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"Dare all’Italia un’alternativa", di Claudio Sardo

Ci sono troppi politologi al capezzale della politica malata. Che parlano della crisi della rappresentanza, del mancato rinnovamento, del collasso del bipolarismo di coalizione, del fallimento dell’antipolitica berlusconiana, come se fossero questioni separate dalla depressione economica e dalle drammatiche conseguenze sociali. Invece la crisi della politica nasce innanzitutto nella società. O meglio, nell’incapacità di rispondere al disagio crescente delle famiglie, dei ceti medi, delle imprese, con un progetto in grado di rilanciare la crescita e redistribuire opportunità e risorse con criteri di equità. La politica appare impotente, nel migliore dei casi obbligata dal vincolo esterno. È per questo che viene contestata. È per questo che la corruzione di alcuni è considerata la colpa di molti. È per questo che ogni privilegio legato allo status di rappresentante suona come uno schiaffo a chi fatica ad arrivare alla fine del mese.
La politica deve darsi subito regole di trasparenza, di sobrietà, di rigore. Non è solo una richiesta di popolo. È la misura minima di moralità per poter continuare a guardare in faccia la democrazia: attenzione, la Grecia non è lontana e non è neppure il solo Paese in cui gruppi xenofobi, violenti, neo-nazisti acquistano allarmanti quote di consenso elettorale.
Ma sarebbe sbagliato pensare che questa medicina sia sufficiente. Così come è sbagliato rincorrere Beppe Grillo con argomenti che restano imprigionati nella sua demagogia. Il riscatto della politica democratica – quella che si fonda sulla partecipazione attiva dei cittadini e su partiti scalabili (non su partiti carismatici o personali, dove i capi si possono solo acclamare) – passa da un progetto per il Paese, da una volontà percepibile di cambiamento, da una scelta tra alternative legittime. Non basterà la pur necessaria riforma del sistema politico per evitare che la frammentazione produca altre macerie. La vera sfida è fuori dal Palazzo, dove le persone hanno timore per i loro figli, dove si sentono sole davanti a un mercato sempre più avaro e impietoso, dove in tanti tirano la cinghia e non sanno se basterà.
I numeri con i quali la politica deve confrontarsi, ben più dei sondaggi, sono il calo dell’occupazione, soprattutto di quella femminile e giovanile, che raggiunge in Italia livelli record. I numeri sono il 25% delle famiglie a rischio di indigenza. Sono quelli denunciati ieri dai sindacati sull’ulteriore impennata della cassa integrazione. Sono quelli dei pasti assicurati dalla Caritas. Sono quelli degli imprenditori che non ce la fanno, anche perché da noi il lavoro è tassato troppo rispetto alla rendita. Un progetto politico è prima di tutto una risposta nazionale alla questione sociale. Il rinnovamento della rappresentanza ne è il corollario, non il surrogato.
Per il centrosinistra italiano, e per il suo partito più rappresentativo, il Pd, è una sfida decisiva. Bisogna mettere in gioco tutto. Non c’è tatticismo che possa consentire rinvii. Le amministrative hanno mostrato l’immagine di un terremoto, con il crollo della destra, con l’affanno dei centristi, con un area progressista maggioritaria ma divisa sulle strategie, con una protesta crescente e sempre più radicale. Ma la vittoria di Hollande in Francia offre un’opportunità che fin qui era mancata. Per affrontare il disagio sociale ci vuole la crescita, dunque è necessario mutare la rotta delle politiche europee. E per fare questo il cambiamento non può che essere europeo. Occorre rompere la gabbia dell’austerità, che deprime l’economia e che, proponendosi di curare il debito pubblico, in realtà lo incrementa. Occorre lanciare una nuova stagione di investimenti, selettivi ovviamente, destinati a infrastrutture, reti, ricerca, conoscenza. Non è vero che la crisi si cura solo tagliando la spesa pubblica: la crisi si cura riducendo gli sprechi della spesa corrente ma destinando risorse per investimenti sul futuro.
La Francia può cambiare gli equilibri dell’Unione. Si può anzi dire che qualcosa è già cambiato, tanto che è entrato in agenda un nuovo Patto per la crescita da affiancare al Fiscal compact nel prossimo consiglio europeo di giugno. Per i democratici italiani si tratta di legare il proprio progetto in modo sempre più stretto a quello dei progressisti europei. Il manifesto di Parigi, sottoscritto da Ps francese, Spd tedesca e Pd italiano, è stato un primo passo importante. Ora su queste basi è necessario lanciare una proposta nazionale per il dopo Monti.
Alla crisi della destra e al disagio diffuso nell’elettorato non si deve rispondere aggravando le difficoltà del governo di transizione. Bisogna semmai, dove possibile, aiutarlo a procedere verso le riforme elettorali e istituzionali, verso una politica di intesa con la Francia di Hollande, verso maggiori investimenti sociali (come è accaduto nell’ultimo consiglio dei ministri, con il piano dei 2,3 miliardi per il Sud, per le fasce più deboli e per le imprese).
Alla partita del voto, però, occorre prepararsi con una impostazione chiara: gli elettori dovranno scegliere tra due diversi percorsi in Europa. La via progressista o quella dei conservatori. Se non saremo capaci di offrire quell’alternativa, sarà l’Italia intera, non solo un partito, a rischiare il default. E il terremoto potrebbe investire lo stesso impianto democratico. Le leadership politiche si giocheranno nella capacità di legare progetto nazionale e alleanza europea. Speriamo che quanti giocano alla Grande coalizione permanente si rendano conto che stanno giocando con il fuoco: senza alternative si corre verso Atene.

