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"Intervista all'on. Manuela Ghizzoni Vice-Presidente Commissione Cultura Scienze ed Istruzione Camera dei Deputati" di Rosario Pesce

Una donna in piena e costante attività: eletta nel 2006 per la prima volta alla Camera dei deputati nella VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione), ha ricoperto l’incarico di capogruppo del PD. Il suo impegno predominante è rivolto alla necessità di attribuire una maggiore centralità al sapere ed alla conoscenza, quindi con uno sguardo accurato al complesso mondo dell’istruzione: scuola, università e ricerca, editoria, sport, informazione e beni culturali. La sua attenzione si riversa principalmente sul ramo universitario perché si è occupata del reclutamento docenti e ricercatori, dell’accesso programmato ai corsi di laurea, della scuola relativamente ai finanziamenti alle istituzioni scolastiche, del precariato dei docenti, nonché delle professioni relative alle attività motorie e sportive e di disturbi specifici dell’apprendimento. Fermamente convinta che il sapere, l’istruzione e la formazione, sono le risorse strategiche decisive per lo sviluppo sociale, civile ed economico del nostro Paese.

Ho rivolto all’Onorevole Manuela Ghizzoni alcune domande sui problemi che il mondo dell’istruzione sta attraversando in questo periodo di crisi, ma anche su alcuni aspetti di carattere politico
• On. Ghizzoni, lei è una delle voci più autorevoli,a livello nazionale,del Partito Democratico in materia di istruzione ed università: come giudica i tagli alla Scuola pubblica che sono stati annunciati dal Governo? Monti continua, forse, sulla strada, già percorsa dai governi Berlusconi nel corso dell’ultimo decennio, di riduzione del budget per un servizio così essenziale?

Qualsiasi taglio agli investimenti per il sistema della conoscenza deve essere scongiurato. Per volontà del Governo precedente, scuola e università hanno già pagato un tributo altissimo: oltre 9 miliardi di minore spesa tra il 2009 e il 2011, tradottisi in 132.000 posti di organico cancellati nella scuola e nel sostanziale blocco del turn over per l’università. Questi tagli “lineari”– e fummo facili cassandre nel prevederlo – si sono rivelati inutili sacrifici al risanamento dei conti pubblici e colpi durissimi per la tenuta del sistema, senza peraltro avere il pregio di cancellare completamente inefficienze nella spesa. Ecco perché l’annunciato intervento di spendig review anche per il Miur non va condannato a priori: l’etica pubblica ci impone che nella gestione delle risorse finalizzate a rendere esigibili i diritti di cittadinanza – come accade nel fornire istruzione e conoscenza – occorre cancellare qualsiasi spreco e operare per incrementare l’efficacia dei risultati. Le dichiarazione del Sottosegretario Rossi Doria – “ore e professori non diminuiranno. Razionalizzazioni su immobili ad uso amministrativo, sugli affitti di sedi periferiche e sconto nella spesa con acquisti attraverso il sistema Consip” – sono condivisibili. Ma per marcare una netta differenza con il recente passato occorrerebbe aggiungere che le risorse risparmiate grazie a maggiore oculatezza nella spesa dovrebbero rimanere in capo al Miur, per essere reinvestite nella scuola e nell’università. Su questo punto si impegnerà il Partito Democratico.
• La scuola è stata attraversata, negli ultimi dieci anni, dalle riforme che portano i nomi dei ministri Moratti e Gelmini: Lei considera che lo Stato, oggi, sia in grado di offrire un servizio di istruzione pubblica di qualità? O reputa necessario intervenire con provvedimenti legislativi per correggere le criticità indotte dalle leggi succitate?

Gli interventi “epocali” del ministro Gelmini, già in questi primi anni di applicazione, restituiscono i frutti amari di una matrice culturale ispirata ad una scuola fortemente classista, disinteressata all’inclusione e alla promozione delle pari opportunità. Abbiamo assistito pertanto al sovraffollamento delle classi, alla riduzione dell’offerta formativa e alla contrazione del tempo scuola, mentre l’abbandono scolastico si attesta su percentuali drammatiche, l’apprendimento permanente è una chimera e l’aggiornamento didattico è affidato alle lavagne LIM. Il sistema non collassa solo grazie al senso di responsabilità di docenti, dirigenti e personale ATA, che continuano ad assolvere alla loro missione educativa con passione, nonostante il discredito perpetrato dal precedente ministro anche attraverso il blocco degli scatti stipendiali e del contratto. Ma è del tutto evidente che la scuola non può affidarsi alla sola buona volontà di chi vi opera: la politica deve farsene carico modificando la normativa vigente e approvando leggi che attuino con pienezza il dettato dell’articolo 3 della Costituzione. Dimenticare la scuola significa rinunciare al futuro del Paese.
• L’università italiana è in fermento a causa della riforma del sistema di governance degli atenei: l’ingresso dei privati nella gestione e nella direzione della politica universitaria rappresenta un’opportunità o una minaccia per la democratizzazione di un ambito così importante della vita sociale, scientifica ed accademica?

