Latest Posts

"Migliorata la riforma sul lavoro, ma si può fare di più", di Renata Gottardi

La riforma Fornero sul mercato del lavoro sembra fare passi in avanti. Con un approccio che somiglia molto al positivo metodo di lavoro del Parlamento europeo, sono stati presentati in Senato pacchetti di emendamenti concordati tra i due relatori (Castro del Pdl e Treu del Pd), con conseguente ritiro di molti di quelli che erano stati finora presentati, al fine di ottenere «il massimo possibile di convergenza da parte delle forze parlamentari». Si accentua così il carattere compromissorio (in senso positivo)
della riforma, con modifiche che sembrano rispondere al bilanciamento tra esigenze dei datori di lavoro, da un lato, e tutela dei lavoratori, dall’altro, con un bilanciamento realizzato nel complesso e non materia per materia o istituto per istituto.
Proviamo a verificare questo assunto su due punti significativi, nella parte dedicata alle tipologie contrattuali, altrimenti conosciuta come intervento di riduzione della flessibilità in entrata. Nel contratto a tempo determinato, va sicuramente a favore dei datori di lavoro allungare da sei mesi a un anno la durata possibile del contratto stipulato senza indicazione dei motivi (la cosiddetta «a-causalità»). Il risultato finale, su
questa parte, mi pare evidente: la liberalizzazione del primo contratto a termine fino a un anno aumenta la convenienza da parte del datore di lavoro a continuare a far entrare e uscire i lavoratori a termine, senza vincoli di sorta. È prevista una alternativa: i contratti collettivi – anche di livello aziendale, ma stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale – possono inserire una franchigia generale, per la a-causalità dei contratti a termine, pari al 6% dei lavoratori occupati nell’unità produttiva. Mi pare un sostegno all’autonomia collettiva più apparente che reale, dato che sposta sul sindacato la responsabilità della scelta, vincolandola nei modi e nei tempi. Ogni volta che si affidano competenze negoziali al sindacato in sulla precarietà si corre il rischio di una corresponsabilizzazione, che potrebbe essere letta dai lavoratori non tanto come contenimento del danno, ma come acquiescenza.
Del resto, è vero che togliere l’obbligo di motivazione significa
rimuovere una sorta di «foglia di fico», dati i margini amplissimi
esistenti sull’identificazione delle esigenze aziendali, ma ricordiamoci che solo a fronte di motivazioni si può andare dal giudice per chiedere che ne sia valutata l’infondatezza. Nel
contratto di lavoro a progetto, va a protezione dei lavoratori
l’inserimento della giusta retribuzione. La modifica proposta
chiede che il compenso dei collaboratori a progetto sia adeguato
alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non possa essere inferiore, in proporzione alla durata del contratto, a un importo annuo stabilito periodicamente con decreto del ministro del lavoro, sentite le parti sociali. I parametri di riferimento sono: da un lato, gli emolumenti per prestazioni analoghe nel lavoro
autonomo e, dall’altro, le retribuzioni dei contratti collettivi per i lavoratori subordinati.
Il principio è sacrosanto. La formulazione lascia a desiderare e
potrebbe essere forse ulteriormente integrata. Sarebbe, in particolare, opportuno evitare di troncare il riferimento alla proporzionalità con la quantità e qualità del lavoro, dato che
nella Costituzione si aggiunge il secondo e inscindibile vincolo della sufficienza, per garantire al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa. Perché non richiamare anche, se non indirettamente, la sufficienza? E perché utilizzare la via del decreto, che per di più prende i suoi riferimenti un po’ dal lavoro autonomo e un po’ dal lavoro subordinato? Una decina d’anni fa, quando l’allora Pds ha presentato la sua proposta di Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, era previsto il diritto all’equo compenso e cioè a un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa secondo quanto stabilito negli accordi collettivi applicabili o comunque in uso per prestazioni analoghe e comparabili.
Non è detto che questa sia la formulazione ideale, ma sicuramente
sarebbe più rispettosa dell’autonomia collettiva.

