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"Scuola e università il Pd boccia Profumo", di Carlo Galli

Il Pd boccia la riforma della scuola del ministro Profumo. Il governo vuole premiare studenti e gli istituti migliori. Il provvedimento potrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri già mercoledì. Secca la replica: «Prima bisogna vedere quante risorse ci sono -afferma l´ex ministro Fioroni- e queste si usano per aiutare chi è in maggiore difficoltà». La riforma, accusa ancora il Pd, incentiva solo la competizione ma non migliora la scuola italiana. Critiche anche dall´Idv. Merito ed eccellenza sono, questa volta, le parole chiave, le linee guida dell´intervento del governo. Una risposta netta al dilemma storico fra quantità e qualità che – tramontata la scuola per pochi, che era anche, mediamente, una buona scuola – ha accompagnato la nascita e l´esistenza, approssimativamente semisecolare, della scolarità di massa e dell´Università aperta a tutti. Secondo il ministro, perseguire l´eccellenza, premiare i migliori studenti, le migliori scuole, i migliori Atenei, è in sé un´operazione giusta, ed avrà anche il vantaggio di motivare i meno bravi, per emulazione. Anziché selezionare negativamente i peggiori, li si sprona a emulare i migliori, riconosciuti e gratificati come tali. Intorno ai ‘migliori´ è costruito questo intervento: competizione, premi, segnalazioni alle imprese, sgravi fiscali per chi li assume; tutto vorrebbe concorrere a far nascere anche nel nostro Paese l´idea che la buona istruzione procura buon lavoro, l´idea cardine – in parte mitologica ma in parte effettuale – del sistema educativo statunitense. L´intento è di sconfiggere la demotivazione di studenti e docenti; di dare loro qualcosa per cui impegnarsi.
Rispetto ai tempi di Silvio Berlusconi molto è cambiato: allora era evidente un livore antiscolastico e antiprofessorale – al di là delle affermazioni del ministro Gelmini, e delle ormai dimenticate Tre I (inglese, impresa, informatica) – che si esprimeva soprattutto nell´assetto punitivo di riforme aziendalistiche e centralistiche al contempo; com´era evidente anche che non il merito ma il demerito presiedeva le carriere politiche e televisive dei cortigiani e delle cortigiane.
Ora, il governo e delle élites più serie e più responsabili, introduce un elemento di discontinuità, che va notato. La scuola e l´università non sono più prese in considerazione in una logica di ‘ordine pubblico´, ma di sviluppo. E tuttavia le perplessità sono molte. A cominciare dallo strumento del decreto – se vi si farà ricorso –, che pare francamente inadeguato per temi tanto complessi, bisognosi di essere discussi in parlamento; per continuare con la debolezza degli incentivi al merito – concorsi, olimpiadi, menzioni d´onore per gli studenti sono una ben misera motivazione –; e per arrivare quindi a uno dei punti centrali: il persistere del sotto finanziamento del sistema scolastico e universitario. Oggi – a parte una piccola somma già destinata all´autonomia scolastica e alla didattica, che non dovrebbe però essere stornata ad altri fini – non sono noti stanziamenti disponibili. Il merito deve forse essere premio a se stesso?
Soprattutto, nelle misure prospettate molto è dato per scontato. La sostanza della recente riforma universitaria non viene mutata, tranne che il sistema di reclutamento, che torna al passato (bandi locali, membro interno e commissari esterni – uno dei quali straniero: indubbiamente accorreranno numerosi –, con i quali sarà ben facile stringere patti a buon rendere, come si è sempre fatto). E in generale la stessa idea di merito non è ben chiara: parola ambigua che copre di tutto – dall´impegno personale al talento naturale al privilegio sociale –, il merito dovrebbe in realtà emergere dopo che sono state alleviate, da precise e mirate politiche pubbliche, le principali cause di ‘selezione naturale´ che portano alla dispersione scolastica e all´abbassamento del livello degli studi e dell´insegnamento (inoltre, sul versante dei professori, la misura del merito implica l´affidarsi ulteriormente a macchinosi sistemi di valutazione, sui quali non si placano le polemiche).
Il problema è che – se è giusto dare nuova centralità alla scuola e all´Università, e, concretamente, far partire i concorsi per l´insegnamento medio – oltre che un nesso fra più istruzione e più guadagno, il ministro dovrebbe fare emergere dai suoi provvedimenti anche il nesso fra più istruzione e cittadinanza più consapevole, ovvero il nesso che non può non esserci fra l´élite dei bravi e la società che nel suo complesso deve essere composta da persone più istruite (o da più persone istruite). Insomma, senza un impegno economico che mette i docenti in grado di ricercare e di insegnare, gli studenti (tutti) di imparare e i migliori di emergere, e senza un robusto ancoraggio di ogni intervento, anche meritocratico, ad una complessiva prospettiva civile e democratica, senza una nuova centralità della scuola e dell´Università nella società, il provvedimento risulta poco più che un messaggio generico e parziale, probabilmente quasi ininfluente nella pratica. E rinvia alla politica, e alla sua responsabilità, il compito di occuparsi organicamente dell´intera materia. Come, dopo tutto, è giusto che sia.