Uno dei maggiori difetti della Legge 240 consiste nell’eccessivo dirigismo: per la palese prevenzione nutrita dal ministro Gelmini – e dai suoi consiglieri – nei confronti del sistema universitario pubblico, la governance degli atenei è costretta a rispettare un modello unico, predefinito dalla pletora di norme disposte dalla nuova legge, in evidente contrasto con il principio di autonomia statutaria e che declassa il Senato Accademico, organo rappresentativo della comunità accademica, ad una mera funzione consultiva mentre le decisioni sulle politiche culturali, economiche e scientifiche dell’ateneo spettano al solo Consiglio di Amministrazione. La “minaccia”, a mio avviso, non deriva tanto dalla presenza di esponenti del mondo non accademico (i “privati”, già presenti in molti CdA già prima della L. 240), quanto piuttosto da una errata e aziendalistica definizione delle funzioni per Senato Accademico e CdA. Aggiungo che oggi gli Atenei sono in fermento anche perché stanno facendo i conti con la paralisi determinata dal combinato disposto dai tagli al Fondo di Finanziamento ordinario e della legge 240 che, richiedendo una miriade di decreti attuattivi, è ad oggi inapplicabile in molte sue parti (per esempio, per quanto attiene al reclutamento).
• Veniamo al suo partito: mentre una parte consistente del PD lavora alla leadership di Bersani in vista delle prossime elezioni politiche, sembra che una componente minoritaria non irrilevante stia prendendo in considerazione l’opzione di una candidatura a Palazzo Chigi diversa da quella del segretario nazionale. Qual è la sua posizione?

In Italia stiamo assistendo ad una situazione senza precedenti: non mi riferisco solo alla congiuntura economica, ma allo sfaldamento della coesione sociale e alla crisi della rappresentanza politica, così come alla tenue tensione etica che pervade l’ambito pubblico. Quindi, prima di discutere della leadership del partito – che Bersani interpreta con autorevolezza – è bene mettere in campo idee per il Paese, le sole che fanno davvero la differenza. E gli esiti delle recenti elezioni amministrative lo hanno dimostrato.
• L’ultima domanda non può che riguardare il suo futuro personale: in caso di vittoria del PD alle elezioni politiche della primavera del 2013, la vedremo con un incarico prestigioso al Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Università?

La cosa importante è vincere le elezioni contro la destra populista e antieuropeista. Il resto non conta.

http://www.scuole24ore.it/

"Il Senato dica sì alla doppia preferenza" di Sesa Amici

Un’opportunità in più per eleggere consigli comunali con una forte
rappresentanza femminile:questo il senso della legge approvata alla Camera pochi giorni fa che prevede la possibilità di esprimere due preferenze (anziché una, secondo la normativa vigente) per i candidati a consigliere comunale. In tal caso, però, una deve riguardare un candidato di sesso maschile e l’altra un candidato di sesso femminile della stessa lista. Un meccanismo molto semplice che ci avvicina a quel concetto di democrazia paritaria che da molto tempo invochiamo come necessario per elevare la qualità del nostro vivere civile.Un meccanismo lontano dal concetto delle quote; mira piuttosto a valorizzare la capacità e l’attivismo delle donne nei processi di partecipazione politica per una competizione più equa. Si tratta di un bisogno fortemente
espresso nella nostra società, come dimostra l’ultima consultazione referendaria nella quale la partecipazione attiva dal basso di tanti comitati di donne ha fatto della questione dell’acqua come bene comune un grande impegno di democrazia e di partecipazione ed ha permesso il raggiungimento del quorum.
Per noi il concetto di democrazia paritaria, dove non c’è il prevaricare di un sesso sull’altro, è un principio cardine per superare quel vulnus, quello della cittadinanza imperfetta, che ha visto questa giovane democrazia italiana dare ormai 65 anni fa, per la prima volta, il diritto di voto alle donne. Le donne però non solo devono essere candidate: devono essere elette. Certo, il meccanismo della seconda preferenza non è salvifico, lo sappiamo benissimo, soprattutto perché questa scelta è per l’elettore facoltativa. Eppure connota un passaggio che dobbiamo compiere tutti con un grande senso di responsabilità e con l’orgoglio di una risposta della politica ad uno dei pezzi più importanti dell’elettorato, quello femminile, che in questi anni è stato sotto rappresentato. Ora speriamo che il senato approvi definitivamente al più presto la legge magari rafforzandola sugli aspetti che riguardano le giunte.
Non è un caso se abbiamo pensato di partire dal livello più vicino ai cittadini e alle cittadine: i luoghi dei consigli comunali, quei luoghi straordinari in cui si ragiona non solo dei grandi disegni ma della quotidianità, si interviene sul terreno vero e concreto dei bisogni delle persone. Questo è il terreno sul quale le donne si sono spese di più, caricandosi il peso e la fatica della vita familiare e dei suoi bisogni, sostituendosi spesso a uno stato assente. Questa legge in più ha avuto un altro elemento di grande e straordinaria condivisione: quella di una serie di costituzionaliste, le quali, partendo dalla base della sentenza che aveva reso legittima la doppia preferenza di genere nella
regione ¢ampania, invitava il parlamento ad avere un atteggiamento coraggioso e sottolineava come la giurisprudenza sia più avanti della politica. Infatti, lo ripetiamo, non si tratta di un provvedimento di quote e di risultato, ma semplicemente dell’attuazione di quel comma dell’articolo 51 della Costituzione secondo il quale la repubblica promuove, con appositi provvedimenti, la rimozione degli ostacoli all’eguaglianza e all’opportunità.

