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"Delitti e castighi sul soglio di Pietro", di Corrado Augias

Più volte nel corso dei secoli il vento ha scosso la casa di Dio con raffiche anche più intense di quelle attuali. Più volte il fumo di Satana si è infiltrato nelle stanze più sacre dei sacri palazzi, come ebbe a lamentare Paolo VI.Un ambiente come quello vaticano sembra fatto apposta per scuotimenti e infiltrazioni data la sua scarsa trasparenza, l´ostinata paura di aprirsi al mondo, l´atmosfera che sempre si crea in una corte dove un sovrano assoluto regna su uomini senza famiglia e dipende dal suo favore l´intera loro vita. Il che spiega quasi da solo perché le storie vaticane abbiano dato vita ad un intero filone narrativo che vede nei romanzi di Dan Brown (celebre “Il Codice da Vinci”) solo gli ultimi esempi di un´amplissima casistica.
Uno degli esempi più antichi di violenza e tradimento consumati per la conquista del soglio di Pietro è quello di cui fu protagonista Benedetto Caetani che costrinse il suo predecessore Celestino V (Pietro da Morrone) ad abdicare per l´impazienza di salire al trono dove regnerà col nome, famigerato, di Bonifacio VIII (1235-1303). Il povero Celestino era un uomo umile e pio, certamente inadatto all´incarico. Ma la violenza con la quale il futuro Bonifacio lo scalzò rimane degna delle più sinistre tradizioni del potere. Dante infatti lo caccerà, ancora vivo, all´inferno.
Il periodo più fecondo dal punto di vista narrativo è quello rinascimentale quando la corte di Alessandro VI Borgia divenne sede di intrighi e di delitti commessi a volte alla stessa presenza del papa. Celebre l´episodio di quando Cesare, figlio del papa e fratello di Lucrezia, assalì nei corridoi vaticani un tal Pedro Caldes, detto Perotto, 22 anni, primo cameriere del pontefice proprio come il Paolo Gabriele di cui si parla in questi giorni. Perotto si tratteneva affettuosamente con Lucrezia cosa che rischiava di compromettere il matrimonio al quale la bellissima donna era stata destinata.
Un giorno che Perotto passava per un corridoio s´imbatté casualmente in Cesare. Intuì da uno sguardo ciò che stava per accadere e cominciò a correre gridando a perdifiato, inseguito dall´altro che aveva estratto il pugnale. La corsa ebbe termine nella sala delle udienze dove Perotto si gettò ai piedi del pontefice implorando protezione. Non bastò. Cesare si avventò su di lui trafiggendolo con tale impeto che “il sangue saltò in faccia al papa” macchiandogli di rosso la bianca tonaca.
Non solo delitti ma anche orge caratterizzavano in quegli anni la corte. Preti e cardinali mantenevano una o più concubine “a maggior gloria di Dio”, come scrive sarcastico lo storico Infessura, mentre il maestro di cerimonie pontificio Jacob Burchkardt nota che i monasteri di donne erano ormai “quasi tutti lupanari” poco o nulla distinguendo le religiose dalle “meretrices”.
Cronache vivacissime ha lasciato il protonotario apostolico Johannes Burchard. Racconta ad esempio che una sera, a una delle consuete feste date dal papa: «Presero parte cinquanta meretrici oneste, di quelle che si chiamano cortigiane e non sono della feccia del popolo. Dopo la cena esse danzarono con i servi e con altri che vi erano, da principio coi loro abiti indosso, poi nude». La serata si concluse come si può immaginare, il protonotario riferisce dettagli che richiamano altre e assai recenti serate di ugual tenore.
Del resto fu questo tipo di atmosfera, aggiunto alla vendita scandalosa delle indulgenze, a convincere il frate agostiniano Martin Lutero a proclamare quella Riforma (1517) che avrebbe drammaticamente spaccato la cristianità fino ai nostri giorni.
Per venire ad anni a noi vicini, una vasta eco ha sollevato una mossa assai ambigua dell´allora segretario di Stato Eugenio Pacelli. Nel 1939, papa Pio XI avrebbe voluto pronunciare un discorso nel decennale del Concordato dove tra l´altro avrebbe denunciato le violenze del regime fascista e la persecuzione razziale dei nazisti contro gli ebrei. Alla vigilia dell´importante allocuzione papa Ratti venne però a morte e Pacelli, che sarebbe stato suo successore, fece prontamente sparire il discorso avendo in mente un diverso tipo di rapporti con le due dittature. Divenuto papa a sua volta col nome di Pio XII, lo dimostrerà.
Intrighi e tradimenti all´ombra del trono di Pietro sono tutti accomunati da elementi rimasti invariati nel tempo: ritrosia a dare informazioni e addirittura a collaborare ad eventuali indagini, ostinati silenzi a costo di alimentare le ipotesi peggiori.
Se n´è avuta una prova in occasione della morte, altrettanto repentina, di Giovanni Paolo I, papa Luciani. Ancora una volta l´evento si verificò alla vigilia di una decisione importante con la quale il papa avrebbe riorganizzato la famigerata banca vaticana, in sigla Ior. Così oscure le circostanze dell´evento che i media anglo-sassoni avanzarono apertamente l´ipotesi di un assassinio. L´autopsia avrebbe probabilmente fugato le voci ma le gerarchie vaticane la rifiutarono preferendo mantenere un silenzio che le ha ulteriormente alimentate.
Il caso più grave di reticenza si è però avuto quando, la sera del 4 maggio 1998, tre cadaveri vennero trovati in una palazzina a pochi metri dagli appartamenti pontifici. Il colonnello Alois Estermann, 44 anni, comandante delle “guardie svizzere”; sua moglie, Gladys Meza Romero di origine venezuelana; il vice-caporale Cédric Tornay, nato a Monthey (Svizzera), 24 anni. Poche ore dopo il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls dette ai giornalisti questa versione: il caporale, in un accesso di collera incontrollata, aveva ucciso il colonnello e sua moglie per poi togliersi la vita. Invano l´avvocato francese Luc Brossolet ha fatto eseguire (in Svizzera) perizie che dimostrano l´incongruenza grossolana di quella versione. Da allora non è più stata cambiata.

La Repubblica 28.05.12

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“Il Vaticano è rimasto una corte medioevale e Ratzinger non ha più la forza di governarla”, di Andrea Tarquini

