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L'Emilia trema: nella notte 20 scosse la più forte di magnitudo 4.3 a Finale

Prosegue lo sciame sismico nella pianura Padana. Poco prima della mezzanotte i sismografi hanno registrato il terremoto maggiore, avvertito anche in Veneto. Poi fino all’alba repliche tra i due e i tre gradi. Stamattina nuova scossa alle 8.26. Il ministro Ornaghi visita i luoghi colpiti: “Chiederò risorse specifiche”. Continua a tremare la terra in Emilia Romagna. Nella notte, si sono registrate 20 scosse. Secondo i rilievi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, la più forte si è verificata alle 23.41 con magnitudo di 4.3 gradi ed epicentro a Finale Emilia (Modena): è stata avvertita fino in Veneto. Poi ce ne sono state due di magnitudo 3. Ma le scosse, comprese tra i due e i tre gradi, si sono susseguite quasi senza soluzione di continuità.

Una nuova scossa alle 8.26. Una nuova scossa di terremoto è stata avvertita alle 8.26 nelle zone già colpite dal sisma in Emilia. Secondo i dati diffusi dalla Protezione civile, ha avuto magnitudo di 3.4, a una profondità di soli 1,4 chilometri. La scossa è stata avvertita chiaramente anche a Bologna. Le località prossime all’epicentro sono San Felice sul Panaro, Finale Emilia e Camposanto.

Il ministro invia i Nas. Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, su richiesta del comandante della Legione Carabinieri Emilia e Romagna, Generale Vittorio Tomasone, e su parere concorde del generale Cosimo Piccinno, comandante dei NAS, ha autorizzato l’invio di pattuglie dei Nuclei di Bologna e Parma nelle zone colpite dal sisma. “I carabinieri dei NAS, forti delle attività svolte e dell’esperienze maturate nel terremoto dell’Abruzzo, per le quali sono stati fregiati della Medaglia d’argento al merito della sanità pubblica – spiega il ministero in una nota -, collaboreranno con
i Servizi regionali e con la Protezione civile vigilando sull’igiene e la sanità a favore delle popolazioni colpite dal sisma. Particolare attenzione sarà posta nelle verifiche preventive sulla preparazione e somministrazione dei pasti e in ausilio alle aziende del settore agroalimentare che hanno subito gravi danni”. Decisione accolta positivamente da Coldiretti: “L’arrivo dei Nas è importante per favorire la ripresa delle attività dell’agroalimentare, che ha subito nell’area del sisma danni per oltre 200 milioni di euro ed ha bisogno delle necessarie verifiche sulla qualità dell’acqua, del rispetto della catena del freddo e in generale della sicurezza alimentare dei prodotti che le aziende colpite devono poter rimettere sul mercato”. Nelle sole province di Ferrara, Modena e Mantova si realizza il 6 per cento del valore della produzione agricola nazionale con le aziende della zona che sono, precisa la Coldiretti.

Ornaghi: “Chiederò risorse specifiche”. Questa mattina il Ministro per i Beni e le attività culturali, Lorenzo Ornaghi, si è recato in visita, assieme al capo del dipartimento della Protezione civile, Gabrielli, e al presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani, nelle zone colpite dal sisma. Il programma prevede sopralluoghi a San Felice sul Panaro, Finale Emilia e Sant’Agostino. La visita si concluderà nel primo pomeriggio a Ferrara con una riunione operativa presso il centro di coordinamento dei soccorsi. “Pur nel difficilissimo momento generale, chiederò in Consiglio dei ministri risorse specifiche per questa zona”, ha detto il ministro. “”Dobbiamo capire tutte le lesioni che hanno interessato la zona – ha aggiunto il ministro Ornaghi – poi partirà il processo anche doloroso di fissazione delle priorità. E’ necessario in tempi brevi arrivare ad una classificazione precisa dei danni”.

La Croce Rossa. Il Commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, sarà oggi in Emilia per visitare i territori colpiti domenica dal sisma. “Faremo il punto della situazione con i responsabili – ha detto Rocca – e capire se ci sarà bisogno di implementare alcune funzioni. I nostri operatori stanno lavorando per dare assistenza alla popolazione e l’auspicio è che già questa estate si possa dare ai cittadini sfollati una soluzione che non siano le tende, ma questa sarà una decisione della Protezione Civile”.

La giornata di ieri. Lo sciame sismico è proseguito per tutta la giornata nelle zone tra Modena, Ferrara e in parte Bologna. Stando alle registrazioni dell’Istituto nazionale di geofisica e di vulcanologia, prima della mezzanotte, le scosse sono state circa 32. Alcune hanno interessato anche la provincia di Mantova, in Lombardia.

Gli interventi per gli sfollati. Costruiti dieci campi, venti strutture coperte e otto hotel messi a disposizione, per un totale di 5.142 persone ospitate. Sono questi i dati aggiornati dell’accoglienza alle popolazioni colpite dal sisma del 20 maggio. Solo a Finale Emilia sono stati allestiti cinque campi e una struttura per quasi 2.000 persone. Gli altri centri sono situati a Camposanto, Cavezzo, Medolla, San Possidonio e Carpi. Negli alberghi di Modena sono ospitate oltre 120 persone.

Continua l’impegno dei vigili del fuoco. Fino a oggi le squadre di soccorso hanno effettuato più o meno 3.500 interventi di cui circa 1.500 sopralluoghi. Nei prossimi giorni aumenterà il numero delle verifiche di stabilità delle abitazioni da parte degli ingegneri della Protezione Civile. L’obiettivo è consentire al maggior numero possibile di sfollati di rientrare al più presto nelle proprie case e alle attività economiche di ripartire.

da repubblica.it

"Quando tutti i medici sono obiettori di coscienza", di Adriano Sofri

«È successo a Napoli, a marzo: un ginecologo del Policlinico Federico II è morto, investito sulle strisce, e per due settimane non si sono fatte interruzioni di gravidanza», racconta Giovanna Scassellati. A stare ai numeri dell´obiezione di coscienza, l´Italia è più rigorosa della Ginevra di Calvino. Purché si tratti dell´obiezione all´interruzione di gravidanza regolata da una legge dello Stato.
Lungi dall´affrontare la persecuzione, i medici obiettori vedono favoriti carriera e guadagni. Sono obiettori il 71 per cento dei ginecologi italiani. In Basilicata 9 su 10, l´84 per cento in Campania, più dell´80 in Lazio e nell´Alto Adige-Sud Tirolo. All´ospedale di Fano tutti i medici sono obiettori. A Treviglio, Bergamo, sono obiettori 24 anestesisti su 25. Una dose modica di ipocrisia è essenziale alla convivenza civile. L´eccesso di ipocrisia la degrada. Giovanna Scassellati dirige dal 2000 il Day Hospital-Day Surgery della legge 194 al San Camillo di Roma, che dal 2010 fa da centro regionale per chi non trovi accoglienza in altri ospedali, dove i reparti sono stati chiusi. Su 316 ginecologi nel Lazio 46 non sono obiettori, e in 9 ospedali pubblici non si fanno interruzioni di gravidanza, come imporrebbe la legge a tutti gli ospedali non religiosi.
«Siamo come panda, al San Camillo su 21 i non obiettori sono 3, io, che vinsi il concorso, e 2 a contratto biennale. E gli aborti coprono il 40 per cento delle operazioni di ostetricia».