l’Unità 14.05.12

"Fondamentalisti in marcia A Roma corteo anti-194", di Massimo Franchi

Corteo a Roma contro la legge sull’aborto con toni da crociata. A guidarlo è il sindaco Alemanno in compagnia dei fondamentalisti e di Forza Nuova. Slogan contro lo «sterminio di Stato». È polemica. Il Pd: una manifestazione estremista. Crocifissi portati in parata, preghiere e slogan contro l’aborto. I fondamentalisti di Militia Christi ben visibili e il sindaco Alemanno, vestito sportivo, che saluta tutti e poi si mette in bella posa con la fascia tricolore. E a chi gli chiede: «Ma non ti vergogni?», risponde piccato: «Ma che vuoi?».
Sotto un solleone estivo la (seconda) Marcia per la vita ieri mattina ha visto sfilare un lungo serpentone nel centro di Roma, dal Colosseo a Castel Sant’Angelo, confine del Vaticano. Quindicimila persone, secondo gli organizzatori, hanno marciato esplicitamente «contro le leggi abortiste». E che nel mirino ci fosse la 194, approvata 34 anni fa (l’anniversario arriverà martedì 22
maggio) lo conferma la sparata arrivata a fine giornata dal leader di Forza Nuova, Roberto Fiore: «Quella di oggi è stata la più imponente manifestazione “pro vita” che l’Italia ha visto negli ultimi decenni. Non ho dubbi che il Movimento “pro vita” sia oramai pronto per la grande battaglia referendaria per l’abrogazione della 194. Infatti, uno dei passaggi fondamentali da affrontare perché l’Italia esca dalla crisi che la attanaglia, è proprio quel cambiamento del senso delle leggi che permettono ancora, che milioni di figli vengano uccisi nel grembo delle proprie madri».
Alla partenza i partecipanti sono stati accolti dallo striscione delle femministe che penzolava da Colle Oppio: «Aborto clandestino, profitto di milioni, è questa la morale di preti e padroni». Nessuna tensione, solo civile contestazione per una manifestazione che ha diviso la città.
La manifestazione ha ricevuto l’adesione di numerosi ecclesiastici di peso, a partire dai cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, e Angelo Bagnasco, presidente della Cei. «L’ iniziativa è già stata incoraggiata da un gran numero di vescovi e cardinali, italiani e stranieri, di associazioni e di fedeli», hanno specificato gli organizzatori. Da parte sua il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha fine marcia ha commentato: «Il messaggio è che nessuna donna, nessuna famiglia, deve essere costretta a rinunciare ad avere un figlio. Roma è mobilitata da sempre per il valore della famiglia». Tra i partecipanti anche il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri:
PD: STRUMENTALIZZAZIONE
Sabato aveva destato perplessità la decisione di partecipare da parte dell’ex vicesindaco del Pd ed esponente cattolica del partito Maria Pia Garavaglia. Ma ieri è arrivato il dietrofront: «Di fronte alla evidente strumentalizzazione di questo evento, con forze politiche di estrema destra che hanno partecipato dando un evidente segno politico alla Marcia, ritiro la mia adesione nella speranza che temi cosi importanti vengano considerati con la serietà che gli spetta». Per il consigliere capitolino Pd Dario Nanni, «facendo sfilare l’istituzione di Roma Capitale a fianco di gruppi neofascisti, omofobi e antisemiti come Forza Nuova e Militia Christi il sindaco si è assunto la responsabilità di esprimere per la città una posizione minoritaria ed estremista che addita le donne che hanno dovuto ricorrere alla interruzione di gravidanza come assassine».
Passati i fondamentalisti cristiani, i Fori Imperiali sono stati invasi dai bambini: giocavano a pallone e andavano in bicicletta. Due appuntamenti sportivi e sociali. Un’altra marcia per la vita.

l’Unità 14.05.12

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“Un sindaco 
che dimentica di rappresentare tutta la città”, di Maria Zegarelli

MANIFESTARE PER LE PROPRIE IDEE È UN DIRITTO. ANCHE QUANDO SONO MINORITARIE, DI PARTE. Ma un sindaco, il sindaco di Roma in questo caso, rappresenta tutta la città e tutti i suoi cittadini. Non dovrebbe dimenticarlo mai e dovrebbe almeno evitare di mescolarsi con compagnie estremiste, cantori di slogan violenti, fautori della contrapposizione e dell’odio.
Il patrocinio del Comune di Roma alla manifestazione contro la legge 194, a cui hanno preso parte anche Forza Nuova e Militia Christi, è stato un grave errore di Gianni Alemanno. Le istituzioni non sono di parte, sono di tutti gli uomini e le donne che rappresentano. Il punto non è soltanto l’opposizione dichiarata a una legge dello Stato, che il Comune, in quanto istituzione, è chiamato a rispettare: il problema più grave ieri era rappresentato dall’insopportabile aggressività contro le donne, definite «assassine» e partecipi di «omicidi di Stato». Con il sindaco che sfilava accanto a chi gridava.
L’aborto non è un diritto assoluto, ma è una scelta che la donna compie con sofferenza e verso la quale ognuno deve porsi innanzitutto con rispetto. Nessuno, tanto meno un rappresentante delle istituzioni, può lanciare accuse pesanti come quelle che sono partite ieri da quella piazza. Gridare «assassine» e definire «omicidio di stato» l’interruzione di gravidanza nelle strutture pubbliche non è libertà di espressione. Anche perché la 194 non si propone di liberalizzare l’aborto: non è questo lo spirito su cui si fonda. Promuove la maternità e tutela la donna nel caso in cui il suo stato psicologico e fisico la inducono a fare una scelta diversa. Si può discutere sulle modalità di applicazione, si può e si devechiedere una sua completa attuazione, ma intanto, anzitutto, bisognerebbe fare i conti con lo stato in cui versano i consultori, con personale insufficiente spesso chiamato a sopperire alle croniche carenze strutturali con risorse ormai inesistenti e un’utenza che fatica a trovare risposte. L’Italia è uno Stato laico. Un sindaco non può stare con una parte della sua città che insulta coloro che la pensano in modo diverso.

l’Unità 14.5.12

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“Quo vadis Alemanno?”, di Vittorio Emiliani