l’Unità 13.05.12

"La destra chiede asilo a Grillo", di Maria Zegarelli

A Parma il Pdl e i centristi di Ubaldi aprono al candidato Cinquestelle per il ballottaggio. Il pd Bernazzoli: vogliono lasciare macerie, serve una svolta vera. Parma rischia di diventare il laboratorio di una inedita e incredibile alleanza. A una settimana dal ballottaggio il Pdl e il centrista Udc Elvio Ubaldi aprono al candidato di Grillo contro il pd Bernazzoli. Dicono: si può votare, è la vera novità. Il tam tam è già cominciato. Il candidato del centrosinistra accusa: vogliono lasciare macerie, Parma ha bisogno di una seria svolta di governo.
Da ABC (Alfano, Bersani, Casini) a CAG. Casini-Alfano-Grillo. Ve lo immaginate? Sarebbe una di quelle rocambolesche giravolte della politica italiana suggestionata, anzi no, terrorizzata, dalle urne. Non è fantascienza ma uno degli scenari che starebbe prendendo corpo a Parma, ex fortino Pdl, caduto in disgrazia per le vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’ex sindaco Pietro Vignali. Al ballottaggio due candidati: Vincenzo Bernazzoli, Pd, e Federico Pizzarotti Movimento a 5 stelle. Evaporato il Pdl, inconsistente il centro, come ha dimostrato il posizionamento al terzo posto del suo candidato Elvio Ubaldi (lista civica e appoggio Udc), adesso sembra che l’obiettivo di quel che resta del centrodestra sia di non far arrivare primo il candidato Pd.
LA TENTAZIONE DEL CENTRODESTRA
«Al ballottaggio potremmo votare Pizzarotti. In fondo è lui la novità», ha detto Ubaldi l’altro giorno cogliendo di sorpresa non pochi elettori parmigiani. Ieri a domanda diretta ha risposto che no, indicazioni non ne dà, «non ho una posizione, però nei prossimi giorni mi vedrò con i miei e decideremo che fare». Insomma, si potrebbe decidere di appoggiare apertamente proprio il candidato grillino «ma anche no».
Il Pdl nicchia, ufficialmente «meglio fare una gita». Ufficiosamente giurano dal quartier generale di Bernazzoli «le cose stanno diversamente. C’è chi sta dando indicazioni di voto per Pizzarotti perché sanno che se vinciamo noi per un po’ possono dimenticarsi la guida di Parma». Filippo Berselli, coordinatore emiliano romagnolo del Pdl, se fosse un elettore di Parma andrebbe al mare, «non andrei a votare, tanto che non ho dato indicazioni». Certo, «non posso escludere che elettori Pdl preferiscano il candidato del Movimento 5 stelle, né posso lanciare un editto, ma a me come coordinatore l’unico ballottaggio che interessa è quello di Piacenza». Al punto che il coordinamento regionale l’ha fissato al sabato successivo al ballottaggio.
Da Roma l’onorevole Giorgio Stracquadanio opterebbe per una gita, «astensionismo, mi creda, ma non posso escludere che elettori del centrodestra vadano alle urne per sostenere Pizzarotti». Aggiunge: «Tuttavia mi chiedo quanti siano gli elettori Pdl, ormai è un partito morto. Sepolto. Non esiste più, anzi io lavoro perché esploda definitivamente, senza più leader, programmi, idee. A Parma poi è a meno del 4%, ma si rende conto?».
Vincenzo Bernazzoli guarda sì le macerie di quello che qui fino all’anno scorso era considerato un esercito invincibile, ma non nasconde le insidie: «Il loro tentativo dice è quello di far vincere il candidato del Movimento a 5 stelle sperando in una crisi di giunta al massimo fra un anno, il tempo che gli serve per cercare di riorganizzarsi». Riorganizzarsi e far dimenticare quella brutta storia di tangenti legate alla scuola, di assessori finiti sotto inchiesta, di cittadini arrivati sotto la sede del Comune a protestare con le pentole in mano. Tutto ancora troppo fresco nella memoria dei parmigiani, ma forse il tracollo di Pdl e Lega non si spiega solo così, forse è vero quello che dice Stracquadanio descrivendo senza troppi giri di parole quello che resta dei tempi andati. Un partito tenuto insieme dal suo leader indiscusso, Berlusconi, e sgretolatosi non appena il Capo si è fatto di lato, travolto dalla crisi di governo ed economica dalle olgettine, dalle Ruby di turno.
Cerca di spazzare lontano i dubbi Federico Pizzarotti: «Io non chiedo voti né al Pdl né all’Udc. Io chiedo il voto dei cittadini sulla base del mio programma. Niente apparentamenti, niente accordi in vista del ballottaggio». E se poi arrivano i voti anche da lì ben vengano. Intanto l’altra sera è stato al centro di una brutta polemica: su Facebook un utente con «avatar» col simbolo del Movimento 5 Stelle ha scritto «Bernazzoli sparati». E come se non bastasse sulla pagina dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti ne è comparso un altro il 17 marzo mai cancellato -non meno inquietante: «Chi appoggia Bernazzoli è peggio di un nazifascista». Bernazzoli ha denunciato la gravità di questi episodi e il candidato grillino ha preso le distanze e condannato le frasi contro il suo competitor. «Ho anche scritto al militante del Movimento 5 stelle racconta che peraltro non è di Parma, ma non mi ha risposto».
A sostenere Bernazzoli «nella sua azione di cambiamento», ieri è arrivato il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha annunciato un asse tra Parma e Milano, in vista dell’Expo 2015, «una collaborazione intensa che porterà occasioni e sviluppo al territorio parmense».