l’Unità 12.05.12

"La ricerca dell'equità", di Massimo Riva

In attesa di affrontare la vera partita della crescita sull´unico campo che conta, l´Europa, Mario Monti ha deciso di non stare comunque fermo sulla panchina domestica. I provvedimenti decisi ieri dal Consiglio dei ministri non daranno una scossa decisiva alla languente economia interna, ma sono un preciso segnale del possibile che è opportuno e necessario fare da subito in casa nostra. Tecnicamente sono una chiara anticipazione di quella ristrutturazione della spesa che va sotto il nome esotico di «spending review» e che non può esaurirsi soltanto nell´uso della forbice. I 2,3 miliardi messi a disposizione per interventi a favore del Mezzogiorno non sono, infatti, risorse aggiuntive rispetto alle uscite già previste in bilancio. Sono frutto, però, di una diversa articolazione dei finanziamenti mirata a renderli più efficaci. Troppo spesso in passato somme importanti tratte dagli aiuti europei sono finite nel nulla per ignavia o incapacità progettuale delle istituzioni nazionali.
Con questa mossa il governo Monti corregge un´inveterata stortura nella gestione della cosa pubblica e, al tempo stesso, lo fa venendo incontro alle situazioni di disagio sociale più profondo nella parte più debole del paese, il Mezzogiorno cui originariamente questi fondi erano stati comunque destinati. Sul piano politico ne esce così un chiaro messaggio ispirato a quei due obiettivi del programma di governo – l´equità e la crescita – che finora avevano ceduto il passo alle esigenze immediate del rigore finanziario. Oltre metà della manovra risulta, infatti, concentrata su misure destinate a rendere meno pesante la condizione di vita dei soggetti più esposti: anziani, disabili, giovani scolari o studenti. Il resto è mirato a promuovere un recupero di competitività delle imprese meridionali, spesso le più arretrate sul terreno dell´innovazione tecnologica. Dopo l´allarme sulla grave sofferenza sociale, lanciato niente meno che dal ministro di uno sviluppo finora mai visto, si tratta di un passo obbligato che è arrivato quanto meno puntuale.
Ora, però, è evidente che ci si deve attendere molto di più.
Imboccata la strada giusta, il governo deve procedere con determinazione per non dare l´impressione, che sarebbe pessima, di aver distribuito brioches a un paese in diffusa e disperante carenza di pane e lavoro. La prima occasione a portata di mano – lo si accennava all´inizio – è quella della revisione della spesa pubblica. Con la quale ci si può muovere congiuntamente in due direzioni.
La prima, certo più importante ma non di rapidissima esecuzione, è quella dei tagli di capitoli dove si annidano sprechi, privilegi inconcepibili, vera e propria corruzione: come dimostrano in termini scandalosi i raffronti sui costi dei medesimi servizi sanitari da una regione all´altra. È opera di lunga lena dalla quale, tuttavia, possono venire risorse utili a finanziare nuovi investimenti e non solo a scongiurare nuovi aggravi d´imposta come il temibile aumento dell´Iva in autunno. La seconda direzione è quella inaugurata con le misure di ieri e che consiste nella volontà di affermare una gestione più efficiente delle risorse disponibili per incanalarle in modi più certi e trasparenti verso le situazioni sociali di maggiore bisogno. Un´opera che in un paese normale sarebbe banalmente qualificata di buona e ordinaria amministrazione.
Quanto al nodo cruciale di una ripresa economica che spinga davvero il paese fuori dalla spirale recessiva nella quale è caduto ben prima dei recenti provvedimenti di austerità fiscale, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l´ipotesi della crescita in un paese solo è fuori dalla storia e dal mondo.
Cominciano a non crederci più, anche se faticano ad ammetterlo, neppure quelli che stanno meglio in Europa come i tedeschi, le cui esportazioni stanno subendo i primi contraccolpi di una strategia del rigore che sta falciando domanda e consumi in quasi tutta l´Europa. È questa sicuramente la partita più difficile per Mario Monti anche se la cedibilità internazionale che egli ha saputo recuperare all´Italia lo manda oggi in campo con maggiori speranze di successo. In più il nostro premier potrà ora fare un migliore gioco di squadra con il nuovo presidente che si sta installando all´Eliseo all´insegna di una svolta europea in direzione, appunto, della crescita.
Il tempo, tuttavia, sarà il fattore decisivo di questa sfida. Una cieca politica del rigore, come quella che la grande Germania ha voluto imporre alla piccola Grecia, ha finito per aggravare la situazione fino a un punto che oggi appare drammaticamente di non ritorno. Continuare su questa strada in tutto il resto d´Europa sarebbe un crimine politico e non più soltanto un grossolano errore economico. La campana di Atene sta suonando per tutti. Non c´è più tempo da perdere in schermaglie diplomatiche.

