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"Ma quel sistema non assicura neanche la «governabilità»", di Michele Prospero

Non si può parlare di presidenzialismo, vale a dire di una organizzazione del potere del tutto difforme da quella ora vigente in Italia e in gran parte delle democrazie europee, in una maniera solo propagandistica, e cioè senza alcun riguardo alla complessità anche tecnica di un problema che ha profonde implicazioni storiche e politiche. Il passaggio da una forma di governo parlamentare flessibile a un regime di tipo presidenziale non solo non avviene mai a freddo, e senza scosse traumatiche nella vita di una nazione, ma contiene una tale potenza simbolica da mutare alla radice la mappa delle culture istituzionali e la geografia dei partiti.
La carta che Berlusconi ha deciso di giocare è solo una trovata disperata di chi sa comunque di stendere cortine fumogene e poi ignora persino i termini istituzionali più essenziali della questione. In fondo la sua è una ennesima prova di carenza di ogni senso dello Stato. Dichiara infatti il Cavaliere che a indurlo sul carro della scelta presidenziale è stato lo spettacolo recente vissuto dalla Francia. In gran fretta Parigi ha sciolto l’enigma della governabilità e un capo di Stato, appena insediato, già gira per il mondo, con a supporto un nuovo esecutivo da lui gradito. Ma forse Berlusconi non sa che, dopo l’investitura dell’inquilino dell’Eliseo, per avere un governo di legislatura, che operi nelle sue piene funzioni, si deve ancora aspettare l’esito del voto a doppio turno previsto a giugno per esprimere la nuova Assemblea nazionale.
Se anche alla Camera la gauche si aggiudicherà la maggioranza dei seggi, Hollande si troverà al comando di una repubblica iperpresidenziale, con un capo monocratico che si ritrova in mano vasti poteri discrezionali (e senza i limiti di efficaci bilanciamenti come quelli previsti a favore del Congresso americano) che il titolare della Casa Bianca neppure si sogna. Dalle urne potrebbe però anche scaturire, e in Francia è già accaduto altre volte, una maggioranza di destra, cioè con un colore diverso da quello che ha condotto alla presidenza il socialista Hollande.
Una tale eventualità metterebbe in seri guai l’Eliseo. Gli ingranaggi dei poteri salterebbero e comunque verrebbero sfidati da una paralizzante coabitazione con un primo ministro di destra. Questo effetto perverso della condanna periodica alla coabitazione dei due presidenti che non si amano è peraltro solo uno dei tanti buchi neri della Quinta Repubblica (altri ne esistono, anche dopo le riforme costituzionali del 2008, in rapporto alle flebili attribuzioni del Parlamento, al potere di scioglimento dell’assemblea, alla facoltà di indire referendum e dichiarare l’emergenza).
Per gli indubbi momenti di intrinseca debolezza contenuti nei dispositivi tecnici francesi, l’ubriacatura per il presidenzialismo, che senza alcuna approfondita analisi si getta nella mischia spacciandola come soluzione miracolosa, è solo un ulteriore indizio di una destra inaffidabile che gioca alla cieca anche con il congegno costituzionale.
Il salto nel buio di ordine costituzionale proposto da Berlusconi non è un’efficace terapia al malessere della politica. Peraltro non può in alcun modo trovare un appiglio con un preteso presidenzialismo di fatto già imposto da Napolitano e che si tratterebbe solo di mettere in forma. Questa inferenza, che anche taluni storici a digiuno di costituzionalismo hanno con troppa fretta accreditato, è semplicemente falsa.
Il Quirinale ha solo garantito la tenuta delle istituzioni parlamentari in momenti drammatici conservando la natura di potere neutro e senza in alcun modo aprire il cantiere che conduce al presidenzialismo.
Oltre che improvvisata, la sortita di Berlusconi intende di nuovo cavalcare l’onda anomala della personalizzazione del potere, che purtroppo ancora non si è placata. Il disegno è sempre quello di passare dal partito personale alla repubblica personale. Una sciagura storica che potrebbe scatenare una grave involuzione sistemica.
La crisi profonda della politica non ha per rimedi la vana ricerca di presunti uomini della provvidenza. La strada che il Pd ha indicato è per questo molto diversa da quella tardo carismatica e recupera il meglio della riflessione che su questi temi ha visto impegnata l’intelligenza giuridica di Leopoldo Elia.
Occorre ricostruire una solida democrazia rappresentativa, con un Parlamento forte, con un ricco tessuto pluralistico, con sfere di società civile e con partiti di nuovo organizzati. Tutto il resto è solo confusione, alimentata a disegno da chi insegue la chimera di un nuovo potere personale assoluto.