L’Unità 13.05.12

"La politica interessa solo a tre italiani su dieci", di Renato Mannheimer

I risultati delle ultime amministrative hanno dato una scossa violenta alla vita dei partiti. L’elevato tasso di astensione, il gran numero di schede bianche e nulle (di cui troppo poco si è parlato) e il successo di un movimento antipartitico come la lista 5 stelle hanno mostrato tutta la debolezza delle forze politiche tradizionali nell’opinione pubblica italiana. D’altra parte, questo scarso appeal dei partiti era già stato indicato dalle ricerche che mostravano il decrescere progressivo del grado di fiducia nei loro confronti.
Diversi esponenti politici avevano obiettato che, malgrado il consenso per l’insieme delle forze politiche si fosse costantemente ridotto, il supporto per i singoli partiti — ciascuno si riferiva in particolare al proprio — non aveva probabilmente subito un trend siffatto. I risultati delle elezioni hanno mostrato che le cose non stanno così. Ma lo hanno indicato, prima e dopo le consultazioni, anche le risposte ai sondaggi, che ci offrono una serie di indicazioni ulteriori a quelle emerse dal voto. Essi confermano ad esempio come anche la fiducia espressa per ciascun partito sia molto esigua. Ad esempio, dichiara di avere fiducia nel Pd, che è la forza che ottiene il maggiore livello relativo di consenso, solo il 16% dell’elettorato, mentre il 77% manifesta l’atteggiamento opposto. Naturalmente la maggioranza (67%) degli elettori di questo partito gli conferma il proprio supporto, ma ben un terzo di questi ultimi afferma invece di non nutrire fiducia.
Ancora più critica è la situazione del Pdl, verso il quale la fiducia espressa ammonta, nell’insieme dell’elettorato, al 9%, mentre assume un orientamento contrario l’85%. Anche in questo caso, la maggioranza (ma meno ampia, il 59%) dei votanti per Berlusconi e Alfano ribadisce il proprio consenso, ma il 40% degli stessi lo nega. Questi dati spiegano in larga misura il recente risultato elettorale negativo del Pdl, ma mostrano al tempo stesso come la crisi di questo partito perduri ben oltre il momento del voto.
Anche per le altre forze politiche, la grande maggioranza degli italiani esprime sfiducia. La forza in assoluto meno «gettonata» è, coerentemente con altre rilevazioni precedenti, la Lega. La sfiducia verso i partiti si inquadra in un più generale trend di disaffezione da tutte le principali istituzioni politiche, anch’esso accentuatosi nelle ultime settimane. L’indice sintetico di fiducia per le istituzioni politiche elaborato da Ispo (che misura, attraverso un algoritmo statistico, il consenso verso diverse istituzioni, dall’Ue al Parlamento, al Governo, fino al presidente della Repubblica) mostra al riguardo un calo drastico dal valore di 48,4 registrato lo scorso novembre al 25,5 di oggi.
A questo calo di fiducia complessiva corrisponde una altrettanto drastica diminuzione del livello di interesse verso gli avvenimenti politici. Anche questo è un trend in corso da molto tempo: sei anni fa, nell’aprile 2006, il 56% della popolazione dichiarava di essere in qualche misura («molto» o «abbastanza») interessato alla politica. Oggi questa percentuale si è drasticamente contratta, superando di poco il 30%, ciò che significa che il 70% degli elettori — era il 43% nel 2006 — afferma di non occuparsi di vicende politiche. Insomma, la politica è seguita oggi da meno di un italiano su tre. Appare relativamente più interessata la generazione di età centrale (35-55 anni), specie tra coloro che si collocano nel centrosinistra o nella sinistra tout court. L’interesse è poi notevolmente più alto (61%) tra i laureati.
D’altra parte, il calo di attenzione per la politica è percepito anche soggettivamente dagli stessi cittadini. Ben il 43% dichiara infatti di avere ridotto il proprio interesse per le tematiche politiche anche (per alcuni, specialmente) a seguito dei numerosi scandali che hanno coinvolto in questi mesi svariati partiti ed esponenti politici. Un fenomeno siffatto si è manifestato con particolare intensità tra i meno giovani, tra le casalinghe e, ovviamente, tra i meno partecipi politicamente.
Il quadro complessivo che emerge da questi dati è dunque assai critico. I risultati del primo turno della amministrative non sono che un segnale evidente del clima di opinione del Paese. Alla sfiducia nelle istituzioni — e nei partiti in particolare — corrisponde un senso di impotenza (e talvolta, ma in modo minoritario, di rabbia) tra i cittadini che finisce col tradursi nella scelta di forze politiche che «rappresentino» la protesta o, più spesso, in un disinteresse per quanto accade nel mondo politico che si traduce nell’astensione. E persino per il governo Monti — che ha assunto inizialmente l’immagine di reazione «tecnica» ai partiti tradizionali — si registra in queste settimane un drastico calo di consensi.

Il Corriere della Sera 13.05.12

"Delitti di genere. Le donne vengono uccise proprio in quanto donne", di Grazia Basile