La Repubblica 12.05.12

Bersani: "Il profilo morale di un dirigente politico è un bene pubblico"

“Il profilo morale di un dirigente politico è un bene pubblico. La moralità richiede una manutenzione, devi guardarti allo specchio tutti i giorni e dire, io sono a posto”. Lo ha dichiarato il segretario del PD Pier Luigi Bersani parlando ai partecipanti di Officina Politica, scuola di formazione politica del PD, giunta all’ultimo appuntamento dell’anno. “Noi- ha aggiunto – abbiamo una ragione in più per avere più moralità. Il partito deve essere palestra di comportamenti morali”.

“Ribadiamo testardamente che la politica è esercizio collettivo. Chi non percepisce questo ha in testa qualcosa di diverso dalla politica”.

“E’ assurdo pensare di fare politica se, nel farla, perdi il senso del collettivo. Sentirsi collettivo non significa avere meno carisma degli altri, sentirsi limitati nella personalità: queste sono cazzate”.

*****

“Le vie di selezione dei dirigenti devono essere anche esterne, perché se fossero solo interne ci sarebbero dei rischi. Dopo di che non è che le primarie risolvono tutto. Ci sono anche altri mezzi per aprire il PD”.

*****

Centrodestra in crisi. “Penso che ci sia un vuoto nell’area del centrodestra che è in cerca di autore, di chi voglia interpretarlo. Forse sbaglio ma l’ipotesi prevalente sarà riorganizzare un campo di posizioni regressive e con qualche populismo di troppo. La destra non si riorganizzerà senza questo. Come pensano di andare avanti con delle ‘pensate’, come la famosa cosa dei moderati? Pensano che la situazione possa essere risolta con la gente che si sceglie da sola?”

“Verrà fuori una protesta europea che dirà no alle tasse e no alle misure di austerità. Alcuni esempi ci arrivano con il consenso andato a Marin Le Pen, pari al 18%, all’estrema destra xenofoba dell’Olanda del 19% e ai leghisti finlandesi che si sono attestati al 20%. Questa è la facciata che ci ha dato la globalizzazione. Questo senso di protesta e di risposta populista è una posizione che si annida, in particolar modo, tra la gente che non paga mai dazio: è la risposta dell’egoismo sociale”.

*****

Un Paese disarticolato. “Avremo davanti dei mesi complicati, forse più di quelli che abbiamo vissuto fin qui. Questo Paese si è largamente disarticolato. La crisi ha portato dissociazione sociale, economica e territoriale. Il lavoro e la democrazia saranno i nostri temi e ci toccherà la ricostruzione morale, civile e democratica dell’Italia”.

*****

Il Patto con la Società. Per sentrirsi meno soli il PD deve fare “un patto con la gente di buona volontà democratica, la gente per bene che crede nelle riforme del Paese e vuole combattere le disuguaglianze dei redditi”. Questo patto dovrà essere basato su una serie di “discriminanti, come le regole, il Lavoro, la Costituzione, l’Europa”.

“Presto rivolgerò un appello molto largo perché serve un appuntamento con gli intellettuali italiani.
Organizzare un centrosinistra di Governo a quel punto non è una cosa difficile, le alleanze sono un di cui, non la chiave. Un centrosinistra di governo si costruisce in un patto con la società”.

“Da qui in avanti dobbiamo prepararci alla battaglia per le elezioni del 2013. Abbiamo tanto da fare e vorrei che voi foste un’ossatura di questa organizzazione. Ci vuole un pattuglione che batta pari”.

www.partitodemocratico.it

"Un miliardo di euro contro la povertà piano del governo su anziani e bambini", di Roberto Mania

Oggi pomeriggio il progetto sarà presentato da Monti con i ministri Barca, Riccardi e Fornero. Risorse dai fondi Ue per il Sud, coinvolti Comuni e Regioni. Un piano da un miliardo contro la povertà. Un piano per cominciare ad affrontare quella che sta diventando una vera emergenza sociale, tra anziani e bambini, soprattutto a Sud. Il progetto sarà presentato oggi pomeriggio dal presidente del Consiglio, Mario Monti, insieme ai ministri Fabrizio Barca (Coesione territoriale), Andrea Riccardi (Immigrazione e famiglia) e Elsa Fornero (Lavoro).

