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"Bersani: è il momento del centrosinistra in Italia e in Europa", di Simone Collini

Bersani chiude a Genova la campagna per le amministrative: «Può cominciare una fase di cambiamento». Al governo chiede politiche per la crescita e alleggerire l’Imu, affiancandole una tassa patrimoniale. «Per un decennio la destra ha governato in Europa e in Italia. Il risultato lo abbiamo davanti. Ma ora può partire il rilancio del centrosinistra». Pier Luigi Bersani lega presidenziali francesi e amministrative nostrane. Tra i due tipi di voto non c’è solo la contemporaneità temporale. Per il leader del Pd dalle prossime ore può «cominciare una fase di cambiamento», perché il risultato d’oltralpe, domani sera, può far mutare di segno la politica europea, troppo timida con la finanza e troppo centrata sulla disciplina di bilancio, e perché i dieci milioni di italiani che domani e dopodomani si recheranno alle urne voteranno sì per le loro città, ma anche per dare un segnale di «riscossa politica e civica» nelle prime elezioni dell’era post-Berlusconi.
PD PER LA RICOSTRUZIONE
Bersani ha giocato tutta questa campagna elettorale presentando il Pd come il partito della «ricostruzione», leale col governo a cui ha garantito il sostegno fino alla fine della legislatura ma impegnato a mostrare agli italiani «cosa farebbe e cosa farà quando sarà al governo». Crescita, lavoro, solidarietà, sociale sono le parole che è andato ripetendo in tutte le piazze d’Italia, difendendo la scelta del governo tecnico a scapito delle elezioni anticipate («non voglio vincere sulle macerie del mio Paese») ma lanciando a Monti segnali piut-
tosto chiari. Anche ieri, al fianco di Marco Doria a Genova, città scelta per la chiusura di questa campagna elettorale, Bersani ha ribadito che il suo partito «manterrà la parola» sul sostegno all’esecutivo, anche quando dalla piazza si sono levati numerosi fischi all’indirizzo del governo, mentre il leader del Pd diceva che «la situazione è seria, le banche non danno i soldi, vediamo il peso di una tassazione e tutto questo crea disagio e rabbia».
MODIFICARE L’IMU
L’appoggio a Monti non è in discussione, ma Bersani chiede politiche per la crescita e non solo regole sul mercato del lavoro («con queste non si mangia»), chiede di «attivare un po’ di pagamenti» e di «far girare liquidità», chiede di alleggerire l’Imu, affiancandole una tassa sui grandi patrimoni immobiliari, e di lasciarla ai comuni, magari diminuendo i trasferimenti dello Stato ma garantendo ai sindaci una base di autonomia fiscale.
Il livello di consenso che incasserà il Pd nel voto di domani e dopodomani dirà quanta forza avranno queste richieste. Anche rispetto alle richieste, nella quasi totalità dei casi di segno opposto, provenienti dal Pdl («noi possiamo dire se qualcosa che fa il governo non va bene è il messaggio che invia ad Alfano voi che per tre anni avete detto che la
crisi era una favola dovete stare zitti»).
FRANCIA E ITALIA
Ma Bersani già guarda anche al dopo amministrative. E quanto sta avvenendo oltralpe viene giudicato dal leader del Pd positivamente anche da questo punto di vista. Non c’è solo il fatto che il leader di una forza progressista comeFrançois Hollande abbia la forte possibilità di diventare il prossimo presidente della Francia. Il fatto è che attorno al leader del partito socialista si è costruita in questo secondo turno delle presidenziali un’alleanza che va dall’esponente di sinistra Jean-Luc Mélenchon al centrista François Bayrou.
Un modello che ricalca la coalizione tra progressisti e moderati a cui sta lavorando Bersani per il 2013. «Da due anni io propongo un incontro tra un centrosinistra di governo e un centro moderato saldamente democratico», sottolinea. «Adesso che sia Mélenchon che Bayrou votano per Hollande, forse si capirà che non stavo dicendo cose così assurde». La natura del voto di domani e dopodomani, fortemente condizionato dalle diverse caratteristiche territoriali, non ha consentito di arrivare ora a un modello di questo tipo. Ma Bersani è convinto che per le politiche il discorso sarà diverso, e anche in Italia si potrà ripetere quanto avvenuto in Francia, con «forze progressiste e di sinistra che cercano di organizzare un campo rivolgendosi a forze moderate saldamente democratiche contro una destra condizionata dal populismo». Un modello che Bersani vede all’opera anche al di fuori dei confini segnati da Pdl e Lega. L’attacco, sferrato proprio a Genova, è per Beppe Grillo, che «come tutti i populismi visti nella storia d’Italia, fa finta di partire a sinistra e poi ti sbuca a destra».