Al di là della polemica sull’uso del termine che indica l’uccisione delle «femmine», madri, figlie, mogli e fidanzate vengono ammazzate perché hanno detto «no». Le agghiaccianti cronace degli ultimi mesi e degli ultimi anni riguardo all’uccisione di donne di qualsiasi età, provenienza, stato sociale ecc…. non lascia spazio a dubbi: più di 56 donne uccise in Italia dall’inizio del 2012 ad oggi, 137 uccise nel 2011 e 127 nel 2010 (per limitarci agli ultimi due anni e mezzo) mettono tutti noi davanti a un dato di fatto, ossia che il femminicidio rappresenta in Italia un’emergenza sociale che non può (e non deve) più essere ignorata. A questo proposito Se non ora quando, Loredana Lipperini e Lorella Zanardo il 27 aprile scorso hanno lanciato un appello dal titolo «Mai più complici» che in pochissimi giorni ha raccolto sul web una mole di firme che, per quantità (finora sono oltre 38mila) e qualità, ha innescato ci auguriamo un profondo cambiamento culturale. L’appello è stato firmato da rappresentanti del mondo politico, della cultura, dello spettacolo ecc. (da Rita Levi Montalcini a Suor Rita Giarretta, da Giuliano Amato a Ernesto Galli della Loggia, da Roberto Saviano a Luca Sofri, dalla FIGC a Josefa Idem, da Gianna Nannini al giovane rapper Mirko Kiave), ma soprattutto da donne e uomini mossi dall’intento di dire «basta» alla violenza contro le donne e a qualsiasi sistema culturale che preveda che le donne siano oggetti a disposizione degli uomini, senza alcuna possibilità di decidere liberamente della propria vita. Si è aperta insomma una discussione importante, che ha coinvolto figure autorevoli e la lingua è stata tirata in ballo in vario modo, innanzi tutto nell’uso del termine femminicidio.
Ad alcuni questo termine non piace: Isabella Bossi Fedrigotti, ad esempio, sul Corriere della sera del 30 aprile 2012 dichiara espressamente di non gradire il termine femminicidio in quanto evoca una «vaga intenzione di svilimento se non di disprezzo». La ragione di ciò è probabilmente legata al fatto che femminicidio deriva direttamente da femmina, vocabolo a sua volta derivato dal latino femina a indicare l’«essere di sesso femminile» (in opposizione a quello di sesso maschile) per riferirsi sia agli esseri umani che agli animali, cosa che ha fatto sì che già in latino a femina fosse associata una connotazione negativa.
Nella lingua italiana però, nonostante la connotazione negativa che si può associare alla parola femmina, il neologismo femminicidio a seguito, purtroppo, di questa tragica escalation di omicidi rivolti contro le donne sta prendendo sempre più piede al punto che, se lo si digita su Google (rilevazione del 12 maggio 2012), viene fuori un numero di occorrenze pari a circa 335.000. Questo accade perché come diceva il poeta latino Orazio si volet usus, ossia è l’uso a regolare le nuove acquisizioni e il venir meno di alcuni vocaboli.
Le parole terminanti con l’elemento -cidio non lasciano spazio ad ambiguità: vogliono dire «uccisione», in particolare «uccisione di una persona», così che si va dal vocabolo più generico omicidio («uccisione di una o più persone») ai più specifici genocidio, parricidio, fratricidio, infanticidio ecc. Per quanto riguarda le donne, in particolare, abbiamo matricidio «uccisione della propria madre», sororicidio «uccisione della propria sorella» e uxoricidio «uccisione della propria moglie», che in uso estensivo vuol dire anche «uccisione del coniuge», manca però un vocabolo specifico per «uccisione del proprio marito» (sarà un caso?).
La cronaca ci mostra che non vengono uccise solo madri, sorelle o mogli, ma anche figlie, fidanzate o ex fidanzate, conviventi o ex conviventi, ecc. e poi, fuori dall’ambito parentale, il ventaglio si allarga ancora. Spesso la colpa di queste donne è stata quella di aver trasgredito al ruolo imposto loro dalla cultura di appartenenza, in sostanza di essersi prese la libertà di decidere che cosa fare della propria vita, di aver detto qualche deciso «no» al proprio padre, marito, amante ecc… e per questo sono state punite con la morte. Ciò che accomuna tutte queste donne è che vengono uccise come è riportato sotto la voce femminicidio in Wikipedia in quanto appartenenti al genere femminile. Si tratta di delitti di genere dunque, con una loro specificità.
Negli ultimi anni si è iniziato a parlare di femminicidio (in spagnolo femicidio) negli appelli internazionali lanciati dalle madri delle ragazze uccise a Ciudad Juárez (città al confine tra Messico e Stati Uniti), dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 sono state stuprate, torturate e poi uccise ed abbandonate. In Italia il termine femminicidio ha iniziato a circolare in riferimento alle cronache di Ciudad Juárez e analogamente, in lingue a noi vicine, si sono diffusi termini simili (in inglese femicide, in francese fémicide, in tedesco feminizid) ad indicare come si è detto un delitto con una sua specificità di genere.
Il problema non è tanto nella scelta del termine da usare non sta a nessuno di noi, presi singolarmente, decidere la fortuna di un termine piuttosto che di un altro ma nell’acquisire innanzi tutto la consapevolezza della specificità di genere di questi efferati delitti. Per quanto riguarda la lingua, è e sarà soprattutto l’uso di cui parlava Orazio a sancire o meno il triste ingresso del termine femminicidio nell’italiano, a condizione che si diffonda nella coscienza di tutti i cittadini e le cittadine italiane la consapevolezza che non siamo di fronte a omicidi generici, ma a omicidi contro le donne «in quanto donne», dunque a omicidi di genere.