La Repubblica 04.06.12

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Il Pd boccia la riforma Profumo “Vuole una scuola troppo elitaria”
Il “pacchetto merito” mercoledì in consiglio dei ministri, di Corrado Zunino

Fioroni: si insiste solo su un modello competitivo, senza nulla su emergenze e bisogni di tutti. Parere negativo anche dall´Idv: un segnale di fumo inquinante sulla istruzione pubblica. Il progetto Profumo convince l´ex ministro Gelmini: ok gli sgravi alle imprese
Le reazioni alla riforma Profumo, alla scuola e all´università italiane da innervare sul merito e da destinare all´eccellenza, sono già questione politica. Un problema per il governo, ecco. Il Partito democratico, che nelle scorse settimane aveva abbandonato i lavori preparatori e quindi si era speso per emendare il testo, il giorno dopo le anticipazioni di Repubblica sul “pacchetto merito” da licenziare mercoledì prossimo in Consiglio dei ministri invita il ministro a rallentare: «Noi questo testo non lo votiamo». Una mancanza di fiducia sulla scuola potrebbe ripercuotersi sull´esecutivo.
Con il peso di un ex ministro (secondo governo Prodi), interviene Giuseppe Fioroni, moderato del Pd. «La nostra scuola è una grande risorsa per il paese e deve avere l´ambizione di essere per tutti di qualità». Fioroni, a fronte dei richiami governativi all´Unione europea, che ci chiede di iniettare “merito” nella nostra società, indica altre emergenze che l´Europa ci chiede di affrontare: «Dovremmo occuparci innanzitutto della grande dispersione scolastica e migliorare le competenze dei nostri studenti, oggi sotto la media Ocse». Dice Fioroni: «L´Europa ci chiede un sistema di valutazione serio, provvedimenti urgenti per il recupero di chi resta indietro, strumenti e risorse per migliorare le scuole. L´Ocse ci chiede di investire sull´aggiornamento e la riqualificazione dei docenti. Interventi esclusivamente mirati a incentivare la competizione e garantire l´eccellenza per pochi danno un´idea sbagliata e diversa dalla scuola della Costituzione. Questa insistenza nell´ipotizzare un modello competitivo, senza nulla per le emergenze e i bisogni di tutti, sembra perseguire un disegno che vede una scuola di qualità per pochi e un nuovo avviamento professionale per tanti». Infine un avvertimento al ministro: «Abbandoni la strada del decreto, che eviterebbe i necessari passaggi parlamentari, e abbandoni una conflittualità che non farebbe bene al governo».
Francesca Pugllisi, responsabile scuola del Pd, aggiunge: «In un momento di vera emergenza nazionale chiediamo a questo governo di fare ciò che fanno le famiglie per bene: guardano a quanti soldi hanno in tasca per darsi delle priorità, a partire dai bisogni dei più piccoli e dei più deboli. Le priorità in questo momento si chiamano scuola dell´infanzia, tempo pieno e lotta alla dispersione scolastica, soprattutto nelle periferie urbane. L´articolo 3 della Costituzione, che parla della scuola e dei suoi compiti, è quanto di più lontano possiamo immaginare dal decreto Profumo. Il ministro prima rifinanzi le norme per tenere le scuole aperte il pomeriggio e nei periodi estivi, non tocchi i pochi spiccioli che rimangono sul fondo per l´autonomia scolastica e ridia fiato a corsi di recupero tagliati di due terzi».
Dura l´Italia dei valori attraverso Giulia Rodano: «Il pacchetto merito è un segnale di fumo inquinante su tutto il sistema dell´Istruzione pubblica. Per le scuole pubbliche e le università statali non c´è nemmeno un euro in più. Si dichiara di voler premiare le eccellenze, ma nulla viene previsto per mettere studenti e strutture più deboli nelle condizioni di formarsi. E all´università il ministro sta preparando un´altra generazione di precari». Critiche dai tre sindacati confederali, dal Pdci, dagli studenti di sinistra. Plausi sul merito arrivano dai giovani dell´Udc e dall´ex ministro (Pdl) Mariastella Gelmini: «Ho letto di buone misure che rafforzano la sinergia tra scuola, istruzione, università e impresa», ha detto la Gelmini. «Positivi gli sgravi per le imprese che assumono e l´obbligo delle cento ore di didattica per gli insegnanti universitari. Sono contenta che non si smantelli la mia riforma né il concorso nazionale anti-baroni».
Il presidente della Conferenza dei rettori universitari, Marco Mancini, sostiene che la riforma «incentiva gli studenti, ma l´emergenza resta quella dei concorsi. Bisogna farli al più presto. Ci sono centinaia di ragazzi che non possono più aspettare e i livelli di età media dei nostri docenti sono insopportabili».

La Repubblica 04.06.12

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“Bene, ma non basta ritorniamo a investire sul futuro dei ragazzi”, di Corrado Zunino