Il declino di Roma nell’era della destra al potere
Degrado a vista nel centro storico, escalation di violenze, pasticci nello sport e nella cultura: ecco come gestire (male) una capitale
Il rugby romano sarà presto soltanto un ricordo. Il basket – un glorioso passato di scudetti fra ginnastica Roma e Virtus –
rischia di sparire dalla prima serie. Lo stesso può capitare al volley. Mentre le due squadre di calcio sono decisamente lontane, soprattutto la Roma, da Juve e Milan. La decadenza di una grande città si misura anche da questi fenomeni e segnali. Poi ve ne sono di più allarmanti, certo. Roma era la capitale europea di gran lunga più sicura. Con un tasso di omicidi talmente basso che, in Italia, veniva subito dopo Venezia e Bologna, le più «tranquille», precedendo Firenze, Genova, Torino. Un omicidio volontario ogni 100.000 romani nel 2007, contro 1,7 omicidi di Milano e 1,5 della media italiana. Nell’ultimo anno c’è stata una escalation di ammazzamenti del 30 %. Impressionante.
Tutto è cambiato, in peggio. La violenza è di molto aumentata, come la smodatezza delle bevute dovuta anche all’assurdo allargamento degli orari in grandi piazze come Campo de’ Fiori, o a Monti, dove spesso scoppiano risse e si registrano accoltellamenti (l’ultimo di un giovane americano intervenuto a fare da paciere, qualche notte fa). L’ultimo decreto del governo dilata assurdamente orari e bevute. Ma il ministro Cancellieri non ha dato risposta alcuna alla denuncia allarmata in tal senso del senatore Zanda. Perché?
Con Alemanno i pullman turistici, per il Giubileo attestati in parcheggi esterni ben controllati,
scorrazzano per Roma antica e parcheggiano, come minimo, sui Lungotevere rendendo più difficile un traffico sempre al limite del collasso. Il centro storico è una sorta di «mangiatoia» continua, senza più orari, fino a notte fonda. I cosiddetti «dehors», orribili gazebos di plastica con stufe incorporate, di fatto impediscono la vista di chiese e palazzi. Erano stati in parte rimossi dal I ̊ Municipio col «sì» della Soprintendenza statale. Ma Alemanno li ha prorogati fino a che non è sopravvenuta la primavera e non sono stati più indispensabili. Restano enormi ombrelloni con scritte pacchiane, menù goffi e ingombranti, camerieri che sollecitano i turisti a sedersi.
LA FORESTA DEI CARTELLONI
Fuori le mura cresce la foresta dei cartelloni pubblicitari. Dentro, la marea di tavolini e di seggiole di plastica invade senza regole né limiti anche piazza Navona trasformata in una bolgia dalla quale i vecchi «pittori», ritrattisti o caricaturisti, sono di fatto spariti (saranno due o tre). L’arredo dei pubblici esercizi è precipitato. Per la prima volta i distributori automatici di coca-cola sono esposti nel gran teatro di Bernini e Borromini.
Nei vicoli e nelle strade intorno va pure peggio. Tor Millina ha raggiunto livelli di degradazione spaventosi. Fra pedoni e tavolini di plasticaccia sgasano, anche alle 13, camion e furgoni: portano cibi surgelati precucinati (nell’aria si diffondono odori inquietanti), oppure soltanto acque minerali, notoriamente deperibilissime. Anche in questo caso, niente limiti. Né vigili urbani in strada. Un caos e un frastuono continui. L’altra notte due vigilesse sono dovute battere in ritirata davanti ad una festa fracassona, a notte fonda, a Madonna dei Monti. E i residenti veri sono scesi sotto i 90.000, contro i 100-110.000 di pochi anni fa.
Penosa pure la gestione dei grandi servizi pubblici: tassa sui rifiuti decisamente elevata e raccolta differenziata poco efficiente. Così la spaventosa maxi-discarica di Malagrotta rimane un incubo. Le municipalizzate sono state affidate a manager «di fiducia» rivelatisi una frana, ad ex compagni «fasci», e a una corte di parenti, famigli e affini. Ed ora si vuol svendere una quota importante dell’Acea un tempo solida e sicura.
La politica culturale si è abbassata di livello, a parte il successo di Musica per Roma e di Santa Cecilia (dove nulla, per fortuna, è cambiato). Un pasticciaccio come quello per la Festa del Cinema era, qualche anno fa, inimmaginabile: ci si è intestarditi a cacciare una direttrice valida per far posto ad un direttore costoso e certamente «pesante», aprendo conflitti di date e altro con Torino e Firenze. Al Maxxi la Fondazione procedeva, con entrate proprie superiori al 50 per cento (più del Louvre che è al 40). La si è voluta commissariare, grazie alla latitanza del ministro «tecnico» (?), costringendo alle dimissioni uno stimato dirigente come Pio Baldi, ex soprintendente di valore. Si è parlato dell’ex McDonald’s Mario Resca, sodale di Berlusconi, ma l’hanno «promosso» all’Acqua Marcia. E dell’onnipresente/onnipotente Emmanuele Emanuele che gioca in doppio con Vittorio Sgarbi sempre alla ricerca di «promozioni», chissà.
Non va meglio, come dicevo, sul piano sportivo. Toti, dopo una stagione più che deludente, passa la mano per il basket e non si vede chi possa subentrare con progetti seri e capitali freschi. Non sta meglio la pallavolo, altro sport nel quale Roma eccelleva. Nel calcio la Lazio, tutto sommato, non demerita, anche se il suo presidente vuole soprattutto cubature attorno al nuovo stadio in una zona piena di vincoli. L’AS Roma sembra in stato confusionale: fuori dalla Champion’s e molto probabilmente dall’Europa League, ha raggiunto il record di espulsioni e fatto deprezzare taluni acquisti costosi, mentre il corso delle azioni è precipitato in Borsa da 1,09 €(primo trimestre 2011) all’attuale livello di 0,38-40 (60-65 %). Ora Luis Enrique ha deciso di lasciare ed è possibile che torni Vincenzo Montella che già allenava la Roma ed era stato indotto ad emigrare al Catania (dove ha fatto benissimo) da quei dirigenti che ora lo richiamano. Un colpo di genio.
Intanto i centurioni romani, tollerati per anni al Colosseo, rifluiscono da lì verso il Pantheon, in cerca di una qualche «rendita». Anche per loro si profila il Parco tematico della romanità, una gigantesca Roma di cartapesta e cartongesso. Tanto per promuovere un’altra abbuffata di Agro romano. Qualcuno ricorda ancora i fasti alemanniani a tutto gas della Formula 1 all’EUR? Cittadini romani, le idee son queste.

