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Sabato 19 maggio alla festa del PD di Fossoli di Carpi, l’On. Manuela Ghizzoni risponde alle domande formulate via web

L’appuntamento è per le ore 21.00 presso il Palatenda della Festa in via Martinelli. Al centro dell’iniziativa i giovani e la scuola. L’On. Manuela Ghizzoni, capogruppo del Partito Democratico in commissione istruzione dalla Camera, verrà intervistata da Jessica Vellani, segretaria dei Giovani Democratici di Carpi, che proporrà alla deputata le domande e le richieste raccolte nei giorni scorsi dall’organizzazione giovanile del PD sul web e su FaceBook. Tra i temi trattati nel corso dell’iniziativa che vedrà protagonista la capogruppo del PD in commissione scuola alla Camera ci saranno in particolare i temi della scuola, della formazione e dell’inserimento nel mondo del lavoro e le proposte del PD sulla ricerca e l’Università e sui costi della politica. Nel corso dell’iniziativa, coordinata dal segretario del PD di Carpi Davide Dalle Ave, la consigliera comunale Elena Borghi racconterà invece la sua esperienza di giovane amministratrice.

"La salvezza dell’Italia e dell’Ue è nelle mani dei progressisti", di Stefano Fassina

Il collasso del governo conservatore in Olanda, pasdaran della Merkel. La vittoria del “vetero socialista” Hollande a Parigi. Il successo dell’old laburista Ed Miliband alle elezioni amministrative nel Regno Unito. Il drammatico messaggio da Atene. La netta affermazione della “keynesiana” Kraft alla guida della Spd nel Nord-Reno Westfalia. Che vuol dire? Vuol dire che la linea di politica economica imposta nella Ue dai conservatori, tedeschi in primis, e condivisa da larga parte delle tecnocrazie di Bruxelles e Francoforte, è sbagliata. Vuol dire, come previsto, che l’area euro è sempre più avvitata in una spirale di recessione-aumento della disoccupazione-instabilità di finanza pubblica. Vuol dire che non possiamo uscire dal tunnel attraverso il pareggio di bilancio, il controllo dell’inflazione e le mitiche riforme strutturali. Vuol dire infine che è necessario il sostegno alla domanda aggregata per innalzare il livello dell’attività produttiva e orientarlo verso lo sviluppo sostenibile e i beni comuni e di cittadinanza: Keynes e Schumpeter insieme, anzi Keynes al servizio di Schumpeter.
Dopo l’affidamento esclusivo alle riforme strutturali e il tentato blitz sulle regole per i licenziamenti al fine di inseguire l’impossibile via della “svalutazione interna”, imposta dalla Merkel e giustificata sul piano economico dalla Commissione Barroso, dalla Bce e l’altro ieri da una deprimente nota conclusiva della missione a Roma del Fmi, anche Monti si è convinto che il problema non è dal lato dell’offerta, ma dal lato della domanda. Propone la golden rule per allentare la morsa dell’austerità distruttiva, in sintonia con l’emendamento presentato al Patto di stabilità dai Socialisti e Democratici al Parlamento europeo su iniziativa di Roberto Gualtieri. È un passo avanti significativo, dovuto ai dati drammatici dell’economia reale e ai rapporti di forza maturati sul campo politico. Ora, si deve andare avanti, in coordinamento stretto con il presidente francese e i leader realisti europei.