l’Unità 13.05.12

Bersani: «Dopo Monti saremo noi a governare», di Simone Collini

«Alle elezioni il confronto sarà come quello visto in Francia. Accesamente bipolare: non sarà un pranzo di gala». Le primarie? «Decideremo con i nostri possibili compagni di viaggio». «Ho negli occhi ancora questa grandissima presenza popolare a Bologna». Pier Luigi Bersani rientra a casa dopo essere stato ai funerali di Cevenini, «che è anche il prodotto di quella città, civilissima, e anche una delle sue espressioni migliori». Il leader del Pd non è riuscito a trattenere le lacrime mentre prendeva parte al picchetto d’onore in Sala rossa. «Maurizio è stato la dimostrazione vivente di cosa intendo per partito popolare». Adesso c’è chi cerca di creare una distanza tra lui e il Pd.
«Non dicano questo perché lo farebbero star male dov’è. Io non ho mai visto una persona così aperta e così legata al suo partito».
La giornata è stata segnata anche dagli attacchi a Equitalia: cosa direbbe ai dipendenti della società di riscossione? «Che devono sentire da parte di tutti, a cominciare dal Pd, una solidarietà senza nessuna ambiguità».
Perché non sono loro i responsabili se si pagano così tante tasse?
«Non sono le tasse alte che stanno minacciando la vita dei dipendenti di Equitalia. È che nella tensione per le tasse alte, accanto ad episodi individuali, si può infilare la strategia di chi ha interesse a destabilizzare. Ricordo che Equitalia fu uno dei primi obiettivi del cosiddetto anarchismo insurrezionale, che a quanto pare sta molecolarmente cominciando a transitare verso l’azione armata. Ora bisogna tenere alta la guardia, il Paese ha già pagato troppo per questa deriva».
Dice che tutte le forze politiche siano consapevoli del rischio?
«Vedo rischi di sottovalutazione nel dare più o meno consapevoltemente copertura attraverso argomenti qualunquisti. Se paghiamo tasse troppo alte è perché c’è poca gente che paga, se tanta gente fa fatica a pagare è perché non c’è lavoro. I problemi devono essere affrontati con razionalità e non con qualunquismo».
Il governo sta affrontando con razionalità i problemi?
«Prima di tutto diamo uno sguardo all’Europa, perché la situazione resta delicata. La speculazione ha una forza tale che è in grado di togliere sovranità a decisioni prese dai singoli Paesi, a meno che non ci sia una sovranità condivisa in Europa. Il governo Monti, dopo la vittoria di Hollande, ha nuovi spazi di manovra, però bisogna sapere che non abbiamo molto tempo per agire. Già al vertice di giugno bisogna ottenere risultati, dovrà esserci la possibilità di non contabilizzare alcuni investimenti ai fini del deficit, ci dovrà essere una rilettura dell’approssimazione al pareggio di bilancio. Non è pensabile che l’Italia, che ha la recessione più alta d’Europa, si accosti al pareggio di bilancio più di quanto non facciano la gran parte dei Paesi comunitari». Che ne pensa dei provvedimenti sul Mezzogiorno approvati dal governo?
«È il classico esempio di come i miracoli non si possano fare ma che qualcosa di concreto sì. C’è un ministro che parla poco e fa dei fatti, si chiama Barca, che è riuscito a stoppare il rischio di perdere dei soldi e di investirli in un piano di spesa intelligente. Rispetto ai bisogni del Paese può sembrare una goccia nel mare, però è un fatto. E l’Italia ha bisogno di un certo numero di fatti, non risolutivi ma in grado di fronteggiare recessione in attesa di agganciare la crescita».
Il Pd è soddisfatto di ciò che fa il governo per fronteggiare la recessione?
«Il Pd, garantendo lealtà al governo, chiede altri fatti. Che la Pubblica amministrazione paghi le imprese, perché se lo Stato comincia a pagare anche il rapporto con le banche può migliorare e perché è meglio un po’ subito che tutto chissà quando. Il Pd chiede investimenti, e non c’è niente di meglio di sbloccare qualcosa agli enti locali. Chiede che si risolva adesso il problema degli esodati e che si modifichi l’Imu affiancandole un’imposta personale sui grandi patrimoni immobiliari».
Berlusconi fa sapere che il Pdl voterà soltanto ciò che lo convince: vede il rischio che stacchino la spina al governo? «Non sono nelle condizioni di farlo ma vedo un atteggiamento rischioso. In Parlamento si sta discutendo una legge anticorruzione e una sulla Pubblica amministrazione, e sento dal centrodestra degli alt che non convincono. Non voglio accendere io una miccia ma non pensino che si possa imporre uno stop su questi temi. Non basta dire astrattamente sosteniamo il governo, bisogna fare in modo che non perda la faccia. E se si blocca la legge anticorruzione l’esito è questo». Si discute anche di finanziamento pubblico, di legge elettorale, di riforme istituzionali: in molti perderanno la faccia se non saranno approvate, non crede? «Noi incalziamo le altre forze politichee. A partire dal dimezzamento da subito del finanziamento pubblico, su cui abbiamo condotto un’iniziativa che non ha consentito divagazioni. Mi aspetto di vedere un passaggio dirimente entro i prossimi dieci giorni».
E sulla legge elettorale? La discussione sembra arrivata a un punto morto… «Torneremo a discutere partendo dai nostri paletti. La proposta del Pd è il doppio turno, e il voto amministrativo ha dimostrato che questo sistema consente una governabilità incomparabilmente migliore rispetto alla legge attuale, che ci ha portato soltanto guai enormi».
Ha ricevuto risposte da Pdl e Udc?
«Per ora ho ricevuto messaggi di diniego. Spero ci ripensino».
Prodi ha criticato la bozza di accordo a cui lavorano Violante ed esponenti delle altre forze che sostengono Monti.
«Il presupposto a ogni ragionamento è che il Pd non ha la maggioranza in Parlamento, che l’attuale legge non va bene e che bisogna trovare una soluzione, anche di mediazione, che permetta ai cittadini di scegliere i parlamentari e garantisca al meglio la governabilità. Si lavora per individuare un meccanismo che non sia puramente proporzionale, ma che partendo da quel sistema possa introdurre elementi che garantiscano stabilità e un assetto bipolare». Non sarebbe la bozza a cui lavorano Pd, Pdl e Terzo polo, per Prodi, che anzi parla del rischio di una deriva greca…
«Lo vediamo anche noi il rischio, tutti lo vedono, e sappiamo che bisogna evitarlo trovando soluzioni che mantengano un’impostazione bipolare».
E il Terzo polo, che come dice il nome lavora ad un altro progetto?
«Si è visto alle amministrative che ci può essere una funzione per una posizione centrale ma che in Italia non può esserci un centro che condizioni il tema politico di fondo».
Che sarebbe?
«Si è visto in Francia e si vedrà ancora, è il tema di come i progressisti siano capaci di rivolgersi a tutta la sinistra e a tutte le aree moderate e costituzionali, contro una destra esposta a regressioni di tipo populista e ripiegamenti antieuropei».
Dopo Monti il tema potrebbe ancora essere la Grande coalizione, non crede? «No, il termine del confronto sarà quello visto anche in Francia. Sarà accesamente bipolare, forse anche più accesamente di quel che sarebbe giusto. Non sarà un pranzo di gala».
Dopo il primo turno delle amministrative ha detto che toccherà al Pd scegliere chi guiderà il centrosinisitra alle politiche e Renzi ha chiesto la convocazione delle primarie: pentito di quell’uscita? «No, perché ho sentito l’esigenza di dire con nettezza che non è vero che tutti hanno perso, che non c’è niente. Qualcosa c’è in questo sbandamento, e siamo noi, che quindi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità».
E le primarie chieste da Renzi?
«Non si venga a parlare a me di primarie, sono l’unico segretario al mondo eletto con questo strumento, ma adesso dobbiamo pensare ad altro».
Si faranno primarie di coalizione per scegliere il candidato premier del centrosinistra?
«Ne discuteremo, come Pd, e vedremo anche quello che pensano i nostri possibili compagni di viaggio».
Cioè gli altri partiti?
«Non solo, perché come abbiamo visto anche dal voto amministrativo i rapporti politici sono un meno contenuto in un più.EilpiùèunPdcheinnomedella ricostruzione siglerà un patto con la società. Ci rivolgeremo a intellettuali, economisti, organizzazioni civiche, per aprire un confronto».
Sa di tentativo di arruolamento…
«Nessun arruolamento, chiederemo di darci una mano sul tema della ricostruzione del Paese, perché dobbiamo sapere che questo compito toccherà a noi». Un’alleanza tra progressisti e moderati dovrebbe affrontare anche temi civili: Obama ha aperto ai matrimoni gay, in Italia non sono passati neanche i Dico… «Una regolazione moderna delle convivenze stabili tra omosessuali è un elemento di civismo, che un governo deve affrontare. È chiaro che se la questione non verrà risolta da questo governo toccherà a noi farlo».
Come?
«Terrei fuori dal dibattito la parola matrimonio, che da noi comporta una discussione di natura costituzionale, al contrario di altri Paesi. Tuttavia dobbiamo dare dignità e presidio giuridico alle convivenze stabili tra omosessuali perché il tema non può essere lasciato al far west». Pare che a Parma la destra tenti di convergere i suoi voti sul candidato grillino. «È un gesto di grave irresponsabilità. È la stessa destra che ha portato il Comune ad essere commissariato, ad avere una montagna di debiti tale da mettere in discussione il pagamento degli stipendi. Sembra che l’idea sia “muoia Sansone con tutti i filistei”, ma stiamo parlando di una città. È un’ulteriore conferma del tipo di destra che abbiamo di fronte».