l’Unità 05.05.12

Amministrative, la sfida parte da 18-8 per il centro destra

Domenica 6 e lunedì 7 maggio saranno oltre 7 milioni gli italiani chiamati a votare per il rinnovo delle proprie amministrazioni comunali. Sono state sospese invece le elezioni provinciali in attesa di una definizione in sede legislativa per la loro abolizione. I comuni al voto comprendono 28 comuni capoluogo di provincia (di cui 4 anche regionali), 142 comuni superiori e 840 comuni inferiori , per un totale di 1.010 amministrazioni.

Palermo, Genova, Catanzaro, L’Aquila sono le principali sfide elettorali tra centro destra e centro sinistra.

Questa tornata elettorale darà una misura, seppur parziale, dei nuovi pesi politici delle coalizioni e dei partiti nella nuova fase politica avviata con il Governo Monti. In quest’ottica gli esiti delle elezioni amministrative daranno indicazioni più precise sulle future e possibili alleanze elettorali in vista delle elezioni politiche nel 2013.

Partendo da una situazione di sostanziale minoranza, scaturita dalle urne nel 2007, il centro sinistra punta a recuperare lo svantaggio nei confronti del centro destra, in modo particolare nel nord dove si attende una flessione della Lega dopo i recenti scandali. Anche i candidati della ‘ Lista 5 Stelle ‘ di Beppe Grillo, dopo molti sondaggi contrastanti, sono attesi ai primi risultati elettorali in molte realtà territoriali.

Il confronto tra centro destra e centro sinistra si misura in 18 giunte uscenti di centro destra e 8 giunte di centro sinistra per i capoluoghi di provincia, 83 giunte di centro destra per i comuni superiori, contro 45 di centro sinistra.

“Sono entusiasta delle candidature, grazie ad un percorso intenso, siamo arrivati a mettere in campo una squadra veramente buona per le prossime Amministrative. Le considerazioni che emergono sono chiare, prima fra tutte, in questa campagna elettorale i nostri candidati si troveranno davanti dei cittadini veri: pensionati, lavoratori, giovani, che vengono da noi anche per dire cose non gradite. Questa per il Pd è una grande occasione per guardare i cittadini all’altezza degli occhi, per essere in campo e parlare con la gente andando porta a porta, interpretando e misurando il profondo disagio che vivono in questo momento di crisi”, così Pier Luigi Bersani ha commentato, all’avvio della campagna elettorale , il lavoro svolto negli ultimi mesi per creare coalizioni credibili e scegliere i candidati migliori per la sfida elettorale.

I Pd partecipa quasi ovunque alle coalizioni di centro sinistra con l’ Italia dei Valori e Sinistra e Libertà , salvo alcune eccezioni locali come Belluno dove il Pd corre solo con l’ Udc , L’Aquila dove nel centro sinistra è assente l’Italia dei Valori, così come a Brindisi dove c’è invece una coalizione con l’Udc. Ad Agrigento il Pd corre con l’Udc.

Prove di accordo con l’Udc e la coalizione di Vasto si faranno nei comuni capoluoghi di Trani, Taranto e La Spezia.