l’Unità 26.05.12

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“L’incubo ricorrente della Seconda Repubblica”, di Francesco Cundari

L’idea di usare una proposta di riforma dell’intera architettura costituzionale come diversivo, al solo scopo di non parlare più della scomparsa del Pdl sancita dalle elezioni amministrative, la dice già abbastanza lunga sulla cultura istituzionale e sul senso dello Stato degli aspiranti padri costituenti (casomai non bastassero le testimonianze provenienti dal tribunale che si sta occupando della ex nipote di Mubarak). Non può stupire, pertanto, che le reazioni alla conferenza stampa di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano si siano fermate a questo primo, superficiale aspetto della questione: il suo carattere apertamente strumentale.
C’è tuttavia anche nel merito della proposta, presidenzialismo e doppio turno sul modello della Francia (che non è una repubblica presidenziale, bensì semipresidenziale, ma evidentemente non c’è stato tempo per studiare i dettagli), qualcosa che turba come un brutto ricordo tornato improvvisamente alla memoria, come il trauma di fondo di questo ventennio, rimosso negli ultimi mesi di governo tecnico e mai elaborato, e proprio per questo destinato a riemergere alle prime difficoltà. Parafrasando l’entusiastico commento di Maurizio Gasparri, si potrebbe dire che l’approvazione della proposta Berlusconi-Alfano sul presidenzialismo rappresenterebbe il coronamento di un incubo.
Al fondo, infatti, l’obiettivo è sempre lo stesso: la nostra Costituzione, i suoi principi cardine, il suo spirito, l’idea stessa di democrazia parlamentare concepita dai costituenti. I tanti che in questi vent’anni hanno condotto una simile offensiva, da destra e da sinistra, in forme ora esplicite ora camuffate, dovrebbero riflettere sulle loro stesse parole, sulle loro analisi e previsioni, sulle ricette che hanno consigliato, adottato e visto alla prova. Non è passato poi molto tempo dall’ultimo, assordante coro di elogi per la nuova stagione aperta dalle elezioni, quelle del 2008, che videro il trionfo del Cavaliere. Gli ingredienti, del resto, c’erano tutti: una legge elettorale dotata di un robustissimo premio di maggioranza, con parlamentari di fatto nominati dal leader; un premier dotato di risorse extra-politiche, economiche e mediatiche pressoché illimitate; un parlamento di fatto in suo totale controllo.
E oggi, dopo che quello stesso leader ci ha portati sull’orlo della bancarotta, e c’è voluto il rischio della bancarotta per mandarlo via, eccolo ripresentarsi sulla scena a invocare maggiori poteri e una più forte legittimazione per il capo dell’esecutivo (perché questo è il meccanismo che ha in mente il Pdl, al di là delle chiacchiere). E invece la lezione della crisi da cui ancora non siamo usciti ci dice proprio il contrario: che non è finendo di scassare il sistema con ulteriori torsioni presidenzialiste che ci salveremo. Non è aumentando ogni volta le dosi del veleno che lo trasformeremo in medicina. È tempo di cambiare strada.

l’Unità 26.05.12

"Fornero bifronte", di Pippo Frisone

Ci mancava anche questa! Nello sfilacciatissimo clima politico-sindacale l’ultima sortita della ministro Fornero non fa altro che gettare benzina sul fuoco delle polemiche. Dire che “ anche gli statali siano licenziabili ”a pochi giorni dalla firma dell’accordo sul pubblico impiego oltre che un’invasione di campo bella e buona, è uno sgambetto al suo collega e ministro

della Funzione Pubblica Patroni Griffi.

