Latest Posts

"Quanti sono i distacchi e i comandi? Tanto rumore per poco, forse", di Pasquale Almirante

Anche una interpellanza parlamentare è partita per sapere “quali accorgimenti il ministro dell’istruzione abbia posto o intenda porre in essere per contenere il fenomeno dei distacchi del personale”. Ma forse si esagera un po’. Sarebbero circa 10mila i docenti in giro, cioè fuori dalle loro classi, in ottemperanza alle disposizioni che consentono loro distacchi e comandi assegnati a vario titolo e all’interno dei quali si trovano pure 4.500 professori esonerati per motivi di salute. Un gruppo inoltre di quasi 1.000 professori sarebbe in esubero per causa dei tagli alle cattedre e che andrebbe ricollocato. Cifre dunque di poca consistenza ma che sono sufficienti per mettere in campo lamentazioni di sprechi, assai lontani tuttavia dai veri buchi neri dove la spesa pubblica si perde nella sua vasta immensità.
Alcuni altri, di questi 10mila, lavorano distaccati all’estero o preso altri ministeri o presso altri enti o associazioni, mentre un migliaio sarebbero i sindacalisti distaccati, secondo legge, per svolgere la loro attività a favore dei colleghi della scuola, almeno così dovrebbe essere.
Eppure su questi numeri (dove sarebbero compresi distacchi presso il Wwf, la Comunità di San Patrignano, la Compagnia delle opere educative e la Comunità di Sant’Egidio, la Dirscuola, il Comune di Castellamare di Stabia, il Coni e anche il ministero della difesa) si sta montando quasi una sorta di questione morale a causa della quale la scuola perderebbe risorse e si auto affamerebbe, sprecando soprattutto soldi a favore dei sostituti di tutto questo presunto esercito, cioè dei supplenti che occupano i posti così lasciati liberi.
Tuttavia una domanda sorge spontanea? A parte i distacchi sindacali, tutti gli altri hanno motivo di esistenza? Se vengono adottati una spiegazione ci dovrebbe pur essere: è richiesta la precisa professionalità dei docenti per tali compiti? La loro particolare preparazione?
Il problema è che, a nostro parere, aleggia sempre il sospetto della furberia per favorire qualcuno, perché altrimenti non ci sarebbe motivo di rivedere i loro distacchi su ambiti che abbisognano probabilmente proprio delle competenze di questi professori.
Allora crediamo che si voglia soprattutto intervenire sui distacchi sindacali che sono rilevanti e talvolta, a sentire pure molte lamentazioni, perfino inutili.
Sembra infatti che essi costino intorno ai 60 milioni di euro l’anno, tra gli stipendi dei sindacalisti distaccati e quelli da dare ai rispettivi supplenti. Anche questo è un costo della democrazia, come il finanziamento pubblico ai partiti? Sembra proprio di si, anche perché, con l’accentuazione dei poteri dati ai dirigenti, è bene e prudente lasciare che il sindacato abbia più libertà di manovra, che sia meno vincolato dal servizio attivo a scuola e che svolga il suo mestiere di consulenza e di supporto ai diritti dei lavoratori.

La Tecnica della Scuola 09.05.12

"Un terzo degli astenuti votava centrodestra", di Renato Mannheimer

Uno dei fenomeni caratterizzanti i risultati delle amministrative di domenica e lunedì è stata, insieme all’exploit del Movimento 5 stelle di Grillo e al tracollo del Pdl, la crescita delle astensioni. Si tratta di un evento previsto, già indicato dai numerosi sondaggi apparsi nelle ultime settimane. Anzi, rispetto ai dati di questi ultimi, l’entità della diserzione dalle urne è stata inferiore a quanto alcuni osservatori avevano previsto. In confronto alle amministrative precedenti, l’astensione si è accresciuta di circa 8 punti, mentre da più parti si temeva un deficit di partecipazione superiore al 10%. Ciò è dovuto al fatto che in alcuni contesti, specie al Sud, l’allontanamento dal voto è stato temperato dalla presenza di liste e candidati locali, più o meno «civici», conosciuti direttamente dall’elettore e vissuti spesso come «alternativi» agli schieramenti tradizionali.
Resta il fatto che l’incremento delle astensioni è una circostanza assai significativa, sulla quale conviene riflettere, anche in vista delle politiche previste per il prossimo anno. Essa dipende, come si sa, soprattutto dalla delusione dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali, dalla sensazione, spesso giustificata dalla realtà dei fatti, che questi ultimi non abbiamo saputo o voluto rispondere alle esigenze concrete degli italiani, finendo col portare il Paese nella situazione critica che tutti conosciamo. A ciò si è aggiunto, nell’ultimo periodo, il succedersi degli scandali finanziari che hanno coinvolto diverse forze politiche, cui si accompagna il persistere di privilegi (non ultima la rilevante entità del finanziamento pubblico, per di più mascherata da rimborso per le spese elettorali) che molti leader politici continuano a mantenere e a difendere.
La sfiducia che questo stato di cose ha provocato porta, tra gli altri, a due comportamenti molto diversi tra loro, sebbene accomunati da motivazioni non tanto distanti. Il primo, come si è detto, è costituito dall’accentuarsi dell’astensione. Le ricerche più recenti mostrano come quest’ultima provenga da elettori di tutte le forze politiche, con una accentuazione, tuttavia, per quelli del Pdl, che è il partito più toccato dalla diserzione alle urne. Almeno un terzo degli astenuti a queste ultime elezioni proviene da individui che alle politiche del 2008 avevano votato per il partito di Berlusconi e Alfano. La quota di astensionisti presenti nell’elettorato passato di altri partiti è invece sostanzialmente minore.
L’altro comportamento derivato dalla rilevante crisi di fiducia che caratterizza sempre più l’elettorato italiano è costituito, come si è visto, dal voto verso movimenti di protesta, prima fra tutti la forza di Grillo che, come si sa, ha avuto molti più consensi al Nord. Ma i connotati di quanti danno un’opzione al comico genovese sono assai diversi da quelli degli astenuti. Si tratta, come si è già accennato, di persone più giovani e più interessate alla politica, anche se avverse ai partiti tradizionali. Tuttavia la provenienza è differente: hanno votato per Grillo molte persone che si erano astenute nel 2008, ma anche tanti elettori di sinistra: quasi un quarto dei votanti per il Movimento 5 stelle proviene dal Pd. Un altro 10% dichiara di aver votato nel 2008 l’Idv o la Sinistra Arcobaleno. Ma il 14% aveva scelto in passato il Pdl, mentre il 16% circa aveva votato la Lega.
I due trend, il consenso per Grillo e l’incremento delle astensioni, pur coinvolgendo persone molto differenti tra loro, presentano, come si è detto, un tratto comune. Sono entrambi derivati dallo scontento crescente per le forze tradizionali. Del quale queste ultime dovranno tenere conto per evitare una débacle ancora maggiore l’anno prossimo.