Dedica ogni giorno ore e ore alla scrittura di libri ma così non è in grado di guidare la Chiesa Invece di ricucire con gli ultratradizionalisti dovrebbe avvicinarsi alle chiese riformate e all´ambito ecumenico «È una situazione molto grave e dolorosa, e come si dice in tedesco mancano cinque minuti alla mezzanotte: il tempo massimo non è ancora scaduto per salvare la Chiesa e la Fede dal sistema della Curia romana». Il professor Hans Küng, forse il massimo teologo ribelle del nostro tempo, in gioventù amico e compagno di studi di Benedetto XVI. Analizza così a caldo lo scandalo del Vaticano. Ascoltiamolo.
Professor Küng, quanto è grave secondo lei la situazione creatasi in Vaticano con lo scandalo della fuga di notizie?
«È triste quando, proprio in coincidenza con la festa dello Spirito Santo, dal Vaticano apprendiamo di tanti eventi e comportamenti avvenuti là, che davvero non sono proprio qualcosa di santo né di sacro. Gli scandali relativi alle fughe di notizie confidenziali ad opera del servitore di camera, le questioni che hanno investito la banca Ior, e anche in contemporanea l´intenzione apparente di papa Benedetto di andare alla riconciliazione con la confraternita dei fratelli di San Pio X (ndr: gli ultraconservatori epigoni di monsignor Lefèbvre) secondo la mia opinione tutto questo purtroppo è un insieme di eventi, scelte, tendenze che fa parte di un tutto, non sono casi isolati l´uno dall´altro».
E lei che opinione ha maturato di questa situazione, che lei appunto descrive come coincidenza di eventi legati l´un l´altro?
«Tutti questi eventi mi appaiono come sintomi della crisi di un sistema intero nel suo complesso. Io parlo del sistema della curia romana, del sistema romano delle cui caratteristiche negative soffre la Chiesa cattolica tutta, nel mondo intero. E naturalmente questi eventi contemporanei danno l´impressione di una incapacità papale. Di avere a che fare con un pontefice incapace. Su questo ho appena scritto un libro, “Salviamo la Chiesa”, in Italia sta per uscire. Quel che mi sta a cuore è approfondire la problematica dell´indispensabile riforma della Chiesa».
Lei cioè intravede sullo sfondo anche un problema personale per Benedetto XVI?
«Sicuramente sì. C´è anche questo. Egli dedica ore e ore ogni giorno alla scrittura di libri, anziché governare la Chiesa. E nei ranghi della Curia è diffusa l´opinione che egli non governa. Se vuole scrivere libri, avrebbe fatto meglio a restare un grande professore e teorico».
Perché parla al tempo stesso di crisi strutturale, di sistema?
«Perché la struttura e l´organizzazione della Curia romana cerca facilmente ma invano di ingannarci, di nascondere il fatto-chiave: che il Vaticano nel suo nocciolo è restato ancora oggi una Corte. Una Corte al cui vertice siede ancora un regnante assoluto, con costumi e riti medievali, barocchi e a volte moderni e tradizioni cristallizzate, consuetudini. Nel suo cuore il Vaticano è rimasto una società di Corte, dominata e segnata dal celibato maschile, che si governa con un suo proprio codice di etichette e atmosfere. E quanto più ti avvicini al principe regnante salendo nella carriera ecclesiastica, tanto più in prima linea non vale e non conta più la tua competenza, la tua forza di carattere, le tue capacità e talenti, bensì conta che tu abbia un carattere duttile con una capacità di adattarsi soprattutto ai voleri del regnante. È lui solo, il regnante, a stabilire se tu sei persona grata o invece persona non grata».
E più specificamente, i problemi della Banca vaticana?
«Il Vaticano vive in gran parte di donazioni dei fedeli, da spese delle Diocesi. E amministra miliardi di euro di risparmi di istituzioni ecclesiastiche, di ordini e diocesi di tutto il mondo, e pone gli utili a disposizione del Papa. Quanto fu chiesto al Cremlino lo si può chiedere anche al Vaticano: primo la glasnost, cioè trasparenza, il Vaticano dovrebbe preoccuparsi per primo della Trasparenza degli affari finanziari davanti all´opinione pubblica. E secondo la perestrojka, ricostruzione, ristrutturazione: il Vaticano dovrebbe ristrutturare le sue finanze e riorientare i fini della sua politica finanziaria. E infine ma non ultimo, la riconciliazione con l´ordine di Pio X. Il Papa accoglierebbe definitivamente nella Chiesa vescovi e sacerdoti la cui consacrazione non è valida, in base alla Costituzione apostolica di Paolo VI, Pontificalis romani recognitio, del 18 luglio 1968 le ordinazioni sacerdotali ed episcopali compiute da Lefebvre sono non solo illecite ma anche nulle. Piuttosto che riconciliarsi con quella confraternita ultraconservatrice, antidemocratica e antisemita, il Papa dovrebbe preoccuparsi della maggioranza dei cattolici che è pronta per le riforme, e della riconciliazione con tutte le chiese riformate e con tutto l´ambito ecumenico. Così unirebbe anziché dividere».
Secondo un´analisi così pessimista non è tardi per salvare questo Pontificato e la credibilità del Vaticano?
«Mancano cinque minuti appena alla mezzanotte, ma la mezzanotte non è ancora scoccata. Un solo atto costruttivo di riforme lanciato da questo Papa aiuterebbe a ristabilire la fiducia. Io spero che il mio ex collega Joseph Ratzinger non resterà nella Storia della Chiesa come un papa che non ha fatto nulla per la riforma della Chiesa».

La Repubblica 28.05.12

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“Confesso: uno dei corvi sono io lo facciamo per difendere il Papa e denunciare il marcio della Chiesa” di Marco Ansaldo