Mentre il ddl sul mercato del lavoro passa alla Camera, facendo quasi piangere la ministra per l’emozione di veder approvata la “sua riforma”, questo sembra un motivo in più alla battagliera ministro per rinfocolare le polemiche coi dipendenti pubblici e i sindacati, rischiando cosi di far saltare le faticose mediazioni e i fragili equilibrismi contenute in quell’accordo.

E’ vero che nell’art.2 del ddl è contenuta una delega alla Funzione Pubblica affinchè le norme sull’art.18 siano armonizzate e adattate anche al settore pubblico.

Estendere “tout court” il nuovo art.18 al pubblico impiego come vorrebbe la Fornero , equiparando una volta per tutte il settore pubblico a quello privato, si scontra apertamente con quanto contenuto nel testo dell’accordo che prevede per i pubblici dipendenti, licenziati per motivi disciplinari ritenuti dal giudice “illegittimi”, sempre e solo il reintegro sul posto di lavoro, scartando ogni altra ipotesi d’indennizzo alternativo.

La Fornero sembra essersi assunta l’ingrato compito che nel governo Berlusconi veniva egregiamente svolto dai Ministri Brunetta e Sacconi : dividere le parti sociali., contrapposizione tra pubblico e privato, smantellamento delle tutele, decisionismo senza concertazione.

Basterà la reazione stizzita di Patroni Griffi a far rientrare nei ranghi la ministra guastatrice, la piccola Tatcher italiana, come è stata ribattezzata la Fornero ?

Un Giano bifronte , la cui ossessione principale sin dalla sua nomina a Ministro del lavoro, dopo aver “sistemato” i pensionati, sembra sia quella di favorire più i licenziamenti che la creazione di nuovi posti di lavoro.

Qualcuno alla Fornero gliel’ha già ricordato a muso duro.

A Monti il non facile compito di mettere al riparo un governo già traballante che rischia d’implodere prima della scadenza del 2013 più per dissidi interni , tra minacce di dimissioni e sgambetti reciproci dei suoi ministri che per volere di una maggioranza posticcia che teme nuove elezioni.

E’ nella fragilità del quadro politico che il caso Fornero, se non depotenziato per tempo, rischia di diventare un serio problema all’interno del Governo, offrendo il fianco a quelle forze che dentro e fuori dal Parlamento non vedono l’ora di staccare la spina e mandare i tecnici a casa.

da ScuolaOggi 26.05.12

Puglisi: "Il Pd promette di rimettere in vetrina i 'gioielli di famiglia' della scuola"

“Quando torneremo a governare rimetteremo in vetrina i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano: scuola dell’infanzia, tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze. Vogliamo innovare dal basso la scuola secondaria di primo e secondo grado, quella in cui si manifesta il calo degli apprendimenti e la dispersione degli studenti e delle studentesse italiane, attraverso lo scambio di buone pratiche, l’infrastrutturazione tecnologica delle scuole e la formazione in servizio degli insegnanti. La riforma che serviva l’abbiamo fatta noi e si chiama ‘autonomia scolastica’. Una riforma che per poter essere sviluppata appieno ha bisogno di stabilità di risorse umane e finanziarie. Un organico funzionale stabile per ogni scuola autonoma, con cui poter progettare e sperimentare in libertà l’innovazione didattica che serve ai nostri ragazzi per superare i divari nei livelli di apprendimento, abilità e competenza, rispetto dai propri coetanei europei”. È quanto ha detto Francesca Puglisi Responsabile Scuola della segreteria Pd alla Conferenza nazionale per la scuola dei nativi digitali “Un nuovo alfabeto per l’Italia”, organizzata dal Pd e in corso di svolgimento a Roma.

“Il Partito Democratico – ha aggiunto Puglisi – ha chiesto al Governo Monti di dare un segnale di discontinuità e di tornare ad investire in istruzione. Nel decreto legge sulle Semplificazioni avevamo chiesto più risorse per la scuola perché le indicazioni dell’Ocse per battere la dispersione sono chiare: per togliere i ragazzi dalla strada, non bastano chiacchiere o buone norme, servono risorse per le scuole dell’infanzia, il tempo pieno, le scuole aperte nel pomeriggio nella secondaria, la formazione in servizio dei docenti e il rilancio della scuola tecnica e professionale con nuovi laboratori e tecnologie avanzate. E noi con il nostro 4,8% del PIL contro una media del 5,7, siamo fanalino di coda tra i Paesi dell’Ocse per investimenti in istruzione”.