«Io sono specializzata in ginecologia, ostetricia e oncologia medica e faccio quello che pressoché nessuno vuole fare: manovalanza. Nelle coscienze non si entra, ma nelle predilezioni per le ecografie, per gli ambulatori privati, per l´intramoenia, quello sì. E le cose peggiorano. Avevamo un progetto che, da Veltroni sindaco in qua, diede risultati importanti: finanziava l´opera di mediatrici culturali, rumena, marocchina, albanese, che incontravano le donne, ne conoscevano istruzione, condizioni di famiglia, se avessero o no un medico cui rivolgersi, la prevenzione delle interruzioni di gravidanza. C´era una cinese bravissima, agopuntrice, pubblicavamo articoli sui loro giornaletti. Una cooperativa, scelta con un bando, dava la copertura assicurativa. I fondi dei progetti sociali sono stati tagliati dalla giunta Alemanno. Abbiamo raccolto 120mila firme contro la proposta di legge di una consigliera regionale che di fatto abolisce i consultori. I movimenti contro la 194 ricevono sovvenzioni ingenti, mentre il nostro lavoro, pubblico e, per quanto mi riguarda, attento a non derogare mai alla legge, viene così ostacolato. Di serie politiche sulla famiglia, come quelle francesi o anche inglesi, non si vede l´ombra. La 194 è una legge giusta, passò per la caduta di tre governi, la firmò Andreotti, certo che fu un compromesso, il vero compromesso storico. Al San Camillo mi raccontarono che nel 1977 (la legge è del 22 maggio 1978) morirono di setticemia tre donne, senza dire chi aveva procurato l´aborto».
Le avranno chiesto quanti aborti ha assistito. Ha un gesto di impazienza. «Non lo so, e non so nemmeno quanti bambini ho aiutato a far venire al mondo. Mia madre era di Savigliano, nel cuneese, è stata una delle prime ginecologhe. Seguì i corsi di preparazione al parto a Parigi, a Roma fu assistente ospedaliera al Sant´Anna. Le mie scelte sono state legate a lei, e al primo figlio che ebbi quando ero ancora al terzo anno di università. Mi trasferii a Chieti, ci restai 4 anni. C´erano bravi professori, dal Gemelli o da Bologna, ero interna all´ospedale, avrei potuto fare lì la mia carriera. Ero femminista, partecipavo degli impegni di allora, i viaggi a Londra, i radicali. Mia madre ha sempre fatto le interruzioni di gravidanza. Mio padre era molto cattolico e contrario, ma sapeva che l´aborto è un enorme problema personale e sociale e culturale, che non basta esorcizzarlo. Ho lavorato tanto con mia madre. Non c´era solo un rapporto madre-figlia fra noi, né una competizione: volevamo far andare le cose nel modo migliore. Lei è morta nel 1996, di uno dei più aggressivi tumori all´utero. A San Camillo c´era la vasca, l´avevano sovvenzionata le elette del Comune di Roma, vi sono avvenuti 300 parti, ora è in soffitta. C´è la parte sporca dell´ostetricia, il lavoro sociale, quello che coinvolge le emozioni. La maternità ti fa diventare amica della donna che assisti, per sempre. Con l´aborto non ti fai clienti: succede che non abbiano più voglia di vederti, dopo. E la gente per lo più sceglie questo mestiere per fare i soldi. Prova a dare un incentivo materiale a chi non obietta, e vedrai».
Lei non è diventata primario. «Non ci sono primari non obiettori. Poi sono donna. Poi forse non ci tenevo. Io faccio le guardie, regolarmente, cinque o sei notti al mese, e vado ancora a fare i parti a casa. Ho ereditato la direzione del reparto da uno che aveva avuto guai con la giustizia. Accettava pochissime donne e faceva gli aborti privatamente, a Villa Gina, nel 2000 scoppiò lo scandalo. Ero l´unica non obiettrice, fui nominata con un´ordinanza. Fino ad allora, per dieci anni, avevo lavorato anche volontariamente in un ambulatorio nella ex centrale del latte, con le donne straniere, venivano a decine, specialmente il giovedì, che è il giorno libero delle badanti. Il reparto al San Camillo è squallido, nel sotterraneo, ma è bello che abbia accessi indipendenti, l´ambulatorio di contraccezione ecc. I pavimenti sono rattoppati, ci ho messo tre anni a ridipingere le pareti».
«Una questione cruciale è l´aborto farmacologico, la Ru 486. Siamo l´unico ospedale nel Lazio che lo fa. L´Agenzia del farmaco suggeriva che andasse fatto col ricovero. Dunque si fa in regime di ricovero – i tre giorni prescritti – dopo di che le donne firmano e vanno a casa, dopo 48 ore tornano per il secondo farmaco e restano fino all´espulsione, poi a casa. Le donne sono responsabili, tornano tutte. Si è fatta una campagna sui rischi micidiali di questo metodo. Si è poi accertato che le morti (7 certificate in tutto il mondo) derivavano dalla somministrazione per via vaginale nelle prime settimane, invece che per via orale. Così le donne devono subire questi ricoveri impropri. La firma è un escamotage ultra-ipocrita, e significa apertura e chiusura di cartelle, per noi che abbiamo due letti e facciamo ruotare le donne, 30-35 al mese, e le richieste sono più numerose, perché nessun altro lo fa, né l´università né gli ospedali. In tutta l´Umbria non una sola struttura. Le straniere la chiedono meno, perché bisogna che conoscano bene la lingua e capiscano a fondo le istruzioni, e poi preferiscono l´aborto chirurgico per non perdere 3 o 4 giorni di lavoro. Le donne ricche vanno a Marsiglia, e amen. Come per la legge sull´eterologa, tornata d´attualità oggi. E pensare che uno dei fondatori era italiano, il prof. Lauricella, primario di mia madre. Ogni tanto penso che vorrei andare via. Ho diretto per tre mesi, da volontaria, un ospedale dei comboniani a Moroto, Uganda, 60 posti letto di ostetricia e ginecologia, e ho lavorato in Etiopia e in Eritrea per la prevenzione dei tumori del collo dell´utero. Le donne povere del mondo povero muoiono di aborto proibito».