Nell’area euro va perseguita l’agenda della Dichiarazione di Parigi discussa da Gabriel, Hollande e Bersani il 17 marzo scorso e confermata martedì dai leader della Spd in occasione della visita di Hollande a Berlino: mutualizzazione dei debiti sovrani («redemption fund»), piano europeo per il lavoro, investimenti finanziati da project bonds e tassa sulle transazioni finanziarie, regolazione e vigilanza europea dei mercati finanziari, agenzia “pubblica” europea per il rating, coordinamento delle politiche retributive. L’emergenza, però, è la salvezza della Grecia. Una comunità di uomini e donne sull’orlo di una involuzione economica e democratica dopo lo sciagurato governo conservatore dal 2005 al 2009 e la medicina sbagliata, per principi attivi e per dosi, somministrata, su prescrizione Merkel-Sarkozy, da Commissione europea, Bce e Fmi. Le parole della Cancelliera tedesca e del neo-presidente francese martedì a Berlino e la contestuale posizione di Mario Draghi aprono uno spiraglio di speranza.
In Italia è stato irresponsabile da parte del governo Berlusconi-Tremonti-Lega fissare, unico caso nella Ue, il pareggio del bilancio prima al 2014 e poi al 2013 nel contesto di una violenta recessione. Un’irresponsabilità accompagnata da subalternità e conformismo culturale di tanti autorevoli commentatori, anche di background progressista, al mantra del rigore. I dati sul Pil 2012 confermano che gli obiettivi di finanza pubblica per l’anno in corso e per il prossimo sono irraggiungibili. Insistere ad avvicinarli implica stringere ancora di più il cappio a imprese e lavoratori. Invece, come la Spagna, dobbiamo rinegoziare i nostri obiettivi con la Commissione europea. Per rinviare il previsto aumento dell’Iva. Per applicare la golden rule per gli investimenti immediatamente cantierabili dei Comuni. Per utilizzare le risorse recuperate dalla spending review su scuola pubblica e fondo per le politiche sociali. Da mesi, gli spread salgono per l’assenza di prospettive di ripresa non per l’andamento minaccioso della spesa pubblica. L’alternativa, allora, riguarda la strada per raggiungere obiettivi possibili: ulteriore distruzione di base produttiva o recessione meno severa. Dobbiamo arrivare al 50% di disoccupazione giovanile per svoltare verso il buon senso? I danni causati in Grecia dall’austerità cieca non insegnano nulla?
I risultati elettorali in Italia hanno resettato il discorso sulle alleanze. Quanti fino a ieri proponevano il governo Monti e il centrismo come orizzonte del Pd, oggi spiegano con disinvolta incoerenza il valore di un’alleanza incentrata sul perno progressista. Tuttavia il discorso, sebbene riorientato, continua ad essere politicista. Rimane assente dalla proposta politica il programma fondamentale, la visione, per l’Italia e per l’area euro. L’agenda dell’alleanza tra progressisti e moderati prevede l’attuazione delle lettere arrivate nell’estate scorsa da Francoforte e Bruxelles, come continuano a sostenere i partiti del Terzo Polo? Oppure, l’agenda è imperniata sulla Dichiarazione di Parigi?
Il Pd ha grandi responsabilità per il futuro dell’Italia. Dobbiamo costruire un’alleanza larga, innanzitutto fuori dal Palazzo, con le forze della società, del lavoro e della cultura. Ma, possiamo essere credibili in quanto indichiamo il nostro baricentro, non il recinto, culturale e sociale: l’europeismo progressista, il neo-umanesimo laburista, alternativo al liberismo; il lavoro subordinato, in tutte le forme. La riproposizione del Pd come forza subalterna e contenitore indifferenziato e generalista di qualunque interesse sociale porta al trionfo le soluzioni regressive. Oramai una corrispondenza biunivoca è evidente sul terreno politico: nel secolo asiatico, la salvezza dell’euro, asset necessario per la ricostruzione della civiltà del lavoro in Europa, è sulle spalle dei progressisti e, insieme, la salvezza dei progressisti è legata all’euro e al rilancio politico dell’Unione europea.

l’Unità 18.05.12

"L´alta moda al Louvre e agli Uffizi ma sulle passerelle scoppia la polemica", di Maria Cristina Carratu