Il Corriere della Sera 09.05.12

******

“L’analisi dell’istituto Cattaneo paragona i voti nei 24 comuni capoluogo con quelli delle regionali, delle europee e delle politiche”, di Silvio Buzzanca

I vincitori delle amministrative sono Beppe Grillo e il suo movimento 5 Stelle. Sconfitti, in modo e gradazioni diverse, tutti gli altri partiti. Con la parziale eccezione dell´Udc. Il giudizio netto, basato su schede scrutinate e voti veri, arriva dall´Istituto Cattaneo di Bologna che è andato a guardare nelle pieghe del voto di domenica. L´analisi riguarda 24 comuni capoluogo, i dati di Palermo e Catanzaro non erano ancora disponibili, ed è stata condotta paragonando i voti, non le percentuali, delle amministrative 2012 con le Regionali 2010, le Europee 2009 e le Politiche del 2008.
Il primo dato è sicuramente il trionfo di Grillo. Il suo movimento si è presentato in 101 comuni su 941 e ha ottenuto quasi 200 mila voti per una percentuale nazionale, con tutte le avvertenze del caso, dell´8,74 per cento. Ma nel Nord, in termini assoluti, si registra la quadruplicazione dei voti ad Alessandria rispetto al 2010. A Verona i voti si sono triplicati, a Parma, Monza, Cuneo e Belluno sono più che raddoppiati. Un fenomeno che però non si è verificato nel Mezzogiorno, dove, secondo il Cattaneo, ha pesato di più l´effetto del voto di scambio e meno la propensione all´innovazione e al voto di opinione del Nord.
Negli altri accampamenti regna invece lo sconforto. Specie nel centrodestra, travolto da una valanga elettorale. Piangono soprattutto i leghisti. Alle elezioni del 2008 avevano avuto nelle 24 città esaminate 331 mila voti, nel 2009 alle Europee 308 mila voti , 311 mila alle Regionali del 2010. Domenica il bottino si è fermato a quota 145 mila voti con una perdita secca del 67 per cento. Un risultato che è più marcato in Piemonte ed Emilia Romagna e un po´ meno in Lombardia e Veneto. Nel tracollo i leghisti riescono a mantenere al 30 per cento il calo in valori assoluti nei comuni sotto i 15 mila abitanti.
Un dato molto negativo segna anche il risultato del Pdl. Secondo l´Istituto bolognese perde 175.000 voti rispetto alle precedenti Regionali. Un calo che riguarda soprattutto il Nord e le regioni rosse ma che non risparmia il Centro-Sud, dove Berlusconi vede sparire il 40 per cento dei voti avuti nel 2010.
Non ha però ragione di gioire di queste cifre il centrosinistra. A partire dal Partito democratico che ha perso 91 mila voti che rappresentano il 29 per cento del preferenze raccolte nel 2010. Risultato frutto di una perdita di 60 mila voti al Nord, 19 mila nella zona rossa e di 19 mila nel Centro sud. Anche l´Idv perde consensi: meno 55 mila voti distribuiti in maniera omogenea sul territorio nazionale che rappresentano il 58 per cento dell´elettorato del 2010. Perdono voti anche Sel e la Federazione della Sinistra: meno 12 mila voti pari al 16 per cento dei consensi del 2010.
Infine rimane il voto dell´Udc. Secondo i ricercatori del Cattaneo il partito di Casini «tutto sommato tiene, contenendo le perdite al 6,5 per cento a livello nazionale rispetto alle Regionali del 2010». Ma il risultato nasconde un´avanzata nelle zone rosse, più 13 per cento, e nel Centro-Sud più 32 per cento e un forte arretramento nel Nord: meno 44 per cento.

La Repubblica 09.05.12

******

“La Terza Repubblica che non sa dove andare Pdl e Lega senza leader e identità il Pd tiene, Grillo forte sul territorio”, di Ilvo Diamanti