La Repubblica 24.05.12

"Gli angeli del sisma tra scosse e macerie", di Alessandro Mazza

Denisa viene da Cesenatico. Ha 22 anni, e si tocca il pancione: è incinta di quattro mesi. «Me la sono sentita e sono partita. Appena arrivati ci siamo messi subito al servizio in mensa, e abbiamo finito a tarda notte. Come l’ha presa il mio compagno?
È una iena, ma io sono contenta». Denisa è solo una delle centinaia
di volontari che, in questi giorni, si sono riversati nelle zone
dell’Emilia-Romagna colpite dal terremoto, e in particolare a Sant’Agostino, in provincia di Ferrara. Sono oltre 300 gli «ospiti» che, tutte le sere, dormono nel centro accoglienza della scuola «Dante Alighieri». La terra continua a tremare, e la paura non passa. Ma la macchina dell’assistenza si è messa subito in moto. Tra i primi ad arrivare nel Ferrarese, i ragazzi della Croce rossa di Forlì-Cesena, che, in poche ore di lavoro, hanno posizionato brande per 250 persone, allestendo lo spazio per lo «sporzionamento» pasti, un’infermeria, un’area per i tanti bambini presenti e tutto l’occorrente per il censimento. A coordinare la missione dei 16 volontari c’è Anita Biguzzi di Forlì. Ha solo 24 anni, ma determinazione e capacità organizzativa da vendere. È stata tra le prime a rispondere alla chiamata di domenica e a raggiungere il campo di Sant’Agostino. «Quando siamo arrivati c’erano tante necessità come è normale che sia in contesti di emergenza – ha detto –, ci sono persone con la casa inagibile, altri che aspettano di sapere se possono rincasare e non manca chi ha paura e non vuole tornare nella sua abitazione. Dobbiamo far capire alle persone spaventate che non sono sole, che non sono abbandonate».
Marco, ha diciotto anni, è di Meldola ed è alla prima esperienza in un campo d’emergenza con la Cri. «A casa porterò l’emozione che ho vissuto lunedì notte – ha detto – ho visto tutte quelle persone dormire nei letti e vedere che se stava male uno tutti si alzavano per capire cosa fosse successo». Presente e in forze anche la Protezione civile di Ferrara. Acoordinare gli uomini c’è Ottorino Zanoli. «Questa è la nostra terra – ha detto -. Proprio qui ci sono stati quattro ragazzi morti e vogliamo portare tutto il nostro contributo a chi ha bisogno anche con turni fuori orario. Tra i nostri compiti c’è la logistica – ha detto – e anche portare sul posto i valutatori che devono dire se le case dei cittadini sono agibili o meno».
UNITÀOPERATIVA
Tra il cancello e l’ingresso della scuola c’è l’unità operativa dei vigili del fuoco. I cittadini si mettono in fila e segnalano eventuali crepe e timori sulla staticità degli edifici. «In due giorni e solo a Sant’Agostino abbiamo ricevuto 300 segnalazioni – ha detto il caposquadra –. Tutto ciò che non è urgente ha un tempo di attesa di circa 24 ore». Sono presenti anche a San Carlo, la frazione vicina. «In molti vengono da noi anche solo per sentirsi sicuri, cercano il contatto umano», spiegano i pompieri. Il paese sembra un cantiere aperto. Infatti gli smottamenti hanno portato
in superficie chili e chili di fango spuntati all’improvviso dalle strade o dal giardino di casa; a ciò si aggiungono le tubature rotte di luce e gas.
Solidarietà e integrazione non mancano nel campo di Sant’Agostino:
le indicazioni sono scritte in italiano, inglese e arabo, diverse le donne con il velo che aiutano Cinzia, volontaria della Croce Rossa, a pulire i tavoli. C’è anche chi si lascia andare a un piccolo momento di sconforto. «Vorrei che tutto ciò non fosse mai
accaduto – dice Clara, una giovane mamma che ha perso casa -. La primanotte l’abbiamo passata a casa di parenti, c’erano già diverse persone ospitate e siamo venuti qui nella palestra. Spero in un intervento dello Stato, ma non me lo aspetto, ci sentiamo abbandonati». Raffaele Natuzzi fa parte dei volontari dei Carabinieri. «Dopo l’esperienza de l’Aquila sei pronto un po’ a tutto – ha detto –facciamo il massimo per accogliere gli «ospiti» e farli sentire in sicurezza».
Il sindaco Fabrizio Toselli, dall’ inizio dell’emergenza è alloggiato al centro di accoglienza. «Voglio stare vicino ai miei concittadini» ha detto poco dopo aver ricevuto il premier Monti senza fascia tricolore. «Purtroppo è rimasta in Comune e l’edificio è completamente inagibile e sarà tutto da demolire». Intanto, anche ieri mattina, le scosse, seppur di minore intensità, non sono cessate.

L’Unità 24.05.12

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Ricostruzione, l’allarme di Errani: «Attenzione alle mafie», PINO STOPPON

Il terremoto dell’Emilia non è finito ma già fa i conti con la ricostruzione. Il presidente della Regione, Vasco Errani ne ha parlato ieri davanti all’Assemblea legislativa. lanciando subito un allarme: «Non abbiamo mai nascosto la testa sotto la sabbia per le infiltrazioni mafiose, che ci sono anche in Emilia-Romagna» e ora, con i tanti lavori che si annunciano, «servono forme ulteriormente specifiche per garantirci». È una frase che colpisce, nel giorno in cui l’Anm commemorando a Bologna il sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha ribadito il rischio di un salto di qualità delle mafie in regione. Ma lo sguardo è a quello che bisogna fare. Errani, con l’assessore Paola Gazzolo, annuncia per venerdì il Tavolo con le forze economiche e sociali delle province colpite, banche comprese, per coordinare informazioni e provvedimenti da prendere. Per ora ci sono stime locali dei danni, un’idea più precisa si avrà allora. Intanto si sa che i primi 10 milioni, dei 50 stanziati ieri dal Consiglio dei Ministri con lo stato di emergenza nazionale, serviranno per soccorsi, assistenza e «messa in sicurezza provvisoria dei siti pericolanti».
Al governo però sono stati chiesti anche, per le case lesionate e le imprese colpite, «la sospensione dell’ Imu e degli oneri fiscali e contributivi». Ma servono anche sostegno al credito, ammortizzatori ordinari o in deroga, fondi per la ricostruzione velocizzandone i tempi, e una deroga al Patto di stabilità. C’è tanto da fare. A cominciare dalle scuole: «Nessuna soluzione provvisoria», avverte Errani. Dovranno essere già «ristrutturate alla riapertura, per il nuovo anno scolastico. Nessuno ha la bacchetta magica,masi vada avanti senza fermarsi».E ci sono i centri storici in macerie: «È indispensabile un decreto sui beni culturali, che non può stare dentro al sistema classico della Protezione civile». Perché quei 50 milioni devono andare a interventi sui beni culturali «solo se incombono sulla pubblica incolumità». La Regione, inoltre, si impegna a costituire un fondo di rotazione già dall’assestamento di bilancio in luglio, e ha chiesto al Governo di fare altrettanto, per «riattivare da subito le attività produttive. Non ci deve essere nessuna rottura tra emergenza e ricostruzione – sottolinea Errani – dopo faremo l’altro pezzo, il riconoscimento dei danni».