Per la lista completa dei comuni rimandiamo al nostro speciale elettorale Amministrative 2012 nella sezione “Dove si vota – risultati”.

www.partitodemocratico.it

"La voglia del Cavaliere passare all´opposizione", di Francesco Bei

Il filo si sta per rompere. Nonostante le rassicurazioni di Angelino Alfano su un voto nel 2013, il Pdl sta meditando di passare all´opposizione. Una decisione formale non è stata ancora presa, ma nelle telefonate corse sul filo Roma-Arcore e tra i dirigenti sparsi per l´Italia in campagna elettorale la valutazione è unanime: «Dobbiamo mollare Monti il prima possibile». Nelle stanze del presidente del Consiglio c´è piena consapevolezza della situazione. E ormai anche Monti, che fino all´ultimo ha voluto credere alle parole di Berlusconi, ha capito che davvero potrebbe precipitare tutto prima del tempo e portare al voto in ottobre. Uno scenario che il Professore, nelle sue conversazioni private, considera come un vero attentato all´Italia.
Nel mezzo di delicate e faticose trattative per convincere la Germania sulla crescita, con i mercati ancora ipersensibili, a un passo oltretutto da una possibile svolta se Hollande dovesse vincere in Francia, la crisi di governo italiana riporterebbe indietro le lancette allo scorso novembre. Al quasi default. «Il Pdl – è il ragionamento del premier – può distruggere in un secondo la credibilità che abbiamo riconquistato a caro prezzo. Daremmo all´estero la prova di un Paese incapace di redimersi». Senza mezzi termini per Monti votare a ottobre «sarebbe un disastro». Una valutazione condivisa peraltro dal capo dello Stato che venerdì scorso, durante il colloquio al Quirinale con Berlusconi, ha chiesto esplicitamente al Cavaliere che intenzioni avesse. Ricevendone ampie assicurazioni contrarie a uno sganciamento anticipato dal governo.
E tuttavia i segnali che provengono dal Pdl sono inequivocabili. A palazzo Chigi si assiste con un certo sgomento al martellamento quotidiano da parte dei giornali d´area – il Giornale e Libero – contro Monti. Ma viene considerata certamente poco amichevole anche la linea editoriale del Tg1 e di Canale 5. Ieri è stata cerchiata in rosso una frase con cui il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, concludeva l´editoriale di prima pagina: «Io credo che dentro il partito siano ormai in molti a pensare che la misura sia colma e che si debba passare da una fase di appoggio al governo incondizionato, per via del famoso senso di responsabilità, a una di appoggio condizionato». È la posizione espressa pubblicamente in questi giorni da Massimo Corsaro, Daniela Santanchè e, privatamente, da altri fautori dell´ala dura come Denis Verdini. Al contrario colombe come Maria Stella Gelmini e Franco Frattini stanno facendo di tutto per scongiurare il crac. Mentre Alfano si barcamena per tenere unito il partito, Berlusconi ancora non ha deciso. Oscilla, in attesa di avere risposte su alcune questioni chiave: la concussione (per via del processo Ruby), l´assetto della Rai, le frequenze tv, più in generale quello che considera «un inaccettabile accanimento mediatico-giudiziario» contro di lui con la divulgazione delle telefonate alle Olgettine. Un «accanimento» sul quale si sarebbe aspettato «una parola o un gesto» da parte di Napolitano o del Guardasigilli Severino. Chi è andato a salutarlo ad Arcore l´ha sorpreso con la testa china su una scrivania interamente coperta dalle trascrizioni delle sue conversazioni telefoniche. «Le ho messe una sull´altra e misurate: è un metro cubo di carta!». Ma sui dossier “sensibili” per il momento il Cavaliere ha trovato davanti a se un muro. Monti, quando hanno provato a sondarlo, ha mandato una risposta totalmente negativa: «Non posso accettare ricatti». E così, complice anche la crescente irritazione del Pdl per le recenti parole del premier contro Alfano e contro Forza Italia (che avrebbe tradito le promesse del ‘94), giorno dopo giorno si sta consumando definitivamente il rapporto con il governo.
Il problema di Berlusconi, tuttavia, è come ritirare il sostegno a Monti senza pagare dazio, senza poter essere accusato di aver fatto fallire l´Italia. Per questo a via dell´Umiltà si è iniziato a studiare un piano raffinato. Vista la spaccatura verticale tra falchi e colombe, nel caso il Pdl decidesse di togliere il sostegno al Professore una scissione parlamentare sarebbe inevitabile. Gente come Beppe Pisanu e Claudio Scajola, forse anche Franco Frattini, mollerebbero gli ormeggi continuando a votare la fiducia. Consentendo così al governo di andare avanti, anche con il resto del Pdl all´opposizione. A quel punto Berlusconi potrebbe “rifarsi una verginità” agli occhi dei suoi elettori, che al 70%, secondo gli ultimi sondaggi, disapprovano la politica del governo Monti. Inoltre il Pdl ricucirebbe la frattura con la Lega, ricostituendo l´asse del Nord. Un piano azzardato ma coerente. Con molti vantaggi agli occhi di Berlusconi. Non ultimo quello di dire addio a una riforma della legge elettorale di cui non è del tutto convinto. Sono in molti quelli che gli sussurrano all´orecchio che il “Violantellum” – di fatto un proporzionale corretto – consentirebbe al Pd di presentarsi da solo, senza essere schiacciato a sinistra sull´alleanza con Vendola e Di Pietro. E lascerebbe inoltre a Casini tutto l´agio di poter fare l´ago della bilancia dopo le elezioni, relegando il Pdl nella più assoluta marginalità. Molto meglio andare a votare a ottobre, con Monti che “tassa” da palazzo Chigi e il Porcellum che tiene legato Maroni al Cavaliere. Se ne parlerà dopo le amministrative, che nel Pdl danno ormai per perse quasi ovunque.