Il Carroccio resiste ma a fatica. Il risultato di Verona si deve esclusivamente al sindaco Tosi È un voto “personale”. Si tratta solo di amministrative. Elezioni che hanno coinvolto una quota ridotta di popolazione e di Comuni. Un test, in fondo, limitato. Peraltro, molti giochi sono ancora aperti, visto che in tre quarti dei Comuni maggiori si andrà al ballottaggio. Eppure, i risultati del primo turno sono destinati a produrre effetti politici significativi sul piano nazionale.
Le prime elezioni nell´era del Montismo hanno, anzitutto, suggerito che, insieme a Berlusconi, stia uscendo di scena anche il suo “partito personale”. Quasi per conseguenza automatica e naturale. Il Pdl. In caduta, dovunque. Da Nord a Sud passando per il Centro. Non è facile decifrare i dati di elezioni specifiche, come quelle amministrative. Caratterizzate dalla presenza di molte liste civiche. Tuttavia, nei Comuni capoluogo, rispetto alle elezioni amministrative precedenti, il Pdl ha dimezzato il suo peso elettorale: è passato dal 30% al 14% (media delle medie). Governava in 95 Comuni (maggiori), insieme alla Lega. Al primo turno ne ha perduti 45 (inclusi quelli in cui è escluso dal ballottaggio). Ne ha mantenuti 5, conquistandone uno solo di nuovo. Negli altri 45 andrà al ballottaggio. In 16 Comuni, però, è in sensibile svantaggio.
A livello locale, peraltro, il Pdl non aveva mai avuto basi solide e radicate. Ma senza Berlusconi ha perduto identità, senso. In qualche misura, speranza. Così ha travolto, nella slavina, anche il retroterra di An. Che, invece, fino a ieri, disponeva di una presenza diffusa in molti contesti. Soprattutto nel Sud.
2. La Lega resiste. Ma a fatica. Il risultato di Verona si deve, esclusivamente, a Tosi. È un voto “personale”. Per molti versi, espresso “contro” la Lega di Bossi. Tosi, infatti, è il principale alleato di Maroni, come ha ribadito anche in questi giorni. Verona, d´altronde, non è una roccaforte storica della Lega, che si è insediata in città (e nell´area) solo nell´ultimo decennio. Prima era una zona di forza della Destra, da cui Tosi ha attinto molti consensi. Allargandoli in misura ampia, con la sua azione. E amministrazione. Altrove, però, la Lega non ha fatto bene. Complessivamente, nei Comuni dov´era presente, la Lega ha perduto poco rispetto alle amministrative del 2007, ma ha dimezzato la percentuale del voto rispetto alle politiche del 2008 e le europee del 2009. Fra le 12 città maggiori al voto dove il sindaco uscente era leghista, la Lega ha perduto in 5 e in altrettante è al ballottaggio. Oltre a Verona, al primo turno ha vinto solo a Cittadella. Una roccaforte nel cuore del Veneto. Luogo quasi simbolico. Evoca la Lega che non è scomparsa, come alcuni ipotizzavano (e auspicavano). Ma “resiste” all´assedio. Ha reagito meglio nei Comuni più piccoli, inferiori a 15 mila abitanti (secondo l´analisi dell´Istituto C. Cattaneo).
Tuttavia, le sarà difficile, su queste basi, riproporsi come “partito del Nord”. Tanto più perché perdere sindaci e peso nelle amministrazioni locali significa perdere radicamento nella società e nel (suo) territorio.
Dove oggi appare un soggetto politico minoritario.
3. Ne deriva che il Pdl e la Lega, al di fuori dell´alleanza di centrodestra, risultino perdenti. Su base locale e non solo. D´altronde, anche un anno fa, alle amministrative, anche se alleati, avevano subito un notevole arretramento e alcune sconfitte pesanti. Per prima: Milano. Ma oggi, che Pdl e Lega corrono ciascuno per conto proprio, e anzi, uno contro l´altro, il loro futuro appare quanto meno difficile. D´altronde, solo Berlusconi era riuscito a coalizzarli, a farli stare insieme. Con argomenti efficaci. Per forza e/o per interesse. Il rapporto fra i due partiti, peraltro, era molto “personalizzato”. Fondato sulle relazioni dirette fra Berlusconi e Bossi. Ma oggi il ruolo dei due leader si è ridimensionato e anche il legame fra i partiti si è sensibilmente allentato.
In concreto, nel centrodestra si è aperto un vuoto di rappresentanza politica che non è chiaro come e da chi possa venire colmato.
4. Nel centrosinistra la situazione appare migliore. Soprattutto perché i partiti che ne fanno parte hanno, perlopiù, confermato l´alleanza. Anche se con geometrie variabili. Punto fisso: il Pd, che ha costruito intorno a sé diverse intese. In prevalenza, con la sinistra, ma anche insieme all´Udc. Al primo turno, nei capoluoghi di provincia ha tenuto, passando (in media) dal 19% al 17%: 2 punti in meno. Inoltre, nei 53 Comuni dov´era al governo, prima di queste elezioni, dopo il primo turno ne ha riconquistati 14 e altri 11 li ha strappati al Centrodestra. Eppure è indubbio che anche in quest´area emergano segni di sofferenza. Nel Pd – ma anche nel centrosinistra. Il quale non riesce a capitalizzare il crollo del centrodestra.
Subisce, nelle sue aree, il peso dell´astensione. Che raggiunge non a caso il massimo nelle zone rosse: in Toscana, in Emilia Romagna, nelle Marche.
E, ancor di più, è incalzato dalla concorrenza del Movimento 5 Stelle, ispirato da Beppe Grillo. La sorpresa di questa consultazione. Dove i suoi candidati sono al ballottaggio in 5 Comuni oltre 15 mila abitanti (tra cui Parma). A Sarego, piccolo comune in provincia di Vicenza, è riuscito a fare eleggere il suo candidato sindaco. Il risultato del Movimento 5 Stelle, però, appare rilevante soprattutto per il livello dei consensi ottenuti un po´ dovunque. Oltre il 10%, in media, nei Comuni capoluogo. Il 9% nell´insieme dei Comuni dove è presente. In alcuni contesti, peraltro, ha ottenuto performance importanti. Intorno al 20%.
5. La tendenza – e la tentazione – diffusa è di etichettarlo come un fenomeno “antipolitico”. Equivalente e alternativo rispetto all´astensione. Una valutazione che mi sembra poco convincente.
A) Perché è comunque un soggetto “politico” che ha partecipato a una competizione democratica chiedendo e ottenendo voti. Facendo eleggere i propri candidati. B) Poi perché il suo successo deriva, sicuramente, dalla critica contro il sistema di Grillo, ma anche dal fatto che il Movimento ha coagulato gruppi e leader attivi a livello locale. Impegnati su questioni e temi coerenti con quelli affrontati nel referendum di un anno fa. Collegati alla tutela dell´ambiente, ai beni pubblici. Alla lotta contro gli abusi. Progetti di “politica locale” promossi da persone a interessi privati e a lobby. Per questo credibili, in tempi scossi da scandali e polemiche sulla corruzione politica. C) Infine, perché i loro elettori sono tutto fuor che “impolitici”. Mostrano un alto grado di interesse per la politica (sondaggio Demos, aprile 2012). Certo, un terzo di essi, alle elezioni politiche del 2008, si è astenuto. Ma il 25% ha votato per il Pd e il 16% per l´Idv. Il Movimento 5 Stelle, per questo, rivela il disagio verso i partiti. Soprattutto fra gli elettori dell´area di centrosinistra. Ma non solo: un´analisi dei flussi elettorali condotta dall´Istituto Cattaneo sul voto di Parma, infatti, rileva una componente di elettori sottratti alla Lega (3% sul totale, rispetto alle regionali del 2010). Il Movimento 5 Stelle, dunque, offre a una quota di elettori significativa una rappresentanza, che può non piacere, ma è “politica”.
Io, comunque, sono sempre convinto che sia meglio un voto, qualsiasi voto, del vuoto. Politico.
Nell´insieme, questi risultati rafforzano l´impressione che il Paese sia ormai oltre la Terza Repubblica, fondata da – e su – Berlusconi e il Berlusconismo. Ma non sappia dove andare.
Con questi partiti, questi leader, questi schieramenti, queste leggi elettorali e con questo sistema istituzionale: temo che passeremo ancora molto tempo a discutere di antipolitica. Per mascherare la miseria della politica.