l’Unità 14.05.12

"C’è un vento a Berlino Frau Merkel ora teme per sé", di Paolo Soldini

Nessuno vorrebbe essere, oggi, nei panni di Norbert Rottgen. È stato lui, l’uomo che Angela Merkel ha voluto (contro buona parte della Cdu) come candidato alla presidenza della Renania-Westfalia, a trasformare il voto di ieri in un referendum sulla politica economica della cancelliera. Lo hanno preso sul serio e quella che è stata chiamata «die kleine Bundestagwahl», la piccola elezione federale (prova generale del voto nazionale dell’autunno 2013) è finita in un disastro che rischia di avere conseguenze serie sulla strategia del governo tedesco. Da quando esiste la Repubblica federale l’orientamento degli elettori nel Land più popoloso, più industrializzato e più integrato con il resto dell’Europa fa da apripista.
Come vanno le elezioni in Renania-Westfalia così, più o meno, andranno le successive elezioni federali. E proprio da questa regione della Germania arriva ora la più pesante delle sconfitte per la Cdu e la sua politica. C’è la tenuta dei liberali, è vero, ma non basta a salvare le prospettive del centro-destra. La Spd e i Verdi sono aumentati. La prima in modo clamoroso, più debolmente i secondi, che comunque non si sono dissanguati a beneficio della nuova formazione dei Piraten. Se è stato un referendum sulla austerity policy, il segnale non potrebbe essere più chiaro. A due giorni dall’incontro con Hollande, Frau Merkel vede
sgretolarsi un altro pezzo della sua disciplina di bilancio che deve difendere dalle richieste di modifiche che vengono da tutte le parti e delle quali il neopresidente francese si fa interprete. Proprio ieri da Parigi sono arrivate cannonate dal portavoce del Ps Benoît Hamon: mica l’abbiamo eletta noi la cancelliera che vuole decidere da sola sul destino degli altri, ha detto facendo notare che la severa disciplina di bilancio prevista dal Compact Pact «ha portato la Grecia alla rovina».
Hollande sarà sicuramente più diplomatico, ma la sostanza non cambia. Se non concede presto qualcosa ai partner e non trova il modo di cavarsi dall’isolamento Angela Merkel rischia di veder affondare, insieme con la sua strategia anti-crisi, anche il suo potere al vertice della Repubblica. Una sola cosa, nel voto di ieri, può averla un po’ consolata: i suoi alleati della Fdp, che fino a qualche settimana fa parevano avviati alla scomparsa, si sono salvati, come era già avvenuto domenica scorsa nello Schleswig-Holstein. Se il segnale ha un valore nazionale, l’attuale coalizione di centro-destra ha ancora qualche chance per il voto dell’anno prossimo. Sono in vista, comunque, negoziati molto complicati. Quando nel piccolo Land del Nord sarà eletto un presidente Spd, la cancelliera perderà la maggioranza al Bundesrat, la Camera alta che ha competenza sul bilancio e le leggi di spesa. E al Bundestag, per avere la maggioranza di due terzi imposta dalla Corte costituzionale per l’approvazione del Fiskalpakt, Frau Merkel dovrà trattare con la Spd, che viaggia in sintonia con Hollande.

l’Unità 14.05.12

"La brutta storia di Catanzaro e l’ombra di brogli elettorali", di Maria Zegarelli

Non è soltanto un pasticcio, non è soltanto un fatto che riguarda Catanzaro. È qualcosa di più, quello che è successo durante il voto per eleggere il primo cittadino. «è una sconfitta della società civile, di tutta questa gente perbene che è andata a votare e per giorni non ha saputo chi fosse stato eletto.eanche adesso nulla è chiaro».

Salvatore Scalzo, Pd, il candidato del centrosinistra, 43% di preferenze, ha appena concluso un incontro con i partiti della coalizione, Pd, Idv, Sel e Socialisti, nel corso del quale si è deciso di presentare un ricorso al tar per chiedere l’annullamento delle elezioni concluse con la proclamazione a sindaco di sergio abramo, centrodestra, appena sopra il 50%.