“Siamo consapevoli del rigore e delle politiche di risanamento necessari in questo momento – ha aggiunto Puglisi – ma siamo altrettanto convinti che parte di ciò che viene recuperato dalla lotta all’evasione fiscale e dalla riorganizzazione della spesa dello Stato, la cosiddetta spending review, deve essere destinato alla scuola. Solo con una scuola di qualità potremo davvero permettere ai nostri figli un futuro da “cittadini europei””.

“L’uso delle nuove tecnologie a scuola – ha detto infine l’esponente democratica – aumenta l’interesse e le motivazioni dei ragazzi; ma non migliora gli apprendimenti se non lo si accompagna ad un rinnovamento della didattica, che ne sfrutti al meglio le potenzialità cognitive. Non è tanto un problema, di quanti computer o Lim mettere nelle aule, ma di come usarli, ossia di impostare pratiche didattiche nuove che diano ai ragazzi strumenti per apprendere e per orientarsi nelle diverse realtà digitali e virtuali del loro futuro”.

da Tuttoscuola 26.05.12

"Guerra dei rifiuti, salva Villa Adriana", di Giovanni Valentini

Siamo obnubilati a tal punto dalla crisi del sistema in cui viviamo che ormai rischiamo di ridurci all´aberrante alternativa fra spazzatura e cultura, rifiuti e beni archeologici, monnezza e patrimonio mondiale dell´umanità. Una discarica non può valere per nessuna ragione un “unicum” come Villa Adriana. E perciò le dimissioni del prefetto e “commissario delegato” Giuseppe Pecoraro, di fronte all´altolà del ministro Clini (Ambiente) e alle ambiguità del ministro Ornaghi (Cultura), sono un atto tanto apprezzabile sul piano personale quanto dovuto sul piano politico.
Quella di realizzare la nuova discarica di Roma a Corcolle, ad appena un paio di chilometri dalla storica Villa dell´imperatore Adriano protetta dall´Unesco, era evidentemente una proposta del tutto “insensata”, come l´hanno bollata gli eco-dem Ferrante e Della Seta. Non si può lontanamente immaginare, neppure in un momento di disperazione o di oblio, di trasformare un “luogo dell´anima” ovvero della contemplazione più sublime in un luogo maleodorante della putrefazione. Più che un errore o una scelta sbagliata, sarebbe stato un oltraggio alla nostra storia collettiva; un insulto a quel prezioso deposito di arte, architettura e archeologia che rappresenta tuttora la maggiore risorsa nazionale.
Al fondo di questa storia incresciosa, c´è verosimilmente una confusione mentale che impedisce di distinguere fra amministrazione pubblica, governo del territorio e sviluppo del turismo. I precedenti, purtroppo, non mancano. Chi può dimenticare il malevolo progetto di installare le trivelle petrolifere in quello scrigno del barocco siciliano che è il Val di Noto oppure intorno a quelle perle del mare che sono le Isole Tremiti al largo delle coste pugliesi? E lo stabilimento Italsider a Taranto, quello di Bagnoli a Napoli, quello della Fiat a Termini Imerese o quello di Alcoa in Sardegna? Tutte “cattedrali nel deserto” che oggi alimentano la crescente disoccupazione meridionale, dopo aver desertificato il paesaggio naturale e compromesso le potenzialità dell´industria turistica.