La Repubblica 09.05.12

******

“Le macerie dopo il miracolo”, di Guido Crainz

L´Italia delineata dal voto non alimenta illusioni ma pone problemi di grande rilievo. La stagione di Berlusconi si è definitivamente conclusa ma lascia segni profondi e il terreno è ingombro di macerie.
Lo stesso voto del resto ci ricorda che ad essa non ha posto fine un´opposizione efficace e lungimirante, pronta ora a governare. Ci ricorda che la alternativa riformatrice non è limpidamente all´orizzonte. Per comprendere meglio l´entità del tracollo della ex maggioranza occorre ricordare che le elezioni regionali di due anni fa avevano segnato ancora una sua significativa vittoria, in parte trainata da una Lega in espansione persino nelle “regioni rosse”. E il Pdl era dilagato anche a L´Aquila e in altri centri abruzzesi, sull´onda della promessa e illusionistica “politica del fare” del Cavaliere: ora a L´Aquila non è ammesso neppure al ballottaggio. Una tenuta del centrodestra che aveva sfidato ogni previsione si è dunque dissolta con rapidità estrema, ed entrambi questi aspetti impongono riflessioni non contingenti: non riducibili cioè al succedersi di scandali dell´ex premier o a casi di corruzione sempre più gravi, estesi e clamorosi (da cui peraltro il centrosinistra non è stato esente). Non è per essi che Berlusconi si era dovuto dimettere, ma per l´infuriare della crisi economica e per la sua totale inadeguatezza a farvi fronte. Anche in precedenza, del resto, era stata la crisi economica in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue conseguenze a rivelare la natura e la miseria del “patto con gli italiani” del Cavaliere. Quel patto si era basato sulle sinergie non di virtù ma di accondiscendenze, e su distorsioni trasformate in normalità. Aveva avuto a propria bussola l´attenuarsi di regole e vincoli per governanti e governati, e la garanzia per entrambi di una “protezione” basata sull´uso dissennato delle risorse pubbliche. La nave va, diceva ai suoi tempi il Craxi trionfante, e ne condivise poi l´affondare. Berlusconi aveva riproposto in nuove e differenti forme le stesse illusioni, e con esse una ideologia che ha alimentato alcuni dei modi peggiori di essere italiani. Tutto questo ha iniziato a dissolversi quando parti crescenti del Paese hanno dovuto abbandonare un ottimismo infondato e irresponsabile. Quando la crisi, appunto, ha reso sempre più evidente che l´assenza di regole non è un´opportunità per nessuno ma la premessa di una comune rovina. Quando la “protezione paternalistica” che aveva retto sin lì è andata in frantumi: con un premier isolato nel bunker dei propri processi e dei propri privati interessi, sempre più privo di prestigio all´interno stesso della propria miserevole corte. E con un Paese sempre più esposto ad una bufera internazionale che ne minacciava e ne intaccava il vissuto quotidiano, proiettandovi angustie e inquietudini. È per questa via che quel patto è giunto a lacerarsi irrimediabilmente, lasciando “orfani” ampi strati sociali: esposti ora al disincanto, se non al rancore, e alla ulteriore chiusura negli egoismi individuali e di ceto. Non è stata, o non è stata solo, una virtuosa società civile a insorgere contro un centrodestra e un sistema politico screditato: l´abbaglio dei primi anni Novanta non può oggi ingannare nessuno, e già allora la disillusione fu molto amara.
Che Italia ci lascia dunque la fine di questa stagione? Nel dicembre del 1994, nella crisi del primo governo guidato da Berlusconi, Sandro Viola scriveva lucidamente su questo giornale: “Quando il governo prima o dopo cadrà, sul Paese non sorgerà un´alba radiosa. Vi stagneranno invece i fumi tossici, i miasmi del degrado politico di questi mesi”. I mesi sono diventati anni, molti e lunghi anni, e i sintomi di una crescente involuzione sono stati evocati sempre più spesso da molte e preoccupate voci. Concordi nel segnalare il diffondersi di forme di “società incivile” poco rispettose dei beni pubblici e della legalità. Concordi anche nel tracciare i contorni di un Paese sfibrato e sfiduciato: un Paese che, per dirla con Raffaele Simone, considera le questioni ideali “come il fumo che gli impedisce di mordere l´arrosto delle proprie urgenze quotidiane”. Una Italia che ha visto nuove forme di “plebeismo” insinuarsi sin “nel cuore ansioso dei nuovi ceti medi”, sempre meno attivi nel promuovere e attivare “processi di civilizzazione” (vi si è soffermato Carlo Donolo in un suggestivo libro recente, Italia sperduta). Anche l´ultimo rapporto del Censis, del resto, ha analizzato con attenzione questi processi e ha indicato però al tempo stesso le risorse positive pur presenti nella società italiana: ad esempio una responsabilità collettiva pronta ad entrare in gioco, già decisiva in passaggi chiave della nostra storia nazionale. Non mancano certo forze vitali nell´economia e nella cultura, e vi è un´ampia area di cittadini non travolti dall´antipolitica ma legati ancora alla speranza di una politica migliore, basata su trasparenza, efficacia, eticità e legalità.
Le energie per avviare un´inversione di tendenza sembrano dunque esserci, anche se non è ancora riconoscibile il progetto in grado di metterle in moto e di farle interagire. In grado di sorreggere un´opera di Ricostruzione, economica e morale, pari a quella che pur fu compiuta in altri e più drammatici momenti. È questo il compito che attende i partiti, ove siano capaci di rigenerarsi e di rifondarsi. Partiti “obbligati” anche da questo voto a decidere nelle prossime ore, non nei prossimi mesi, quelle misure drastiche e limpide sul modo di essere della politica che sono state invocate da più parti. Oggi il tempo è scaduto, nessuno può nasconderselo. Sarà altrettanto importante in questo scenario l´operare del governo, chiamato più che mai a delineare il futuro. A dare risposte, prospettive e fiducia a un Paese smarrito. E sarà importante il contributo stesso dei cittadini.