L’Unità 13.05.12

«Basta con i tagli nella scuola. Ore e professori non diminuiranno», di Mariolina Iossa

«La scuola ha già dato, ha già sofferto molto per i tagli orizzontali, adesso siamo impegnati in una fase di nuova crescita ed equità». La spending rewiew (le razionalizzazioni a cui il governo guarda come ad un modo concreto per tagliare gli sprechi) vista dal ministero dell’Istruzione, e in particolare dal sottosegretario Marco Rossi Doria che al Corriere della Sera racconta tutto il progetto per gli anni a venire e significa una cosa sola: non ci saranno altri tagli, «non nelle scuole e per le scuole, solo razionalizzazioni su immobili ad uso amministrativo, sugli affitti di sedi periferiche e uno sconto nella spesa delle scuole del 15 per cento acquistando il materiale e gli strumenti attraverso il sistema Consip messo in piedi proprio per ottenere riduzioni dei costi vivi». Un impegno che arriva nel giorno in cui il ministero fissa i nuovi tetti di spesa per i libri di testo: 380 euro per le superiori, mentre per le medie si potrà arrivare a 294 euro per le prime classi, 117 per le seconde e 132 per le terze.
Per la scuola, dunque, non ci sarà alcuna riduzione, diminuzione, taglio, promette Rossi Doria e non è una speranza, un auspicio: è la linea del ministero voluta da Profumo e dal governo che «hanno rimesso la scuola tra le priorità dell’agenda politica di questo Paese — spiega il sottosegretario — perché la scuola è incubatrice di risorse umane e di crescita. È un fattore di crescita». Profumo ne ha già parlato, è tutto scritto nel documento di crescita ma in concreto, dice Rossi Doria, questo significa per esempio che «per il primo anno, il prossimo, da 5 anni a questa parte, ci saranno le stesse ore di cattedra dell’anno precedente. Il core business delle scuole, insegnanti, bambini, personale, non si tocca. In condizioni difficilissime, questo sia chiaro, ma noi stiamo su questa linea».
Facciamo l’esempio degli insegnanti di sostegno. «Non ci saranno ulteriori riduzioni — continua il sottosegretario, ex appassionato maestro di strada e promotore di decine e decine di progetti salvifici nella scuola italiana, oltre che collaboratore e del ministero dell’Istruzione e di quello del Lavoro — : tuttavia va detto con chiarezza che riguardo all’inserimento di bambini e ragazzi con difficoltà nella scuola noi facciamo più di qualunque altro Paese al mondo, con i nostri 80 mila insegnanti di sostegno di ruolo, anche perché molto civilmente la Corte costituzionale ha decretato che questi servizi resi ai bambini sono dentro il sistema di main streaming, servizi alla persona anzitutto di cui si fa carico la scuola e che non sono negoziabili. Abbiamo tanti difetti ma non questo…».
Il sottosegretario Rossi Doria sta lavorando ad un progetto contro la dispersione scolastica (programmato dal ministro Profumo e dal ministro Barca in accordo con le Regioni interessate) che riguarda Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, «dove è massima la corrispondenza, come ha confermato anche Profumo, tra povertà delle famiglie e rischio di abbandono scolastico. Qui saranno attivati con fondi non utilizzati dall’Ue e riprogrammati dalle Regioni di concerto con il governo, 100 prototipi in altrettante microaree dove si svolgeranno percorsi di prevenzione e di seconda occasione. In pratica significa andare a prendere i bambini con i servizi sociali e riportarli a scuola, oltre a farli partecipare ad altri progetti sociali extrascolastici».
Con il ministro Riccardi, poi Rossi Doria sta lavorando ad un progetto di inclusione dei bambini rom con misure mirate e altri prototipi, «scuola per i bambini e scuola anche per le madri per far prendere loro un diploma e nel frattempo che sono a studiare ci sono strutture che si occupano dei loro figli». Per tutta l’Italia, invece, sono stati lanciati nelle scuole due progetti per le pari opportunità, uno per la parità di genere, contro la cultura del femminicidio e uno il 17 maggio in occasione della giornata contro l’omofobia, «per il contrasto, già nelle scuole, alla discriminazione omofobica».
L’edilizia scolastica è un altro punto dolente. «Per quella, come ha anche ribadito il ministro Profumo, interverremo concretamente. Con circa 384 milioni per le quattro Regioni del Sud, più 189 per le tecnologie per la didattica. Nel resto d’Italia, 550 milioni presso il CIPE di cui 100 per nuove scuole e 450 per le ristrutturazioni».
Per Rossi Doria tutto questo fa parte di «una chiara inversione di tendenza per quanto riguarda le politiche governative della scuola, non c’è dubbio su questo. A ciò si aggiunge, e di questo sono particolarmente soddisfatto, il clima di attenzione e di ascolto verso le scuole inaugurato da Profumo. Tutti noi, il ministro, io e la collega Ugolini, andiamo in giro ad ascoltare, a cercare di capire, a ricucire un rapporto di fiducia sdrucito. Con spirito pacato e positivo e senza polemiche».