La rinuncia del governo alla discarica di Corcolle, dunque, scongiura opportunamente la minaccia di un nuovo scempio contro quello che ancora resta in piedi del Belpaese. Ma nello stesso tempo avvia la ricerca di una soluzione condivisa, affidando l´incarico a un altro funzionario dello Stato e chiamando in causa le responsabilità di tutti, amministratori locali e cittadini. È facile infatti dire no a una discarica o a un inceneritore; ma è molto più difficile e impegnativo dire sì a un impianto in grado di smaltire quella montagna di rifiuti, urbani e industriali, che la società dei consumi produce quotidianamente con l´indifferenza dell´opulenza e dello spreco.
Sono 540 chili all´anno per persona, circa un chilo e mezzo al giorno, ben 32 tonnellate l´anno per tutti gli italiani, come ricorda il meteorologo torinese Luca Mercalli, nel suo recente libro intitolato con un chiaro ammonimento: “Prepariamoci” (editore Chiarelettere). Prepariamoci, allora, a vivere con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e forse più felicità. Dagli avanzi di cucina al vetro, dalla carta alla plastica, dalle lattine in alluminio allo scatolame: tutto si può riciclare e riusare, a condizione di non buttarlo via indiscriminatamente.
Ma – come per l´energia la prima risorsa è il risparmio energetico, inteso qui nel senso di minore consumo ma anche di tecnologia e di business – il primo intervento contro la proliferazione dei rifiuti dev´essere quello di produrne di meno, per poi possibilmente smaltirne di più. Meno confezioni, meno imballaggi, meno contenitori e vuoti a perdere, meno buste o sacchetti di plastica, meno polistirolo. E quindi, un´efficiente raccolta differenziata, imperniata necessariamente sulla raccolta porta a porta, in modo da arrivare soltanto al termine di un ciclo integrato ai forni degli inceneritori o dei cosiddetti termovalorizzatori.
È una grande sfida del nostro tempo per il riformismo ambientalista. Ma lo è pure per i nuovi amministratori che si cimentano con il governo delle città e del territorio, a cominciare dal neo-sindaco di Parma, il “grillino” Federico Pizzarotti. Il suo Comune, com´è noto, ha già accumulato un debito di 600 milioni di euro e ora la vertenza sull´inceneritore, o termovalorizzatore che dir si voglia, minaccia di aggiungere altri costi e altri danni. La giunta dell´ex sindaco Vignali (centrodestra) aveva sospeso i lavori, invocando un´irregolarità nella concessione edilizia o addirittura un abuso. Ma il Tar ha dato ragione alla società che sta già costruendo l´impianto nella frazione di Uguzzolo e ha investito finora oltre 190 milioni di euro.
Nel frattempo, da Reggio Emilia fanno sapere che non vogliono più smaltire i rifiuti di Parma. E già si pensa di caricarli a peso d´oro sui treni per spedirli magari in Olanda e nascondere, come si suol dire, la spazzatura sotto il tappeto. Sarà un test rivelatore, un banco di prova, per il “grillismo” di lotta e di governo.