La Repubblica 09.05.12

"Il rischio di sottovalutare un allarme", di Michele Brambilla

C’ è una certa sottovalutazione dell’attentato all’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. La notizia è spesso relegata in seconda o terza fila. Sbaglieremo, ma ci pare non sia stata colta la gravità dell’accaduto. Forse un primo motivo di questa, chiamiamola così, scarsa attenzione, sta nel fatto che l’attentato non ha avuto gravi conseguenze. Adinolfi è stato ferito solo di striscio. E quindi non è scattata una reazione emotiva popolare. Ma come non pensare al significato del gesto? La «gambizzazione» in Italia ha una tragica storia in un contesto preciso. Parlavamo ieri con Antonio Iosa, un militante della Dc milanese che il primo aprile del 1980 fu appunto «gambizzato» dalla colonna Walter Alasia delle Brigate rosse come rappresaglia per i quattro brigatisti uccisi proprio a Genova in via Fracchia. Iosa fu colpito a entrambe le gambe e ha dovuto subire 34 interventi chirurgici (l’ultimo pochi giorni fa) per le conseguenze dirette o indirette di quel ferimento. Ma al di là della menomazione fisica, Iosa ci spiegava ieri che la «gambizzazione» non è affatto, come molti pensano, un «attentato minore», perché la vittima – anche quella colpita in modo lieve – subisce un trauma psicologico che lo accompagna per tutta la vita; e perché i terroristi le attribuiscono un alto significato simbolico, quello di «colpirne uno per educarne cento». E dunque per costringere tutti ad avere paura.

L’agguato di Genova è poi trascurato anche per un secondo motivo: non si crede fino in fondo che si possa trattare di terrorismo. È vero che una certezza sulla matrice non c’è ancora, e può anche essere che il terrorismo non c’entri. Ma colpisce la sicurezza con la quale da molte parti si ritiene «impossibile» o «molto improbabile» che il terrorismo possa tornare. Ma perché?

Si dice: se sono terroristi, per quale motivo non rivendicano? E più in generale si aggiunge: oggi non ci sono le ideologie di quel vecchio mondo diviso in due blocchi. Sono argomentazioni alle quali gli inquirenti – guarda caso i nuclei antiterrorismo dei carabinieri e della polizia – reagiscono con un sorriso amaro. In questi giorni, a Genova, chi conduce le indagini ha giustamente invitato noi giornalisti a «non leggere gli avvenimenti di oggi con le categorie di quarant’anni fa». Perché anche i terroristi cambiano: nei metodi, nelle strategie e pure nelle motivazioni.

Ad esempio: la rivendicazione. Oggi spesso non la si fa di proposito, per non lasciare tracce (il modo di scrivere, il mezzo usato) che possano mettere chi indaga sulla pista giusta; e non la si fa anche perché, proprio per la fine delle grandi ideologie, i gruppi rigidi tipo Brigate rosse non ci sono più. Ci sono invece tante individualità il cui unico collante è l’odio verso qualunque cosa abbia l’aspetto di un «potere». Dicono, gli inquirenti, che oggi alcuni vecchi brigatisti hanno passato le armi a elementi di questa magmatica galassia «arrabbiata» esattamente come quarant’anni fa alcuni vecchi partigiani le passarono a loro.

È un errore – ci hanno detto ancora gli uomini dell’antiterrorismo a Genova – pensare che la lotta armata non si possa ripetere perché le condizioni sono cambiate. Più saggio pensare che corriamo il rischio di trovarci di fronte a un terrorismo diverso nelle sigle e nelle modalità, ma pur sempre un terrorismo. Oggi al Quirinale sarà celebrato il Giorno della memoria dedicato alle vittime degli anni di piombo. È la quinta volta che viene celebrato. La prima, però, in cui ci si troverà a parlare, oltre che degli attentati di allora, di uno dell’altro ieri.

La Stampa 09.05.12

PD è il perno della proposta di governo

A largo del Nazareno da ieri si valutano i dati che arrivano dalle Regioni. E’ ancora difficile fare una stima dell’andamento del partito a livello nazionale vista la grande frammentazione di liste civiche e candidati. Ma qualche dato sui capoluoghi c’è, con una media ponderata del 25-26% riferito alla somma dei voti del partito con quelli delle liste emanazione del Pd. E a grandi linee si intravvede un rafforzamento del centrosinistra al Nord e al Sud, Sicilia e Puglia in particolare, con un’ottima tenuta in Toscana, Marche e Umbria.

Ad Alessandria il Pd è arrivato con le liste civiche al 32,3%, ad Asti al 27,5%, a Como al 29%, a Monza al 26%, a Pistoia al 33,7%, a Genova al 24-25%, a La Spezia al 36 per cento, a Brindisi al 23%.

Molte partite poi restano ancora da giocare. A Rieti, cosa mai accaduta, il centrosinistra va al ballottaggio, così come a Frosinone dove il Pd correva diviso dall’Idv e a Isernia dove il centrodestra ha candidato la sorella del presidente del Molise, Michele Iorio. Senza contare Belluno e Palermo dove si sfideranno due candidati di centrosinistra.

Buoni dati sono arrivati anche dai 142 comuni con più di 15mila abitanti. Il centrosinistra si conferma al primo turno al governo di 13 comuni e ne strappa 17 al centrodestra, contro un centrodestra che ne conferma 3 e ne toglie 4 al centrosinistra.

Dei 101 comuni che andranno al ballottaggio, 82 erano amministrati dal centrodestra. Dai dati, il centrosinistra parte ora in vantaggio in 64 Comuni.

Poi vi sono alcune conquiste simbolo, per esempio in Sicilia. Sono stati strappati al centrodestra Raffadali, paese natale di Totò Cuffaro, e Corleone.

Per approfondire:
– In allegato puoi leggere un quadro più completo dell’andamento delle Elezioni Amministrative 2012
– Rivivi la giornata delle Elezioni: Centrosinistra avanti. Tsunami per il centrodestra

www.partitodemocratico.it

"Sì della Camera alle quote rosa negli enti locali: arriva una doppia preferenza di genere", di Nicoletta Cottone

Sì della Camera alla proposta di legge che promuove il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali e introduce norme per le pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni. I sì sono stati 372, i no 21, 48 gli astenuti. Il testo passa all’esame del Senato.