La Repubblica 05.05.12

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Emendamento pdl per cancellare il processo a Berlusconi. Concussione, pronta la norma salva-Ruby

Potrebbe incidere anche sul processo Ruby l´emendamento alla proposta del Governo sulla concussione, a firma di Francesco Paolo Sisto del Pdl. L´emendamento sostiene che esiste concussione solo se vi è effettivo passaggio di denaro che possa essere considerato un bene patrimoniale. Secondo la modifica dunque il reato di concussione si configurerebbe quando il pubblico ufficiale costringe qualcuno a promettere indebitamente denaro o altra utilità “patrimoniale”. Processo Ruby azzerato per legge. Grazie all´aggiunta di una sola parola, «patrimoniale». Via il reato di concussione se non è documentato un passaggio «di denaro o di altra utilità patrimoniale». Alla formula storica della concussione, «denaro o altra utilità», ecco l´aggiunta di quel «patrimoniale». Berlusconi, imputato di concussione nel processo Ruby per aver chiesto al funzionario di polizia Pietro Ostuni di liberare la ragazza nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, non ha versato «denaro o altra utilità patrimoniale». Quindi non è più imputabile. Come norma più favorevole deve essere applicata subito anche ai processi in corso e agli imputati coinvolti. Passerà alla storia di Montecitorio e del ddl anti-corruzione come l´emendamento Sisto. Dal proponente Francesco Paolo Sisto, noto avvocato barese, deputato del Pdl, componente della commissione Giustizia, tra i “ragazzi” di Niccolò Ghedini, l´avvocato del premier.
Scade il termine alla Camera per emendare il pacchetto del Guardasigilli Paola Severino ed ecco, tra le 139 proposte, la sorpresa. Appena 24 ore prima il capogruppo del Pdl Enrico Costa annunciava che il gruppo «ufficialmente non avrebbe presentato niente». Un modo per tenersi le mani “libere” in aula. Anche di affondare una legge sgradita. Costa non ne fa mistero («L´ipotesi Severino è seria, ma va ancora molto migliorata»), mentre circolano le ipotesi più svariate, perfino l´astensione al momento dei molti voti che si annunciano segreti.
Emendamenti di esponenti in vista nel Pdl. Di Sisto, ma anche di Manlio Contento, anche lui avvocato del gruppo Ghedini, come Costa e Sisto. Cambiamenti sistematici e invasivi da “terremotare” la riforma. Reati modificati, azzerati gli aumenti di pena soprattutto nei minimi, nuove formulazioni. Un altro testo. A partire dalla concussione, il reato più discusso. Sisto si sorprende: «Norma per Ruby? Ma a quel processo non ho pensato neppure per un nano secondo. Avevo in mente un mio caso dove all´imputato si contestava la concussione in cui l´utilità era aver garantito il consenso elettorale, un´assurdità. Se la sanzione è pesante, il reato commesso dev´essere grave».
Così lui e Contento emendano la corruzione. Pene più pesanti per abuso d´ufficio e peculato? Cancellate. Concussione distinta dall´indebita induzione? Eliminata. La corruzione per svolgere la funzione, tipica del funzionario a libro paga? Ridimensionata, perché i due sostituiscono quel «in relazione all´esercizio delle funzioni» con un più secco «per svolgere le sue funzioni». Il traffico di influenze? Soppresso, perché, dice Sisto, «si anticipa troppo la tutela penale rispetto al fatto compiuto». All´opposto Pd, Idv, Fli e Udc vogliono inasprire il ddl. Pene più alte e prescrizione più lunga (Pd), interdizione perpetua dai pubblici uffici e non candidabilità (Fli e Udc), corruzione tra privati anche se non c´è «nocumento» alla società (Pecorella). Un testo in alto mare. Un accordo impossibile.