Siamo un gruppo: le vere menti sono porporati, poi ci sono monsignori, segretari, pesci piccoli Il maggiordomo è solo un postino che qualcuno ha voluto incastrare. Le carte escono fuori a mano. L´intelligence vaticana ha sistemi di sicurezza più evoluti della Cia, ma i cardinali sono ancora abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli
Il pontefice è molto amico di Gotti Tedeschi: quando ha saputo che era stato licenziato dallo Ior si è messo a piangere Poi però si è arrabbiato e ha reagito: la verità verrà a galla, ha detto
Ormai è diventata una guerra di tutti contro tutti. E c´è una fazione che ha messo nel mirino perfino padre Georg, il segretario di Ratzinger, per il suo ruolo di consigliere
«Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori e i pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i “corvi” ci sono anche le Eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo, e fa arrestare la manovalanza, “Paoletto” appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c´entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta».
Un quartiere alto di Roma nord, un tavolino di un bar, sempre un po´ di traffico intorno. All´ora di pranzo di una domenica mattina finalmente tersa uno dei “corvi”, gli autori della fuoriuscita di lettere segrete dalla Santa Sede, spiega i dettagli dell´operazione.
«Chi lo fa – dice subito – agisce in favore del Papa».
Per il Papa? E perché?
«Perché lo scopo del “corvo”, o meglio dei “corvi”, perché qui si tratta di più persone, è quello di far emergere il marcio che c´è dentro la Chiesa in questi ultimi anni, a partire dal 2009-2010».
Ma chi sono? Chi siete?
«Ci sono quelli che si oppongono al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Quelli che pensano che Benedetto XVI sia troppo debole per guidare la Chiesa. Quelli che ritengono che sia il momento giusto per farsi avanti. Alla fine così è diventato un tutti contro tutti, in una guerra in cui non si sa più chi è con chi, e chi è contro».
La persona è tormentata. Vuole parlare, ma allo stesso tempo ha paura, e ha forti dubbi. Niente nomi da pubblicare, ne andrebbe della sua sicurezza. Molti silenzi, molti sguardi. «Posso fidarmi di lei? Questa cosa è terribilmente delicata». Proviamo.
Com´è nata la fuga dei documenti dal Vaticano?
«Nasce soprattutto dal timore che il potere accumulato dal Segretario di Stato possa non essere conciliabile con altre persone in Vaticano».
Ma c´è anche una pista dei soldi?
Una mano nei capelli, gli occhi guardano intorno, le mani tormentano un anello.
«C´è sempre una pista dei soldi. Ci sono anche interessi economici nella Santa Sede. Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po´ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po´ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne».
Le macchine intorno strombazzano. Due cani finiscono per azzannarsi. Cambiamo posto. Saliamo. Altro bar, giardino all´interno, un po´ di quiete. Il discorso prosegue più fluido.
«Che cosa è successo a quel punto? Viganò scrive al Papa denunciando episodi di corruzione. Chiede aiuto, ma il Papa non può far nulla. Non può opporsi perché questo significherebbe creare una frattura pubblica con il suo braccio destro. Pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò. O meglio, finge di sacrificarlo perché, come si sa, la nunziatura di Washington è quella più importante. Così i cardinali capiscono che il Papa è debole e vanno a cercare protezione da Bertone».
Che cosa fa a questo punto il Pontefice?
«Il Papa capisce che deve proteggersi. E convoca cinque persone di sua fiducia, quattro uomini e una donna. Che sono i cosiddetti relatori. Gli agenti segreti di Benedetto. Il Papa cerca consiglio da queste persone affidando a ciascuno un ruolo, e alla donna quello di coordinare tutti e cinque».
C´è una donna che aiuta il Papa in questo?
«Sì, è la stratega. Poi c´è chi materialmente raccoglie le prove. Un altro prepara il terreno, e gli altri due permettono che tutto ciò sia possibile. In questa vicenda il ruolo di queste persone è stato quello di informare il Papa su chi erano gli amici e i nemici, in modo da sapere contro chi combattere».
E intanto la fuoriuscita dei documenti come va avanti?
«Cominciano a uscire. Sono individuati dei canali e dei giornalisti».
Come escono?
«A mano. L´intelligence vaticana, che ha sistemi di sicurezza integrati nei sotterranei del Palazzo apostolico guidati da un giovane ex hacker di 35 anni, e sono addirittura più evoluti della Cia, con sistemi sofisticatissimi, non possono farci nulla. Perché i cardinali sono abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli. Li fanno poi recapitare a chi vogliono brevi manu. E i documenti fuoriusciti sono lo strumento con cui si sta combattendo questa guerra. L´obiettivo primario era quello di colpire il Papa. Di fiaccarlo e convincerlo a mollare le questioni politiche ed economiche della Chiesa. Bisognava reagire».
E il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, letteralmente cacciato?
«È accaduta la stessa cosa. Eppure era vicinissimo al Papa: hanno steso insieme l´enciclica Caritas in veritate. Gotti non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior. E così anche le operazioni che fallivano, come la legge antiriciclaggio o la scalata per il San Raffaele. Bertone si ingelosisce, accusa Gotti, e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento di Gotti, si è messo a piangere per “il mio amico Ettore”».
Il Papa che piange?
«Sì, ma poi si è arrabbiato moltissimo e ha reagito dicendo che la verità su questa vicenda sarebbe venuta fuori».
Ma non si poteva opporre?
«Avrebbe potuto farlo, ma opporsi avrebbe significato una frattura clamorosa con il suo Segretario di Stato».
E poi, il giorno dopo?
«E il giorno dopo il Papa è stato nuovamente colpito, e nel personale, quando è stato arrestato Paoletto. Ora il Papa è disperato. Ma Paoletto non è il corvo, i corvi sono tanti, tutt´al più è stato usato da qualcuno».
Hanno detto di Gotti che è uno dei corvi.
«Gotti è una persona onesta, che tace, come ha fatto anche nel mezzo dell´indagine della magistratura sullo Ior. E come sta facendo adesso dopo la sua defenestrazione. Non si è prestato a nessun gioco, non è lui il corvo».
Anche padre Georg, il segretario del papa, è nel mirino?
«Per una fazione è stato uno degli obiettivi da colpire: rappresenta oggi più che mai l´elemento di congiunzione fra tutti i dicasteri all´interno del Vaticano e il Papa, fa da filtro, decide e consiglia il Papa».
Siamo ormai da tre ore a colloquio, in pieno pomeriggio, al terzo caffè. La persona è molto informata, conosce dettagli, meccanismi, persone interne alla Santa Sede come pochi.
Perché ha deciso di uscire allo scoperto?
«Per far emergere la verità. E quindi far cessare la gogna mediatica alla ricerca estrema di un colpevole nelle vesti di un corvo (il maggiordomo), di un prete (don Georg), o di un alto funzionario o di un cardinale (Gotti, il cardinale Piacenza o altri). Il ruolo fondamentale della Chiesa è di difendere il valore del Vangelo, non quelli di accumulare potere e denaro. E quello che faccio è fatto in nome di Dio, io non ho paura».

La Repubblica 28.05.12

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“A San Pietro un popolo disorientato” di Federico Geremicca

Ver-go-gna, ver-gogna, ver-go-gna». Le urla cattive si alzano dalla piazza assieme ai palloncini bianchi ai quali è legata la solita foto – foto di trent’anni fa – di Emanuela Orlandi. Il Papa è lassù, in alto, come al solito troppo in alto per poter sentire il coro che si leva, ora che è mezzogiorno. Protesta e gesticola Pietro, il fratello di Emanuela. E protestano e urlano i cittadini arrivati per l’ennesima volta fin qui a chiedere verità e giustizia. E’ vero, ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. Per Papa Ratzinger e la sua cittadella assediata, questa è una di quelle: e al di là delle mura, anzi, cancellerebbero con un amen l’intera settimana, se solo si potesse.
Ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. E fatti che si vorrebbe scolorissero in fretta. I fatti, solo gli ultimi fatti, sono questi: il presidente del potentissimo Ior rimosso dal suo incarico come un fannullone qualunque, sepolto da accuse infamanti, infedele e sfaccendato; il maggiordomo del Papa spiato, perquisito e arrestato per aver «passato ai media» documenti riservati e personali del Santo Padre: alla stregua di un cancelliere infedele che distribuisca intercettazioni e verbali a questo o a quel cronista.
Guerra tra bande Verrebbe voglia di non crederci: e la voglia riguarda tutti, atei e fedeli. E invece, purtroppo, in questa piazza San Pietro inondata di sole, non solo ci credono, ma ricordano quando la Chiesa si divideva – è vero – ma su ben altro: se sostenere e come Solidarnosc, oppure cosa fare con quei «ribelli» della teologia della liberazione. Oggi, in quelle stesse stanze drappeggiate di scuro, si trama per il controllo di una banca, tutto è ridotto a una guerra per bande bande sante, naturalmente – e si corrompono e utilizzano funzionari infedeli e (pare) senza scrupoli. Come in un film. E proprio come al di là delle mura benedette.
Che è pur sempre una spiegazione, oltre che una inevitabile constatazione. E che magari può aiutare a capire l’incredulità, lo smarrimento e la rabbia – la rabbia anche, certo di un altro popolo che si sente tradito, e che quasi non ci crede. E’ una suggestione che si insinua ascoltando una signora anziana, nonna Luigina, arrivata fin qui da un paesino vicino Como: «E’ che al Papa – dice sicura – lo vogliono fregare come hanno fregato su da noi l’Umberto. Guai a fidarsi dei figli, dei maggiordomi e ascolti me: anche delle mogli le dico… ». Un popolo disorientato, quello di Piazza San Pietro, come disorientato è il «popolo di Pontida», una fede tradita, due fedi tradite, e non capisci ancora né come nè perché.
Senso di vergogna La lotta – presunta – tra il cardinal Bertone e il Papa, come la lotta – accertata – tra il «cerchio magico» e il resto della Lega. E la delusione del popolo di San Pietro un senso di vergogna – che fa tornare in mente lo smarrimento rabbioso del fu popolo berlusconiano, di fronte all’inefficienza e ai bunga bunga, un Paese che tira la cinghia e gli altri che ballano, cantano e si travestono. Può sembrare un paradosso unire così il sacro e il profano: ma le mura sante del Vaticano sembrano non bastar più ad arginare la «crisi parallela» della più antica istituzione del mondo.
«La fede non basta» E’ quel che teme Marco, che ha i capelli scuri, è giusto al centro della piazza e veste una maglietta nera con la scritta «Viareggio Marineria». E’ preoccupato, e guarda con timore un angolo di folla che rumoreggia: «E’ terribile. Se diventiamo come gli altri è finita ed è terribile. La fede da sola non basta, perché non può camminare sulle gambe di gente cattiva e di uomini infedeli». Il Papa, intanto, è lassù e parla. Prima, dentro San Pietro, aveva celebrato la Pentecoste con parole amare: «Sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi… C’è un senso di diffidenza, di sospetto e di timore reciproco che ci fa diventare pericolosi gli uni per gli altri».
E’ quel senso di diffidenza – quella mancanza di orizzonti certi e di fiducia, insomma – che l’Italia laica conosce già. Ora, questa maledetta crisi di credibilità sembra investire – autoinvestire – anche la cittadella circondata da mura sante. Come se la Chiesa fosse un partito e il Papa il suo segretario, ombre tetre si allungano sugli uomini a lui più vicini: che siano leader anch’essi, che siano tecnici arrivati dal mondo dell’economia e delle banche, che siano amici e servitori del cerchio stretto che vigila sul Santo Padre. Non è che ci si debba soprendere chissà quanto, dopo la sconfinata bibliografia (e filmografia) sui misteri, gli scandali ed i segreti del Vaticano: però sia lecito e sia lecito soprattutto al popolo che riempie questa piazza – dirsi sconcertato e ferito dall’idea che corvi neri abbiano preso (ripreso) a volteggiare dentro le mura sante, come fossero un tribunale, una Procura o perfino la sede di un partito.
Il viaggio a Milano Lassù – intanto – il Papa parla, annuncia un viaggio a Milano, saluta i fedeli in più lingue, ringrazia e rende omaggio alle forze di polizia per il loro «compleanno» e perfino alla Federazione di tiro con l’arco. I palloncini con la foto di Emanuela Orlandi gli passano quasi davanti e salgono al cielo, segno di un passato che continua a inseguire un incerto presente. Il fratello Pietro aspettava dal Papa un segno, una parola. Ma il vento impiega un attimo a portar via la foto. E’ mezzogiorno e un quarto, la messa è finita: e chi riesce, allora, vada in pace..