l’Unità 24.05.12

"Sulla nave di Leonardo", di Tito Boeri

La cena di ieri sera dei capi di governo dell´area euro avrebbe dovuto svolgersi su uno dei traghetti di Leonardo. Sfruttano ingegnosamente la corrente per trasportare persone e cose da una parte all´altra di un fiume. Ci si imbarca allegramente, in comitiva. Ma una volta in mezzo al guado, ci si accorge che non si può stare fermi in attesa magari di un raggio di sole, né si può tornare indietro. L´unica opzione possibile è passare all´altra riva, con una velocità commisurata alla forza della corrente. Poi, solo a quel punto, se proprio lo si desidera, si potrà tornare indietro.
L´unico modo per evitare una nuova pesante recessione a livello mondiale e di scongiurare il collasso dell´Unione monetaria europea, e forse della stessa Unione europea, è rafforzare la politica monetaria comune e garantire insieme, a livello europeo, la stabilità del sistema bancario. Superata la crisi, si potrà ridurre l´integrazione politica ed economica su altri fronti. Perché le istituzioni europee devono gestire le risorse comuni, a partire dalla moneta unica, e delegare ai singoli paesi le riforme strutturali. Oggi, invece, avviene esattamente il contrario: le politiche della Bce vengono dettate dai governi nazionali e condizionate dalle banche centrali dei singoli paesi (che errore non averle smantellate creando l´euro!) e l´agenda delle riforme microeconomiche viene stabilita a Berlino, Bruxelles e Francoforte tenendo pericolosamente i paesi sempre sull´orlo della bancarotta finanziaria per poter così influenzare le loro decisioni, senza spesso neanche conoscere le specificità istituzionali e gli equilibri socio-politici dei singoli paesi.
Un ruolo più forte della Bce nel gestire la crisi e l´introduzione di un´assicurazione europea sui conti bancari sono fondamentali per evitare il panico in caso di uscita della Grecia dall´euro e, in ogni caso, per dare una speranza, una prospettiva allo sforzo che i singoli paesi stanno facendo (per la verità non tutti con lo stesso impegno) per migliorare i loro conti pubblici. Oggi questi sforzi vengono vanificati dall´abbraccio mortale fra banche e ministeri del Tesoro, che la stessa Bce ha attivamente sostenuto in questi mesi. È un intreccio perverso anche perché opera in modo asimmetrico. Quando i titoli di Stato perdono valore come in questi giorni, le banche vedono pericolosamente svalutarsi il loro patrimonio e ciò diffonde il panico tra le famiglie che mettono altrove i loro risparmi. La fuga di capitali dai paesi del Sud Europa si legge nei 650 miliardi che le banche di questi paesi devono alla Bce. Ma anche quando gli spread si riducono, le cose non vanno molto meglio perché le banche sono indotte a comprare titoli di Stato anziché a dare liquidità e credito a famiglie e imprese. È il film visto nei primi tre mesi del 2012 quando qualcuno improvvidamente aveva decretato la fine della crisi.
L´Unione europea e non solo l´Unione monetaria rischia il naufragio perché oggi non dà alcuna speranza a chi vi appartiene ed è in condizioni di difficoltà. Per questo è un costrutto che non può reggere a lungo. Non c´è bisogno di pensare alla Grecia, basta guardare a quello che sta succedendo da noi. Stiamo vivendo una recessione disperante perché segue a ruota una grande crisi in cui famiglie e imprese avevano già raschiato il fondo del barile. Oggi non riescono più ad ammortizzare i costi della crisi, ad evitare che il calo dei redditi si trasformi in una riduzione altrettanto marcata dei consumi. Per questo la crisi – pur essendo meno forte della precedente, almeno a giudicare dai dati del Pil – si sente molto più di quella di tre anni fa. Scendono i consumi delle famiglie, mentre reggono le esportazioni, crollate nell´inverno 2008-9. Tutti gli indicatori reali (a partire dai consumi di vivande, anche a parità di traffico, sulla rete autostradale, per arrivare ai pasti offerti ai poveri dai centri di welfare) segnalano una crisi molto più forte che allora. Di più, famiglie e imprese non vedono vie d´uscita da questo disagio diffuso, almeno a giudicare da quanto dichiarano nelle indagini sul clima di fiducia. Del resto, c´è un miglioramento troppo modesto della nostra posizione verso l´estero, della nostra bilancia commerciale, mentre i rendimenti dei titoli di Stato a breve, e non solo gli spread a lunga monitorati dai media, sono tornati pericolosamente a salire nonostante un aggiustamento fiscale di 80 miliardi in tre anni. Quando non si vede la fine del tunnel, inevitabile chiedersi: perché fare tanti sacrifici se le cose non accennano comunque a migliorare? Purtroppo l´uscita dall´euro ci aprirebbe scenari ben peggiori, come documentato su queste colonne sabato scorso da Alberto Bisin. Ma è certo che la situazione è insostenibile: senza speranza e con un disagio diffuso non si può andare avanti a lungo, socialmente, ancora prima che economicamente.
Anche in Germania per fortuna se ne sono resi conto. Lo si vede anche dalle reazioni all´accordo dei metalmeccanici tedeschi. In altri tempi, un aumento salariale del 4,3 per cento nei prossimi 14 mesi (dopo quelli del 6 per cento accordati negli ultimi mesi a bancari, dipendenti pubblici e impiegati Telekom) sarebbe stato accompagnato da messaggi d´allarme dalla Bundesbank e dallo stesso governo. Invece questi aumenti sono stati accolti con favore da Weidmann e da Schauble. Ma ci vuole ben altro per esportare crescita verso il Sud dell´Europa e per ridurre il divario di competitività fra la Germania e i paesi dell´Unione monetaria, al di fuori dall´ex area del marco. Anche in questo serve una Banca centrale europea più aggressiva nel reagire alla crisi. Dovrebbe abbassare i tassi di interesse e impegnarsi a mantenerli a zero nei prossimi due anni. Una forte svalutazione dell´euro verso il dollaro sarebbe molto utile. Avrebbe il vantaggio non solo di rafforzare la spinta che viene dalle esportazioni nei paesi del consolidamento fiscale, ma anche di generare inflazione in Germania, per via delle sue forti importazioni da paesi fuori dell´area euro, riducendo anche in questo modo gli squilibri nei livelli di competitività fra i paesi della moneta unica.
Lo scontro politico in vista del vertice europeo di giugno sembra tutto incentrato sugli eurobond e sui project bond che dovrebbero servire a finanziare imprecisati progetti infrastrutturali. I primi sono improponibili in situazioni in cui i premi di rischio tra paesi sono così diversificati, mentre i secondi rischiano di avere effetti troppo tardi, quando il naufragio sarà già avvenuto. Quello che conta ora è andare più rapidamente possibile sull´altra riva completando il costrutto dell´Unione monetaria europea. Ci vuole una Banca centrale europea in grado di intervenire, come la Fed nel 2008-9, per evitare il collasso della moneta che è chiamata a gestire, che è la sua ragion d´essere, comprando direttamente titoli di Stato dei paesi del contagio anziché delegare questo compito alle banche. E che sia in grado di comunicare ai mercati chiaramente le proprie intenzioni anziché lanciare il sasso e poi tirare indietro la mano. Ai politici europei sin qui sopravvissuti, quelli che si sono rivelati incapaci di circoscrivere una crisi che poteva benissimo essere locale, si chiede oggi di limitarsi a fare un passo indietro, dando modo alla Bce di attivare gli strumenti di cui sulla carta già dispone. Quanto ai nuovi leader, comprensibilmente ansiosi di protagonismo, forse meglio che si concentrino sui meccanismi per creare nel più breve tempo possibile un´assicurazione europea dei depositi bancari e per portare avanti le riforme nei loro paesi, piuttosto che utilizzare tutto il loro peso politico per inseguire delle chimere, come gli eurobond.