La Repubblica 05.05.12

"Serve una risposta alla calamità sociale", di Chiara Saraceno

La tragica sequenza di suicidi di lavoratori e piccoli imprenditori che non hanno retto la vergogna di non riuscire più a provvedere ai propri cari, o di far fronte alle responsabilità nei confronti dei propri dipendenti, non è solo una somma di drammi individuali e familiari. E´ la spia che qualche cosa si sta rompendo irrimediabilmente nei patti privati e pubblici che tengono insieme il tessuto sociale. Per troppi uomini stanno venendo meno, o sono messe fortemente a rischio, le condizioni su cui basavano il rispetto di sé, il senso del proprio ruolo familiare e sociale. Essere in grado di provvedere alla propria famiglia fa parte del modo in cui è costruita l´identità maschile adulta nella nostra società. Si può discutere se questo sia giusto, se questa responsabilità non vada maggiormente condivisa. Ma non si può impunemente costruire un modello di società che dà per scontato quel tipo di modello, e poi minare la possibilità di realizzarlo, senza offrire alternative.
I suicidi dei piccoli imprenditori testimoniano anche di altri tipi di fratture. Nell´Italia della finanza allegra, degli imprenditori diventati finanzieri, dei partiti dai bilanci disinvolti, delle infinite discussioni sull´articolo 18 e dove sembra che la possibilità di licenziare sia la molla che farà ripartire l´economia, ci sono imprenditori che si sentono così responsabili del destino di chi lavora con loro da non riuscire a sopportare di non poter più pagare gli stipendi e dare lavoro ai propri dipendenti. E ciò che è più grave, molti di loro si trovano in questa situazione non perché hanno sbagliato strategia imprenditoriale, o perché non sono stati capaci di stare sul mercato, ma perché hanno crediti, spesso verso lo Stato, che non riescono ad esigere e perciò devono indebitarsi. Un circolo vizioso che alla fine li strangola.
Anche quando le cause possono essere individuate in circostanze oggettive, il suicidio, in ultima istanza, è sempre una decisione molto privata e per certi versi insondabile. Certamente non è una soluzione, salvo che per chi mettendo fine alla propria vita, si chiama, appunto, fuori. Per non parlare dello strazio di chi resta. Tuttavia, quando ci sono circostanze oggettive all´origine di una decisione così drammatica, esse interrogano anche le responsabilità altrui: lo Stato, il governo, il Parlamento. Le istituzioni non possono continuare a guardare la distruzione di fiducia che sta lentamente corrodendo la speranza e la voglia di vivere di troppe persone. Si è giustamente messa a fuoco la condizione giovanile come particolarmente importante, anche se neppure su quel fronte si vedono ancora iniziative incisive. Ma ci si è dimenticati di tutti quegli uomini e donne che, in età più matura, vedono messa a rischio la loro capacità di stare al mondo in modo adeguato e di far fronte alle proprie responsabilità. Anzi, è proprio su di loro che per lo più si scaricano i costi delle misure cosiddette anticrisi.
Sarebbe ora che lo Stato prendesse qualche iniziativa significativa per assumersi le proprie responsabilità di parte delle difficoltà che incontrano le imprese e soprattutto i piccoli imprenditori, soffocati dalla tenaglia di crediti inesigibili e debiti che non possono pagare. Una sospensione di parte o tutte le imposte per un certo periodo, per quelle imprese che sono produttive ma hanno problemi di liquidità potrebbe essere una prima strada. Lo si fa quando ci sono calamità naturali. Ma anche quella che stiamo vivendo è per molti, troppi, una calamità che va fronteggiata con strumenti adeguati e con tempestività.