IL RIASSETTO DEI FONDI
Il miliardo arriverà dalla riprogrammazione dei fondi comunitari destinati al Mezzogiorno. Ci hanno lavorato nelle ultime settimane i due ministri Barca e Riccardi: il primo tra i maggiori esperti nell’utilizzo delle risorse di Bruxelles, il secondo nelle politiche contro il disagio sociale. L’obiettivo è di intervenire, in uno stretto collegamento tra il governo centrale e le istituzioni locali, per far restare all’interno della vita comunitaria le fasce di popolazione più fragili, evitare la loro marginalizzazione. Non la social card di Tremonti che è risultata in larga parte inefficace e che comunque puntava ai consumi di prima necessità, ma nemmeno una nuova forma di sussidio che è incompatibile con le regole di finanza pubblica europea.

OBIETTIVO ANZIANI
È un approccio diverso quello del governo Monti. Lo schema di intervento – per quanto è filtrato dagli uffici dei tecnici – è quello adottato recentemente dal ministero di Riccardi per bambini e anziani con l’accordo con le Regioni. Con circa un’ottantina di milioni sono stati rifinanziati alcuni servizi per i due soggetti più deboli e più a rischio povertà, secondo le indagini dell’Istat. Quel modello verrà riproposto su larga scala con il Piano nazionale contro la povertà. Per i bambini dovrebbero essere previsti nuovi posti negli asili nidi; per i più anziani l’obiettivo è quello di tenerli il più possibile all’interno della famiglia e, in ogni caso, dentro la vita sociale.

Non solo, dunque, il sostegno per permettere ad una persona anziana di continuare a vivere nel proprio domicilio, ma anche misure (decise a livello locale) per favorire il mantenimento di legami con il resto della società. Perché il rischio di restare fuori dalla società cresce con l’incremento del proprio disagio economico. E si spiega così il ruolo decisivo che dovranno avere le istituzioni locali (Regioni, Comuni) nell’implementazione del piano perché sono loro ad essere a contatto diretto con il disagio.

L’ALLARME DI PASSERA
Negli ultimi giorni sono stati proprio i ministri del governo Monti a lanciare l’allarme sociale. Prima il titolare del Welfare Fornero che non ha nascosto i ritardi dell’esecutivo nel valutare gli effetti recessivi (e depressivi, probabilmente) dei primi provvedimenti adottati in piena emergenza finanziaria per evitare il baratro del default; poi – ieri – il ministro Passera che ha indicato in circa sette milioni le persone che vivono in una condizione di difficoltà nel lavoro, perché disoccupati, perché inoccupati e scoraggiati, perché impegnati in forme di lavoro irregolare (il sommerso aumenta con la crisi). Tutto questo – per ammissione dello stesso Passera – può mettere a rischio la tenuta sociale del Paese tanto più che le prospettive di crescita dell’economia restano negative. E senza una crescita del Pil superiore al 2 % è difficile che possano essere creati nuovi posti di lavoro. Anche da qui il Piano contro la povertà.

OTTO MILIONI DI POVERI
Sono più di otto milioni – secondo l’Istat – gli italiani che vivono in condizioni di povertà relativa (circa il 14 % della popolazione). La povertà assoluta riguarda invece 3,1 milioni di persone (il 4,6 % delle famiglie). Nel Mezzogiorno le famiglie in povertà relativa sono il 23 % (contro il 4,9 del Nord e il 6,3 del Centro), e quelle in povertà assoluta ne rappresentano il 6,7% (contro il 3,6 e il 3,8 di Nord e Centro). In Basilicata è povero quasi un terzo delle famiglie.

La Repubblica 11.05.12

"Dal predellino al nulla", di Rinaldo Gianola

Silvio Berlusconi un po’ ci manca. Manca soprattutto alla destra che non sa dove andare e anche ai centristi che dopo aver giocato senza pudore con le tre carte, ma avendo sempre come riserva la stella del cavaliere, oggi non sanno come ripiegare e litigano sul mai nato Terzo Polo. Un’entità politica destinata inevitabilmente a sciogliersi senza lasciar traccia. Che cosa sta succedendo all’ex premier, all’inventore del “predellino”, all’abile creatore di partiti come slogan pubblicitari? Parla poco, decide ancora meno. Non commenta il voto, va in visita dall’amico Putin per evitare di mettere la faccia su una sconfitta pesantissima che sarà attribuita ad Alfano, visti i precedenti. I suoi hooligans lo invitano a far cadere il governo Monti, la Santanchè gli suggerisce di vincere le elezioni e poi puntare al Quirinale, altri più pratici chiedono almeno un rinnovamento di linea e di leadership del partito. Ma c’è ancora il Pdl?