La Stampa 28.05.12

"L´appuntamento mancato di Montezemolo", di Ilvo Diamanti

Mai come oggi lo spazio politico, in Italia, è apparso tanto aperto. Almeno dai primi anni Novanta, quando la Prima Repubblica affondò travolta dalla caduta del Muro di Berlino e da Tangentopoli. Così, mentre si consuma il declino di Berlusconi, molti soggetti politici premono alle porte, per fare il loro ingresso ufficiale sulla scena politica. Tra essi, Luca Cordero di Montezemolo. Una novità relativa, perché la sua “discesa in campo”, in effetti, era attesa e annunciata da tempo. Da 5-6 anni almeno. Montezemolo, da parte sua, non aveva mai negato. Anzi. D´altronde, erano in tanti ad attenderlo. Da (centro) destra a (centro) sinistra. Oltre che, ovviamente, al centro (senza parentesi). La questione, mai chiarita, era se sarebbe sceso in campo da solo, come leader, al servizio di un governo o di una coalizione. Oppure alla guida di una formazione. Ha sempre rinviato. Per prudenza o per tattica. O per entrambi i motivi. Ha valutato che i tempi non fossero maturi. Che il rischio fosse troppo elevato. Nel frattempo, ha promosso un´associazione, Italia Futura, attraverso cui ha espresso – e marcato – la propria presenza sulla scena politica nazionale. Ora, però, la (lunga) attesa sembra finita. Berlusconi si è spostato ai margini del gioco. Per scelta e, prima ancora, per costrizione. A centro-destra, così, si è creato un vuoto simile a quello del 1992. Perché nessuno, nel Pdl, è in grado di rimpiazzare Berlusconi. Mentre a centro-sinistra il territorio è, comunque, controllato dal Pd. E più in là non c´è spazio, per la sua offerta. Visto che, francamente, non ce lo vedo Montezemolo a contendere i voti a Vendola e Diliberto. Il centro, infine, resta uno spazio elettorale angusto. Peraltro, presidiato da leader politici – Casini e Fini su tutti – ben decisi a non cedere il comando a qualcun altro. Per quanto popolare, come Montezemolo. Il quale guarda, anzitutto, agli orfani del Pdl. Dispersi e sperduti, dopo il declino di Berlusconi. Ma anche ai “disorientati” di centro e agli insoddisfatti del Pd. Conta, dunque, sull´inadeguatezza di un sistema partitico imperniato su “imprenditori politici” incapaci di soddisfare la domanda del mercato elettorale. Come hanno dimostrato le recenti elezioni amministrative, segnate da alti tassi di astensione. Come, peraltro, segnalano, da tempo, i sondaggi, che rivelano l´esistenza di una quota di indecisi molto ampia. Pari a quasi metà degli elettori. Perlopiù, ma non solo, di centrodestra.
Tuttavia, ho l´impressione che l´annuncio di Montezemolo – peraltro non ancora ufficiale – arrivi comunque tardi. Non perché i concorrenti, nei settori del mercato elettorale a cui intende rivolgersi, siano più credibili di lui. Non è così, a mio avviso. Il problema è un altro. È finito il tempo dei “politici imprenditori”. E degli “imprenditori politici” come alternativa ai “politici di professione”. I quali sono, sicuramente, fuori gioco, in questa fase. Delegittimati dalla pessima immagine che hanno dato – e continuano a dare – di sé. Mai tanto impopolari fra gli elettori. Tuttavia, mi pare conclusa anche l´era degli imprenditori a capo dell´Azienda-Italia. Mito e modello di un Paese che aveva conquistato il benessere, ma anche un ruolo importante sui mercati internazionali. Berlusconi, prima e meglio di tutti, ha interpretato quella fase. Per quasi vent´anni. Il Signore dei media e dei sondaggi: si è rivolto agli italiani – molti, moltissimi – che sognavano di diventare come lui. Titolari di imprese, piccole e piccolissime. Oppure di partita Iva. Lavoratori autonomi e lavoratori tout-court. Ha attratto il consenso della gente “comune”, che si identificava in lui. Nelle virtù ma anche – forse soprattutto – nei suoi vizi. Guardati, comunque, con indulgenza. (Perché siamo tutti peccatori… ).
Quei tempi sono finiti. Non è solo una questione di stile. Ma di rappresentanza. Ho l´impressione, infatti, che l´imprenditore non costituisca più un modello sociale – praticabile e realista. Ma neppure un riferimento, com´era nel passato recente, in tempi di economia affluente. Perché il tempo della crescita e delle attese di crescita infinita è finito. La crisi ha azzerato ogni attesa. E chi le aveva alimentate e incarnate contro ogni evidenza. Fino all´ultimo. Il declino di Berlusconi si spiega anzitutto così. Prima e più ancora che per motivi politici (e) personali. Perché è finita l´era delle promesse e dei partiti personali, guidata dagli Imprenditori Politici. Questo è il tempo degli imprenditori im-politici. È l´epoca degli “esperti”. Dei governi tecnici e “senza passione”. Come Monti. Algido interprete dell´emergenza dettata dai Mercati. Ma è anche l´epoca dei “Tribuni”. Non in senso spregiativo, ma letterale (e storico): coloro che esercitano la rappresentanza delle domande – e delle insoddisfazioni – popolari. Che mobilitano le passioni “contro” i poteri politici ed economici. Come ha fatto Beppe Grillo. Il quale ha aggiunto, di proprio, una grande competenza nella comunicazione – nuova, ma anche tradizionale. Fra i primi ad andare nella Rete. Fra i più efficaci nel mobilitare le piazze e nel riempire i teatri. Grillo, infatti, non ha replicato la “forma partito” tradizionale. Ma neppure quella, recente, del “partito personale”. Ha, invece, “personalizzato” e messo in comunicazione gruppi, esperienze e leader locali, attivi sulla rete e sul territorio. (Certo, per lui le difficoltà cominciano ora. Ma, intanto, ha imposto un marchio e un modello.)
Certo, Montezemolo è un imprenditore atipico. Alla guida di un´azienda storica e innovativa, al tempo stesso, come la Ferrari. Di grande appeal. Per non parlare della sua ultima impresa: Italo. Il treno ad alta velocità che sfida il Monopolio dello Stato. Egli, tuttavia, mi pare legato all´epoca precedente, quando ha fatto il presidente di Confindustria. Al tempo di Berlusconi. Di cui è apparso – di fronte agli imprenditori, ma anche agli elettori – un´alternativa possibile e verosimile. Per stile e retroterra economico. Montezemolo. Poco Pop. Legato alla tradizione della grande impresa industriale torinese. L´Anti-Berlusconi. Venne spiazzato dallo showdown di Vicenza, al convegno del 18 marzo 2006, vigilia del voto. Quando Berlusconi tornò ad essere il Caimano. E si riprese la piazza. Contro Prodi. Ma anche contro chi, come Montezemolo, pensava di isolarlo dal “suo” popolo. Gli imprenditori.
Ecco: penso che Montezemolo fosse adatto a interpretare, al meglio, l´alter-berlusconismo al tempo del berlusconismo. Ma al tempo del post-berlusconismo: mi sembra fuori tempo.