Quota di lista nei comuni più grandi: massimo due terzi dello stesso sesso. Nel provvedimento viene stabilito per i comuni fino a 5mila abitanti una misura minima di garanzia in base alla quale nelle liste dei candidati per le elezioni dei consigli deve essere assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Due le novità che riguardano i comuni più grandi: è prevista una quota di lista, in base alla quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste di candidati alla carica di consigliere comunale in misura superiore ai due terzi dei candidati. La commissione elettorale verifica il rispetto della disposizione e, in caso contrario, provvede a ridurre la lista cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato, procedendo dall’ultimo della lista. Qualora, all’esito della cancellazione delle candidature eccedenti, la lista contiene un numero di candidati inferiore a quello minimo prescritto, la commissione ricusa la lista.
articoli correlati

Via libera del Cdm alla doppia preferenza di genere nelle elezioni comunali e provinciali

Arriva una doppia preferenza di genere
In secondo luogo, il testo prevede la cosiddetta doppia preferenza di genere. È la possibilità di esprimere due preferenze – anziché una, come avviene attualmente – per i candidati a consigliere comunale. In tal caso, però, una deve riguardare un candidato di sesso maschile e l’altra un candidato di sesso femminile della stessa lista. In caso di mancato rispetto della disposizione, si prevede l’annullamento della seconda preferenza. Queste misure si applicano anche alle elezioni dei consigli circoscrizionali o, comunque, agli organismi di decentramento organizzativo e funzionale di cui possono dotarsi i comuni con popolazione superiore a 300mila abitanti. Per garantire pari opportunità nella composizione delle giunte degli enti locali c’è anche una disposizione che vincola il sindaco e il presidente di provincia, nell’atto di nomina, a “garantire” la presenza di entrambi i sessi.

Parità di accesso anche nella comunicazione politica
Nella disciplina elettorale dei consigli regionali si sono alcuni principi che la legislazione regionale in materia elettorale devono osservare per la promozione della parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive. Parità, poi, anche nella coomunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie: i mezzi di informazione nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica saranno tenuti al rispetto dell’articolo 51, primo comma, della Costituzione.

Almeno un terzo dei posti alle donne nelle commissioni dei concorsi
Previsto, poi, che sia riservato alle donne almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso per l’accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni. L’obiettivo è quello di rendere effettiva la norma.

Il Sole 24 Ore 09.05.12

Bersani: «L’Italia di domani sarà governata dal Pd», di Simone Collini

Il segretario riunisce il gruppo dirigente e annuncia un pressing sul premier. Dall’esecutivo servono risposte su esodati, taglio dell’Imu e sui grandi patrimoni. Senza il Pd, oggi, l’Italia non può essere governata. E non può che essere costruita attorno al Pd, domani, una credibile proposta di governo. Pier Luigi Bersani riunisce al Nazareno il gruppo dirigente del partito ed è questo il ragionamento che viene fatto alla luce del risultato elettorale.
La strategia pianificata nel corso dell’incontro a porte chiuse prevede ora un pressing su Monti per dare risposte ai temi sociali che, viene detto, sono alla base del disagio emerso dal voto amministrativo, una particolare attenzione ai ballottaggi nelle città del nord e, per il più lungo periodo, la costruzione di un’alleanza tra progressisti e forze moderate che avrà nel Pd il baricentro. O, come dice Bersani aprendo la riunione con gli altri dirigenti del partito, «il perno al servizio della riscossa del Paese». Il voto di domenica e lunedì induce all’ottimismo. Tanto che il segretario del Pd si dice convinto di una cosa: «Oggi nei Comuni, domani vinceremo in Italia».
I dati definitivi arrivati da tutta Italia al Nazareno confermano quello che Bersani aveva detto a spoglio delle schede in corso, e cioè che di fronte al tracollo del Pdl, il calo di consensi per la Lega, Udc fermo al palo («l’alternativa non si fa nei salotti»), il Pd è l’unico partito a uscire rafforzato da questa tornata elettorale. Al punto, viene aggiunto ora a scrutinio concluso, da far registrare un successo anche in regioni tradizionalmente dominate da Pdl e Lega. Gli occhi sono puntati in particolare sulla Lombardia, su città simbolo come Como e Monza, dove la Lega è rimasta fuori dai ballottaggi. E il Pd parte in vantaggio anche ad Alessandria, Asti, Genova. Per questo Bersani è convinto che tra due domeniche il suo partito possa andare alla conquista di un nord che «dopo anni di malgoverno e tradimento di Pdl e Lega ora deve tornare ad essere, in reciprocità col sud, la locomotiva del Paese».
I numeri portati alla riunione del gruppo dirigente dal responsabile Organizzazione Nico Stumpo dicono che il Pd, calcolando le liste civiche direttamente collegate al partito, ha incassato circa il 26% dei consensi (il Pdl dice il 30%, per poter dire che il Pd ha preso soltanto due punti percentuali in più del suo 28%, ma sono dati difficilmente verificabili). Dicono anche che dei 26 Comuni capoluogo tre (La Spezia, Pistoia e Brindisi) sono andati al primo turno al centrosinistra e 2 (Gorizia e Lecce) al Pdl. Nei 20 Comuni che andranno al ballottaggio, il centrosinistra parte in vantaggio in 13 sfide (si partiva da 18 a 8 a favore del centrodestra).
PRESSING SU MONTI
Dati che spingono Bersani a incitare i suoi («Ora lavoriamo pancia a terra per i ballottaggi, domani vinceremo in Italia») ma che non rappresentano l’intero quadro uscito dal voto amministrativo. I consensi incassati da Beppe Grillo non vengono sottovalutati, soprattutto perché sono frutto di un «disagio» con cui il governo deve fare i conti. Bersani è convinto che serva «un po’ di positività» perché «da troppi mesi non c’è qualcosa di positivo in Italia».
Soprattutto, per il leader dei Democratici, Monti deve dare un segnale ascoltando le proposte avanzate in questi mesi dal Pd, dall’attivare subito i pagamenti alle imprese da parte della Pubblica amministrazione all’alleggerimento dell’Imu mettendo un’imposta sui grandi patrimoni, dalla revisione del patto di stabilità interno per consentire ai Comuni di fare investimenti alla necessità di trovare una rapida e certa soluzione alla questione degli esodati. Queste sono le «priorità» che il Pd mette sul tavolo, a cui vanno aggiunte poi misure da sostenere a livello europeo, come i project bond e la tassazione sulle transazioni finanziarie («ribadiamo lealtà al governo e parliamo anche con i progressisti europei», dice Bersani).
Per rispondere al disagio emerso dal voto bisogna però anche realizzare le tante riforme da troppo tempo annunciate senza che sia stato raggiunto l’obiettivo. Per questo il Pd, al Senato, ha chiesto di accelerare l’approvazione della riforma del mercato del lavoro, trovandosi però di fronte a una frenata del Pdl. E per questo ora i deputati del Pd stanno provando a trovare una corsia preferenziale sulla riforma del finanziamento pubblico, per il quale ieri hanno presentato un emendamento che propone di dimezzare (e non di ridurre del 33% come è attualmente scritto nel testo depositato in commissione Affari costituzionali della Camera) la tranche di rimborsi elettorali prevista per la fine di luglio.
Anche sulla legge elettorale a questo punto il Pd pensa di poter proseguire il confronto da una posizione di maggiore forza. Il voto amministrativo ha mostrato tutti i rischi insiti in un sistema elettorale proporzionale. Per questo ora il Pd tornerà ad insistere per arginare la frammentazione e per facilitare l’operazione che punta ad aggregare «contro destra e populismi vari» i progressisti e i moderati sulla necessità di andare verso un sistema di voto che preveda il doppio turno e collegi uninominali.