La Repubblica 05.05.12

"Lo Stato del buon senso", di Michele Brambilla

Abituati come siamo a ragionare più con la pancia che con la testa, anche sulla questione delle tasse stiamo passando rapidamente da un estremo all’altro. Fino a pochi mesi fa, la categoria dei piccoli imprenditori era vista in blocco come un’associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Quando si diceva «piccolo imprenditore», l’esemplare tipo che veniva alla mente era un personaggio del cabaret, il Marco Ranzani di Cantù che parcheggia il Cayenne in seconda fila e denuncia nel 730 poche centinaia di euro di reddito. Fabbrichetta era sinonimo di furbetto. Non parliamo poi dei commercianti: la Guardia di Finanza non ha mai goduto tanta popolarità come nei giorni dei blitz a Cortina, Courmayeur, Capri e così via. Ma non appena sui media ha cominciato ad avere un po’ più di spazio l’epidemia di suicidi, siamo passati dall’indignazione alla commozione. L’associazione per delinquere è diventata di colpo quella Spectre statale Agenzia delle entrate, Equitalia eccetera – che accerta, contesta, esige.

E i piccoli imprenditori, le partite Iva e così via si sono trasformati immediatamente da ladri in «tartassati», secondo la definizione di un celeberrimo film di Totò. Possibile che in Italia sia sempre tutto bianco o tutto nero? Possibile che non si possano cogliere le sfumature, e capire che la vita non è un film con i buoni e i cattivi? Bastava un minimo di buon senso, prima, per capire ad esempio che i piccoli imprenditori non sono dei farabutti, ma una delle categorie effettivamente meno tutelate dal «sistema». Il piccolo imprenditore è uno che rischia i propri capitali, che non ha alcun paracadute quando gli affari vanno male, che non può contare su una giustizia civile che assicuri velocemente la riscossione dei crediti, che spesso viene pagato con mesi o anni di ritardo dalla pubblica amministrazione e che sicuramente è gravato da un peso fiscale eccessivo, a volte paralizzante.

Ma basterebbe un minimo di buon senso, ora, anche per distinguere chi è davvero in difficoltà per la crisi da chi pretende di continuare a beneficiare del Bengodi e dell’impunità dei tempi d’oro. Spiace dirlo, ma fra i protagonisti delle clamorose proteste di questi giorni c’è anche chi fabbricava fatture false e chi non pagava tasse chieste a tutti gli italiani (e non solo ai piccoli imprenditori) come il banalissimo canone della Rai. Ed è francamente inquietante che ieri un ex ministro abbia fatto visita in carcere, assicurandogli a nome della Lega la piena assistenza legale, a un uomo che ha tenuto in ostaggio, armi in pugno, persone inermi in un ufficio pubblico. Non è facendo un martire dell’imprenditore bergamasco Martinelli che si serve la causa della piccola impresa.