I tecnici sono al lavoro e i politici pensano già a cosa fare per continuare a parlare con la città e non spezzare quel filo potentissimo che è riuscito a strozzare i consensi al Pdl, partito incontrastato e potentissimo soltanto un anno fa. «Giovedì faremo una manifestazione, intanto per ringraziare i cittadini per la fiducia che ci hanno mostrato votando per noi – dice Scalzo – e poi per ribadire che il processo di cambiamento, rinnovamento e rilancio di Catanzaro non si ferma. Ma è anche al ministro dell’interno che ci rivogliamo: deve intervenire, sarebbe un segnale importante». I contatti con il nazareno sono costanti, appena dopo i ballottaggi è in programma un’altra iniziativa nel capoluogo calabrese con i leader nazionali. La magistratura, intanto, ha avviato un’inchiesta per voto di scambio che vede tra gli imputati un consigliere comunale di una lista satellite del Pdl, Franco Leone, circa 600 preferenze. La Digos, invece, ha effettuato il sequestro di tutte le schede elettorali di tutti i seggi della città, 90, e della documentazione in possesso degli uffici della Commissione elettorale del Comune.
Decine le segnalazioni di irregolarità anche gravi, arrivate durante e dopo il voto, fino a ieri, finite in un dossier messo insieme dal coordinatore del Comitato Scalzo, Domenico Petrolo, che in una delle sezioni segnalate, la 85, ha avviato una contestazione durissima già lunedì scorso, a spoglio in corso.
Una brutta storia
E’ questa la (brutta) storia delle amministrative nella città del vento che soffia sempre, del commercio del velluto che la rese famosa oltre i suoi confini e di una riscossa che sembra sempre lì dietro l’angolo ma mai qui, nei suoi palazzi e nei suoi vicoli.
«Per noi la vicenda di Catanzaro non finisce qui – dice il segretario pd, Pier Luigi Bersani -. Ci sono state palesi irregolarità». Tanto palesi da diventare inquietanti leggete qui. Seggio 56: su 939 iscritti i votanti sono 729 (tra cui 3 componenti di seggio e un rappresentante di lista), ma alla fine le schede votate risultano 731. Due in più, eppure nessuna verbalizzazione e un «no» deciso alla richiesta di un rappresentante di lista di ricontare le schede. Sezione 53: un’elettrice va a votare e scopre che l’ha già fatto qualcun altro al posto suo con un documento che non è il suo. In un seggio una scrutinatrice indossava una maglietta con su scritto: «ffoto
brutto emi nda futtu». Non è un proverbio: brutto è Tommaso, candidato in una lista collegata a Sergio Abramo. Sezione 86: passano le dodici ore previste dalla legge per lo spoglio ma qui si va avanti. Oltre 15 schede con il doppio simbolo vengono attribuite ad Abramo. sezione 2: un elettore sporge denuncia. Racconta che sconosciuti hanno citofonato a casa sua dichiarandosi membri del seggio e spiegando che avevano bisogno della tessera elettorale del figlio perché avevano dimenticato di apporvi il timbro quando era andato a votare. Il fatto è che il figlio non era andato a votare. E si potrebbe continuare così per molte e molte righe ancora, dai scrutinatori insediatisi il sabato sera e poi spariti la domenica mattina lasciando il posto ad amici dei presidenti di seggi arrivati per caso proprio lì, durante l’apertura delle sedi del voto alle schede annullate e non registrate. «Il sequestro delle schede elettorali da parte della procura- dice Petrolo- e le continue segnalazioni che arrivano al comitato non sono altro che la conferma del clima in cui si è svolto il voto. Speriamo in un intervento immediato del Ministro
Cancellieri. Noi non ci arrendiamo e continueremo la nostra battaglia per la legalità in ogni sede». A chiederlo sono anche quei tanti elettori che sono scesi in piazza indignati per tutto quel fango che qualcuno ha voluto gettare sul voto.
Le responsabilità
Sergio Abramo – proclamato sindaco mentre la magistratura sequestrava tutto il materiale – ha superato il 50% dei consensi per 130 voti. Quando ha saputo dell’iniziativa dei magistrati si è detto molto contento, perché «in tal modo saranno fugate definitivamente tutte le ombre che strumentalmente sono state gettate sulla mia limpida e netta vittoria». Ha anche aggiunto: «se dovessero emergere responsabilità di natura penale queste apparterrebbero a singoli individui». Anche se i «singoli individui» dovessero essere consiglieri eletti nella sua maggioranza. «E’ incredibile questa sua affermazione – commenta Alfredo D’Attore, commissario pd in Calabria -. in queste elezioni ci sono così tante anomalie che basterebbe poco a far ribaltare
il risultato e riaprire il ballottaggio». e proprio per non lasciare nulla di intentato già nei giorni scorsi pd, sel, psi, fed, idv, fli, udc e liste civiche hanno presentato un esposto in procura diretto anche al Ministro dell’Interno, al Prefetto Rapucci, al presidente della Corte d’appello e all’ufficio elettorale chiedendo di non dichiarare la legittimità di procedura elettorale e dunque la proclamazione (ormai avvenuta) degli eletti.
I riflettori sono accesi. Ma Scalzo ai magistrati ha chiesto anche di capire come mai tutte le segnalazioni arrivate durante la campagna elettorale siano cadute nel vuoto.