Il Corriere della Sera 13.05.12

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“Flc-Cgil: il Miur apre al dialogo su risorse e dimensionamento”, di Alessandro Giuliani

L’apertura sarebbe giunta dal sottosegretario, Marco Rossi Doria, e dal Capo di Gabinetto del Ministro, Luigi Fiorentino, durante l’incontro con una delegazione del sindacato. L’amministrazione ha preso diversi impegni e accordato due tavoli tecnici. Il segretario Pantaleo: era ora. Sembrerebbe aver prodotto alcuni risultati concreti il presidio organizzato dalla Flc-Cgil davanti al ministero dell’Istruzione, al fine di ottenere certezza di risorse, stabilità dell’organizzazione e sostegno alle scelte necessarie all’autonomia scolastica. L’apice delle protesta si è avuta quando alcuni dirigenti e direttori dei servizi generali e amministrativi si sono simbolicamente incatenati sulla scalinata del Miur, perché, ha spiegato il sindacato, ormai sono “costretti ai salti mortali e a mettere continuamente toppe ai buchi finanziari per garantire un minimo di funzionalità alle scuole”.
Sul finire della protesta, una delegazione dei manifestanti è stata ricevuta dal sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, e dal Capo di Gabinetto del Ministro, Luigi Fiorentino. Secondo quanto riportato del sindacato confederale, dal confronto sarebbe scaturito l’immediato avvio di due tavoli tecnici su finanziamenti e dimensionamento della rete scolastica. Oltre che una serie di rassicurazioni: “il sottosegretario Rossi Doria – scrive la Flc-Cgil – durante l’incontro ha annunciato alcune soluzioni concrete che dovrebbero dare un po’ di respiro alle scuole come l’arrivo di un provvedimento cancella multe”. Poi, rivolgendosi ai ds e dsga presenti, ha detto loro che sono “pezzi importanti dell’amministrazione: da parte del Ministro c’è la massima attenzione ai problemi che ci state rappresentando”.
Ma vediamo, nel dettaglio, alle risposte fornite dai rappresentanti del dicastero dell’Istruzione alla decina di “idee concrete e realizzabili da subito e a costo quasi zero”, che il sindacato ha messo bene in evidenza durante l’incontro. A proposto dei finanziamenti alle scuole, ormai cronicamente tardivi e carenti, l’amministrazione ha spiegato che c’è “la volontà politica di rivedere, all’interno delle linee guida che saranno emanate in applicazione dell’art. 50 del decreto sulle semplificazioni, le procedure per l’erogazione dei finanziamenti riportando ad unico canale i molteplici fondi che arrivano alle scuole per vie diverse”.
Sull’annoso problema dei recupero crediti (moltissimi istituti ne vantano diverse decine di migliaia di euro!), i rappresenti del Miur hanno assicurato che “tutti i residui attivi coperti da altrettanti residui passivi saranno restituiti”. L’impegno appare importante. Difficilmente, però, riteniamo che la restituzione potrà avvenire nel breve periodo. Anche alla luce della necessità del governo di ridurre ancora le spese.
A proposito delle multe che le scuole hanno subìto per fare fronte agli obblighi amministrativi, è stato detto che “il prossimo Consiglio dei ministri varerà un provvedimento legislativo per cancellare le multe”.
Un’indicazione importante è arrivata anche sugli eventuali risparmi derivanti dalla spending review, che a detta del Ministero “saranno reinvestiti nel sistema scuola”.
A proposito della richiesta della Flc-Cgil di mantenere nelle casse dei singoli istituti la parte dei fondi contrattuali non utilizzata nel corso dell’a.s., i rappresentanti del Miur avrebbero assicurato che “la disponibilità degli avanzi del fondo di istituto sarà assicurata alle scuole”. E non solo. “Sono allo studio del Ministero soluzioni per superare i problemi della scarsa efficienza dei sistemi tecnici che ritarda il riconoscimento delle economie”.
Poche speranze, invece, sulla cancellazione del “cedolino unico”, che tanti problemi sta arrecando per riuscire a decretarlo e assegnarlo nei tempi (anticipati) stabiliti: dalle stanze di viale Trastevere è stato spiegato che non si può eliminare facilmente una norma “prevista da una legge finanziaria. Tuttavia il ministero farà tutti gli sforzi possibili per migliorarne la gestione”.
Per quanto riguarda le rigide norme sul dimensionamento, che comporta l’eliminazione delle dirigenze e delle amministrazioni per le sedi con meno di 600 alunni, il Miur ha dato segni di disponibilità: “sarà aperto un tavolo tecnico, a partire dalla prossima settimana”.
Anche sulle richieste riguardanti l’impellenza di riconoscere economicamente le ore eccedenti dei docenti che sostituiscono i colleghi assenti per le supplenze, l’amministrazione si è detta possibilista: in effetti, “le supplenze dovrebbero essere pagate direttamente dal Mef e le ore eccedenti dovrebbero seguire la stessa procedura”. Il ministero dell’Economia sarebbe già stato allertato.
Fumata nera, invece, per l’assegnazione delle indennità per funzioni superiori e per le reggenze: “il Miur ha continuato a rispondere che mancano al momento le disponibilità finanziarie necessarie”.
Apertura, infine, sul fronte delle supplenze: secondo il sindacato andrebbero assegnate sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni. E non di meri calcoli matematici, riferiti al numero di addetti, sedi e studenti: sempre in base a quanto riferisce il sindacato, il Miur avrebbe assicurato che d’ora in poi “questa spesa verrà ristorata sulla base delle reali necessità”.
“Finalmente i problemi di gestione delle scuole ricevono un ascolto e un’attenzione consapevole. Era ora…”, ha commentato Domenico Pantaleo, segretario Generale Flc-Cgil. Ora però, dopo i chiarimenti, sindacato e dipendenti aspettano i fatti.