L´era della incompatibilità «ideologica» è finita, arte e moda, ormai è noto, sono unite dal gene della creatività. E però: davvero cultura e fashion system sono tanto affini da giustificare un defilé dentro Louvre o Uffizi? È quello che succederà fra poche settimane a Parigi e a Firenze, come hanno annunciato quasi in contemporanea due maison fiorentine, Ferragamo e Stefano Ricci, la storica griffe delle dive, e lo stilista fornitore di camicie per Mandela e Obama. In tutti e due i casi i grandi musei si apriranno alle sfilate per la prima volta: il Louvre offrendo a Ferragamo il Peristilio Denon (il defilè di Louis Vuitton, a marzo, si è tenuto nel più decentrato Carrée du Louvre), loggiato all´aperto che fa parte integrante del museo, e dove il 12 giugno il direttore creativo Massimiliano Giorgetti presenterà al collezione Resort 2012. Gli Uffizi aprendo a Stefano Ricci (18 giugno) il Corridoio di ponente, pieno di statue romane acquistate da Cosimo III.
Non si conosce, al momento, l´entità esatta della contropartita ottenuta dei due colossi museali. Di Ferragamo, però, si sa che ha sponsorizzato il restauro della Sant´Anna di Leonardo, capolavoro ora esposto in una mostra anche questa a carico della casa fiorentina, di Ricci che pagherà la nuova illuminazione della Loggia dei Lanzi, in piazza Signoria, più un «canone» che la soprintendente del Polo museale fiorentino, Cristina Acidini, per ora non rivela. «Certo, non sono cose da fare tutti i giorni», ha detto a proposito dell´inedita concessione degli Uffizi, «ma episodicamente si può», Ricci «è un marchio internazionale che fa onore a Firenze», e i beni culturali, come è noto, non hanno soldi. Eppure, non tutti sono d´accordo. A cominciare dallo stesso direttore degli Uffizi, Antonio Natali, assente dalla conferenza stampa di presentazione della sfilata, trincerato nel silenzio, e che, fanno capire i suoi collaboratori, «ha tutta un´altra idea di come si debba valorizzare un museo». Dello stesso parere lo storico dell´arte Tomaso Montanari, noto per le sue battaglie contro il «marketing della cultura»: «Gli Uffizi sono il luogo in cui, attraverso un vaglio rigoroso, si è depositata la coscienza storica dell´arte italiana» dice, «farci una sfilata è una lesione morale a valori culturali non appaltabili a nessun privato». «Mantenere il patrimonio artistico è un dovere di tutti» obietta Ferruccio Ferragamo, «del resto mio padre è venuto a Firenze perché si sentiva ispirato dalla sua cultura, perché stupirsi che l´arte alimenti la creatività in ogni settore?». La pensa così anche Annamaria Testa, consulente di comunicazione per le imprese: «La cultura» osserva «è un fenomeno vivo, e il modo di guardare Botticelli nell´era di internet non è lo stesso di cinquecento anni fa». Nell´ottica di oggi, insomma, «non esistono steccati, ma fertili integrazioni», e del resto «cos´è stato il mecenatismo storico se non il tributo di imprenditori creativi e consapevoli alla società in cui vivevano?». «Altro che mercanti nel tempio» sottolinea Patrizia Asproni, presidente di Confcultura (Confindustria), «la moda è l´industria che più ci fa conoscere e apprezzare all´estero, e unire cultura, moda, e privati in generale, deve diventare una sinergia virtuosa per far crescere il paese, non solo un escamotage da crisi economica». E non si scandalizza affatto, «anzi», il filosofo Sergio Givone: «Del resto, o l´arte, nella percezione comune, ha un posto importante, e allora non sarà uno stilista ad offenderla, oppure, se davvero la moda può sopraffarla, siamo già spacciati, e non sarà una sfilata a peggiorare le cose».