Però vorrei ricordare che per la prima volta dopo sette anni non ci saranno tagli. Si è fermata la contrazione. Quell´icona, maestro di strada, conquistata recuperando ragazzi alla scuola dell´obbligo, nei Quartieri spagnoli di Napoli, ora Marco Rossi Doria deve mantenerla in vita a fianco del ministro del merito, Francesco Profumo. Non è cosa semplice. Si rischia, da sottosegretario all´Istruzione, di un governo tecnico, di mettere in discussione una vita e cento parole spese «per chi è stato sempre sutta (sotto)».
Era davvero necessario questo decreto?
«Dico di sì, e dico “bene, ministro”. Dico: non basta. Per restare nel solco dell´articolo 34 della Costituzione, citato da Profumo, ci vuole altro. A partire da settembre. Perché oggi la scuola, secondo Costituzione, è aperta a tutti. E invece perdiamo un ragazzo un ragazzo ogni cinque. E sono i più poveri».
Che si fa per questi adolescenti in fuga dalla classe?
«Ho seguito con attenzione tutto quello che il governo ha fatto in questi sei mesi, e non è poco. Un miliardo di fondi europei per il Sud, principalmente per la scuola del bisogno. Poi 117 milioni per cento scuole di seconda occasione, offrono un´altra possibilità a chi ha abbandonato. Altri 400 milioni per gli asili, ancora al Sud. E vorrei ricordare che per il primo anno dopo sette consecutivi, non ci saranno tagli alla scuola. Non ci sono investimenti statali, ma si è interrotta una lunga serie di contrazione. Nella prossima stagione i cicli scolastici manterranno lo stesso organico del 2011-12. In questa fase di conti pubblici stretti, ecco, le spese correnti sul sapere sono state ingenti».
Ingenti e, quindi, sufficienti?
«No. Ora la comunità paese deve decidere di tornare a investire. Sulla scuola, l´istruzione, e la conoscenza. Lo dice Bankitalia, lo dice l´Aspen. Si deve tornare a parlare con le parti sociali e investire. La nostra scuola ha bisogno di un miliardo l´anno, da mettere a bilancio da qui al 2015. Fondi europei e fondi statali».
Per fare che?
«Trenta, quaranta milioni per il merito. Con il resto bisogna rafforzare il tempo pieno e quello prolungato, estendere le risorse contro la dispersione alle periferie urbane del Nord, il problema più acuto in questo momento, e finanziare docenti che aiutino gli studenti a recuperare crediti formativi perduti e quindi, pagare le borse di studio a universitari meritevoli. Oggi sette su dieci non vengono pagati».
Merito sì, quindi.
«Merito sì. Nella mia esperienza di strada, a Napoli, ho trovato ragazzi poveri e di straordinario talento. Ne ricordo uno: 9 e 10 al liceo, massimo dei voti nei primi tre anni di Giurisprudenza, poi non ce l´ha fatta più. La famiglia costretta a mandarlo a lavorare. Ci fossero state le aliquote ridotte per i meno abbienti, introdotte da questo ministero, forse quel ragazzo non avrebbe abbandonato l´università».

La Repubblica 04.06.12

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La scrittrice Mastrocola: bene solo il capitolo sui docenti. “Proposta mediatica la smania competitiva non aiuta gli studenti”, SARA STRIPPOLI

«La meritocrazia indicata da Francesco Profumo mi pare più mediatica che di sostanza». Paola Mastrocola, la scrittrice e insegnante torinese che alla scuola ha dedicato ritratti ironici e pungenti, non è benevola nei confronti della riforma indicata dal ministro dell´Istruzione.
Mastrocola, cosa non le piace in questo nuovo modello di scuola che vuole premiare i migliori?
«Chiariamo subito: io sono assolutamente d´accordo con chi vuole premiare il merito. Non siamo tutti uguali. Però siamo così sicuri che lo “studente dell´anno” sia quello identificato con i criteri che ho letto? Cosa c´entra il merito con il reddito o con l´impegno sociale?».
Si valuta uno studente anche per le sue capacità a stare nella società e si dà una mano a chi ha maggiori difficoltà economiche. Non condivide?
«Guardi, io penso a Bolt, il campione dei 100 metri. Cosa facciamo? Gli diciamo che non è lui il migliore perché è ricco o perché non va ad aiutare i poveri? Mi pare un´assurdità. Se si valuta il merito si prende in considerazione solo la bravura. Non le sembra più equo premiare i più bravi e poi assegnare una borsa di studio a chi ha meno reddito?».
Solo meritocrazia a misura di media dunque?
«Dire di sì. Peraltro aggiungo che a me non piacerebbe affatto ricevere una card che si chiama “Iomerito”. Mi vergognerei. Pare uno spot e mi sembra qualcosa di simile alla social card di Berlusconi. Molti provavano imbarazzo ad andare al supermercato con quella. E poi le dico che non mi piace neppure tutta questa smania di competitività».
Perché? Non pensa che la competizione possa migliorare i risultati di tutti?
«No, non lo credo. Io penso che per studiare ci voglia una pace interiore, che i risultati più inaspettati nascano dall´amore per quello che si scopre e si conosce».
Non crede che anche i docenti debbano essere valutati?
«Sì, ma il problema è come. Di questo si parla da anni. Quali sono però i criteri oggettivi per farlo? Non penso che possano essere i risultati dei ragazzi a promuovere un insegnante. Io posso essere il migliore professore sulla piazza ma se poi i miei studenti non aprono un libro al pomeriggio i risultati non arrivano».
C´è qualcosa che condivide nelle nuove proposte del ministro?
«Sono felice che finalmente si riapra il canale per il reclutamento dei docenti. È assolutamente necessario un ricambio. Siamo fermi al 1999. Questa è la vera notizia, quella che fa bene alla scuola. Per il resto c´è troppo Internet, troppa tecnologia. Si perde l´umanesimo».