Berlusconi non è certo sereno nemmeno per l’andamento delle sue aziende, la crisi morde tutti e Mediaset, che pur è un solido colosso, chiude il trimestre peggiore della sua storia. E i prossimi mesi saranno tremendi sia per la politica, sia per l’economia. Il peggio che possa capitare a Berlusconi è che Carlo De Benedetti acquisti la7 messa in vendita da Telecom Italia impiegando il risarcimento pagato da Fininvest per il Lodo Mondadori. Probabilmente non succederà, ma la sola idea di vedere l’Ingegnere a far concorrenza sul mercato della tv fa venire l’orticaria al Cavaliere.

Berlusconi pare disinteressato, è laterale al dibattito, alla polemica politica. Forse sta studiando come ridisegnare il centro-destra, come recuperare un consenso sufficiente almeno a non affogare. O magari sta davvero pensando al passo indietro? Forse ha ragione Giuliano Ferrara che, commentando in tv i risultati del voto, ha ammesso che «Berlusconi non sa cosa fare». Se le cose stanno davvero così per la destra è un problema grave e il sostegno esplicito che il Giornale e Libero offrono ai grillini per i ballottaggi contro la sinistra è il tentativo di innamorati delusi di cercare consolazioni rapide e illusorie. Visto che non possono vincere i candidati del pdl allora si possono dirottare i voti della destra su Grillo, così si potrà dire in caso di clamorosa vittoria di aver guidato la svolta. Consolazione troppo modesta per l’ambizione di Berlusconi.