La Repubblica 18.05.12

Molise, il Tar annulla le regionali 2011. Accolto il ricorso, il Pd: legalità ripristinata

Le elezioni regionali del 16 e 17 ottobre 2011 in Molise, vinte da Michele Iorio (Pdl) per la terza volta, sono state annullate: è stato infatti accolto il ricorso di otto cittadini- elettori del centrosinistra, che aveva rilevato vizi di legittimità nella sottoscrizione delle liste. Due ore e mezza di camera di consiglio, in un clima di grande attesa, per annullare il voto e la proclamazione degli eletti. Ora la parola passa al Consiglio di stato (le motivazioni saranno rese note tra dieci giorni). Tra Michele Iorio e il vincitore delle primarie di centrosinistra, Paolo Frattura, ci sono 948 voti di scarto a favore del primo. Ma quel risultato per il Tar non è legittimo e nelle 81 pagine del ricorso si punta il dito, in particolare, contro la illegittima ammissione alla competizione elettorale della lista provinciale di Campobasso Molise civile, l’ammissione di 16 candidati di Progetto Molise, di 6 dell’Udc e di 7 di Grande Sud, e contro la illegittima ammissione del consigliere regionale Nico Romagnuolo e del listino di Iorio. Soddisfatto Frattura: «Oggi hanno vinto i molisani che si erano espressi per il cambiamento», ha commentato. «Si tratta di un importante pronunciamento che ripristina la legalità, restituendo ai cittadini i diritti loro sottratti», ha osservato Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd.

da Europa Quotidiano 18.05.12

Errani: "Nuova fase in Europa, ora tocca a noi", di Maria Zegarelli

«L’Europa deve cambiare strategia e mettere al centro politiche di crescita per uscire dal circuito vizioso in cui ci siamo trovati con l’asse Sarkozy-Merkel». Il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani parla proprio mentre è in corso la video conferenza tra il premier Mario Monti e i leader europei che parteciperanno al G8 di Camp David. E se l’Europa deve cambiare strategia anche il governo deve dare segnali chiari. A cominciare dall’allentamento del Patto di stabilità che sta strozzando Regioni ed enti locali. Errani, a Camp David la crisi europea occuperà la scena.

Lei crede davvero che dopo l’elezione di Hollande la cancelliere rivedrà le proprie posizioni?

«L’Europa deve cambiare rotta, riagganciando la strategia Europa 2020 che è l’asse fondamentale. La vittoria di Hollande può aprire una fase nuova e il governo italiano con Monti può svolgere un ruolo fondamentale. Si deve partire con gli eurobond e una selezione politica di investimenti di rete che soltanto un’Europa con una propria banca è in grado di fare. Occorrono politiche di sostegno alla moneta, una politica economica e estera unitaria, tutte cose che con la guida egemonica della destra l’Ue non è stata in grado di fare».

Durante la conference call si sono detti tutti concordi sul fatto che insieme al rigore occorra la crescita. È questo il primo segnale del cambio di rotta in Europa?

«Sono convinto che con l’esito delle elezioni in Francia si sia aperta una nuova fase in Europa, anche perché diventa sempre più evidente nella concretezza della realtà che la politica Merkel-Sarkozy non dà prospettive. È altrettanto evidente che nessuno, Germania compresa, possa salvarsi da solo di fronte agli Stati Uniti, alla Cina e alle nuove realtà emergenti».

L’Italia non è la Grecia, ma non crede che il grado di sofferenza sociale sia anche da noi ai livelli di guardia?

«L’Italia sta vivendo, oltre alla crisi economica, una gravissima crisi sociale e occorre che il governo sappia dare alcuni segnali seri in tempi molto rapidi. Penso a un allentamento del patto di stabilità che, a iniziare dai Comuni, permetterebbe di fare politiche di investimento e sostegno all’occupazione; ai pagamenti per le imprese attraverso una politica anche di factoring utilizzando la Cassa depositi e prestiti; a un’accelerazione delle politiche di equità, a partire dalla soluzione del problema degli esodati. Sono tutte cose di cui c’è urgente bisogno adesso».

Il Pd chiede anche l’alleggerimento della tassa più odiata dagli italiani, l’Imu. Sarà possibile arrivarci?