La Repubblica 24.05.12

"Un nuovo patto", di Nadia Urbinati

C´è ancora spazio per una politica progettuale in Occidente? Dopo la stagione riformatrice guidata dalla terna Clinton-Prodi-Blair sarà la volta di Obama-Hollande-Monti? L´analogia tra i due tempi del riformismo occidentale ha fatto timidamente capolino in alcuni blog stranieri in coincidenza con il recente summit di Chicago che ha, da un lato, rilanciato il ruolo internazionale del nostro paese e, dall´altro, decretato la sconfitta dell´austerità senza espansione. Il bisogno di immaginare una nuova strada dove sicurezza sociale e libertà riprendano a marciare insieme non è solo dell´Europa. Gli Usa non ne hanno meno bisogno. Senza giri di parole, soprattutto dopo la vittoria di Hollande e le sconfitte elettorali del partito della Merkel, un nuovo New Deal sembra meno utopistico oggi di quanto non lo fosse qualche mese o poche settimane fa. L´opinione pubblica è sempre più convinta che i governi debbano riprendere in mano la progettualità sociale ed economica e soprattutto togliere alla agenzie private di rating il potere arbitrario della reputazione (e della sfiducia). I governi sembrano meno entusiasti dell´opinione dei loro paesi ma non è chi non veda che è nel loro interesse riaffermare l´orgoglio della politica democratica come fece il governo federale americano quando negli anni ´30 e ´40 lanciò una campagna poco tenera contro i “grandi papaveri della finanza”.
Il bisogno di un nuovo New Deal pare far breccia anche in Europa, costringendo governi poco immaginativi a rivedere la loro tradizionale percezione della politica europea come non-politica o, al massimo, politica-cerotto. Di fronte al bivio di perire o riprendere il filo interrotto della costituzione politica, è probabile che la necessità riesca a fare ciò che la volontà è stata fin qui incapace di fare: dare corpo al progetto di un´Europa politica democratica. Al progetto federale. Dove ispirarsi se non agli anni Trenta in America, dove la distruzione fu come oggi causata non da una guerra ma dalla mancanza di regole e di governo dell´economia. Allora, la depressione causò migliaia di suicidi e una disoccupazione che in due anni passò dal 6% al 25%. L´emergenza fu domata con la politica non dell´eccezione ma della progettualità sociale. Nacque così la democrazia che è a noi familiare.
New Deal vuol dire “nuovo patto” fra il governo e i cittadini. Quando venne messo in cantiere, in due fasi, tra il 1933 e il 1938, non c´era ancora la guerra ma la distruzione del sogno americano era già iniziata da qualche anno. Franklin Delano Roosevelt fece comprendere ai suoi concittadini che c´era un solo modo per rispondere all´emergenza: diventando più, non meno, democratici. In Europa, già sotto il tallone dei totalitarismi, a comprendere per primi questa sfida furono i liberal-socialisti italiani. In articoli illuminanti di Carlo Rosselli e di alcuni collaboratori dei “Quaderni di Giustizia e Libertà” venivano nei primi anni ´30 messi nero su bianco i criteri che, dopo la guerra, avrebbero consentito ai paesi europei di ricostruirsi su basi democratiche: primo fra tutti la responsabilità del governo di garantire la sicurezza sociale e la libertà.
Tre libertà furono messe in campo da quei visionari: quella politica, quella civile e quella economica. Per far sì che queste tre libertà operassero insieme essi compresero che occorreva garantire tre sicurezze: l´azione del governo, la responsabilità dei cittadini, le garanzie economiche o del lavoro. Il problema che si era posto il presidente Roosevelt era di fare interagire queste tre libertà e queste tre sicurezze, usando le istituzioni non come guardiani inattivi. La strategia fu una sinergia federativa, politica e sociale.
L´esito del New Deal, un programma non tanto di incentivi all´occupazion ma di creazione di lavoro (per infrastrutture soprattutto, ma non solo) da parte del governo, fu l´opposto di quel che i suoi nemici liberisti temevano: uno stato democratico. E in effetti, Roosevelt dovette convincere i suoi concittadini che egli non aveva alcuna intenzione di diventare un dittatore, che guidare uno Stato non-interventista non era la stessa cosa che dar vita al fascismo. E così pure Rosselli, che proprio in quegli anni chiarì la differenza tra stato democratico che interviene nell´economia e dittatura o totalitarismo.
Di qua e di là dell´Oceano (benché in diversissime condizioni) venne messo in quegli anni in piedi l´architrave di una concezione bipolare del liberalismo: uno non-interventista e indifferente alla democrazia, e uno sociale e naturale alleato della democrazia. La differenza tra i due stava proprio nel modo di interpretare la libertà. E la domanda che pose Roosevelt era molto ben posta: siamo sicuri perché siamo liberi o siamo liberi perché siamo sicuri? Che cosa deve fare un governo democratico perché la sicurezza della libertà dei suoi cittadini sia vissuta, non solo sancita?
Nella repubblica federale americana l´esito della grande depressione fu l´irrobustimento della democrazia e il rafforzamento della solidarietà: la realizzazione di quella “più perfetta unione” enunciata nella Dichiarazione di Indipendenza. L´esito fu la reinterpretazione del liberalismo come “libertà dalla paura” non dello Stato, ma, ora che lo Stato democratico era costituzionale, dell´irresponsabilità di alcuni a scapito dell´interesse generale. Salvare la democrazia dal collasso del capitalismo senza regole fu la scommessa vinta dal primo New Deal, l´architrave della nostra democrazia. È ragionevole pensare che la rinascita della legittimità democratica in Europa richieda un nuovo New Deal.