Sempre ieri a Bologna, alla manifestazione organizzata dalle vedove degli imprenditori suicidi, circolavano t-shirts con la scritta «Le tasse sono un furto». Sono il segno di un modo di pensare molto diffuso, che in Italia ha prosperato a lungo ed è fra i responsabili principali della crisi attuale. Se oggi lo Stato si sta facendo gendarme – e se tanti arrivano al suicidio – è anche perché per troppi anni c’è chi ha lasciato che a pagare le tasse fossero sempre gli altri.

La Stampa 05.05.12

"Quando la TV sarà indipendente", di Giovanni Valentini

In attesa dell´asta sulle frequenze tv, destinate a essere vendute e non più regalate a Rai e a Mediaset, c´è un terzo soggetto – per così dire collettivo – che opera già sul mercato e potrebbe anche organizzarsi per partecipare eventualmente alla gara. Sono i produttori televisivi indipendenti, riuniti nell´associazione Apt: dalla Lux Vide di Ettore Bernabei & Figli alla Taodue di Pietro Valsecchi, dalla Endemol Italia di Paolo Bassetti alla Palomar di Carlo Degli Esposti fino a Magnolia, fondata da Giorgio Gori e oggi controllata dal Gruppo De Agostini. Si tratta, per intenderci, delle aziende che forniscono fiction e intrattenimento, il “core business” della televisione, pubblica e privata: dalla fortunata serie del commissario Montalbano (Palomar) all´”Isola dei famosi” (Magnolia); dal “Grande Fratello”, “Che tempo che fa” e “Affari tuoi” (Endemol) a “Don Matteo”, “Guerra e pace” o “Coco Chanel” (Lux Vide), fino a “Titanic” della Dap Italy di Guido De Angelis che ha prodotto anche dieci stagioni di “Incantesimo”.
Considerando solo il segmento della fiction, si tratta di oltre 100 imprese che occupano quasi 100mila addetti. Queste aziende alimentano poi un indotto di industrie tecniche, oltre all´editoria audiovisiva (comprese le imprese di noleggio e vendita di dvd), per un totale di 200mila addetti. Un comparto, dunque, di tutto rispetto all´interno dell´universo televisivo.
Sono proprio i produttori indipendenti, in primo luogo, che possono contribuire a rinnovare e rilanciare la programmazione della tv generalista. Ma al momento la loro attività è fortemente condizionata da due fattori, uno di carattere normativo e l´altro amministrativo, che ne compromettono l´autonomia e la stessa sopravvivenza. Ed entrambi, naturalmente, giocano a favore dei broadcaster e contro quella “separazione verticale” che viene invocata da più parti, fra titolari delle reti e fornitori di contenuti, proprio in funzione di una maggiore articolazione del mercato e di una maggiore concorrenza.
Il primo punto da definire per legge, quindi, riguarda la titolarità dei diritti di sfruttamento di un´opera audiovisiva: questa, come avviene negli altri Paesi, deve spettare al suo autore e produttore che può concederli in uso per un periodo di tempo limitato e in base a una libera trattativa. Tanto più che oggi prodotti del genere possono essere utilizzati su piattaforme e mercati diversi, dalla tv digitale a quella satellitare, da Internet ai tablet.
L´altro fattore che condiziona l´attività di questo settore dipende dal mancato rispetto delle cosiddette “quote d´investimento”. Secondo la direttiva europea “Tv senza frontiere”, anche l´Italia ha stabilito nel 2007 che le emittenti televisive devono riservare almeno il 10% dei propri introiti annui “alla produzione, al finanziamento e all´acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti”. E per il servizio pubblico, anzi, la quota sale al 15% dei ricavi complessivi (abbonamenti e pubblicità).
Ma, nonostante che l´Autorità sulle Comunicazioni abbia adottato una delibera in tal senso (n.66/09), la norma non viene rispettata né dalla Rai né da Mediaset né tantomeno da Sky. Sicché nel 2010 il 75% delle produzioni indipendenti sono state commissionate dal broadcaster pubblico. Il risultato è che il duopolio impera anche in questo campo: con la propria forza contrattuale, le due principali emittenti continuano ad accaparrarsi in perpetuo tutti o quasi i diritti televisivi, sottraendoli di fatto alla disponibilità dei potenziali concorrenti.
Spesso, come si dice, la realtà supera la fantasia. Ma qui, evidentemente, è la fiction che ormai supera la realtà.