«Il governo deve ripensare l’Imu, soprattutto sulla prima casa, e potrebbe farlo attraverso una patrimoniale sulle grandi proprietà immobiliari, al di sopra di un milione di curo. E poi è necessario procedere con la spending rewiev, per la quale Stato ed enti locali devono fare uno sforzo, scegliendo insieme ed evitando di colpire ancora i servizi, la sanità, l’istruzione, su cui si fonda la coesione sociale. Su questo proviamo a fare un patto, costruiamo politiche industriali insieme, in modo integrato. Occorre un colpo di reni da parte del governo, delle istituzioni e del Parlamento che deve procedere con il taglio dei finanziamenti ai partiti e le riforme. Solo in questo modo si risponde ai problemi che ci pone il Paese».

Tutti parlano dell’urgenza delle riforme, eppure in Parlamento c’è chi sembra mettersi di traverso. Secondo lei si faranno entro la legislatura?

«Il Pd deve battersi con tutte le sue forze per fare le riforme. Poi dovrà indicare bene agli italiani di chi sono le responsabilità, se le riforme non andranno avanti. Il nostro obiettivo è quello di portarle a termine entro questa legislatura, ma ciascuna forza politica si deve assu- mere le proprie responsabilità perché “il tutti uguali” non esiste. E quanto sia sbagliato dire che sono tutti uguali è evidente da come sta andando il dibattito in Parlamento sulla giustizia e sulla riforma della legge elettorale». Ma molti italiani pensano davvero che “sono tutti uguali”.

Quanto rischia il Pd nei ballottaggi dove i candidati grillini pescano nel voto di protesta e nella domanda di cambiamento?

«Vorrei partire da Parma. Il fallimento delle amministrazioni di centrodestra ha portato il Comune al disastro, con un debito enorme. In discussione ci sono i servizi e la tenuta stessa della città: Parma, con le sue eccellenze, ha le energie per farcela senza che qualcuno, dall’alto, la usi come cavia. C’è bisogno di un sindaco in grado di affrontare le questioni, non servono slogan o demagogia, bisogna stare al merito. Bernazzoli ha un programma serio. Vedo però che alcuni dei responsabili del disastro cittadino ora sono schierati con il candidato di Grillo. E dai grillini non una parola, non una presa di distanza. È questa la nuova politica? A me pare ci sia qualcosa di già visto…»

Dopo il ballottaggio si parlerà di elezioni politiche. Il Pdl dice che con Montezemolo è quasi fatta e tende la mano a Casini. Il Pd a chi deve guardare per le alleanze?

«Noi dobbiamo stare lontani dal politicismo, che non è la chiave giusta per le alleanze. Il Paese pone una domanda di cambiamento: il Pd e Bersani rispondono con un impegno per la ricostruzione. Presenteremo il nostro programma: poi lavoreremo insieme a chi è disposto ad accettare questa sfida».

Renzi è tornato sulle primarie: sostiene che non ci si può appellare allo Statuto. Si devono fare oppure no?

«Ci troviamo di fronte a una discussione astratta e fuori dal tempo. Bersani è stato il primo a dire che non si nasconderà dietro a una norma statutaria e quando sarà il momento decideremo insieme cosa fare. Ma adesso i problemi sono altri: la grave crisi sociale e la domanda di cambiamento».

l’Unità 18.05.12

"Anticorruzione il pdl fa muro e attacca il pd", di Simone Collini

Prima l’ostruzionismo in commissione, per impedire di votare gli emendamenti, poi davanti alle telecamere l’accusa al Pd di voler far saltare il governo. Il Pdl non cambia linea sul decreto anti corruzione e dopo aver spaccato la maggioranza sembra pronto a giocarsi il tutto per tutto per evitare che il testo a cui ha lavorato la Guardasigilli Paola Severino diventi legge.

Proprio come tre giorni fa, gli esponenti del partito di Berlusconi nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera chiedono la parola uno dopo l’altro e con interventi fiume ritardano di ora in ora l’inizio delle votazioni sulla proposta del governo. Pd, Idv, Udc e Lega insorgono. Il pidiellino Manlio Contento fa spallucce: «Non stiamo facendo ostruzionismo ma stiamodifendendo le nostre ragioni».