La Repubblica 28.05.12

"Scuola pubblica e di qualità per frenare la fuga dei giovani", di Luca Tobagi

D. è uno scienziato di 32 anni, età in cui in Italia si è ancora considerati ragazzi. Dopo la laurea, ha vinto il concorso per dottorato di ricerca nell’università statunitense in cui aveva scritto la tesi. Proseguito e completato con successo il suo ciclo di studi, ora svolge e pubblica ricerche di impatto globale. Da poco è stato nominato professore in quella stessa università, che ha voluto tenersi stretto un talento cercato fuori e coltivato al suo interno, e sta per avviare un nuovo laboratorio.
Una storia già sentita, un insostenibile doppio spreco. Spreco di denaro pubblico, perché D. ha frequentato scuole pubbliche italiane, quindi la sua istruzione è stata finanziata da tutti noi. E spreco di futuro: crescita e benessere divengono miraggi, se il nostro Paese priva parte delle sue migliori intelligenze di prospettive domestiche.
Alla fine dell’anno scorso, l’istituto I-Com presentò uno studio sul valore economico dei cervelli in fuga, calcolando i proventi generati dai brevetti attribuibili all’attività intellettuale di scienziati italiani all’estero, e stimando la perdita per il Paese in quasi 4 miliardi di euro su un arco di 20 anni. Oltre ai numeri, vi sono due aspetti «ambientali» da tenere presenti.
Il primo riguarda il contesto in cui i giovani crescono. L’inaridimento del percorso formativo, la scarsità di risorse per lo studio, l’irrigidimento dello sviluppo professionale frenano la mobilità sociale e possono essere frustranti per chi ha un atteggiamento più propositivo e innovativo. Ciò non solo alimenta la fuga di cervelli, ma scoraggia anche le iniziative imprenditoriali. Dare prospettive ai giovani che abbiano voglia di impegnarsi e lavorare seriamente (il che presuppone capacità e volontà, non scontate, di riconoscerli e selezionarli) è essenziale.
In secondo luogo, i brevetti vengono valutati, ma potrebbero davvero essere sviluppati in Italia? Di quanti benefici della ricerca l’intero sistema-Paese, e non solo l’inventore, potrebbe appropriarsi? Servono decisioni politiche di lungo periodo, volte a costruire un’infrastruttura e un indotto per le attività scientifiche o ad alto valore aggiunto, privilegiandole rispetto ad altre. Non sempre il progresso nasce da condizioni ostili, spesso all’innovazione giova un ambiente accogliente. Sette anni fa consegnai al presidente di un’importante azienda italiana, che conoscevo per motivi professionali e che aveva espresso grande stima per mio padre, una raccolta di suoi scritti. Egli ricordò quanto giovane fosse mio padre quando iniziò a scrivere, e disse che, quando si possiedono talento e una forte volontà, le opportunità per emergere si presentano sempre. Manifestai perplessità, poiché ritenevo che l’Italia del 2005, rispetto agli anni 60, non offrisse particolari opportunità per i giovani. Da allora, com’è noto, le cose sono peggiorate. Non esiste un diritto delle nuove generazioni a vivere meglio di quelle che le hanno precedute: la spinta a dare il meglio di sé non può essere ricevuta dall’esterno, ma solo nascere all’interno di ognuno di noi. Ma limitare la possibilità dei giovani di valorizzare le proprie capacità, in primo luogo attraverso lo studio, in una scuola che sia pubblica, di qualità, esigente, orientata al lavoro, motore di mobilità sociale, significa asfissiare lentamente il nostro Paese. Esempi vecchi, come quello di mio padre, e recenti, come quello di D. e tanti altri, ci ricordano che non è troppo tardi per cambiare direzione. Basterebbe capirli.