l’Unità 11.05.12

"La spallata dei giovani nel voto dell’Europa", di Tito Boeri

Il boom c´è stato, eccome. Il super-Sunday elettorale europeo è stato un utile termometro del disagio soprattutto giovanile, presente in tutti i paesi del contagio e ben oltre nella zona Euro. Pericoloso ignorare il messaggio o anche solo sminuirne l´importanza. Gli elettori greci, italiani e tedeschi, dopo quelli francesi del primo turno delle presidenziali di due settimane fa, hanno premiato i partiti che si sono opposti con maggiore vigore alla “barbarie dell´austerity”. E se il consolidamento fiscale è inevitabile, lo è altrettanto, se non di più, l´esercizio della democrazia. Il dilemma è come conciliare il rientro del debito con l´esame delle urne, cui per fortuna chi ci governa deve prestarsi. Come sempre, qualche risposta può venire cercando di interpretare questo voto. Tre sue caratteristiche ci paiono particolarmente importanti.
La prima è che la sconfitta dei partiti di governo questa volta è stata decretata dai giovani. Sono stati protagonisti nel voto come nel non voto. I dati Ipsos ci dicono che al primo turno delle presidenziali francesi, Sarkozy ha ottenuto solo il 18 per cento dei voti tra coloro che avevano meno di 24 anni contro il 32 per cento di Hollande; il presidente uscente ha, invece, raccolto più voti dello sfidante tra gli ultrasessantenni (37 per centro contro il 25 per cento raccolto da Hollande). In molti casi l´opposizione si è espressa nel non-voto. Rispetto al primo turno delle presidenziali del 2007, l´astensione è aumentata di quasi 20 punti percentuali fra chi aveva tra i 25 e i 45 anni. Negli altri paesi non sono ancora disponibili dati sulla composizione del voto ai partiti per età, ma ovunque si registrano forti variazioni nel tasso di partecipazione soprattutto tra i più giovani.
La seconda caratteristica è la radicalizzazione del voto, con una penalizzazione dei partiti di centro e il rafforzamento delle frange estreme, spesso portatrici di messaggi fortemente anti-europei. Anche in questo radicalismo c´è una forte componente generazionale. Secondo le indagini Demos, il Movimento a 5 Stelle è maggioritario tra chi ha tra 35 e 44 anni, attrae consensi fra un quinto degli elettori potenziali al di sotto dei 35 anni, mentre scende al sesto posto e al di sotto delle due cifre di share fra chi ha più di 65 anni. Tra i Pirati in Germania e i seguaci del Fronte Nazionale in Francia abbondano i giovani e i giovanissimi. Anche in Irlanda la nuova fiammata del Sinn Fein è alimentata dagli studenti, a partire da quelli del Trinity College di Dublino. In Grecia ci sono i giovani dietro al successo dell´estrema sinistra (Syrizi) e dei neo-nazisti (Alba Dorata). Sono posizioni estreme e di rottura. Preoccupanti, ma non possono più di un tanto stupire: sono i giovani le vittime predestinate della doppia crisi economica. Ce lo dicono le cifre sulla disoccupazione giovanile ovunque da due a quattro volte più alta di quella degli altri, quelle sulla povertà, che colpisce soprattutto le famiglie con minori, e forse ancora di più quelle sul debito pubblico che continua a crescere e che saranno inevitabilmente loro, quelli che non hanno ancora iniziato a lavorare, a dover pagare.
Questo voto non può essere liquidato come disinformato e di protesta. È un voto attivo, quasi militante. Ecco la sua terza caratteristica. I grillini, ad esempio, sono mediamente più istruiti di molti altri elettori, come notava Ilvo Diamanti mercoledì su queste colonne. Prevalgono nelle grandi città, dove ci sono più occasioni di confronto e accesso a informazioni. E i giovani sostenitori di questi movimenti radicali anche in altri paesi hanno una loro forma di partecipazione alla vita politica spesso molto più intensa e più attiva di chi vota i partiti tradizionali. Sono attivisti su Internet. La rete garantisce uno scambio in tempo reale ed è molto più democratica, forse fin troppo democratica, nel dare voce a tutti. La rapidità con cui si reagisce agli eventi spesso prende il sopravvento sulla profondità. Ma c´è molta più partecipazione che tra chi ha formato le sue opinioni politiche su Internet, piuttosto che tra chi ha scelto di votare leggendo i giornali o guardando la Tv.
Queste tre caratteristiche del voto sono fondamentali per cercare di offrire risposte al dilemma del consolidamento in democrazia.