La Lega si appella al regolamento di Montecitorio, Idv e Udc ritirano gli emendamenti per accelerare i tempi. Ma niente da fare. Il Pdl chiede una sospensione dei lavori perché «è necessaria una riflessione ». Il tempo di bocciare un emendamento della relatrice Angela Napoli (Fli) che puntava a unificare il reato di corruzione con quello di concussione e la seduta viene sospesa.

Antonio Di Pietro esce dalla stanza imbufalito: accusa il Pdl di voler evitare che vengano approvate leggi che consentano alla magistratura di contrastare la criminalità, dice che i «mandanti» sono novelli piduisti, che «sembra di assistere a ciò che avvenne all’epoca di tangentopoli». Pier Ferdinando Casini, che non ha partecipato ai lavori ma è appena stato a colloquio con Mario Monti, prova a stemperare: «Non penso sia ostruzionismo, c’è la necessità di chiarire alcuni punti e bisognerà farlo con serenità, senza ultimatum da parte di nessuno». Ma è impresa ardua. Gli animi sono surriscaldati da ogni parte.

Durante la sospensione dei lavori la Guardasigilli Severino incontra esponenti di Pd, Pdl e Terzo polo. Napoli, alla quale brucia la bocciatura del suo emendamento, non va: «Non partecipo all’inciucio». La riunione tra il ministro della Giustizia e i partiti della maggioranza doveva servire a chiarire i punti controversi e cercare di trovare un accordo che consentisse di terminare l’esame del provvedimento, calendarizzato per la discussione in Aula il 28 maggio. I nodi però restano. Rimangono d’accordo che si rivedranno a fine giornata. Ma causa tensioni e accuse incrociate, questo incontro non si farà.

SÌ A PROPOSTA PD, PENE PIÙ SEVERE
La seduta riprende e la relatrice del Pdl alla legge anti corruzione, Jole Santelli, dà parere contrario «a tutti gli emendamenti presentati al testo che prevedono l’aumento delle pene nel minimo». Passano pochi minuti e un emendamento del Pd che prevede una pena da 4 a 8 anni in caso di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio viene approvato con i voti favorevoli dei Democratici, dell’Idv e di Fli (Udc e Lega si sono astenuti, il Pdl ha votato contro).

Attualmente il codice punisce questo reato con una pena da 2 a 5 anni. La proposta del governo prevedeva da 3 a 7 anni. Il Pdl insorge. Stop ai lavori, si riprende lunedì. Col Guardasigilli che dovrà impiegare questi giorni per ricercare una possibile convergenza tra le parti. Il ministro Severino, facendo riferimento a una polemica del Pdl, dice che «non c’è una nuova maggioranza» perché «non si può impedire all’Idv di votare un provvedimento, se lo condivide». Dopo il sì all’emendamento Pd, sottolinea che «ora sarà necessario riallineare tutte le pene» (il rischio è che «si tolga razionalità al sistema»). Il Pd si dice disponibile a valutare ogni proposta, e Severino è convinta che la riunione di maggioranza saltata si potrà fare: «Sono tenace».

BOTTA E RISPOSTA BERSANI-ALFANO
Il problema è che il Pdl sembra pronto a tutto pur di non far vedere la luce a un provvedimento anti corruzione sostanzialmente diverso da quello che porta la firma di Alfano. È lo stesso segretario del Pdl a farlo intendere davanti alle telecamere di “Porta a porta”, accusando il Pd di mettere a rischio la tenuta del governo.

A Bersani, che sostiene che l’ostruzionismo è inutile perché «troveremo ilmodo di portare il provvedimento in Aula, e non si può scherzare su una misura che è una priorità assoluta», Alfano replica dicendo che il Pdl è favorevole a una legge anti corruzione come quella del Senato (la sua) ma che serve «lealtà»: «Non vorrei che Bersani volesse creare un incidente per mettere in difficoltà il governo».