Il Corriere della Sera 28.05.12

"I sindaci del sisma: Monti non ci abbandoni", di Nicola Luci

Alle 4.04 di otto giorni fa, una scossa di magnitudo 5.9 ha sconvolto l’Emilia tra Modena e Ferrara. Case crollate, quattro morti, per la prima volta anche la pianura padana si è dovuta misurare con la paura di un terremoto. Che continua. Le scosse non danno pace. Sono di bassa intensità ma ci sono. presenti, continue, sono entrate a far parte della quotidianità di questa gente. Molte le abitazioni lesionate, circa settemila gli sfollati. Pur tra mille difficoltà, gli abitanti vogliono andare avanti. Ma hanno paura di essere abbandonati. Il sindaco di
Finale Emilia, Fernando Ferioli, lo dice senza mezze parole: «non dalla nazione, che ci sta dando grande prova d’affetto. Il problema è il governo centrale». Con la G maiuscola come a segnare
una sorta di distanza. Il problema più sentito nelle zone sconvolte dal sisma, spiega, è il lavoro: «non ci abbandonate da questo punto di vista». Perché ben vengano le sospensioni di tributi come l’imu «ma se poi non hai il lavoro…». Tanto varrebbe consentire di utilizzare quel che si risparmia con la sospensione dei pagamenti per «far ripartire l’azienda, la fabbrica, riparare il capannone. Abbiamo bisogno di questo, e ne abbiamo bisogno in fretta». Non teme invece il sindaco di essere
lasciato solo dalla regione emilia-romagna. «Con Errani c’è un contatto diretto. So come raggiungerlo.Con lui ho un buon rapporto, si è detto disponibile 24 ore su 24, e gli credo. Ma è arrivare a livello superiore che mi preoccupa».
In attesa senza sosta va avanti la messa in sicurezza degli edifici. Nella zona di Bondeno (Ferrara) hanno demolito in modo «controllato» la cima della ciminiera alta 45 metri. Risaliva al 1916 ed era parte di una fabbrica per la trasformazione del pomodoro, oggi in disuso e pericolante. Il sisma aveva provocato fratture e torsioni dell’ultimo pezzo delle torre, che ad ogni nuova scossa rischiava di cadere sulla provinciale 69, la Virgiliana che va da Ferrara a Mantova. Sono in tanti a lavorare per rimettere in piedi questo fazzoletto d’Emilia. I tecnici cartografici della provincia di moMena, per esempio, hanno fatto una mappatura dei beni culturali a rischio, informatizzata e «georeferenziata». Servirà a guidare gli interventi per la salvaguardia. Ma per aiutare la gente ferita dal terremoto sono scesi in campo anche gli psicologi della associazione Rivivere, specializzati nel supporto in momenti traumatici, guidati da Francesco Campione, docente di psicologia delle situazioni di crisi della scuola di specializzazione dell’università di Bologna. Ieri sera hanno incontrato le vittime a Crevalcore, uno dei paesi del bolognese più colpiti, e a San Felice sul Panaro per offrire il loro aiuto gratuito. Si guarda avanti, tenendo però bene in mente quello che è successo. Oggi, in tutti i luoghi di lavoro di Modena alle 15 ci sarà una fermata simbolica per i funerali di Nicola Cavicchi, uno dei quattro operai morti a causa del sisma. Così Cgil della città emiliana ha deciso
di accogliere l’invito delle segretarie nazionali Cgil Cisl e Uil ad organizzare stop simbolici.

Nel frattempo nascono nuovi campi di accoglienza. Uno è stato creato a San Carlo (ferrara), un altro a Medolla (Modena). S San Carlo, frazione di Sant’Agostino, particolarmente colpito dal fenomeno della liquefazione delle sabbie, è stato allestito tra ieri e oggi un campo per il centinaio di famiglie evacuate per motivi di sicurezza due giorni fa. Il campo può ospitare fino a
250 persone. Ora ne assiste circa cento. Il secondo campo è in corso di allestimento a Medolla, nel modenese. Dotato di circa 250 posti, accoglierà cittadini di Medolla, di Cavezzo e di San Prospero ed è realizzato dalla protezione civile della regione Molise. Per adesso sono 89 i luoghi, tra edifici coperti e campi attrezzati dalla protezione civile, attrezzati per l’accoglienza,, 53 le strutture al coperto e 17 gli alberghi. La capienza complessiva disponibile è di 9mila posti. i volontari di protezione civile impegnati nelle zone colpite dal terremoto sono circa 1.400, di cui 500 provenienti da altre regioni: dal Friuli venezia Giulia, Liguria, Marche, Umbria, Molise, Piemonte, Toscana, Val d’Aosta e dalle province autonome di Trento e Bolzano. Al lavoro circa 700 vigili del fuoco. Sono state fatte 2mila verifiche sugli edifici per definirne l’agibilità.
in definitiva lo stato ha risposto. Ma dopo l’emergenza che accadrà?

l’Unità 28.05.12

Nel paese che sta sprofondando «Le voragini ci inghiottiranno», di Elvira Serra

Il piede del volontario Augusto Ronconi entra perfettamente in lungo nella frattura che ha fatto indietreggiare di dieci centimetri da un lato e venti dall’altro la casa all’angolo tra viale Gramsci e via Morandi. Nella parallela, al civico 14, una faglia larga un metro e profonda di più, ha spezzato in due la strada, finendo nel giardino della villetta di fronte, dove ha prodotto cumuli di sabbia e limo come per effetto di un geyser. Si chiama liquefazione delle sabbie ed è quel fenomeno che si può creare nei terreni molto sabbiosi, ricchi di falde acquifere: il sisma li scuote e il fango si disperde dove trova spazio, lasciando un vuoto che fa cedere il suolo.
«Casa mia si è inclinata di dieci gradi. I confini con il mio vicino si sono staccati di dieci centimetri. Le porte non chiudono più. Controllo ogni giorno il livello con un filo a piombo. Da domenica è salito di un centimetro. Non voglio neanche pensare di perdere la casa, sarebbe la fine di tutto», dice Saverio Tartarini, operaio alla Ceramiche Sant’Agostino, che ha appena chiesto ai vigili del fuoco di accompagnarlo in zona rossa per prendere la bicicletta del figlio Thomas.
San Carlo è una frazione fantasma. Gli abitanti sono 1.800, le persone evacuate 250. «Ma in tanti se ne sono andati da parenti o amici e quelli non riusciamo a censirli», spiega il vicesindaco di Sant’Agostino Roberto Lodi, che ci accompagna con due pompieri dentro l’area transennata. Niente gas, restano solo luce e acqua. Il gruppo Hera, che gestisce il servizio, non ha mai dichiarato la non potabilità. Ma neppure gli amministratori si azzardano a berla senza prima averla fatta bollire. E anzi questo ha causato una segnalazione ai carabinieri per procurato allarme da parte di Lorenzo Baruffaldi, che ora si sfoga: «Se l’assessore non la beve perché dovremmo farlo noi? E se ci viene il tifo?».
Anche il vicesindaco è semisfollato: «Mi lavo dai parenti e dormo sul divano vicino all’uscita. Se dormo, poi. Stanotte la scossa delle cinque meno cinque ci ha buttati fuori in un secondo e da lì siamo rimasti svegli». Arriviamo in via De Gasperi, dove prima la strada era piana e adesso c’è un dosso con una discesa. In un tratto il muro perimetrale di una villetta si è aperto, i pavimenti di cemento rivestiti di ghiaia si sono spaccati. La presidente della Provincia Marcella Zappaterra sta facendo il suo sopralluogo quotidiano e si è appena fermata davanti a una casa inclinata. Ammette: «Ringrazio Monti, Catricalà, Ornaghi e Gnudi per le loro visite, ma adesso servono interventi concreti. Popolazione e Protezione civile più di così non possono fare».
Incrociamo una squadra di otto ingegneri e geometri del Politecnico di Torino e Regione Piemonte. Gian Paolo Cimellaro racconta: «Abbiamo trovato diverse conchiglie, questa è sabbia di fiume. Con questo terreno, anche la struttura più solida collassa. Succede poche volte, ma qui il fenomeno si è verificato». Anche i geologi stanno studiando la liquefazione della sabbia, che normalmente viene osservata nei terremoti giapponesi di 7-8 gradi della scala Richter. Paride Antolini coordina i sopralluoghi per cartografare l’Emilia Romagna. Per lui «nel caso in cui dovesse verificarsi un nuovo sisma di quella intensità la situazione potrebbe peggiorare».
Per capire che cosa è davvero successo è necessario sentire Enzo Boschi, ordinario di Geofisica della terra solida all’Università di Bologna. «Dobbiamo immaginare la falda acquifera come una spugna, che è stata strizzata velocemente dal sisma. Il fango è stato disperso, il terreno ha ceduto. La modifica della struttura del suolo, una volta che si asciuga, diventa irreversibile. Ed è molto pericoloso per la stabilità delle costruzioni. Certe case andranno accomodate, altre abbandonate. Questo lo decideranno gli ingegneri. Di sicuro c’è stata una sottovalutazione. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia aveva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel 2003 una mappa di pericolosità sismica e queste zone erano state tutte classificate. Bisognava porsi il problema allora. Questi paesi della Val Padana sono stati costruiti sui depositi alluvionali del Po».
Andrea Mangano ha il 98 per cento di crepe in tutta la casa. «Si sono salvate solo cantina e sgabuzzino. Le auto dei vicini per via della sabbia si sono sollevate da terra di 70 centimetri, sono riusciti a rimuoverle venerdì, di corsa, prima che ci facessero evacuare. Qui adesso ci sono ventimila geologi, ma nessuno sa darci risposte. Il mio vicino vuole buttare giù la casa e costruirsene una di legno».
Di pomeriggio la frazione si anima un po’, è il turismo del sisma. Isabel con sua mamma Laila Forsberg ha fatto in tempo a recuperare da casa il carillon della nonna e la medaglia vinta ai campionati italiani di endurance con il pony Luna nel 2010. Alfredo Lanzone, «80 anni suonati», rimpiange la guerra: «Almeno le sirene ci avvisavano delle bombe. Il terremoto no».