La Repubblica 24.05.12

"La mia fiducia nelle nuove generazioni", di Giorgio Napolitano*

Quello di oggi è un anniversario speciale, e non solo perché sono trascorsi vent’anni e il lungo tempo che ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio ci consente bilanci e riflessioni di fondo sulla lotta contro la mafia, sull’impegno per la legalità e per la sicurezza. Quello di oggi è un anniversario speciale anche perché gli orribili fatti della vigilia, la barbara sanguinosa aggressione alle ragazze della scuola di Brindisi, e ancor più tutto quello che sta accadendo in Italia, la situazione generale del nostro Paese, rendono importante, anzi prezioso, il richiamo all’esperienza di quel tragico maggio-luglio 1992, di quel drammatico biennio 1992-93; rendono prezioso il richiamo all’insegnamento e all’esempio di Giovanni Falcone.

La mafia, Cosa Nostra e le altre espressioni della criminalità organizzata rimangono ancora un problema grave della società italiana, e dunque della democrazia italiana. Dobbiamo perciò, noi tutti, proseguire con la più grande determinazione e tenacia sulla strada segnata con il loro sacrificio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino vent’anni fa. Se le stragi in cui essi caddero massacrati insieme a uomini e donne delle loro scorte segnarono il culmine dell’attacco frontale allo Stato, ai suoi rappresentanti più temibili nello scontro diretto e quotidiano con il crimine organizzato, e se gli attentati della primavera del 1993, e il loro torbido sfondo, si esaurirono in se stessi, la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose.

Da allora le diverse organizzazioni criminali – tra le quali in particolare la ‘ndrangheta, e in forme violente e spietate – hanno coltivato vecchi e nuovi traffici profittevoli e invasivi, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, anche attraverso pesanti condizionamenti della vita politico-istituzionale. E oggi – nel quadro della crisi generale che l’economia italiana ed europea sta attraversando, con pesanti riflessi negativi anche sulla condizione finanziaria e sulla capacità d’azione dello Stato – la compenetrazione tra la criminalità e l’attività economica è divenuta un nodo di estrema rilevanza per il Mezzogiorno. Un nodo soffocante per ogni possibilità di sviluppo in queste regioni: in cui la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali, e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare, «nero», in un contesto di disoccupazione crescente e disperata. (…) La lotta contro mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre consociazioni criminali, è dunque più che mai una priorità per tutto il Paese.

Già Falcone e Borsellino avevano chiarissima la visione della pericolosità del dispiegarsi della mafia sul versante della penetrazione nella vita economica e nei più sofisticati circuiti finanziari e non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del Nord e in più vaste reti internazionali. E una pericolosità crescente ha via via acquistato in questo senso la ‘ndrangheta calabrese. Ecco i nuovi fronti dell’impegno a combattere, colpire, debellare la criminalità organizzata.

Che questa possa oggi anche tentare feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico, non possiamo escluderlo. Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione. Ma una cosa è certa: questi nemici del consorzio civile e di ogni regola di semplice umanità, avranno la risposta che si meritano. Se hanno osato stroncare la vita di Melissa e minacciare quella di altre sedicenni aperte alla speranza e al futuro, se lo hanno poi fatto a Brindisi, in quella scuola, per offendere la memoria di una donna coraggiosa, di una martire come Francesca Morvillo Falcone, la pagheranno, saranno assicurati alla giustizia. E se hanno pensato di sfidare questa stessa commemorazione, oggi a Palermo, di Giovanni Falcone, delle vittime della strage di Capaci a vent’anni di distanza, stanno già avendo la vibrante prova di aver miseramente fallito. (…)

E venendo ai più vicini giorni di dolore e di sgomento che abbiamo vissuto, lasciate che lo dica anch’io come lo ha detto il presidente del Consiglio: che cosa magnifica sono state le reazioni, le risposte alla viltà criminale di Brindisi, venute dai giovani e dal popolo di quella città e subito, di slancio, di tante altre città italiane. La Repubblica, le sue istituzioni, ne sono fiere: sono fiere innanzitutto di voi ragazze e ragazzi di Brindisi. (…)

Facciamo affidamento sulle forze dello Stato, sulle migliori energie della società civile, sulle nuove generazioni. Vedete, incontro in molte occasioni ragazze e ragazzi più o meno dell’età di Melissa, di Veronica e delle loro compagne, di tante e tanti di voi presenti in quest’aula, e colgo, in questa generazione, una carica di sensibilità, di intelligenza, di generosità che molto mi conforta, che mi dà grande speranza e fiducia. E perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile, e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società, nel segno della legalità e della trasparenza. L’Italia ne ha bisogno; l’Italia ve ne sarà grata.

*Pubblichiamo un estratto dell’Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Cerimonia di commemorazione del Giudice Giovanni Falcone
GIORGIO NAPOLITANO*
Quello di oggi è un anniversario speciale, e non solo perché sono trascorsi vent’anni e il lungo tempo che ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio ci consente bilanci e riflessioni di fondo sulla lotta contro la mafia, sull’impegno per la legalità e per la sicurezza.

Quello di oggi è un anniversario speciale anche perché gli orribili fatti della vigilia, la barbara sanguinosa aggressione alle ragazze della scuola di Brindisi, e ancor più tutto quello che sta accadendo in Italia, la situazione generale del nostro Paese, rendono importante, anzi prezioso, il richiamo all’esperienza di quel tragico maggio-luglio 1992, di quel drammatico biennio 1992-93; rendono prezioso il richiamo all’insegnamento e all’esempio di Giovanni Falcone.