Le premesse per un accordo non sono delle migliori. E non aiuta a superare i sospetti e a favorire una convergenza quanto contemporaneamente avviene in un’altra commissione, quella Ambiente. «

Su iniziativa di tre senatori del Pdl è iniziata la discussione di ben tre disegni di legge che mirano a riaprire i termini dell’ultimo condono edilizio del 2003», fa sapere Roberto della Seta. Il senatore del Pd ha letto le proposte depositate dai parlamentari campani Carlo Sarro, Gennaro Coronella e dall’ex ministro della Giustizia Nitto Palma, e l’obiettivo del Pdl gli è chiaro: «Vogliono dare il via al quarto condono edilizio nazionale, allargandolo anche alle edificazioni abusive avvenute nelle aree vincolate».

l’Unità 18.05.12

"Il compito della sinistra", di Alfredo Reichlin

La crisi si aggrava ma noi ne usciremo. Comincio così. Con un sentimento, nonostante tutto di fiducia. Tutto è molto difficile. Ma se vado alla sostanza delle cose vedo che una uscita da destra democratica, di stampo europeo, non esiste. Una destra può anche vincere ma sarebbe solo un esito catastrofico della crisi italiana. Si aprirebbe una lotta tra vecchi e nuovi avventurieri sostenuti dall’agitazione sempre più demagogica e populista delle varie TV contro i partiti. Assisteremo non solo all’impoverimento del Paese (in una certa misura e per qualche tempo inevitabile) ma alla sua disarticolazione: sociale e territoriale. Il tramonto dell’Italia come grande nazione.
Sulle nostre spalle pesa, quindi, una responsabilità enorme. Ma è proprio il bisogno di unità della nazione, ed è la domanda di Europa che colloca il Pd al centro della situazione.
Sono le cose che chiedono un nuovo grande patto sociale e una riscossa civile come la condizione per voltare pagina. Ma noi siamo all’altezza di questo compito? Riusciamo a farci percepire come “la speranza”, cioè come la cosa di cui questo paese ha un disperato bisogno: di non cedere ai rancori e alla paura per credere invece che cambiare è possibile? Questo io mi chiedo e mi convinco sempre di più che occorre dare battaglia, anche dentro il Pd, per uscire dalle vecchie logiche di potere e dare un senso alla politica in quanto possibilità degli uomini di uscire dalla passività e di influire sulle sorti della propria vita. E quindi, anche per contare qualcosa nel mondo.
Non mi nascondo che i mesi che stanno davanti a noi saranno difficilissimi, forse drammatici. Ma mi rifiuto di inseguire solo gli “spread”. Voglio cominciare a chiamare le cose con il loro nome. Chi sono questi misteriosi mercati? Io non credo che sbagliavamo quando cominciammo noi per primi a parlare molto tempo fa su queste colonne della grande crisi economica dell’Occidente come della rottura dell’ “ordine” mondiale. Un “ordine” non solo economico ma politico e anche, se non soprattutto, intellettuale e morale. Non voglio ripetere cose già dette e ridette sulla finanza. È sempre più chiaro che fu fatale la decisione della destra anglo-americana di porre fine al cosiddetto compromesso socialdemocratico e di affidare alle logiche dei mercati finanziari il governo delle società umane. Si è visto il risultato. I mercati finanziari sono “ciechi”. La loro natura è speculativa. Vedono solo ciò che si può guadagnare nel breve periodo. Prendi i soldi e scappa. Si spostano nel mondo con un “clic” sul computer, in pochi secondi. La sorte di una grande e antica storia come quella del popolo greco, oppure il fatto che per mettere in piedi una fabbrica ci vogliono anni, tutto questo non è affare dei mercati finanziari. Naturalmente, sto semplificando. So benissimo che senza la finanza, gli imprenditori e gli Stati non possono nemmeno fare progetti per il lungo periodo. So bene che sono serviti grandi capitali per finanziare l’esplosivo sviluppo del mondo arretrato. Conosco i costi giganteschi della rivoluzione scientifica in atto: il digitale, l’informazione. Non sono un “indignado” che demonizza il ruolo della finanza.