La Repubblica 04.06.12

"La circolazione dei cervelli", di Carlo Rovelli e Paolo Tortonese

Caro direttore, la questione della “fuga dei cervelli” dall´Italia sta nuovamente suscitando dibattito: forse è l´occasione per porre il problema in modo nuovo, e presentare una proposta concreta. Non siamo così ottimisti da pensare che la soluzione dei mali dell´Italia sia il “rientro dei cervelli” sedotti da paesi più ricchi o meglio gestiti. Ma è vero che in diversi settori, primo fra tutti la ricerca e l´insegnamento universitari, l´Italia è afflitta da una paradosso: forma giovani capaci di inserirsi senza difficoltà nelle istituzioni più prestigiose del mondo, ma molto spesso non è né in grado di offrire loro condizioni di lavoro equivalenti, né di attirare giovani formati altrove. Abbiamo quindi un flusso in uscita a senso unico, che non è né giusto né buono per l´Italia. L´Italia, a lungo un paese di emigrazione è ora è paese di immigrazione, ma riceve soprattutto forza-lavoro poco qualificata e continua a perdere forza-lavoro molto qualificata. Un dato nuovo della discussione è che più che “rientro dei cervelli” si parla oggi di “circolazione dei cervelli”.
Un recente convegno dell´Aspen Italia ha insistito su questa prospettiva, radicalmente diversa da quella adottata con la legge del 2001. Legge che ha avuto risultati deludenti, in termini quantitativi e qualitativi, anche perché la strategia del ritorno non è la migliore. Gli universitari italiani all´estero hanno spesso ragioni professionali per non tornare, oltreché ragioni personali e famigliari. Inoltre, soprattutto dove sono indispensabili grandi investimenti, non è auspicabile separarli dai laboratori d´avanguardia. Per questo l´idea della circolazione è migliore dell´idea del rientro: l´obiettivo non può essere erigere muri tra Italia e estero, o di immaginare l´autarchia culturale. Se i nostri studiosi sono capaci di inserirsi nelle migliori équipe del mondo, cerchiamo piuttosto di fare in modo che la loro esperienza sia utile anche alla ricerca e agli studenti italiani.
La strategia che ci sembra interessante proporre è la “doppia appartenenza”: rendere possibile a un universitario di insegnare, come titolare, sia all´estero sia in Italia. Non soltanto un sistema di inviti o “visiting professor”, che esiste già anche se poco praticato in Italia, ma un vero sistema di reclutamento, che permetta l´integrazione reale nelle istituzioni italiane. Un professore non può lavorare a tempo pieno in due università, ma si possono creare cattedre parziali, secondo il sistema che esiste in molti paesi, dagli Stati Uniti alla Svizzera, dove si può essere titolari di una mezza cattedra o di un quarto di cattedra. L´organizzazione degli studi in semestri, oggi generalizzata, rende facilmente possibile a un professore passare, per esempio, tre mesi all´anno in un´altra sede. Questo sistema sarebbe dinamico, produrrebbe effettive collaborazioni tra équipe, e farebbe circolare non solo i cervelli, ma soprattutto le idee che ci stanno dentro. Permetterebbe di moltiplicare a basso costo effetti positivi sulla ricerca e sull´insegnamento.
Il valore della proposta è subordinato ad alcune condizioni: prima, che le cattedre parziali siano aperte a chiunque abbia già una cattedra all´estero, non solo agli italiani. È una necessità giuridica, ma soprattutto scientifica: la circolazione dei cervelli deve funzionare in tutti i sensi, e gli italiani devono imparare a confrontarsi con il mondo anche a casa loro. Le cattedre parziali potrebbero facilmente portare in Italia scienza e cultura di altissimo livello, anche perché l´Italia resta un luogo di fascino e di grandissima attrazione per moltissimi nel mondo. Secondo, il numero delle cattedre parziali deve essere regolato in modo che queste non entrino in conflitto con le cattedre normali. L´università italiana ha bisogno di svilupparsi, non di restringersi: la circolazione dei cervelli sarà possibile in un contesto di allargamento delle possibilità di carriera per tutti i giovani che meritano. I mali dell´università italiana non saranno curati a forza di soppressione di cattedre: anzi, sono accentuati dalla ristrettezza, che moltiplica le tensioni, i conflitti, i favoritismi, a scapito della selezione qualitativa. Non c´è motivo di stupirci se i migliori vanno all´estero: in Italia semplicemente non trovano un posto al sole.
(Carlo Rovelli insegna Fisica Teorica all´Università di Marsiglia e dirige il gruppo di ricerca in gravità quantistica del Laboratorio di Fisica Teorica di Luminy; Paolo Tortonese insegna Letteratura Francese alla Sorbona)

Il Corriere della Sera 04.06.12

Fioroni contro riforma scuola "Profumo sceglie strada sbagliata", da repubblica.it

Per l’ex ministro dell’Istruzione la priorità del sistema scolastico italiano è quella di combattere la dispersione e di garantire a tutti insegnamento di qualità non elitario: “Non serve la politica degli annunci”. La responsabile scuola del Pd: “Prima bisogna fare fronte a emergenze”. Non c’è bisogno “della politica degli specchietti” o di “interventi esclusivamente mirati a incentivare la competizione e garantire l’eccellenza per pochi”: “la Scuola italiana è una grande risorsa per il Paese e deve avere l’ambizione di essere per tutti di qualità”. A Giuseppe Fioroni, deputato del Pd ed ex ministro dell’Istruzione durante il secondo governo Prodi, non piace la riforma presentata dal ministro Francesco Profumo 1 che vuole dare maggiore spazio al merito e rendere i giovani italiani più competitivi a livello europeo. “L’emergenza rispetto all’Europa non è la certificazione del merito – ha sottolineato Fioroni-, ma la grande dispersione scolastica e la necessità di migliorare le competenze dei nostri studenti che sono sotto la media Ocse”.

Le richieste dell’Europa. “L’Europa – prosegue Fioroni – ci chiede un sistema di valutazione serio e provvedimenti urgenti per il recupero di chi resta indietro e strumenti e risorse per migliorare le scuole che hanno bisogno. L’Ocse ci chiede di investire sull’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei docenti per consentire tutto questo. Di fronte a queste priorità è paradossale che il ministro Profumo non avverta la necessità di interventi urgenti e di reperire risorse adeguate per consentire tutto questo e renderci competitivi in Europa”.