l’Unità 09.05.12

******

Appello a Monti: ora più crescita. Bersani batte cassa: investimenti, Imu più leggera, patrimoniale e soluzione esodati. Serve positività, di Carlo Bertini

Le speranze Il segretario del Pd Bersani: «Domani vinceremo» «Oggi vinciamo nei Comuni, domani in Italia», sentenzia Pierluigi Bersani aprendo il summit dei massimi dirigenti del suo partito. Dando così il via a quella che dovrebbe essere la lunga corsa verso il successo alle politiche dell’anno prossimo, ma senza poter dire con quali compagni di avventura; se non ripetendo che resta valida la proposta di un Pd «baricentro di una coalizione aperta alle forze progressiste e moderate».
Due ore prima di sedersi al «caminetto» dei big, il sorriso sornione stampato in volto di Beppe Fioroni, vecchia scuola Dc, è tutto da decifrare quando nel cortile della Camera gela i facili entusiasmi dei suoi compagni di partito che sbandierano come buon risultato il 25% ottenuto in media nei capoluoghi. «Perché di “ABC” si potrebbe dire che A si è dissolto, C è in rianimazione e B combatte per sopravvivere». Tradotto, se il Pdl si dissolve, resta un blocco sociale che vuole essere rappresentato e dato che in politica i vuoti si riempiono sempre, «se i miei pensano di vincere con la foto di Vasto si sbagliano. Il Pd dovrebbe presentarsi al Paese con un’alleanza con Casini tirando dentro magari anche Vendola e forse qualcuno eviterebbe di costruire una nuova offerta per gli elettori moderati… ».
Ecco, questo è solo uno degli effetti indotti da questo voto nel partito di Bersani: alimentare le fibrillazioni dei moderati che non vogliono una riedizione dell’Unione e che vorrebbero stringere all’angolo Casini per fargli risolvere la crisi d’identità. Da una diversa angolazione, anche D’Alema, tra un colloquio e l’altro con Vendola e Di Pietro alla Camera, lancia avvisi ai naviganti. «Senza di noi non si governa, Casini decida cosa vuole fare e Di Pietro la smetta di polemizzare, altrimenti è impossibile collaborare». Il secondo effetto indotto da questa prima tornata delle Comunali è alzare il livello di pressing su Monti da qui ai ballottaggi. Anche se ciò comporta il rischio, per dirla con il liberal Paolo Gentiloni, di fomentare «chi vorrebbe recitare la parte di forza di lotta e di governo facendo diventare contagioso l’atteggiamento del Pdl». E se un moderato come lo stesso Fioroni dice che «votare a ottobre sarebbe una follia ma ora dal governo ci vogliono fatti e meno chiacchiere», è immaginabile che aria tira dalle parti dei pasdaran della sinistra Pd. Dove uno degli slogan è «tirare la corda del governo senza strapparla». Quindi va da sé che Bersani benedica la giornata di lotta unitaria del 2 giugno dei sindacati, che i filo-Cgil come Damiano incalzino il governo a risolvere subito il nodo degli esodati per procedere con la riforma del lavoro.
«Ribadiamo lealtà al governo, ma chiediamo di essere ascoltati perché abbiamo qualcosa da dire», alza la voce Bersani. Che stila l’elenco delle richieste a Monti. «Bisogna pensare ai “project bond”, a una tassa sulle transazioni finanziarie, a sbloccare subito i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Bisogna alleggerire l’Imu mettendo un’imposta sui grandi patrimoni personali, far ripartire gli investimenti, risolvere la situazione degli esodati». Insomma, «serve un po’ di positività. Da troppi mesi non c’è qualcosa di positivo per l’Italia».
Ma ci sarà un motivo se, dopo la relazione del segretario, il meeting tra i big si sia sciolto con una «mozione d’ordine» proposta da Fassino e accolta all’unanimità: «Aggiornare il dibattito sugli scenari futuri, sulle alleanze e sulla legge elettorale a dopo i ballottaggi» vuol dire evitare polemiche perniciose in giorni in cui deve essere la propaganda a trionfare. «Che serietà può avere un gruppo dirigente che dalla sera alla mattina cambia idea su monarchia o repubblica? », si infervora Arturo Parisi al solo sentir pronunciare la formula doppio turno, peraltro cara ai bipolaristi. «Se c’è una cosa buona di questo voto è che ci siamo tolti dai piedi la bozza Violante», commentava la Bindi in Transatlantico. Dibattito bollente, difficile da rinviare…