L’Unità 14.05.12

"Monti: qualcosa sta cambiando", di Francesco Bei

«Qualcosa sta cambiando, la svolta è a portata di mano». La nota di ottimismo con cui Monti colora la sua giornata, dopo che aveva descritto un´Italia preda di «forti tensioni sociali», è la vera novità di giornata. Stando attenti a non lasciar filtrare un eccesso di gioia per la sconfitta della Merkel nel Nord Reno Westfalia, da Palazzo Chigi avvertono comunque che il vento sta effettivamente girando. E se la Cancelliera federale non si lascerà prendere dalla tentazione di irrigidirsi ancora di più, i prossimi saranno davvero «i dieci giorni che cambieranno il mondo». Per calibrare bene le prossime mosse Monti, appena rientrato a Roma, ieri sera ha convocato un vertice a Palazzo Chigi con i ministri e i collaboratori più stretti: Antonio Catricalà, Vittorio Grilli, Corrado Passera, Enzo Moavero. Un gabinetto ristretto, prolungatosi fino a notte, per preparare al meglio i prossimi, decisivi, appuntamenti. E lanciare sul tavolo europeo «l´Agenda per la crescita».
Oggi Monti volerà a Bruxelles per la riunione dell´Eurogruppo e dell´Ecofin, con la grande incognita della possibile uscita della Grecia dall´euro e della situazione sempre più nera della Spagna. E in giornata una prima, importante, novità potrebbe arrivare dalla commissione “Econ” del Parlamento europeo, dove sarà messa ai voti la proposta di istituire un «Fondo di redenzione del debito» – sostenuta da Guy Verhofstadt, Daniel Cohn-Bendit e dall´italiano Roberto Gualtieri – per una garanzia collegiale europea di quella parte dei debiti che eccedono la quota del 60%. Una rivoluzione culturale, anche se al momento senza ricadute operative, vista con favore dal governo italiano. Con la Merkel in difesa e François Hollande all´Eliseo il vento comunque sta cambiando e Monti può trovare nuove sponde in Europa. Proprio con Hollande, che debutterà in Europa nel consiglio europeo straordinario del 23 maggio, Palazzo Chigi ha lanciato una strategia del sorriso. Raccontano infatti che il leader socialista sia rimasto un po´ stupito dall´eccesso di prudenza del governo italiano, che ha evitato accuratamente qualsiasi segnale di simpatia in campagna elettorale, mostrandosi anzi più tedesco dei tedeschi. Ma questo ormai è il passato, Roma è decisa a sfruttare ogni possibile appiglio per far passare in Europa il piano sulla crescita. E Hollande è un alleato prezioso. Per questo il consigliere diplomatico di Monti, Pasquale Terracciano, ha preso contatto con il suo dirimpettaio dell´Eliseo e in quattro e quattr´otto è stato messo in agenda un primo bilaterale tra Monti e il neo presidente francese. I due si vedranno faccia a faccia venerdì a margine del G8 a Camp David, dove Hollande illustrerà agli altri grandi il suo “New Deal 2.0” imperniato su investimenti infrastrutturali mediante prestiti europei, aumento dei fondi della Bei, Tobin tax europea, rafforzamento del ruolo della Bce ed eurobond. Idee simili a quelle sostenute da tempo da Monti in tutte le sedi. L´Italia persegue con tenacia, dall´inizio dell´anno, almeno tre iniziative: l´apertura del mercato unico dei servizi a professioni e mestieri; la destinazione a crescita e occupazione del nuovo bilancio comunitario 2014-2020; e soprattutto la Golden rule. In particolare su quest´ultima questione – ovvero lo scorporo degli investimenti in ricerca e infrastrutture dai target di bilancio – Roma sta puntando tutte le sue carte e, in vista del summit Ue del 23 maggio, Monti ha chiesto una verifica sullo stato di avanzamento dell´intero dossier. «Nessun paese europeo in una fase come questa può pensare di fare da solo», ha detto recentemente il ministro per gli affari europei, Enzo Moavero, impegnato in una vera e propria spola con Berlino nelle ultime settimane.
Eppure anche sul piano interno Monti non molla. Al vertice di ieri notte si è discusso a lungo del problema della compensazione dei crediti delle imprese verso lo Stato. In settimana, come hanno ribadito sia Grilli che il sottosegretario De Vincenti, arriveranno tre decreti ministeriali per sbloccare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione. E consentire alle imprese di farsi certificare i propri crediti per poi andarli a “scontare” in banca. Ma non è tutto. L´altra leva nazionale è quella della spending review, una corsa contro il tempo per trovare 4,2 miliardi di spese correnti da tagliare ed evitare così l´aumento dell´Iva dal 21 al 23 per cento. Sabato sera ne hanno discusso a cena Monti ed Enrico “mani di forbice” Bondi, il superconsulente nominato dal consiglio dei ministri. Nell´appartamento di Bondi a piazza San Michele, nel centro di Arezzo, i due, in compagnia delle rispettive consorti, hanno avuto un primo scambio di vedute fino a mezzanotte. E domani Bondi incontrerà il ministro Piero Giarda per buttare giù un primo schema di tagli. Sabato sera Monti e la signora Elsa hanno poi dato disposizioni per dormire nella foresteria della prefettura di Arezzo. Risparmiando sull´albergo.