La strada sbagliata . Secondo Fioroni “nei periodi di crisi non serve la politica degli annunci e degli specchietti, ma fare le cose giuste al momento giusto. È del tutto evidente – prosegue – che interventi esclusivamente mirati a incentivare la competizione e garantire l’eccellenza per pochi dia un’idea sbagliata e diversa dalla Scuola della Costituzione. Questa prevede una comunità educante che recupera chi resta indietro e contemporaneamente stimola i migliori. Questa insistenza nell’ipotizzare un modello competitivo, senza nulla per le emergenze e i bisogni di tutti, dà l’idea di perseguire un disegno che vede una scuola di qualità per pochi e un nuovo avviamento professionale per i tanti”. “D’altronde, interventi per incentivare il merito già sono nel nostro ordinamento, ma non sono mai stati attuati da questo governo per mancanza di fondi” prosegue Fioroni che poi trova “singolare” ipotizzare “lo studente dell’anno” per ogni scuola “quando non si è mai recepita la normativa che prevede che l’accesso alle facoltà a numero chiuso non possa ignorare, come oggi avviene, il merito degli studi delle scuole medie superiori. Già fare questo sarebbe qualche cosa di più concreto di una benemerenza senza riscontro. Mi auguro – conclude – che il ministro abbandoni la strada del decreto per aprirsi ad un confronto serio e costruttivo sulle priorità e i bisogni della scuola italiana, evitando una conflittualità che non farebbe bene al governo”.

Puglisi: “Priorità da rispettare”. Alle critiche di Fioroni fa eco Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd: “In un momento di vera emergenza nazionale chiediamo a questo Governo di fare ciò che fanno le famiglie per bene: guardano a quanti soldi hanno in tasca per darsi delle priorità, a partire dai bisogni dei più piccoli e dei più deboli. Il Partito Democratico apprezza gli interventi fatti per la lotta alla dispersione scolastica attraverso fondi europei in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, ma l’abbandono che l’Europa ci chiede di dimezzare entro il 2020, riguarda tutto il Paese e in particolare le periferie delle grandi città. Nel solo Piemonte 1.820 ragazzini hanno abbandonato la scuola media quest’anno. Le priorità in questo momento per la scuola Italiana si chiamano scuola dell’infanzia, tempo pieno e lotta alla dispersione scolastica. Il ‘compito’ che l’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica attraverso la scuola è quanto di più lontano possiamo immaginare dal decreto che il Ministro Profumo vuole imporre per “coltivare” le eccellenze. Siamo il paese dei divari. E’ provato che una educazione prescolare offre migliori chance di recupero rispetto agli svantaggi di partenza. Eppure le liste d’attesa sono tornate ad esplodere in tutto il Paese. Anche in regioni come Emilia Romagna quasi 2.000 bambini restano a casa a tre anni, dopo aver frequentato il nido. Eppure l’Europa ci dice che la scuola dell’infanzia, seppure non dell’obbligo, è scuola e i bambini ne hanno diritto. Profumo prima risponda alle emergenze, compito che abbiamo affidato al governo dei tecnici, poi rifinanzi le norme per tenere le scuole aperte il pomeriggio e nei periodi estivi. Soprattutto non si possono toccare i pochi spiccioli che rimangono sul fondo per l’Autonomia scolastica. Già oggi sono stati tagliati i 2/3 dei fondi per fare i corsi di recupero. Per quel che riguarda il nuovo reclutamento, continuiamo a chiedere di stabilizzare coloro che da troppi anni stanno lavorando su posti vacanti. I nuovi concorsi siano banditi sulle classi di concorso già esaurite e no su posti inesistenti. Vi è bisogno di nuovi insegnanti per le scuole medie nelle materie tecnico scientifiche e matematiche. Il ministro abbandoni l’idea di un decreto che non risponde alle emergenze della scuola italiana, né alle richieste vere dell’Europa”.