La Stampa 09.05.12

"Chi sono i sovversivi", di Alfredo Reichlin

Il mio vecchio cuore di sinistra ha esultato per la vittoria dei socialisti in Francia. La coccarda dei giacobini sventola sul pennone dell’Eliseo. Poi questo fatto, unito a molti altri sommovimenti che sono in atto nei Paesi europei, ha suscitato in me altri pensieri. Parlerò più avanti delle amministrative italiane ma dico subito che il dato più duraturo su cui riflettere è il fatto che il campo storico della lotta tra progresso e reazione è cambiato. È diventato europeo, ed è sempre più parte di una rete mondiale. Politica interna e politica estera sono ormai la stessa cosa. «Noi» siamo in loro e «loro» stanno in noi. E se guardiamo le cose oltre la piccola cronaca è questo che ha sfidato il vecchio sistema politico italiano.
E HA TRAVOLTO I SUOI VECCHI AVANSPETTACOLI DA PERIFERIA: BOSSI E IL TROTA, BERLUSCONI IN FESTA ALLA DACIA DI PUTIN.
I vincoli e le contraddizioni che soffocano le potenzialità dell’Europa restano tenaci e profondi, non dimentichiamolo. Però finalmente si sta aprendo un varco. Possiamo cominciare a intravedere una via d’uscita per una crisi come quella italiana che sembra priva di sbocchi, avvitata, come è, in un circolo vizioso: austerità tagli ai consumi blocco dello sviluppo quindi nuovi debiti. Con la conseguenza che per sopravvivere stiamo bruciando la vita delle persone e i mobili di famiglia. Qui sta la novità della situazione. Non solo nei mutamenti dell’economia che saranno necessariamente lenti, ma nel fatto che con la rottura di quel varco si può tornare a pensare la politica. La politica coperta di fango ma che, dopotutto, è la sola cosa che può restituire un ruolo decisivo all’iniziativa umana, senza sottostare inesorabilmente alle decisioni dei cosiddetti «mercati».
Adesso tutti citano Einaudi. Ma che c’entra? Una cosa erano i mercati di cui parlava il vecchio professore liberale, quella straordinaria invenzione di regole che consentono lo scambio tra uguali, cioè la convivenza tra le persone e i loro legittimi interessi. Altra cosa è la potenza inaudita di una ristretta oligarchia che governa la ricchezza del mondo in un modo non solo ingiusto ma insensato. E dico insensato non perché ignori le ragioni anche razionali dell’economia finanziaria, ma perché si tratta di un potere che ormai minaccia anche il futuro dell’Europa. L’Europa non è solo un mercato più o meno «efficiente». È un problema non pronunciabile con la sola lingua degli economisti. È potenzialmente una profonda contraddizione per l’oligarchia che domina il mondo. E lo è, appunto, per ragioni non economiche ma perché è una alternativa possibile di valori, di bellezza, di «vivere meglio», di futuri diversi per le nuove generazioni altrimenti ridotte a vite precarie.
Occorre quindi davvero una svolta politica nel senso alto di questa parola, cioè di conoscenza della realtà, di pensiero, di fiducia nelle forze dell’uomo moderno. Di consapevolezza di questa grande novità, cioè del fatto che il luogo storico della politica è cambiato, nel senso che è veramente finito il Novecento ed è per questa ragione che l’attuale sistema politico italiano non regge più alla sfida delle cose.
Sono evidenti i segni di una grave crisi di sfiducia nelle istituzioni e nella politica e i rischi di sbandamento. So bene che il Pd non è fuori dalle difficoltà in questa sfida. Ma è vergognoso l’atteggiamento dei media verso il partito che sta per conquistare il sindaco di quasi tutte le città italiane. E che è il primo partito, il solo degno di questo nome. È grave. Mi fa pensare che di fronte al disfacimento delle forze politiche di destra (questo è il dato più impressionante) qualcuno pensa di cavalcare la protesta alla maniera di Beppe Grillo. Gramsci parlava di «sovversivismo delle classi dirigenti». Io non credo che siamo a questo. È vero però che le classi dirigenti sono sfidate dalla necessità di assumersi nuove responsabilità di governo e, quindi, di creare una loro degna rappresentanza nel quadro democratico e parlamentare. Il Corriere della Sera non ha capito che questa è la lezione del voto? Certo, anche noi siamo sfidati. L’Italia non si sente governata e quindi spetta a noi rappresentare l’alternativa democratica. E a me sembra che la Francia ci indica il modello. È quello di una sinistra che governa sulla base di una alleanza larga che comprende anche forze moderate le quali non possono non essere coinvolte in una operazione che non può essere solo di risanamento ma di ricostruzione.
È veramente finita la vecchia politica. Si ripropone in altri modi e a un livello più complesso il drammatico quesito che si pose alla civiltà europea dopo la grande crisi del ‘29. Il dilemma: uscire da sinistra dalla crisi grazie a un nuovo patto sociale (Roosevelt, il compromesso socialdemocratico, l’incontro tra sinistra e ceti laboriosi, (Hollande insomma) oppure uscire da destra con una svolta autoritaria. Allora le classi dirigenti italiane ci portarono al fascismo. Oggi qualcuno sta accarezzando l’idea di nuove forme di populismo?
È tempo quindi che il Pd alzi il tiro. Noi non siamo affatto pentiti di aver salvato l’Italia dalla catastrofe sostenendo il governo Monti. Anche oggi una crisi sarebbe il caos. È chiaro però che il nostro obiettivo è creare le condizioni per una grande riforma anche morale sulla cui base la sinistra e il centro democratico possano convergere. Non è una piccola cosa. Mi chiedo se sia solo un auspicio oppure se si intravede qualcosa. Io penso che questo «qualcosa» è il fatto che il Pd si colloca là dove si raccolgono in Europa le forze che possono cambiare davvero le cose. Ma se devo essere sincero, io credo che il Pd non ha abbastanza fiducia in se stesso. Non è abbastanza convinto che c’è un solo modo per difendere la democrazia, e questo consiste nel costruire gli strumenti per mezzo dei quali si può organizzare la volontà e si possono difendere gli interessi della gente comune. Altro che partito «liquido». È molto positivo che il Pd comincia ad esser quel partito della nazione di cui abbiamo tanto parlato. Ma troppi di noi sono ancora lontani da una visione delle cose capace di dare certezza a questo ruolo. Abbiamo un bisogno assoluto di giovani perché questo ruolo non può essere dedotto dal ricordo di vecchie passioni ma solo dal sentirsi attori di questo straordinario passaggio storico. La gente non è stupida. Sente, sia pure confusamente, che sono in gioco gli equilibri più di fondo, compreso quel minimo di solidarietà tra ricchi e poveri che consente la tenuta delle società umana.
Se non mostriamo questo che è il nostro vero volto, non lamentiamoci poi se si creano nuovi spazi al populismo.

l’Unità 09.05.12