La Repubblica 14.05.12

"Che senso ha morire per il lavoro", di Ilvo Diamanti

Viviamo tempi violenti, pervasi, come ha affermato ieri Mario Monti, da una «profonda tensione sociale». Di cui è indice – e fattore – il riemergere del terrorismo. Che usa la vita e ancor più la morte come un messaggio. Uno spot da proiettare nel circuito – e nel circo – mediatico. Senza il quale e al di fuori del quale: nulla esiste. Lo stesso avviene, d´altronde, nel mondo del lavoro. Dove togliersi la vita fa notizia. Molto più che perderla lavorando. I morti sul lavoro, infatti, sono un fenomeno antico, esteso e in costante aumento. (Ce lo rammenta la preziosa opera di documentazione e informazione svolta dall´Osservatorio Indipendente di Bologna di Carlo Soricelli). E, tuttavia, quasi invisibile, se non in casi eccezionali – quando muoiono in tanti in un colpo solo. Come nel caso della Thyssen Krupp di Torino, nel 2007.
I suicidi, invece, suscitano grande attenzione ed emozione, in questi tempi. I media li inseguono, giorno dopo giorno. Offrono l´immagine di un´onda anomala e senza fine. Anche se i dati raccontano una storia diversa. Infatti, come osserva Marzio Barbagli, sulla base delle statistiche dell´Istat: «I suicidi in questa categoria sociale c´erano anche negli anni passati, più o meno con la stessa frequenza». Anzi, dal 2009 ad oggi, sarebbero diminuiti. Tuttavia, la visibilità mediale di un fenomeno non è mai casuale. Basti pensare allo spazio riservato dai media alla criminalità comune, trattata come un serial, sceneggiato e riprodotto dai Tg e dai talk del pomeriggio e della sera. Senza soluzione di continuità. Al di là di ogni variazione statistica del fenomeno, riflette, soprattutto, la passione dei media per la cronaca nera tradotta in “romanzo criminale”. Basti pensare, ancora, allo spazio riservato dall´informazione all´immigrazione, negli anni fra il 2007 e il 2009. In seguito ridimensionato drasticamente. Una tendenza dettata da ragioni – e pressioni – politiche più che da mutamenti quantitativi dei flussi migratori. Penso, invece, che la visibilità riservata ai suicidi, in questa fase, oltre che dalla drammaticità dei singoli episodi, più che da ragioni “politiche”, sia dettata – e moltiplicata – dall´angoscia prodotta dalla crisi economica. Il principale e vero motivo della “tensione sociale”, a cui ha fatto riferimento il Presidente del Consiglio.
Per riprendere i dati dell´Osservatorio sull´In-Sicurezza (curato da Demos, l´Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis), le “paure economiche” sono considerate la principale emergenza dal 60% degli italiani (aprile 2012). Un sentimento degenerato in pochi anni. Insieme al senso di declino sociale. Rammentiamo: nel 2005 la quota di persone che si “sentiva” di classe sociale bassa o medio-bassa era il 25%. Oggi il 53%.
I suicidi dei lavoratori e ancor più dei piccoli imprenditori “drammatizzano”, in senso emotivo ma anche narrativo, questa “tensione sociale”. Sul piano professionale e geo-economico. Lo “sciame dei suicidi” ri-prodotto dalle cronache, infatti, sembra inseguire le zone forti dello sviluppo degli ultimi decenni. Le province del Nordest e, in generale, del Nord. Le aree che, dopo gli anni Settanta, hanno conosciuto una crescita economica violenta. Dove si è affermato una sorta di “capitalismo dell´uomo qualunque”, come l´ha definito Giorgio Lago. Un modello “postfordista” (per citare Arnaldo Bagnasco), che ha coinvolto e mobilitato la società in modo estensivo. Perché, a differenza di altrove, le aspettative di reddito e di carriera non erano affidate al lavoro dipendente – nella grande fabbrica o nel pubblico impiego. Ma al lavoro in-dipendente. Al passaggio da operaio ad autonomo. “Paroni a casa nostra”, in Veneto, non significa solo indipendenza territoriale. Ma vocazione all´indipendenza personale e familiare. Gran parte delle aziende, d´altronde, sono sorte e si sono sviluppate attraverso rapporti personali. Tra persone che si conoscono e si frequentano, prima durante e dopo il lavoro. Aspirano a migliorare la propria posizione e condizione, con lo stesso obiettivo. Diventando, a loro volta, “paroni a casa propria”. Il passaggio da operaio a piccolo imprenditore, in questo mondo, è breve. La fatica, il rischio: gli stessi. Cambia il ruolo sociale. Come rammenta la vicenda dell´artigiano-muratore, raccontata da Gigi Copiello, che sul furgone da lavoro scrive: Bruno da Cittadella, dottore in malta. (Titolo del libro appena uscito per Marsilio). Cioè, artigiano, ma anche specialista. Per usare un termine di moda: tecnico.
Il successo leghista, negli anni Novanta, in queste zone e fra queste categorie professionali, si spiega anche così. Con la capacità della Lega di dare visibilità e voce a soggetti e territori divenuti, in breve, economicamente centrali, ma ancora politicamente periferici. Guardati – anche sui media – con sufficienza e ironia.
L´enfasi suscitata – oggi molto più di ieri – dai suicidi dei piccoli imprenditori e nelle aree di piccola impresa riflette la sensazione, per alcuni versi la paura, che questo modello sia in declino. Oltre metà degli italiani, nel 2006, ambiva, per sé e i propri figli, a un “lavoro in proprio o da libero professionista”. Oggi questa componente è scesa a poco più di un terzo (Demos-Coop, aprile 2012).
Le cause “materiali”: la disoccupazione, il peso schiacciante delle tasse e la caduta dei mercati, dunque, alimenta sicuramente l´angoscia sociale che si respira. Ma c´è di più. C´è la paura del baricentro sociale, un tempo imperniato sulla grande fabbrica, spostatosi, poi, sul lavoro autonomo e sulla piccola impresa. Un modello fondato, comunque: sul “lavoro”. Riferimento dell´identità e della coesione sociale, prima che fonte di reddito. Mi torna in mente la reazione di Giorgio Lago a un articolo nel quale, dieci anni fa, registravo la crescente stanchezza fra i lavoratori e i piccoli imprenditori del Nordest. Alla ricerca di altri motivi di soddisfazione, oltre il lavoro. Rispose, allora, Lago (sul Mattino di Padova): «Se sono stanchi si riposino. Vadano a dormire prima, la sera. E poi riprendano il lavoro. Perché senza il lavoro, senza la fatica: non hanno speranza. Non hanno futuro».
È questo che oggi rende così visibile ciò che fino a ieri non lo era. “Morire per il lavoro”. In qualche misura, poteva essere un prezzo accettato e perfino necessario, per una civiltà laburista.
Ma se il lavoro e la fatica non bastano più: cosa terrà insieme la società? E, prima ancora, che “senso” ha la vita?

La Repubblica 14.05.12