Il Corriere della Sera 28.05.12

"Scosse, fango e senso di abbandono nell´Emilia ferita è ancora emergenza", di Jenner Meletti

Tra gli sfollati del terremoto: “Non dimenticatevi di noi”. Il terremoto può fermare anche le parole. «Ho celebrato la Santa Messa per la prima volta – racconta don Marcello Poletti, anni 95 – ma la predica non l´ho fatta. Ero troppo stravolto, avevo paura di dire strafalcioni. Però sto pensando all´omelia di domenica prossima: dirò che il terremoto è una disgrazia terribile, che però è riuscita a unirci di più. Oggi nessuno pensa solo a se stesso, come prima. Dobbiamo continuare a essere più fratelli». Come altare un tavolo della polisportiva Buonacompra, il vino della Messa in un «quartino» da osteria. Eucarestia all´aperto, nel parcheggio, davanti alla chiesa dedicata al vescovo Martino, crollata, e al campanile che da un minuto all´altro rischia di cadere su una decina di case. «Mai visti tanti fedeli a Messa, sembrava di essere a Natale. Il campanile sarà abbattuto ma prima voglio salvare le campane. Sono quattro e le ho fatto rimettere io, dopo la guerra. Le avevano requisite durante il fascismo per usare il bronzo per le armi».
Il terremoto, la domenica dopo, dovrebbe cominciare ad essere un ricordo. E invece le scosse continuano, gli aiuti per dare un letto a chi ha perso tutto sono in ritardo e in qualche pezzo di questa pianura fra il Reno e il Panaro l´emergenza sembra solo all´inizio. «Nonna, è questa la buca del diavolo? È qui che arriva il fango dall´inferno?». Il bimbo avrà sette anni e chissà cosa gli ha raccontato la nonna, che lo ha portato in via Risorgimento, a San Carlo, a vedere le voragini aperte dal terremoto. Qui c´è stata la «liquefazione della sabbia», e il fango spinto dal sisma è uscito spaccando strade, cantine, garage e pavimenti di case. Adesso sotto c´è il vuoto, e cento famiglie sono state portate via di corsa perché può crollare tutto. «Io abito qui – dice Roberto Lodi, vicesindaco di Sant´Agostino – e davvero ci è sembrato di essere inghiottiti dall´inferno. Proprio in via del Risorgimento Lino Pigo e sua moglie, svegliati dalla scossa grande, sono scesi a pianoterra e si sono trovati dentro un metro di fango che era uscito dal pavimento del salotto. Ci abbiamo messo un´ora, a tirarli fuori. Sembravano nelle sabbie mobili».
Alle 11 del mattino, nella tendopoli, stanno ancora aspettando la cucina da campo. «Sta arrivando da Viterbo, domani sarà in funzione». Una gru dei vigili del fuoco sta piazzando bagni e docce. Chi abita qui l´aveva capito subito, che c´era pericolo. Accanto alla tendopoli in costruzione ci sono infatti quindici tende e un camper, messe su da chi non voleva dormire a casa già dopo la prima scossa. «Noi siamo partiti subito – racconta Cristiano Bartolomei della Protezione civile Arci, brigata Garbatella di Roma – ma siamo stati avvertiti solo ieri. Siamo assieme ai volontari dell´Aquila e di Parma». Ad aspettare un letto c´è anche la signora Maria S.: «Venerdì ci hanno portato in pullman a Casumaro, in un palazzetto dello sport. Ma ci sono troppi bambini, i figli degli stranieri, e non si dorme».
Nella domenica senza campane le Messe sono celebrate nel cortile della scuola materna, come a San Carlo o nella piazza grande, come a Mirabello. A Casumaro «la celebrazione è alle 17 al campo profughi», annuncia un volantino della Parrocchia San Lorenzo. «Ci uniamo alle preghiere delle altre fedi religiose», scrive il parroco, don Alfredo. «In questo campo – dice Luciano Vincenzi, dell´Associazione nazionale alpini, arrivato da Cesena – gli extracomunitari sono il 90%. Loro non hanno parenti cui chiedere ospitalità. Però oggi qualcosa non ha funzionato: ci sono arrivati i pasti per tutti i musulmani e solo 4 per noi italiani, che fra ospiti e volontari siamo una ventina».
È stato aperto già domenica scorsa, il campo 2 di Finale Emilia. «C´è voluto tempo per metterci a regime – spiega Paolo Pettazzoni della Protezione civile di Modena – perché per noi sono cambiate molte cose. Prima, di fronte a un´emergenza, si partiva subito. Ora, con la nuova Protezione civile, prima devi sapere se ci sono i soldi». Nella tenda pronto soccorso Sebastiano De Tommaso, medico, racconta che «due persone sono state prese per i capelli» e salvate. «Insufficienza respiratoria acuta il primo caso, poi un edema polmonare. Adesso abbiamo anche un condizionatore. Venerdì in tenda c´erano 42 gradi». Silvia Sirotti, psicologa, nella tenda blu dell´»Ascolto psicologico» spiega che la malattia più diffusa è il panico. «Dopo sette giorni, c´è chi si rifiuta di ricordare e nasconde tutto dentro. Ma il corpo a un certo punto si ribella e hai l´attacco di panico mentre magari stai cucinando. Giramento di testa, senso di soffocamento, oppressione. Puoi svenire o metterti a piangere. Io e i colleghi, volontari chiamati dalla Asl, facciamo un lavoro davvero importante: sappiamo ascoltare. E diciamo ai genitori di ascoltare i loro bambini, perché anche loro hanno bisogno di sfogarsi, di raccontare le loro paure. Ma troppi sono convinti che i bimbi non capiscano, che tanto dimenticheranno tutto».
È tutto un girare di pignatte, nella domenica di Finale. Chi ha la cucina prepara per chi non ce l´ha, e poi va portare tortelli e arrosti nelle tavolate degli amici montate nei giardini privati o nei parchi. In via degli Agostiniani su un grill a gas sta cuocendo una grande paella. Anche qui non si era mai vista tanta gente alla Messa della domenica, celebrata nel giardino dell´ex seminario. «Se la paura prenderà il sopravvento – dice nell´omelia don Roberto Montecchi – rischiamo davvero di non farcela. Pur vedendo le nostre chiese distrutte, io dico che più che di mattoni abbiamo bisogno di rimanere una comunità unita». Un altro pezzo del Castello è venuto giù. Il sindaco Fernando Ferioli corre da un campo all´altro e dice: «La paura della mia gente è quella di essere abbandonata dal governo».
Gnocchi e pollo alla diavola, nella nuova tendopoli delle Misericordie toscane a San Felice. Anche qui ritardi, pur nell´epicentro del sisma. «Noi siamo stati avvertiti – raccontano Gualtiero Barsi e Biancamaria Pardini – solo alle ore 23 di giovedì 24 maggio. Venerdì sera abbiamo accolto i primi ospiti, e oggi abbiamo a disposizione 250 posti letto nelle nuove tende pneumatiche. Il campo è perfettamente attrezzato». Al bar Kakao, accanto alla Rocca che sta crollando, si guarda la Ferrari a Montecarlo. «Forza Alonso». C´è voglia di cambiare pensieri. Sperando che la notte che arriverà non sia come quella passata. Una scossa del 3,8 alle ore 23, un´altra del 3,2 alle 4,55. Quando l´alba che stava arrivando faceva sperare in un giorno migliore.