La Repubblica 26.05.12

"La maschera del populista" di Stefano Rodotà

Berlusconi ha deciso di far saltare il tavolo delle riforme costituzionali proponendo addirittura l´abbandono della Repubblica parlamentare e il passaggio a quella presidenziale. Non è una mossa imprevista, perché da sempre ha considerato la Costituzione come un terreno di scorrerie, una merce di scambio, un oggetto odiato, dunque da aggredire tutte le volte che se ne presenta l´occasione. Ma questa volta vi è qualcosa di più. La proposta dell´elezione diretta del presidente della Repubblica è un evidente tentativo di uscire dalle difficoltà politiche nelle quali è piombato, cercando di volgere a suo favore l´onda populista che percorre l´Italia e rilanciando se stesso come protagonista di questa nuova fase, spostando così i termini della discussione interna al suo partito nella speranza di una rinnovata unificazione intorno alla sua persona.
È chiaro che questa trasformazione radicale della forma di governo non potrà essere approvata nel corso di questa legislatura, a meno che non vi sia un impazzimento delle altre forze politiche. Ma di questo credo che a Berlusconi importi assai poco. A lui basta aver ripreso il posto al proscenio di quel teatrino della politica che tante volte ha vituperato e aver individuato quello che, da oggi in poi, sarà il terreno della sua campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 2013. A un paese drammaticamente lacerato ripropone la ricetta dell´uomo solo al comando, della democrazia d´investitura, dell´accentramento dei poteri. Cerca di sfruttare, insieme, l´indicazione che viene dal successo del Movimento 5Stelle e la rapidità con la quale, in Francia, Hollande ha costituito il suo governo. Ma questo suo rifugiarsi nell´ingegneria costituzionale per sfuggire alle difficoltà politiche in cui è immerso, non tiene conto del fatto che la sua stagione politica è stata contrassegnata dall´intreccio vizioso tra pubblico e privato, dall´uso spregiudicato delle risorse pubbliche da parte dei suoi e dei suoi alleati, da una visibile incapacità di governare pur avendo una maggioranza parlamentare senza precedenti. Tutto questo si può cancellare con una mossa mediatica, fidando nella perdita di memoria dei cittadini? Berlusconi non è l´uomo nuovo del 1994, ma davvero impersona tutti i vizi, politici e no, della stagione che abbiamo alle spalle. La possibilità di un suo ritorno è davvero una minaccia, che esige adeguate contromosse politiche.
Alfano ha annunciato che la proposta del passaggio alla Repubblica presidenziale sarà presentata la prossima settimana al Senato, in occasione della ripresa della discussione del disegno di legge sulle riforme costituzionali. Basta questo annuncio per mostrare quanto sia stata sciagurata la scelta di imboccare questo cammino di riforma all´insegna dell´approssimazione, preparando così il clima propizio alle strumentalizzazioni e alle incursioni corsare. Dobbiamo, allora, guardare oltre l´ultima occasione, per cercare di vedere se sia possibile uscire dalla trappola in cui ci si è cacciati.
Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l´emergenza. Per comprendere quel che sta accadendo, è un intero contesto a dover essere considerato. È stato modificato l´articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio con pregiudizio grave per la tutela dei diritti sociali e per la stessa azione di governo. Un decreto legge dell´agosto dell´anno scorso e uno del gennaio di quest´anno hanno illegittimamente messo tra parentesi l´articolo 41. E il Senato sta discutendo una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all´emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia. In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s´invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d´una commissione del Senato, senza che i partiti promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata. E invece siamo di nuovo a un continuo cambiare le carte in tavola, ai segnali di fumo tra oligarchie, alla considerazione della Costituzione come oggetto manipolabile secondo le convenienze.
Oggi vi sono alcune domande più ineludibili di ieri. Può un Parlamento non di eletti, bensì di “nominati” in base ad una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsioni che ha prodotto, mettere profondamente le mani sulla Costituzione? Può l´obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato ad una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell´articolo 81, arrivando ad una votazione con la maggioranza dei due terzi che esclude la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest´ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.
Il polverone sollevato dall´irruzione berlusconiana ha comunque un nefasto effetto immediato, poiché rende più ardua la via verso la riforma elettorale, unico punto ineludibile in questa fase. Ma solo un ceto politico percorso da pulsioni suicide può pensare di votare nel 2013 con la “porcata” Calderoli. Una intesa è difficile, le manovre dilatorie continuano? È tempo che le forze politiche consapevoli facciano la loro proposta alla luce del sole e ne chiedano la discussione in Parlamento. Solo così sarà possibile rendere chiaro all´opinione pubblica la differenza tra chi vuole davvero la riforma e la nuova razza padrona che intende continuare a tenere nelle proprie mani la scelta dei parlamentari. Se si vuole accompagnare la riforma elettorale con la riduzione del numero dei parlamentari, si scorpori questo tema dalla discussione generale e si vada avanti nel modo più rapido, perché la nuova, sperata legge elettorale ha bisogno di tempo per essere adeguata alle nuove dimensioni del Parlamento. Solo così potranno cadere molti alibi, e una flebile speranza di rinnovamento potrà rimanere viva.

La Repubblica 26.05.12

"Il casto Silvio", di Massimo Gramellini

Per una curiosa coincidenza della cronaca (non scomoderei la Storia), mentre la ballerina Polanco raccontava in un’aula di giustizia di quando nel bungabunker di Arcore si infilava parrucca e occhiali per imitare Ilda Boccassini, il beneficiario dello spettacolo mostrava a una platea di giornalisti attoniti l’ultima e più improbabile metamorfosi della sua vita: Silvio lo Statista. Fuori tempo massimo. Anzi, fuori tempo e basta. Dal ritorno in scena del campione dell’antipolitica ci saremmo aspettati di tutto: la fusione con Grillo (Canale 5 Stelle) o la fondazione di un altro partito dal predellino dell’auto (considerati i voti rimasti, bastava una Smart), ma stavolta tenendo in braccio la Polanco travestita da Boccassini. Di tutto tranne che vederlo spuntare dietro un bancone del Senato, trasfigurato nel simbolo vivente della Casta e intento a discettare di semipresidenzialismo alla francese.

