpaese produce sempre meno", di Massimo Franchi

In Italia si produce sempre meno e, di conseguenza, la cassa integrazione schizza a livelli senza precedenti. Il nostro Paese scivola velocemente nella classifica mondiale della produzione manufatturiera. Lo denuncia il Centro studi di Confindustria per il quale il Paese è sceso dalla quinta all’ottava posizione e la stretta dell’erogazione del credito da parte delle banche «fa mancare ossigeno all’industria». «Il baricentro della produzione manifatturiera mondiale – spiega il rapporto presentato ieri – si muove sempre più velocemente verso i Paesi emergenti. Tra il 2007 e il 2010 Cina, India, e Indonesia hanno conquistato 8,7 punti percentuali di quota. La Cina, con +7,7 punti al 21,7%, è in vetta alla classifica da un triennio, avendo scalzato gli Usa». Meno brillanti i Paesi emergenti europei: la Turchia perde una posizione, la Polonia rimane ventesima. L’Italia dal 4,5% è passata al 3,3%, un meno 1,2% molto superiore al Regno Unito (-0,9%) e Spagna (0,7%). Sulla situazione finanziaria delle imprese italiane grava anche l’ulteriore allungamento dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione: nel primo trimestre dell’anno l’attesa è salita a 180 giorni, dai 128 giorni del 2009. «In altre economie è avvenuto il contrario: i tempi di pagamento della Pa sono stati accorciati in Francia a 65 giorni e in Germania a 36 giorni». Per il Csc, inoltre, prosegua nei prossimi anni», nonostante «gli straordinari interventi attuati dalla Banca centrale europea». Tutto ciò, si spiega nel rapporto, «minaccia la stessa sopravvivenza di alcune parti importanti dell’industria italiana, proprio quando è accelerato lo spostamento di quote di produzione e di scambi globali verso i paesi emergenti». BOOMDELLACASSAINTEGRAZIONE Sempre ieri poi sono arrivati i dati sulle ore di cassa integrazione a maggio. Siamo davanti ad un vero boom, un picco che rappresenta il valore più alto da luglio 2010. Nel mese scorso infatti sono state autorizzate 105,5 milioni di ore di cassa. L’Inps sottolinea che nei primi cinque mesi dell’anno il numero delle ore autorizzate è sostanzialmente in linea con lo stesso periodo dell’anno scorso (428,3 milioni con un +0,64%) ma che questo dato è il risultato di andamenti diversi tra i comparti. Tra gennaio e maggio le ore richieste dalle aziende industriali (281,8 milioni) sono diminuite del 7,55% sullo stesso periodo del 2011 mentre quelle chieste da aziende dell’edilizia (45,9 milioni) sono aumentate del 19,8%. L’incremento più forte è stato registrato dal commercio (64 milioni di ore con un +33,7%) e dai “rami vari” (credito, enti pubblici e agricoltura) con 1,4 milioni di ore in cinque mesi e un +135,71%. Dati che preoccupano sempre di più i sindacati. In prima fila la Cgil che con le segretarie confederali Elena Lattuada e Serena Sorrentino, appena uscite dal secondo e ultimo giorno dell’assemblea delle donne Cgil, sottolineano come ci si trovi davanti ad «un aumento senza freni, che oramai prosegue da tempo, e che richiede una urgente presa di coscienza: serve una strategia di politica industriale per porre un argine di fronte al crollo della produzione industriale che ritarda ogni possibilità di ripresa. L’unico modo che si ha per fronteggiare questo autentico rischio di deindustrializzazione precoce del nostro sistema economico – attaccano le due segretarie confederali – è quello di ricorrere ad una strategia di politica industriale con al centro massicci investimenti in innovazione». La Cisl con il segretario generale aggiunto Giorgio Santini sottolinea come «l’incremento è particolarmente consistente per la Cassa ordinaria, che cresce tantissimo sia rispetto al mese precedente sia nel confronto con maggio dello scorso anno, prevalentemente nel settore industriale. Ciò testimonia in modo inequivocabile – osserva Santini – un pericoloso allargamento del perimetro delle aziende e dei settori coinvolti per effetto della recessione in atto, come confermato anche dalla crescita della disoccupazione ormai stabilmente attestata al di sopra del 10%, con punte di gravità impressionante per la disoccupazione giovanile». Per Guglielmo Loy della Uil «centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione vedono calare il proprio reddito di circa 400 euro al mese. Èevidente che è vitale una politica fiscale coraggiosa a favore di chi ha un reddito fisso».