03.06.12

“Lavoro e sicurezza, il modello emiliano è già ripartito”, di Massimo Franchi

Un viaggio discreto nei luoghi della distruzione. Nell’Emilia orgogliosa che vuole ripartire, ma in sicurezza. Cgil, Cisl e Uil dovevano essere a Roma a manifestare contro il governo. Hanno invece deciso di festeggiare la Repubblica venendo qua dove i lavoratori sono finiti sotto i capannoni e il lavoro rischia di scappare lontano. Hanno pranzato con gli sfollati e i volontari, hanno ascoltato e incitato i lavoratori e i sindacalisti locali, improvvisato comizi con il megafono di fianco ai camper e alle tende. Se il terremoto è stato quel «brutto lavoro che è stato», qui si vuole tornare al «buon lavoro che si è sempre fatto». L’orgoglio e il carattere delle genti di queste parti ha già fatto reagire l’intera popolazione: «Siamo tutti mobilitati». L’Emilia produttiva non è già più ginocchio. Si sta rialzando da sola. Ma farla ripartire «al più presto, ma solo in sicurezza» è l’imperativo. Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti partono da Bologna su un pullmino. Con le delegazioni ridotte all’osso scelgono di muoversi senza lampeggianti e con le scorte ridotte al minimo con la richiesta ai giornalisti di evitare di seguirli in tutti gli spostamenti. Arrivano a Marzaglia, il campo base della Protezione civile. Incontrano Franco Gabrielli e il governatore Vasco Errani e con loro fissano quel «patto sociale fra imprese e sindacati» che chiede subito «al governo di far partire gli ammortizzatori sociali» e di conciliare «rapidità e legalità», come sottolinea Camusso. Daex muratore Raffaele Bonanni spinge sul tasto «della necessità di una cooperazione fortissima per trovare accordi per garantire che il lavoro rimanga qui» e «perché la ricostruzione venga fatta nella legalità dalle aziende migliori». Luigi Angeletti invece sottolinea «la funzione essenziale del Commissario Errani che deve garantire i criteri di sicurezza nel far riaprire nel modo più veloce possibile». È una lotta contro il tempo, perché il rischio è quello di vedersi portare via il lavoro e non rivederlo più. «Il messaggio è che si può continuare a lavorare qui, non c’è da de localizzare, si può riaprire in tempi ragionevoli», ripete Susanna Camusso. Per farlo Errani ricorda che «c’è già un fondo di rotazione a tasso zero per tutte le imprese per interventi immediati per riavviare o ricostruire gli impianti spiega un accordo che sarà operativo nei prossimi giorni e che avverrà prima del riconoscimento dei danni, da fare in un secondo momento». Mentre per il settore bio-medicale, l’80% del quale è nel distretto di Mirandola, promette che «entro dieci giorni lo Stato pagherà tutte le fatture arretrate». Poi il pranzo al campo Friuli Venezia Giulia di Mirandola di fianco alla piscina. Qui il Cicerone è Alberto Morselli, segretario generale Filctem Cgil, ma soprattutto ex sindaco e «sfollato a Nonantola» che racconta fiero come la sua città «sta reagendo». Si vedono gru gigantesche già al lavoro sui capannoni industriali e qualcuno che ha già intonacato le crepe della casa o del negozio. Poi si passa nell’alto ferrarese, in quella Cento che indenne alla prima scossa è stata colpita duramente dalla seconda e ora ha 1.400 sfollati. Nell’arrivarci si passa davanti alla Wm, grande azienda metalmeccanica in cui, anche nel giorno di festa, si stanno facendo controlli per capire se e quando potrà ripartire l’attività produttiva. L’ultima tappa è a Crevalcore, comune della bassa bolognese più colpito della provincia dove il centro storico è tutta zona rossa e dove 3mila persone dormono fuori casa. Qua c’è la Magneti Marelli, la fabbrica Fiat che di punto in bianco, senza nessun preavviso e senza avvertire nessuno qualche giorno fa aveva deciso di caricare i macchinari e di portarli nell’altra sede di Bari. L’allarme lanciato via Facebook dalla Fiom ha bloccato il piano con il presidio degli operai a non far uscire i camion già caricati. E qui è successo un altro miracolo sindacale. Quando la proprietà ha convocato solo Fim Cisl e Uilm per discutere il da farsi, i sindacati che hanno sempre firmato tutto con Marchionne, hanno chiesto che questa volta la Fiom-Cgil non fosse esclusa. E così tutti i sindacati hanno bloccato unitariamente la fuga del lavoro e trovato un accordo verbale per mantenere la produzione a Crevalcore. «La paura l’abbiamo ancora spiega Francesco Di Napoli, delegato Fiom perché l’azienda continua a dire che se non riusciremo a soddisfare la commessa di pezzi di motore per la Fiat di Termoli, il trenta per cento della produzione sarà comunque spostata a Bari. Ma è un pretesto». Se ne riparlerà martedì, quando sindacati e imprese di Bologna si siederanno al tavolo per mettere a punto gli accordi del caso. Una conferma ulteriore: il modello emiliano è già ripartito.

L’Unità 03.06.12

"Nel Pdl cresce l'insofferenza per le "pazze idee" di Berlusconi", di Amedeo La Mattina

Per la prima volta la seconda carica dello Stato interviene nelle burrascose vicende del suo partito. Schifani non entra nel merito (si riserva di farlo nei prossimi giorni), ma è molto preoccupato per le prospettive del suo partito, per le spinte centrifughe che rischiano di farlo esplodere in tante liste civiche. E’ preoccupato per le intenzioni e le parole di Berlusconi, come quella dell’altro ieri sull’euro. «Da quando sono stato eletto presidente del Senato mi sono sforzato di garantire un ruolo di terzietà ma questo non mi impedirà di manifestare una mia analisi politica sullo stato di salute del Pdl che sarà approfondita, critica ma anche costruttiva. Per questo ruolo di terzietà non ho partecipato ad alcuna riunione, convegno e congresso fatto eccezione per la direzione che ha eletto segretario Alfano verso cui esprimo stima e fiducia». Schifani sostiene il segretario che non riesce ad essere l’interlocutore di Casini, Montenzemolo e di quant’altri stanno lavorando per riaggregare il consenso che fu del centrodestra. E questo non a causa del segretario del Pdl. Per la maggior parte della classe dirigente del Pdl il problema si chiama Berlusconi, che vuole svolgere il ruolo protagonista di «allenatore». Per non parlare della «pazza idea» di tornare alla lira se la Merkel non dovesse consentire alla Bce di stampare moneta.

Era prevedibile la retromarcia del Cavaliere: era una «battuta detta “intra moenia” con ironia». Che poi «venga scambiata per una proposta, è certamente grave per chi dice di fare informazione politica. Ma è preoccupante che venga presa a pretesto per costruirci sopra teorie stravaganti su presunte mie prossime mosse o per inventare una nuova linea politica mia o del Pdl». Insomma, è sempre colpa dei giornalisti e di quei politici che gli attribuiscono cattive intenzioni. Peccato che di questi politici è pieno il Pdl, non escluso lo stesso Alfano e quei pezzi maggioritario dello stato maggiore che non intendono seguirlo sulla strada del «grillismo di destra».

Così come considerano incompatibile il gioco di sponda di Daniela Santanchè che ha fatto un appello a non pagare l’Imu. Una linea tra grillismo e leghismo che fa a pugni con la necessità di sostenere il governo e predisporsi all’incontro con coloro che vogliono creare uno schieramento alternativo alla sinistra. Le uscite di Berlusconi sull’euro hanno irritato il Quirinale, Monti e Schifani, e ieri sono stati tantissimi i dirigenti che hanno chiesto al Cavaliere di fare marcia indietro, perché non è possibile che un ex premier dica quelle cose. E’ intervenuto il capogruppo Cicchitto per spiegare che «il problema di oggi non è tanto quello che un singolo Paese abbandoni l’euro, ma che vada in crisi il sistema in quanto tale».