So tutto questo. Ma ciò che io penso è altro. Penso che occorre allargare il campo della riflessione. Perché ciò che ormai sta venendo in discussione non è solo un problema economico. Dietro i meccanismi degli “spread” c’è ben altro. E io credo che sia arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome. Incombe su tutto questo io credo la formazione di un potere quale non si era mai visto così grande dopo la rivoluzione francese e la nascita del Terzo Stato, cioè della borghesia moderna. Questo è il dato. Cito solo un piccolo fatto italiano. Qualcuno denunciava gli stipendi troppo alti della tecnocrazia italiana e citava il manager Tronchetti-Provera il quale guadagnerebbe una cifra annua corrispondente a 60mila euro al giorno. Il Tronchetti freddamente precisò che si trattava di circa la metà. Ma il punto non è questo anche perché c’è gente che guadagna molto di più. È la domanda sul tipo di società in cui viviamo. La grande maggioranza degli italiani guadagna poco più di mille euro al mese. Quindi 30-35 euro al giorno. Quindi 30 non contro 300 ma contro 30.000. Mi chiedo: dopo i grandi sultani dell’Oriente e i grandi principi europei prima della rivoluzione francese e dalla nascita dello Stato moderno si erano mai viste distanze così grandi?
Non sto sollevando un problema di giustizia. Sto cercando di capire cosa sia il sistema attuale. È il capitalismo che abbiamo conosciuto fino a ieri? Il capitalismo, dopotutto, è stato una civiltà, si è retto anche su un compromesso sociale. Certo, è stato lo sfruttamento del lavoro ma, insieme con esso, la formazione della società del benessere. È stato la più grande macchina per la ricchezza che ha consentito in due secoli di fare molto di più che nei ventimila anni precedenti. Questo è stato, con tutte le sue ingiustizie ma anche le sue conquiste di libertà.
Adesso siamo di fronte a un’altra cosa. Siamo alla crisi di questa civiltà: la civiltà del lavoro umano e della valorizzazione delle capacità creative dell’imprenditore. Siamo alla riduzione della ricchezza al denaro. Ma un denaro fasullo fatto col denaro. Siamo al fatto che il mondo è stato inondato da una moneta fittizia la cui massa è ormai diventata tale da superare di nove volte la produzione della ricchezza mondiale. Chi paga? Devo ripeterlo perché è proprio così: l’economia di carta si sta mangiando l’economia reale.
La situazione è drammatica ma anche molto semplice. È chiaro che questo sistema non è in grado di dare un futuro al mondo. Mette a rischio valori e beni essenziali. La drammatica vicenda europea è così che va letta. È su questo terreno che la democrazia moderna si sta giocando tutto. Al punto che il presidente della Consob (non un pericoloso sovversivo ma il garante della Borsa di Milano) ha tuonato contro la “dittatura” dei cosiddetti mercati finanziari e ha denunciato il fatto che questo mercati, attribuendo ogni potere decisionale a chi detiene il potere economico, stanno nei fatti vanificando il principio del suffragio universale. Caspita. Allora ho ragione io. È di potere politico che dobbiamo parlare non solo di economia. Ecco la necessità e il ruolo della politica. Bisogna alzare il tiro. Bisognerebbe immaginare l’Europa anche come un grande “fatto politico”, cioè come un fattore essenziale della lotta per una nuova civiltà del lavoro. Io è qui che vorrei vivessero i miei nipoti: nel luogo più bello e più civile del mondo. Dove l’uomo, in quanto persona, conta.
Certo, l’uscita dalla crisi economica sarà lenta e richiederà saggezza e realismo. Il nemico non sono le banche, senza le quali si ferma tutto. Ciò che è necessario è la creazione di un nuovo potere democratico capace di contrastare lo strapotere dell’oligarchia dominante. Questo è il compito della sinistra.

l’Unità 18.05.12