Alcune risposte devono arrivare dalla politica economica, dal profilo generazionale dell’aggiustamento fiscale e dal ruolo che in questo gioca l´Europa, oggi più che mai percepita come lontana anni luce dai giovani. Un segno tangibile dell´attenzione dell´Europa nei loro confronti verrebbe dall´imporre ai governi di adottare la contabilità intergenerazionale, in grado di ricostruire come viene ripartita per età la spesa pubblica e il prelievo fiscale, e usarla nel valutare i programmi di rientro dal debito. Servirà a orientare le politiche di bilancio verso il futuro molto più della golden rule, che vuole togliere la spesa in conto capitale dal computo del disavanzo nell´ambito del fiscal compact. La golden rule è una regola troppo facilmente aggirabile (ricordiamoci quanto accaduto quando è stata applicata al Patto di Stabilità Interno) e che premia la costruzione di un monumento rispetto alla spesa per l´istruzione. Bene anche che l´Europa acceleri nella rimozione degli ostacoli alla mobilità del lavoro, permettendo ai giovani di vedersi riconosciute le loro qualifiche in diversi paesi. Sarà per loro, che possono muoversi molto di più degli altri, la migliore assicurazione contro la disoccupazione.
Ma il grosso delle risposte è legato a una questione di democrazia e di rinnovo della classe dirigente, perché è forse questa la domanda più forte che viene dal voto. Anche qui bene che l´Europa, oggi retroguardia nella democrazia, si presenti come apripista. Si potrebbe, ad esempio, abbassare fin dalle prossime elezioni europee l´età per l´elettorato attivo e passivo portandola al livello del paese con la soglia più bassa, l´Austria, dove si vota a 16 anni e si può essere eletti a 18.
Ma il grosso delle risposte non può che venire dai singoli paesi. Tagliare drasticamente il finanziamento pubblico ai partiti serve a togliere potere ai segretari di partito che oggi bloccano il rinnovo dei gruppi dirigenti. Inoltre permette anche ai partiti più giovani, che hanno l´organizzazione meno costosa, su Internet, di competere meglio nella contesa elettorale. Il cambiamento delle leggi elettorali può anche essere d´aiuto. I giovani oggi spingono con il loro voto verso la frammentazione del quadro politico. E le proiezioni del voto in Italia ci parlano di partiti che non superano individualmente la soglia del 20 per cento a livello nazionale. Questa frammentazione va contro i giovani perché toglie stabilità, dunque lungimiranza, all´azione di governo. Toglie anche accountability, fondamentale per l´esercizio della democrazia. Non è una vittoria vera quella di Alexis Tsipras che ha ricevuto il mandato per formare il nuovo governo in Grecia, ma ha già dovuto rinunciare e si dovrà preparare a nuove elezioni. Mentre è una vittoria vera quella di Hollande in Francia che, dopo che il voto al primo turno non era stato meno frammentato che altrove, è oggi la nuova guida di un paese in cui tutti si devono riconoscere. Il contrasto fra quanto accaduto in Francia o anche nel nostro voto nei Comuni più grandi e l´esito del voto in Grecia ci dice che un sistema maggioritario a doppio turno è la risposta migliore che si possa dare a questo disagio. Vero che il doppio turno rischia di tagliare via le frange estreme, ma proprio per questo le obbliga ad ambire ad essere maggioritarie e le spinge a cimentarsi con potenziali responsabilità di governo. I giovani in Francia sono andati a votare anche al secondo turno delle presidenziali, scegliendo fra due candidati che dovevano per forza di cose parlare già ai mercati e al resto del mondo. Questa iniezione di realtà è un potente diluente della demagogia, anche di quella più esasperata.
Oggi in Italia anche il Pdl avrebbe tutto da guadagnarci dal passaggio al maggioritario a doppio turno. È questa forse la novità più importante del voto per noi, quella su cui l´AB, forse più che l´ABC, deve lavorare, mentre il Governo Monti nella spending review interna e in quella da farsi nell´ambito dei piani di rientro del debito a livello europeo può spingere per politiche di bilancio che guardino ai giovani. Gli elettori tedeschi, dopotutto, vogliono punire chi ha vissuto per molto tempo al di sopra delle proprie possibilità, aumentando la spesa pubblica a un ritmo doppio che in Germania. Sanno bene che i giovani greci, irlandesi, italiani, portoghesi e spagnoli non hanno alcuna colpa nella crisi del debito.