Monti dovrebbe ingaggiare «un’aperta battaglia in sede Ue: questo è forse l’unico punto su cui sono d’accordo sia il Pdl sia il Pd». Cicchitto rimette la questione su un altro binario rispetto alle «provocazioni» di Berlusconi. E Osvaldo Napoli bacchetta la Santanché che con il suo invito a non pagare l’Imu sembra fare la grancassa alla posizione grilloleghista. «Il Pdl è un grande partito, candidato a governare l’Italia e non impegnato ad aizzare le piazze. Il Pdl vive e si riconosce nella linea del suo segretario Angelino Alfano». E non in quella movimentista di chi viene mandata avanti da Berlusconi: questo è il sospetto di molti dirigenti del Pdl che si preparano a mettere in chiaro una serie di cose. Tra le quali il fatto che il Cavaliere non può essere un allenatore.

Ma chi glielo dice che al massimo può fare il panchinaro? Si aspetta di sentire Schifani che teme le spinte centrifughe visibili alla riunione dei parlamentari. Su 365 invitati, ne erano presenti solo 168. Certo era venerdì e il fuggi fuggi era già scattato da due giorni, ma molti erano e sono alla fermata in attesa che passi l’autobus di Montezemolo o di altri. O sono sicuri di non essere ricandidati o eletti. E poi sapevano che probabilmente l’assemblea era stata convocata come legittimo impedimento della presenza del capo al processo Ruby.

La Stampa 03.06.12

"Cittadinanza, una legge possibile", di Livia Turco

E’ una buona notizia la calendarizzazione in aula du proposta del
PD per la fine di giugno della legge sulla cittadinanza. «Chi nasce e cresce in Italia è italiano» è una battaglia che il Pd ha condotto con grande determinazione e che intende perseguire fino al traguardo della modifica legislativa. La nostra è una battaglia che viene da lontano, il primo testo di legge di modifica (Turco, Violante, Montecchi) lo depositai personalmente nell’agosto del 2000 e raccoglieva l’elaborazione della Commissione per le politiche d’integrazione della Presidenza del consiglio dei ministri che il governo Prodi aveva insediato sulla base della Legge 40/98. Tale Commissione, presieduta dalla professoressa Giovanna Zincone, aveva promosso un’accurata ricerca e svolto un importante convegno (Febbraio 1999) che aveva riunito esperti, personalità politiche e religiose per discutere del tema della cittadinanza, con centrandosi in particolare sulla condizione dei minori.
Negli anni successivi, prima l’Ulivo poi il Pd, hanno sempre rinvenuto in questo tema una priorità. In questa legislatura, fin dai primi mesi, l’iniziativa di Claudio Bressa, Roberto Zaccaria, Sesa Amici, Jean-Leonard Touadì e Andrea Sarubbi nella Commissione affari costituzionali è stata incalzante. Si è arrivati al testo unificato elaborato dalla relatrice Isabella Bertolini, che noi abbiamo criticato perché non comporta nessun miglioramento significativo rispetto alla situazione attuale. Quest’iniziativa legislativa, è stata accompagnata da una mobilitazione dei «nuovi italiani» del Forum del Pd. La novità di cui il Parlamento nel suo insieme, e dunque anche i colleghi del centrodestra, devono tenere in considerazione, è il clima culturale nuovo che si è determinato nel Paese. La campagna «L’Italia sono anch’io», promossa da un cartello di sindaci ed associazioni, che prese le mosse due anni fa a Reggio Emilia, ha coinvolto numerosissime persone raccogliendo migliaia di firme. Un fatto importante e non scontato in momento difficile nella vita del nostro Paese che ha avuto il merito di sollecitare ciascuno di noi a guardare oltre se stesso, accorgersi per la prima volta che questi ragazzi e ragazze, nonostante siano come noi, non possono declinare la loro identità, non possono dirsi italiani e sono al contempo vittime di discriminazioni. Stranieri nel Paese dove sono nati e cresciuti. Insomma, quella raccolta di firme, è stata un’occasione di crescita culturale e civile del nostro Paese, sostenuta dalle parole importanti del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dalle iniziative di tanti sindaci che hanno conferito la cittadinanza onoraria ai giovani nuovi italiani. Dunque occorre stringere. Il Parlamento e tutte le forze politiche possono rapidamente trovare un accordo e compiere un gesto di saggezza verso il Paese, un gesto di speranza e di umanità che guarda al futuro dell’Italia e dell’Europa. Perché questo concetto è in gioco quando ci si pone la domanda «Chi è il cittadino italiano in questo terzo millennio?». Non è un omaggio agli immigrati o ai figli degli immigrati. È un tratto di identità culturale del nostro Paese. Noi legislatori, dobbiamo guardare all’Italia e al suo bene comune.
Ciò richiede che ciascuno deponga le armi, rinunci al suo progetto originario e si metta a disposizione per la costruzione di una soluzione condivisa, si individui un punto di incontro. Non è difficile. Bisogna innanzitutto rimuovere quel «risiedere ininterrottamente per 18 anni in Italia» come condizione per rivolgere domanda di cittadinanza. È l’aspetto più odioso della nostra legge che non ha eguali in Europa. Nella proposta del Pd si prevedono due ipotesi. Quando il figlio nasce in Italia da genitori stranieri che sono in Italia da 5 anni e dunque hanno un progetto d’integrazione, i genitori stessi possono chiedere la cittadinanza per il figlio che sarà poi confermata dal diretto interessato al compimento del 18esimo anno. Per i ragazzi/ragazze che arrivano in età scolare in Italia, la domanda di cittadinanza può essere presentata al termine del ciclo di studi.
Credo che una buona mediazione possa essere costruita valorizzando i percorsi di formazione e inclusione per fare sì che l’acquisizione della cittadinanza italiana ne sia espressione oltre che motore. L’ipotesi potrebbe essere quella di prevedere, anche per chi nasce in Italia, il legame tra frequenza scolastica e domanda al riconoscimento della cittadinanza per esempio prevedendo che i genitori stranieri, che vivono in Italia da cinque anni, possono rivolgere domanda di cittadinanza al momento del compimento del quinto anno di età, cioè al momento di inizio della scuola primaria. La scuola, come sappiamo, è il laboratorio di una nuova cittadinanza culturale attraverso l’esperienza quotidiana della convivenza tra ragazzi e ragazze provenienti da diverse origini e attraverso l’educazione interculturale. Quest’ultima dovrebbe diventare parte integrante nella programmazione e nello sviluppo dell’attività didattica di tutte le scuole italiane. Per chi arriva in Italia in età scolare la domanda di acquisizione della cittadinanza dovrebbe avvenire al compimento del primo ciclo scolastico. La scuola di oggi è lo specchio della società di domani, per ciò occorre rendere stringente il legame tra scuola e cittadinanza. Crediamo sia questa la chiave per una soluzione equilibrata. È importante che questa battaglia ricominci a vivere nel nostro Parlamento, così come in Europa, anche grazie alla mobilitazione promossa dal capogruppo Pd nel Parlamento europeo David Sassoli insieme a tutto il gruppo dei Socialisti e Democratici europei.