Non che non sia importante, il semipresidenzialismo alla francese. Ed è chiaro che la signora Crescita è disposta a varcare la nostra soglia (travestita da Boccassini?) solo se ad aprirle la porta troverà un semipresidente alla francese. Lo capirebbe persino Cicchitto, che infatti si aggirava nei paraggi con aria compiaciuta. Però siamo sicuri che lo zoccolo duro dell’elettorato, quello che al nord teme di perdere il lavoro e al sud i sussidi, sia in grado di cogliere la portata rivoluzionaria della proposta? Un milione di posti, meno tasse per tutti, chi non salta comunista è: quelle erano balle di successo. Ma il semipresidenzialismo alla francese rischia di non eccitare nessuno: non solo la Boccassini, ma nemmeno la Polanco.

La Stampa 26.05.12

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“Ad Arcore mi travestivo da Boccassini”, di Emilio Randacio

Polanco al processo Ruby. Il ragionier Spinelli: da Berlusconi 20 milioni per il bunga bunga. Le rivelazioni del contabile del Cavaliere: così mi occupavo delle Olgettine. Il Burlesque, o per dirla con le parole di alcune testimoni pentite, i festini hard di Arcore nella residenza di Silvio Berlusconi, avevano un prezzo piuttosto salato. Venti milioni di euro, in soli due anni, che il ragiunatt personale del Cavaliere, Giuseppe Spinelli, ha iniziato a versare a partire dal 2009 in contanti («Li portavamo al presidente del Consiglio nella sua residenza il lunedì», le parole del ragioniere dell´ex premier).
Il conto, parziale, lo ha svelato lo stesso Spinelli, ascoltato come testimone al processo milanese in cui Berlusconi si deve difendere dall´accusa di concussione (le pressioni sulla questura per rilasciare la marocchina Ruby) e prostituzione minorile (aver pagato prestazioni sessuali alla ragazza prima della sua maggiore età). Un´udienza, quella di ieri, in cui il pm Antonio Sangermano è stato affiancato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e in cui, dopo aver ascoltato diversi testi concordanti sulle finalità delle serate organizzate dall´allora presidente del Consiglio, si è iniziati anche a sentire versioni difformi. Che descrivono, esattamente come ha sostenuto un mese fa l´imputato Berlusconi, gli appuntamenti mondani come serate all´insegna del Burlesque, con un´ospite, Marysthell Polanco, che si traveste perfino proprio da Boccassini, «per divertire l´invitato Berlusconi».
«Per ogni pagamento – ha iniziato a spiegare il ragionier Spinelli rispondendo alle domande dei pm ed escludendo un proprio ruolo nella vicenda -, doveva comunque passare la firma di Silvio Berlusconi. Io eseguivo e basta». Spinelli ha aggiunto che si trattava di «ragazze che non avevano lavoro, che arrivavano dall´estero e non avevano una casa». Il suo compito era anche di occuparsi ai pagamenti delle ospiti alloggiate nel residence di via Olgettina 65. Una forma all inclusive in cui Berlusconi provvedeva a tutti i pagamenti: affitto, spese di condominio, bollette per le utenze di luce e gas. Anche se «la gestione – ha chiarito in aula il teste – veniva fatta da Nicole Minetti (imputata nel processo parallelo insieme a Lele Mora ed Emilio Fede, ndr)». Alla marocchina Ruby Karima, principale protagonista dell´intero affaire, invece, il contabile garantisce di aver versato «non più di 8900 euro nella primavera del 2010».
E dopo lo scoppio della vicenda (ottobre 2010, ndr), i versamenti alle ragazze sono proseguiti anche se con modalità diverse rispetto al passato: «Prima – ha terminato la sua versione il contabile – davamo contanti alle singole richiedenti ad Arcore, da quest´anno facciamo bonifici mensili».
Dopo Spinelli, ecco la versione di una delle più assidue frequentatrici del bunga bunga arcoriano, la modella dominicana Marysthell Polanco. Per lei, a differenza di chi fino ad oggi è stata ascoltata in aula, ad Arcore non c´era nulla di proibito. E anche di fronte all´evidenza, la soubrette dei canali Mediaset, ha negato. «Ho sentito dire da alcune ragazze che ricevevano soldi per stare in intimità con Berlusconi, ma io non le ho mai viste». Semplici cene, dunque, in cui «si cantava e si ballava, si cenava e c´era il karaoke e poi si scendeva nel teatro e lì si facevano spettacoli e travestimenti». Travestimenti divertenti, secondo questa versione, in cui la avvenente dominicana avrebbe anche indossato i panni «del pm Boccassini con la toga addosso per far ridere Silvio Berlusconi. E anche quelli del presidente americano Barack Obama». I rapporti tra la testimone e l´ex premier, sono intensi ancora oggi. «Mi sposerò tra un mese – ha svelato la Polanco – e Berlusconi sarà il mio testimone».