La Repubblica 05.05.12

"Nello show gli stessi argomenti di Berlusconi", di Massimo Adinolfi

Il mondo della giustizia non funziona, dice l’imputato Beppe Grillo. E ha ragione: chi sosterrebbe il contrario, che nei tribunali tutto fila liscio? Chi non inorridirebbe di fronte alle pile di faldoni che circolano barcollando sui carrelli, portati in giro per le aule di giustizia come moribondi su barrelle d’ospedale? Di fronte alle carceri che scoppiano, ai tempi biblici dei processi, alle piogge di prescrizioni: chi direbbe diversamente? Dunque, c’è poco da fare: non funziona. E l’imputato Grillo lo dice a voce alta. Alla sua maniera. In fondo, il formato è lo stesso dai tempi di «Te la do io l’America»: ora vado io in America e ti faccio vedere che razza di strambo paese all’incontrario è. Questa era la formula comica del programma televisivo che Grillo condussem negli anni ’80. Ed è esattamente allo stesso modo che funzionano le sue attuali performance: non più in televisione, ma sul web o in piazza (e, ieri, direttamente dal palazzo di giustizia). Grillo è lì che finalmente te la dà a vedere. E quel che ti dà a vedere è essenziale che sia paradossale, una roba che solo in un altro mondo, come l’America o il Brasile, o solo in quel mondo rovesciato che è l’Italia. Dove si
buttano milioni per una firma mancante sotto un pezzo di carta, o dove gli assassini sono a piede libero mentre i poveri cristi finiscono in manette. Così è andata anche ieri, durante il processo ai No-Tav. L’imputato Grillo ha criticato gli sprechi, le lentezze, le assoluzioni, le discrezionalità: tutto. È giunto persino a chiedersi perché, invece di giudici umani e processi
disumani, non si faccia tutto con le macchine, come se le sentenze potessero venir fuori dalle menti dei giudici al modo in cui un
distributore automatico espelle una Sprite. Che la valutazione di
giustizia richieda una finesse che le macchine non hanno evidentemente non lo sfiora, e non gli ci vuol molto a capovolgere quelle finesse in volgare grossolanità. Ma il punto vero è un altro. Grillo non è toccato nemmeno dal fatto di usare gli stessi
argomenti adoperati da Berlusconi o dai suoi avvocati; d’altra parte, è vero che se un argomento è buono non diventa cattivo per il solo fatto che passa da una bocca all’altra. Ma come Berlusconi non sono solo gli argomenti. Certo, Grillo non ha ancora detto che i magistrati sono tutti comunisti, ma è chiaro che per lui sono tutti qualcosa: sono per esempio tutti casta, tutti ceto privilegiato, tutti anime morte: che non li chiami comunisti o toghe rosse, forse, cambia il modo di mettere a fuoco il bersaglio, non la maniera di colpirlo.
No, il punto è che Grillo, come Berlusconi, parla nella condizione di imputato. Di bazzecole, a cospetto del Cavaliere, ma sta il fatto che ha atteso di essere imputato per fare lo show in tribunale. Per dire «te la dò io la giustizia» ha aspettato di finirci dentro, così la macchina retorica funziona meglio. Non è dunque come Berlusconi, che parla per delegittimare le procure e
chiamarsi fuori. Lui ci vuole stare dentro, ma sempre per
una finalità diversa dalla difesa del suo diritto, o del diritto in
genere. Cioè per gridare più forte e far saltare tutti sulle sedie, mica per promuovere una civile discussione. Ogni volta che Grillo parla si sente un perentorio (e reazionario, posso dirlo?): basta con le discussioni. In verità, un altro, che finì sotto processo, disse una volta: «Oportet ut scandala eveniant». Ma era Gesù Cristo, e anche se a volte per la barba o per altro viene il sospetto che Grillo si senta come lui, non pare che sia la stessa cosa. Proprio no.

L’Unità 04.05.12