La mafia, Cosa Nostra e le altre espressioni della criminalità organizzata rimangono ancora un problema grave della società italiana, e dunque della democrazia italiana. Dobbiamo perciò, noi tutti, proseguire con la più grande determinazione e tenacia sulla strada segnata con il loro sacrificio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino vent’anni fa. Se le stragi in cui essi caddero massacrati insieme a uomini e donne delle loro scorte segnarono il culmine dell’attacco frontale allo Stato, ai suoi rappresentanti più temibili nello scontro diretto e quotidiano con il crimine organizzato, e se gli attentati della primavera del 1993, e il loro torbido sfondo, si esaurirono in se stessi, la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose.

Da allora le diverse organizzazioni criminali – tra le quali in particolare la ‘ndrangheta, e in forme violente e spietate – hanno coltivato vecchi e nuovi traffici profittevoli e invasivi, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, anche attraverso pesanti condizionamenti della vita politico-istituzionale. E oggi – nel quadro della crisi generale che l’economia italiana ed europea sta attraversando, con pesanti riflessi negativi anche sulla condizione finanziaria e sulla capacità d’azione dello Stato – la compenetrazione tra la criminalità e l’attività economica è divenuta un nodo di estrema rilevanza per il Mezzogiorno. Un nodo soffocante per ogni possibilità di sviluppo in queste regioni: in cui la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali, e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare, «nero», in un contesto di disoccupazione crescente e disperata. (…) La lotta contro mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre consociazioni criminali, è dunque più che mai una priorità per tutto il Paese.

Già Falcone e Borsellino avevano chiarissima la visione della pericolosità del dispiegarsi della mafia sul versante della penetrazione nella vita economica e nei più sofisticati circuiti finanziari e non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del Nord e in più vaste reti internazionali. E una pericolosità crescente ha via via acquistato in questo senso la ‘ndrangheta calabrese. Ecco i nuovi fronti dell’impegno a combattere, colpire, debellare la criminalità organizzata.

Che questa possa oggi anche tentare feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico, non possiamo escluderlo. Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione. Ma una cosa è certa: questi nemici del consorzio civile e di ogni regola di semplice umanità, avranno la risposta che si meritano. Se hanno osato stroncare la vita di Melissa e minacciare quella di altre sedicenni aperte alla speranza e al futuro, se lo hanno poi fatto a Brindisi, in quella scuola, per offendere la memoria di una donna coraggiosa, di una martire come Francesca Morvillo Falcone, la pagheranno, saranno assicurati alla giustizia. E se hanno pensato di sfidare questa stessa commemorazione, oggi a Palermo, di Giovanni Falcone, delle vittime della strage di Capaci a vent’anni di distanza, stanno già avendo la vibrante prova di aver miseramente fallito. (…)

E venendo ai più vicini giorni di dolore e di sgomento che abbiamo vissuto, lasciate che lo dica anch’io come lo ha detto il presidente del Consiglio: che cosa magnifica sono state le reazioni, le risposte alla viltà criminale di Brindisi, venute dai giovani e dal popolo di quella città e subito, di slancio, di tante altre città italiane. La Repubblica, le sue istituzioni, ne sono fiere: sono fiere innanzitutto di voi ragazze e ragazzi di Brindisi. (…)

Facciamo affidamento sulle forze dello Stato, sulle migliori energie della società civile, sulle nuove generazioni. Vedete, incontro in molte occasioni ragazze e ragazzi più o meno dell’età di Melissa, di Veronica e delle loro compagne, di tante e tanti di voi presenti in quest’aula, e colgo, in questa generazione, una carica di sensibilità, di intelligenza, di generosità che molto mi conforta, che mi dà grande speranza e fiducia. E perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile, e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società, nel segno della legalità e della trasparenza. L’Italia ne ha bisogno; l’Italia ve ne sarà grata.

*Pubblichiamo un estratto dell’Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Cerimonia di commemorazione del Giudice Giovanni Falcone

La Stampa 24.05.12

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“Il calore di questi giovani è stato il più bel regalo alla memoria di Giovanni”, di Alessandra Ziniti

Quella del Capo dello Stato è una chiamata alle armi: dobbiamo scendere in campo per difendere la democrazia.
Il Presidente ha ragione: Palermo ha fatto un salto di qualità. Oggi siamo tutti molto più forti rispetto al ‘92. Le lacrime del Presidente hanno commosso anche lei. «Quella del capo dello Stato è una chiamata alle armi, in senso metaforico naturalmente, una chiamata a tutti noi, a tutti gli italiani perché scendano in campo a tutti i livelli per difendere il nostro paese, per difendere la democrazia». Alle tre e mezza del pomeriggio, ancora negli occhi l´emozione per la mattinata nell´aula bunker dell´Ucciardone, Maria Falcone si prepara al corteo del pomeriggio, all´appuntamento delle 17.58 sotto l´albero di via Notarbartolo, che da vent´anni i palermitani hanno scelto come tazebao per dimostrare al magistrato ucciso a Capaci insieme alla moglie e agli uomini della scorta quell´affetto e quella solidarietà che non ebbe in vita.
Signora Falcone, il presidente ha esortato i giovani a scendere in campo ma non ha nascosto la sua preoccupazione per un possibile ritorno agli anni bui dello stragismo.
«Non si può mai escludere nulla, la storia ci ha insegnato che lo stragismo nasce nei periodi di difficoltà e questo certamente per Palermo, per la Sicilia, per il Paese tutto è un momento di grande crisi, economica, sociale, politica. Oggi, alle date del 23 maggio e del 19 luglio 1992 purtroppo si è aggiunto il 19 maggio 2012 con il vile attentato di Brindisi. L´Italia è stanca di piangere, non si possono mostrare segni di debolezza, bisogna identificare subito i colpevoli. È vero, il Presidente non ha nascosto la sua preoccupazione per un possibile ritorno del periodo stragista, ma vorrei mettere in risalto un altro passaggio del suo discorso, quando ha detto che Palermo, la Sicilia non sono sempre le stesse, sono cambiate».
Un pensiero che evidentemente lei condivide a differenza di quanti continuano ad esprimere pensieri critici nei confronti della città.
«È sotto gli occhi di tutti che Palermo ha fatto un gran salto di qualità, bastava vedere cosa c´era oggi nell´aula bunker. Una folla così, una partecipazione così numerosa ma soprattutto così emotivamente apprezzabile da chiunque io non l´avevo mai vista. Sì, forse il giorno dei funerali, ma quello era un altro momento, la città, il Paese intero era indignato, impaurito, sconvolto. È verissimo quello che dice Napolitano: oggi siamo molto più forti del 92, la società italiana ha fatto tesoro dell´esperienza. Oggi, dopo vent´anni, sentire attorno a noi questo calore, questa partecipazione, questa attenzione è la dimostrazione del cambiamento, è il più bel regalo che si poteva fare a Giovanni, Francesca e Paolo anche se la società civile nella consapevolezza della legalità è più avanti della politica che ancora non ha fatto piazza pulita».
Napolitano si è commosso due volte proprio quando si rivolgeva in modo particolare ai giovani che aveva davanti. Che sensazione ha provato?
«È stato entusiasmante e sono infinitamente grata al Presidente. Quello che ha dimostrato non nascondendo la sua commozione è il sentimento di chi vede, di chi vuole una società giovane a difesa della nostra democrazia, di quella democrazia per la quale si sono sacrificati Giovanni e Paolo. E per chi, come noi, da anni e anni lavora instancabilmente con i giovani, con i bambini, nelle scuole, questo è un grande riconoscimento».