La Repubblica 11.05.12

"Lega addio. Il Pd in testa in Lombardia", di Andrea Carugati

L’asse Gemonio-Arcore investito al Nord da un vero tsunami. E il centrosinistra si trova a un passo dalla conquista di città che ieri sembravano impossibili. A Como, Lega e Pdl nel 2010 sfioravano il 60%, alle comunali di qualche giorno fa hanno preso il 20%. È qui, in quello che veniva chiamato «il Mugello del centrodestra», feudo incontrastato per tutta la seconda Repubblica, che inizia il nostro viaggio nella Lombardia posttsunami del 6 e 7 maggio. Una regione dove l’asse Arcore-Gemonio è semplicemente collassato, regalando al Pd e ai suoi alleati una chance formidabile: ritrovarsi primo partito, a un passo dalla conquista di città che sembravano aliene. Difficile parlare di una clamorosa avanzata dei democratici: quasi sempre i voti sono gli stessi del 2010, con qualche punta di eccellenza e qualche oscillazione al ribasso: ma quello zoccolo duro del 35-40% improvvisamente è diventato oro. «Mentre tutto un sistema salta per aria noi teniamo e ci consolidiamo, e riusciamo a mettere in piedi coalizioni che si aprono alla società civile», sorride Maurizio Martina, giovane segretario del Pd lombardo. «Non era affatto scontato, per me è un risultato che vale doppio».
A Como il geologo Mario Lucini è largamente in testa nella sfida del ballottaggio del 20 e 21 maggio: 35,5% contro il misero 13,2% della candidata Pdl Laura Bordoli. Qui, come in altre realtà importanti della Regione, da Crema (vinta al primo turno, a sorpresa, da Stefania Bonaldi) a Garbagnate Milanese, gli ingredienti messi sul tavolo dal centrosinistra sono quasi sempre gli stessi: costruzione di coalizioni con Idv e Sel aperte alle liste civiche, le primarie, la vittoria di persone che si erano fatte le ossa nei duri anni di battaglia all’opposizione. Un lavoro silenzioso, che però ha dato i suoi frutti, come confermano i dati del varesotto, dove il centrosinistra è in testa in due Comuni guidati per quasi vent’anni dalle camicie verdi, Tradate e Cassano Magnago, paese natale del Senatur, dove la Lega è clamorosamente fuori dal ballottaggio. Per non parlare di Monza, dove il sindaco leghista uscente Marco Mariani è rimasto fermo al primo turno con l’11% e ora in testa c’è il candidato Pd Roberto Scanagatti, forte del 38%, contro il pidiellino Andrea Mandelli al 20%.
C’è un unico filo che lega tutte queste realtà: un Pdl ai minimi termini, una Lega divisa e in caduta (a Tradate -15%), amministrazioni uscenti litigiose, con risse e faide tra i due ex alleati e anche al loro interno, la nascita di liste civiche di dissidenti, spesso ex leghisti, che in un caso, come ad Abbiategrasso, ora si schierano col candidato Pd Pierluigi Arrara. Mentre a Cassano Magnano, la candidata maroniana Stefania Federici ha fatto pubblica dichiarazione di stima per il Pd Mauro Zaffaroni, un medico che viene dal Pci.
Questo non vuol dire che sia in corso un flirt tra Pd e Lega. Ma che sarà assai difficile una ricomposizione nelle urne del vecchio centrodestra. «Libertà di voto», ha tuonato Bobo Maroni, fulminando il governatore Formigoni che auspicava un soccorso verde nei ballottaggi. E così il Pdl ora punta sui grillini: ha offerto sostegno all’unico candidato 5 stelle in corsa, Matteo Afker, che sfida il Pd Mario Pioli a Garbagnate. Ma quelli non ne vogliono sapere di apparentamenti, anche se il coordinatore si è spinto sino a offrire assessorati ai grillini in cambio del loro appoggio negli altri Comuni dove si torna alle urne. «Non sanno più cosa inventarsi», sorride Pioli, che ha già governato Garbagnate per 16 anni e ora parte dal 43,7% contro il 10% del grillino. A parte il corteggiamento dei grillini, al Pdl decimato restano poche carte. «Che devo dire, qui a Monza c’è un ottimo clima», sorride il candidato Pd Scanagatti, 57 anni, anche lui ex Ds, dirigente d’azienda. «Pdl e Lega possono anche cercare di ritrovarsi, ma da due sconfitte non nasce una vittoria». Lui, che ha costruito il suo successo dialogando con i tanti comitati di cittadini che sono nati in città contro le scelte urbanistiche del vecchio sindaco, va avanti per la sua strada. «Stiamo con i piedi per terra, ma c’è un elemento di soddisfazione: la Lega ha fallito e noi ci siamo fatti trovare pronti, in contatto con i cittadini e i loro bisogni insoddisfatti». Il comasco Lucini gli fa sponda: «Lo sa che ai banchetti tanta gente di centrodestra ha detto che mi votava perché di quelli non ne poteva più? Un signore mi ha preso per un braccio: “Io ho sempre votato Lega, ma lo so che voi i bambini non li mangiate…”».
I voti leghisti, dunque. Molti sono rimasti a casa, buona parte nelle file dei grillini. «Ma qui da noi c’è anche tanta gente di sinistra che votava Lega che è tornata a casa», spiega Zaffaroni da Cassano Magnago. «Noi siamo tornati tra i cittadini in modo capillare e abbiamo anche saputo presentare volti nuovi», sorride Stefania Bonaldi, classe 1970, eletta sindaco al primo turno a Crema. Anche lei, come Scanagatti e Lucini, ha guidato per anni il Pd sui banchi dell’opposizione.
Gente che ha contribuito a cambiare la geografia politica lombarda. Con il centrosinistra che vince al primo turno a Cesano Maderno e Pieve Emanuele (la cittadina sede nel 1991 del congresso fondativo della Lega Nord), è in testa in luoghi difficili come Desenzano del Garda e Melegnano, prova a giocarsela anche a Legnano, Erba e Magenta. A Tradate la favorita è Laura Cavallotti, una ex dirigente del Comune che a un certo punto, «stufa delle troppe cementificazioni», ha deciso di correre con una civica e si è alleata col Pd: 30% contro il 29,4% del leghista Gianluca Crosta. Un distacco esilissimo, una sfida che appare in salita. Ma lei non si dà per vinta. Del resto alle regionali di due anni fa Pdl e Lega facevano il 60%. «Niente fanfare», avverte il deputato Pd Daniele Marantelli. «Per noi c’è ancora molto lavoro da fare…».

l’Unità 11.05.12