La Tecnica della Scuola 13.05.12

"Allarme Cgil: la cassa integrazione non rallenta", di Gabriele Dossena

La crisi continua a mordere. Il mercato del lavoro è in sofferenza permanente. E oltre all’emorragia dei posti persi per strada, adesso arrivano anche i dati sull’utilizzo della cassa integrazione, spesso anticamera del licenziamento, che anche per questo 2012, il quarto anno consecutivo di crisi, sta marciando verso il miliardo di ore autorizzate.
Un segnale pericoloso, e un allarme, lanciato dalla Cgil, che ha rielaborato i dati diffusi nei giorni scorsi dall’Inps: da gennaio ad aprile, le aziende hanno utilizzato poco più di 322 milioni di ore di cassa integrazione, con 470 mila lavoratori coinvolti. «Lo stillicidio di dati negativi indica uno stato di profondissima crisi e di inesorabile declino del settore industriale – denuncia il segretario confederale Cgil, responsabile Industria, Elena Lattuada -. Senza ripresa questi dati sono destinati a peggiorare, trascinandosi disoccupazione e desertificazione industriale».
E «sulla necessità di dare risposte al profondo malessere sociale, rimettendo al centro il lavoro», concordano tutti i sindacati. «È urgente arrivare all’approvazione in tempi rapidi della riforma del lavoro», ha detto il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, ricordando che tra marzo 2011 e marzo 2012 sono stati persi 88 mila posti di lavoro, mentre la disoccupazione riguarda 2,5 milioni di persone. «È altrettanto urgente – ha aggiunto – che vengano ripartite tra le Regioni le risorse per la cassa in deroga per il 2012, in misura adeguata alle esigenze. Tuttavia questo sarà insufficiente senza interventi che possano compensare gli effetti negativi delle misure di austerità che stanno frenando la ripresa economica in un Paese in recessione».
E al coro delle preoccupazioni si è unito anche il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy: «Al dato generale delle ore autorizzate di cassa integrazione dei primi 4 mesi dell’anno, non può contrapporsi una politica economica che non vede nella crescita la vera ricetta da mettere in campo».
Nel dettaglio, l’analisi fatta dalla Cgil evidenzia che il totale delle ore di cig ordinaria è stato nei primi quattro mesi 2012 di 101 milioni di ore (+26,54% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso), mentre la richiesta di ore per la cig straordinaria (110,8 milioni) segna un calo del 18,6% nel confronto con il 2011. La cassa integrazione in deroga (cigd), con 110,9 milioni di ore autorizzate (+3,79%), risulta per la prima volta lo strumento più usato.
I settori che in questi quattro mesi presentano un maggiore volume di ricorso alla cassa straordinaria (cigs), sono il commercio (con 39,9 milioni, +31,16%) e la meccanica (21,9 milioni, in calo del 31,88%). Le Regioni più esposte con la cassa in deroga da inizio anno sono la Lombardia, con 20,5 milioni di ore (+19,70%), l’Emilia Romagna con 12,5 milioni di ore (+15,19%) e il Lazio con 11,7 milioni di ore (+154,18%).
Più in particolare, per quanto riguarda il solo mese di aprile, è ancora una volta la meccanica il settore in cui si conta il ricorso più alto alla cassa integrazione: sul totale delle ore del mese scorso, la meccanica pesa per 102.129.472 ore, coinvolgendo 148.444 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore), seguono il commercio, con 47.606.172 ore per 69.195 lavoratori coinvolti, e l’edilizia con 32.187.506 ore e 46.784 addetti.
«Considerando un ricorso medio alla cig, pari cioè al 50% del tempo lavorabile globale (9 settimane) – afferma la Cgil – sono coinvolti da inizio anno 938.525 lavoratori tra cassa ordinaria, straordinaria e in deroga. Se invece si considerano i lavoratori equivalenti a zero ore, pari a 17 settimane lavorative, si ha un’assenza completa dall’attività produttiva per 469.262 lavoratori, di cui 160mila in cigs e altri 160mila in cigd». Per migliaia di cassintegrati continua così a calare il reddito: dai calcoli dell’Osservatorio Cgil, si rileva come i lavoratori parzialmente tutelati dalla cig abbiano perso nel loro reddito 1,2 miliardi di euro, pari a 2.600 euro per ogni singolo lavoratore.

Il Corriere della Sera 13.05.12