l’Unità 03.06.12

"Scuole inagibili Solo prove orali per l’esame di Stato", di Paola Benedetta Manca

Per le migliaia di studenti delle scuole emiliane danneggiate dal sisma, l’anno scolastico finisce qui. La data del 9 giugno, fissata per il termine delle lezioni, è stata cancellata con un colpo di spugna dal terremoto. Dai nidi alle superiori, la serrata è unica nelle province maggiormente colpite del Modenese, del Ferrarese e in qualcuna del Bolognese. Comuni come Cavezzo, Carpi, Medolla, Mirandola, Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Sant’Agostino, Cento e Crevalcore. Verrà garantito solo lo svolgimento degli scrutini e degli esami di Stato (delle medie e delle superiori) e i ragazzi si troveranno a sostenerli all’interno
di tendopoli o delle poche strutture scolastiche agibili, mentre diventa sempre più concreta l’ipotesi di ridurre l’esame alla sola prova orale, sull’esempio di quanto venne deciso all’Aquila dopo il terremoto. Niente esame scritto, dunque, già fissato dal Ministero per il 20 e 21 giugno. A confermare che il governo sta lavorando a questa soluzione, il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini e il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani, che è tornato a dare rassicurazioni su un inizio di anno scolastico regolare, a settembre. A Mirandola, nel modenese, la decisione di far svolgere solo la prova orale dell’esame di Stato sembra ormai presa. «La situazione è talmente drammatica che è impensabile far affrontare la prova scritta ai ragazzi – ha spiegato Carla Farina, responsabile comunale dell’Istruzione -. Dobbiamo essere pronti a gestire situazioni di panico e non abbiamo
aule. Occorre anche valutare la componente psicologica: da me vengono ragazzi che piangono». A Mirandola, gli studenti che devono sostenere la prova di fine anno sono circa 600: 400 delle superiori e 200 delle medie.
Sono almeno un’ottantina, in tutto, i plessi scolastici inagibili nella regione. Sul fronte del recupero degli edifici, il governo sta valutando la possibilità di dirottare in Emilia le risorse destinate alla ristrutturazione delle scuole con il decreto ministeriale del luglio 2010.
A Bologna e Modena, invece, si ritorna alla normalità. Nel capoluogo emiliano-romagnolo, dopo uno stop di quattro giorni, domani riaprono tutte le scuole, tranne due materne dichiarate inagibili: le «Molino Tamburi» e le «Tambroni», ma il Comune ha già trovato delle aule alternative in cui trasferire i bambini. Ha anche deciso di spostare 4 milioni dal piano degli investimenti per destinarli all’edilizia scolastica. Il sindaco Virginio Merola rinnova poi la richiesta fatta al governo – che risponderà entro l’11 giugno – di derogare il Patto di stabilità per l’edilizia scolastica, «in modo da poter provvedere all’ammodernamento e alla realizzazione di nuove strutture, alla manutenzione, alla messa a norma e alla riduzione del rischio». Anche a Modena, domani si torna in classe, con l’unica eccezione dell’Istituto d’arte Venturi, totalmente inagibile in entrambe le sedi, a causa delle lesioni gravi. Per i bimbi che frequentano dal nido alle elementari e per i ragazzi delle medie, la fine delle lezioni anticipata non porterà grandi cambiamenti. Più problematica la situazione degli studenti delle scuole superiori, soprattutto
di quelli che hanno una media scolastica traballante. A loro non rimane che affidarsi alla comprensione dei docenti. Ugolini, ieri, ha cercato di rassicurarli: «Devono stare tranquilli, la validità
dell’anno è garantita e negli scrutini si terrà conto del fatto che ci sono stati tanti giorni in meno». Non si tratterà, però, di una «sanatoria, ma di criteri che tengano conto della situazione». Il sottosegretario ieri ha indicato quattro priorità per le scuole colpite dal terremoto: garantire scrutini ed esami; ricostruire o rendere agibili gli edifici per assicurare il regolare inizio del prossimo anno scolastico e, nel frattempo, sostenere, tutte quelle attività messe in campo per non far sprofondare bambini e ragazzi nella paura e nella noia.

L’Unità 03.06.12