l’Unità 07.06.12

"Una minaccia per la legislatura", di Claudio Sardo

Il vecchio asse Pdl-Lega è ancora attivo. E produce danni. A dispetto di tanti propositi bellicosi, il gruppo del Carroccio in Regione Lombardia ha ieri rinnovato la fiducia al presidente Formigoni, mettendolo così al riparo dalla mozione delle opposizioni. In contemporanea i senatori leghisti, protetti dal voto segreto, hanno salvato dagli arresti domiciliari Sergio De Gregorio, sovvertendo così il parere della Giunta per le immunità.
Non è più una maggioranza di governo – essendo stato travolto Berlusconi dal disastro interno e dal discredito internazionale – tuttavia è una maggioranza occulta, che in talune circostanze viene attivata a beneficio dei soggetti interessati.
Questa maggioranza intermittente è una minaccia per il governo Monti. Ne può minarne le fondamenta. A meno che qualcuno non pensi che il governo dei tecnici, in fondo, abbia da guadagnare con il degrado delle istituzioni politiche. E che il privilegio concesso al senatore De Gregorio di sottrarsi alla richiesta d’arresto e alle pesanti accuse – come nessun altro cittadino avrebbe potuto – verrà alla fine addebitato ai soli «partiti», magari a tutti i partiti indistintamente. È vero che nelle classi dirigenti di questo Paese si coltiva una strana cultura dell’irresponsabilità, in base alla quale il primato dei tecnici si sposa con l’esaltazione di Grillo. Come dire che tutto va bene purché non si ripristini una normalità democratica e una autonomia delle istituzioni rappresentative. Ma c’è un limite al cinismo. La ragione del governo tecnico, oltre che nel fronteggiare la drammatica emergenza di un’Europa in deficit di politica, sta esattamente nel favorire il ripristino di una competizione tra alternative democratiche, plausibili, collegate alla dialettica europea. Una competizione che il Porcellum e la torsione plebiscitaria del nostro sistema rischiano di rendere impossibile.
A nove mesi dalla fine della legislatura è bene non dimenticare questo principio. Oggi Monti sta opportunamente correggendo la rotta della politica europea, aiutato dalla vittoria di Hollande. Ma non può disinteressarsi di ciò che accade in quel Parlamento che sorregge il suo governo. Ciò che è avvenuto ieri è un colpo duro. E sarebbe ancor più duro, pure per lui, un fallimento delle riforme elettorali e istituzionali. L’asse occulto Pdl-Lega, infatti, è ora alla prova del presidenzialismo. Ieri il partito di Berlusconi ha presentato la sua proposta per l’elezione diretta del Capo dello Stato: pochi emendamenti il cui effetto sarebbe un cambiamento radicale della Costituzione. E il messaggio era rivolto innanzitutto a Maroni, Bossi e compagnia. Servono i voti leghisti per far passare in Senato quei correttivi, il cui effetto pratico sarebbe mandare a monte ogni tentativo di riforma in questa legislatura.
La soluzione presidenzialista non ci ha mai convinto. Per la nostra storia, per la stessa tenuta della nostra società continua ad apparire più idoneo il sistema parlamentare voluto dai padri. Semmai va reso più efficiente, ammodernato, dotato di quegli strumenti che pure vennero indicati alla Costituente (l’ordine del giorno Perassi) ma mai attuati. Ciò non vuol dire che il presidenzialismo è antidemocratico. È un’alternativa di sistema possibile: tuttavia va calibrata con robusti contrappesi, da norme stringenti sui conflitti di interesse a forti garanzie sui poteri neutri e di controllo. Il presidente della Repubblica-garante non è una figura che si può smantellare con un emendamento: è la testa di una filiera di garanzia, senza la quale l’intera seconda parte della Costituzione andrebbe riscritta.
Amiamo troppo la Costituzione italiana per non augurarci che di presidenzialismo non si debba mai parlare. Tuttavia, se ci fossero le condizioni per un confronto costruttivo, non potrebbe che essere la prossima legislatura ad assumersi un compito di revisione. È impensabile che in poche settimane si possa compiere un simile, approssimativo stravolgimento della nostra Carta fondativa. Piuttosto l’obiettivo pare un altro. Più ravvicinato, più cinico: impedire le riforme possibili (innanzitutto la legge elettorale) e un governo normo-dotato nella prossima legislatura.
Ancora non sappiamo se la Lega ripeterà lo sgambetto che fece alla Bicamerale nel ’98. Speriamo che il Pd non smetta di cercare una soluzione: va bene anche una riforma elettorale imperfetta, purché somigli ad una qualunque delle leggi che regolano i maggiori Paesi europei. Solo da noi si combinano maggioritario di coalizione e liste bloccate: da solo il Porcellum toglie molto ossigeno alla politica. Poi, certo, la politica ha una partita più importante da giocare. È la battaglia della sopravvivenza. O sarà capace di ridare una missione all’Europa, di guidarla, o la sconfitta dell’euro diventerà pesante come una guerra del Novecento. Le riforme sono una questione domestica. Ma sono una condizione del riscatto nazionale. Speriamo che anche nel centrosinistra, tra discussioni sulle primarie e strategie elettorali, non si smarrisca l’ordine di priorità. Il tema è dare al Paese una prospettiva democratica e un vero rinnovamento.

l’Unità 07.06.12