La Repubblia 26.05.12

"Rifiuti, il governo rinuncia a Corcolle nuovo incarico per trovare un'alternativa", da repubblica.it

Il Consiglio dei ministri si schiera con Clini: i ritardi sono resposanbilità delle amministrazioni locali. Dopo le dimissioni di Pecoraro spetterà al prefetto Sottile individuare un altro sito per la discarica. Sembra svanire la possibilità che la nuova discarica di Roma sorga a Corcolle, il contestato sito non distante da Villa Adriana. Sulla scelta, oggetto di forti contestazioni e polemiche nei giorni scorsi 1, il Consiglio dei ministri ha condiviso oggi le considerazioni del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che ha messo in evidenza la responsabilità cronica delle amministrazioni competenti “non in grado di assumere decisioni adeguate e misure efficaci ad assicurare il rispetto delle direttive europee e delle leggi nazionali in materia di gestione dei rifiuti.”

Da tempo Clini si oppone alla scelta di Corcolle e preme piuttosto per un deciso rafforzamento della raccolta differenziata nella capitale. Che l’opzione Corcolle stia sfumando lo confermano anche le dimissioni del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, principale sponsor di questa soluzione, dall’incarico di “Commissario delegato” per l’emergenza rifiuti a Roma. Al suo posto il Consiglio dei Ministri “ha deciso di conferire l’incarico al Prefetto Goffredo Sottile”.

A Sottile palazzo Chigi ha conferito l’incarico di procedere urgentemente “all’individuazione della discarica necessaria a dare soluzione al problema della gestione del ciclo integrato dei rifiuti della Capitale”.

La svolta del governo è stata salutata con soddisfazione dal Pd. “Sgomberato il
campo dalla possibilità
del tutto insensata di collocare la discarica alle porte di Villa Adriana – affermano i senatori Francesco Ferrante e Roberto Della Seta – ora bisogna che tutte le parti coinvolte, a cominciare dal sindaco Alemanno e dalla governatrice Polverini, si assumano finalmente le loro responsabilità per evitare che nei prossimi mesi Roma precipiti in un’emergenza ambientale e sociale drammatica”.

Costretto invece a incassare l’ennessima bacchettata del ministro Clini, il sindaco di Roma Alemanno fa buon viso a cattivo gioco. “Voglio fare un atto di riconoscimento al lavoro svolto e alla sua linearità al prefetto Pecoraro”, afferma il primo cittadino della capitale. “Ha portato avanti un lavoro molto buono anche se la proposta finale non era condivisibile, però va dato atto al lavoro svolto – aggiunge Alemanno – Adesso il nuovo commissario avrà il compito di trovare una soluzione realmente sostenibile, vanno fatte nuove valutazione su tutti i siti e sono convinto che si riuscirà a trovare una soluzione che sia più sostenibile di Corcolle. Massima collaborazione da parte nostra”. Ad ogni modo, sottolinea il sindaco “penso ci siano tutte le carte, tutte le analisi per poter giungere, anche in una settimana, ad una decisione. Credo non ci sia bisogno di tempo, ma di un’intensa concentrazione in pochi giorni per giungere ad una decisione”.

da repubblica.it