La Repubblica 24.05.12

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“Un faro sui pericoli in agguato”, di FRANCESCO LA LICATA

Dobbiamo essere grati al Capo dello Stato per avere, col suo generoso intervento nell’aula bunker di Palermo, riportato il tema della lotta alle mafie al centro dell’attenzione politica e istituzionale. Senza se e senza ma, di fronte a tanti familiari delle vittime del passato e alle giovani compagne di Melissa, ultima vita sacrificata alla follia terroristica, Napolitano ha detto a chiare lettere che la violenza mafiosa è un pericolo e un attacco alla democrazia. E’ ancora un pericolo mortale, nel senso che non è venuto meno tutto il suo potenziale distruttivo e di penetrazione nel consesso civile. Proprio nel ricordo dei nostri eroi Falcone, Borsellino, La Torre, Dalla Chiesa e di tutti i caduti, allora, bisognerà tenere alta la guardia e impegnarsi nel «garantire stabilità di governo e mettere in cantiere processi di riforma» senza farsi deviare da «attacchi criminali, fenomeni di violenza e comportamenti destabilizzanti di qualsiasi matrice». «Non ci facemmo intimidire – ha assicurato Napolitano – non lasciammo seminare paura e terrore né nel ’92 né in altre dure stagioni e sconvolgenti emergenze. Tantomeno cederemo ora».

Non è stata una semplice commemorazione, quella del Capo dello Stato. Certo, il ricordo di Falcone e Borsellino, il giusto tributo a due grandi italiani sono stati il motore di un discorso che, però, è andato ben al di là dell’esercizio di retorica. Le parole di Giorgio Napolitano hanno messo in evidenza tutta la reale preoccupazione per un momento generale ad altissimo rischio di tenuta istituzionale, ma anche la grande determinazione nel mettere in campo le forze e i rimedi migliori per arginare il pericolo.

Le apprensioni del Capo dello Stato sembrano rivolte principalmente all’attuale fragilità del sistema politico, economico e finanziario, vista come potenziale cavallo di Troia per un possibile attacco mafioso. In questo senso è esplicito il riferimento al 1992 e «agli attentati della primavera del 1993 e il loro torbido sfondo». Aggressione che si esaurì, seppure «la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose». Anche di queste parole dirette, bisogna esser grati al Capo dello Stato, perché – senza cedimenti al politichese consolatorio – parte dall’esperienza trascorsa per accendere una luce sui pericoli in agguato. Specialmente laddove chiarisce che «la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare».

Insomma è la debolezza economica che impensierisce più di tutto il Capo dello Stato, fino a temere pericolose irruzioni anche «nei più sofisticati circuiti finanziari». Lo impensierisce tanto da fargli temere persino «feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico». Riferimento chiaro all’attentato alla scuola: «Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione».

Ma non c’è rassegnazione nel discorso di Napolitano, anzi. Proprio il sangue degli eroi darà la forza di reagire e battere ancora il malaffare, anche con la fierezza di quei ragazzi presenti nell’aula bunker con gli occhi pieni di lacrime, ma fedeli all’eredità di Falcone e Borsellino.

Il Capo dello Stato ha indicato la strada da seguire: la ricerca onesta della verità, anche quella scomoda. Non v’è altro metodo per «dipanare le ipotesi più gravi e delicate di impropri o perversi rapporti tra rappresentanti dello Stato ed esponenti mafiosi». Ma procedere «con profonda sicurezza» non vuol dire «nasconderci la gravità degli errori che in sede giudiziaria possono compiersi, come ne sono stati compiuti nei procedimenti relativi alla strage di via D’Amelio». Non ha voluto tralasciare proprio nulla, il Presidente. A conferma della grande attenzione riposta nell’attuale momento della vita del Paese. Un grande conforto, un immenso sostegno a quanti non hanno abbassato la guardia e continuano a combattere una battaglia sul fronte dell’affermazione della legalità, anche tra gli scetticismi e le critiche di superficiali, frettolose e interessate autoassoluzioni.

La Stampa 24.05.12

Conferenza Nazionale per la scuola dei nativi digitali

si svolgerà nei giorni 25 e 26 maggio 2012 a Roma (Tempio di Adriano, piazza di Pietra), la prima Conferenza nazionale del PD per la scuola dei nativi digitali. E’ un importante appuntamento politico al quale prenderanno parte il Segretario nazionale del Pd Pier Luigi Bersani e il Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca Francesco Profumo , il presidente del gruppo Pd alla Camera Dario Franceschini , i capigruppo Pd delle Commissioni Cultutra e Istruzione Manuela Ghizzoni e Antonio Rusconi , gli ex ministri Giuseppe Fioroni e Luigi Berlinguer, il Presidente del Forum Istruzione PD Giovanni Bachelet e molti altri parlamentari.

Ospite d’onore sarà Marc Prensky , esperto internazionale di tecnologie digitali e modelli di apprendimento: sua la lectio magistralis di venerdì 25. Con lui, ci sarà anche Gerard van Wolferen , capo del programma di ricerca in Design Creativo per l’Inclusione presso la l’Università di Utrecht “School of the Arts”.

il programma completo

Protagonisti della Conferenza saranno insegnanti, esperti, editori. Interessante e prestigioso il panel dei relatori: dalla pro rettore della Bicocca Susanna Mantovani a Paolo Ferri , anche lui docente alla Bicocca, da Roberto Maragliano di Roma 3 a Francesco Antinucci , ‘padre’ degli studi italiani sui ‘nativi digitali’ e, in generale, sui processi di apprendimento, dal giovane filosofo Jonah Lynch , vice rettore del Seminario della Fraternità di San Carlo Borromeo, a Maurizio Ferraris , filosofo della scienza a Torino e editorialista di Repubblica. La partecipazione è libera, ma è necessario iscriversi, il modulo è online su www.natividigitali.eu .