La Repubblica 28.05.12

"Bersani e la sfida di un PD aperto: le alleanze dopo",di Maria Zegarelli

La parola d’ordine sarà aprirsi. Ai movimenti, alla società civile, alle associazioni, a chi ha voglia di rinnovamento ma non vuole chiudersi nella formula di un partito, a chi ha votato Movimento 5 Stelle perché disamorato da tutto il resto, a chi prima votava Pdl perché moderato e poi ha smesso perché ci ha visto solo il populismo. Ecco perché il tema delle alleanze non è la priorità in questo momento per Pier Luigi Bersani, che non ha gradito né l’ultimatum di Sel e Idv né la sua sagoma di cartone piazzata tra Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Se qualcuno dalla direzione di martedì si aspetta la definizione della mappa delle alleanze rimarrà a bocca asciutta, perché «non può esserci una soluzione politicista, di formule e sigle. Non è questo di cui c’è bisogno ora. Noi dobbiamo aprirci a una platea vasta, mettendo in atto una politica davvero partecipata».

E pensare che proprio ieri il governatore pugliese durante la direzione nazionale di Sel, riferendosi a Bersani, ha detto di aspettarsi «molto» dalla direzione nazionale del Pd proprio sul tema delle alleanze. Ma per il segretario Pd in questo momento la priorità è riallacciare i fili tra cittadini e democrazia e non c’è che una strada per riuscirci: rimettere il tema sociale al centro della politica. Solo in questo modo, è la convinzione, si può accorciare la distanza tra la società civile e la politica, riconciliando i cittadini con la democrazia per respingere le spinte populiste che arrivano dal profondo del Paese.

«Noi parleremo al Paese con un programma di governo alternativo, parleremo di crescita, solidarietà, impegno comune, una politica che rimette al centro il lavoro, le riforme e un nuovo assetto democratico. Di questo parleremo e chi condividerà questo progetto sarà con noi», ha spiegato in questi giorni il segretario. Non gli va di essere tirato per la giacca, né gli piacciono i tentativi di chi cerca di mettere il Pd nell’angolo dove sono finiti tutti gli altri partiti: «Non siamo tutti uguali e non ci sto a finire nel mucchio».

Sa bene che le liste civiche – da più parti ipotizzate e in qualche caso anche abbozzate – possono essere un’insidia o un’opportunità. Bersani non sottovaluta la portata di una tale novità sulla scena politica, né il potenziale di elettori che potrebbero attirare pescando nomi e volti nuovi dalla società civile. Proprio per questo il segnale che il segretario vuole mandare ai dirigenti del Pd è quello di un partito che non si chiude in formule politiciste, né intende lasciare praterie a disposizione di altri, Grillo compreso. Bersani non esclude intese politiche: anzi, vuole fare dell’apertura alle esperienze civiche un tratto importante della direzione di martedì. La questione delle alleanze comunque non può che venire dopo. Intanto ci sarà un richiamo all’unità interna e alla condivisione di un progetto ambizioso – che parli ai progressisti, ai moderati e, appunto, al civismo.

Significative le parole della presidente Pd Rosy Bindi a Repubblica: «Il Pd ha un progetto che Bersani ha chiamato il nuovo Ulivo: un’alleanza dai confini molto larghi. Per tenere insieme il centrosinistra, con tutte le sue forze, ma che punti anche a coinvolgere i moderati, le forze di centro, quelle che dopo aver staccato la spina a Berlusconi appoggiano il governo Monti per portare in sicurezza i conti dello Stato disastrati dalla stagione del centrodestra». le proposte Bersani rilancerà anche le proposte a cui il suo partito lavora da tempo, «non le cambiamo sulla scia dei sondaggi, noi siamo un partito serio» e allora le proposte sono quelle di cui il numero uno del Nazareno ha più volte parlato anche con il premier Mario Monti: investimenti per far ripartire l’economia, alleggerimento dell’Imu attraverso la patrimoniale, misure per i giovani; un piano di politiche industriali; piano energetico, razionalizzazione e efficienza della pubblica amministrazione e, nell’immediato, risposte certe per gli esodati, «e quello che non si riuscirà a fare adesso con questo governo lo faremo noi, quando vinceremo le elezioni».

Ma dato che non puoi dire gatto se non l’hai nel sacco, le elezioni si vincono se gli elettori ti votano e se tornano a fidarsi della politica tutti quelli che fino ad ora se ne sono tenuti a distanza e hanno disertato le urne. «Per questo spetta a noi del Pd – è convinto il segretario – portare avanti la battaglia per le riforme, a cominciare da quella della legge elettorale». Il Pd ha una sua proposta, il doppio turno di collegio con quota proporzionale, che metterà di nuovo sul tavolo attorno a cui dopo il 2 giugno torneranno a sedersi gli sherpa incaricati di trovare un accordo sulla riforma che deve superare il Porcellum.

«Ma per cambiare la legge da soli non bastiamo, serve la maggioranza», e quanto sia vera l’apertura di Silvio Berlusconi al sistema francese si vedrà presto. Di margini per accordicchi non ce ne sono. Per ora la sensazione condivisa tra i democratici è che l’ex premier abbia messo sul piatto la proposta di riforma costituzionale del semipresidenzialismo soltanto per prendere tempo sulla riforma elettorale e arrivare alle elezioni del 2013 con il Porcellum. Mettere ora in discussione l’intero assetto della Repubblica, come vorrebbe l’ex premier, di fatto potrebbe tradursi nell’immobilismo. Da qui la convinzione che sia soltanto l’ennesimo bluff di un Pdl alla disperazione. Ma stavolta gli elettori, soprattutto di centrosinistra, non perdonerebbero ingenuità. E Beppe Grillo non aspetta altro che un passo falso.

l’Unità 28.05.12