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Interpellanza PD per tutelare il patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, con particolare riferimento all'idoneità dell'attuale direttore della biblioteca

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
la Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini è la più antica biblioteca di Napoli, un’istituzione culturale statale con un’importantissima dotazione libraria; è stata aperta al pubblico nel 1586, è specializzata in filosofia e teologia cristiana ed è parte del complesso della chiesa dei Girolamini;
l’edificio che la ospita fu ridisegnato nel Settecento; il suo status attuale di biblioteca statale è lo stesso fin dal Cinquecento, quando fu destinata alla frequentazione e consultazione pubblica; è nota, tra l’altro, per essere stata assiduamente frequentata da Giambattista Vico, le cui spoglie riposano nell’attigua chiesa;
la biblioteca custodisce circa 159 mila titoli, prevalentemente antichi, tra cui 120 incunaboli, 5.000 cinquecentine, numerosi manoscritti, di cui circa 6.500 riguardanti composizioni e opere musicali dal XVI al XIX secolo;
il patrimonio comprende anche il ricchissimo fondo librario della collezione privata di Giuseppe Valletta (18.000 volumi circa, con edizioni rare del XVI e XVII: classici della letteratura greca e latina, storia e filosofia), un’acquisizione che i padri oratoriani portarono a termine proprio su consiglio di Giambattista Vico; altri fondi librari pregevoli conservati al suo interno sono il Fondo Agostino Gervasio, il Fondo Filippino e il Fondo Valeri;
il terremoto del 1980 determinò l’utilizzo di locali come ricovero per sfollati; da allora è iniziata un’epoca di abbandono; l’istituzione versa attualmente in stato di grave degrado, così come denunciato più volte dagli organi di stampa e dagli operatori culturali;
secondo una stima approssimativa, con varie denunce di giornali e studiosi, tra il 1960 e il 2007 sarebbero spariti dalla biblioteca migliaia di volumi; più di recente, l’attuale direttore della biblioteca, Marino Massimo De Caro, ha denunciato la scomparsa di 1500 volumi;
nei giorni scorsi, sul quotidiano Il Fatto Quotidiano è comparso un articolo dello studioso Tomaso Montanari, che denunciava di aver visitato la Biblioteca dei Girolamini, oggi chiusa al pubblico per necessità di riordino, e di averla trovata in condizioni di totale abbandono: disordine, polvere, libri antichi e preziosi accatastati;
dall’articolo è scaturita una petizione indirizzata al Ministro per i beni e le attività culturali e firmata da duemila di illustri esponenti del mondo della cultura (tra loro il premio Nobel Dario Fo, Carlo Ginzburg, Salvatore Settis, Tullio Gregory, Gustavo Zagrebelsky, Gioacchino Lanza Tomasi, Adriano La Regina, Gian Giacomo Migone, Alessandra Mottola Molfino, Lamberto Maffei, Dacia Maraini, Stefano Parise, Stefano Rodotà, Rosario Villari), con cui si denuncia «lo stranissimo e increscioso affare che riguarda l’attuale direzione della Biblioteca Nazionale dei Girolamini a Napoli» chiedendo «come sia possibile che la direzione dei Girolamini sia stata affidata a un uomo (Marino Massimo De Caro) che non ha i benché minimi titoli scientifici e la benché minima competenza professionale per onorare quel ruolo»;
nella petizione, si fa esplicito riferimento anche ad altri aspetti del profilo personale e professionale dell’attuale direttore De Caro, considerato dai firmatari del documento «del tutto estraneo al mondo della biblioteconomia e della funzione pubblica, con curiose implicazioni con i libri, che lo portano tuttavia nel mondo del commercio»; e si chiede di «riconsiderare con molta attenzione la scelta di De Caro come direttore dei Gerolamini, e di creare una commissione pubblica d’inchiesta sull’amministrazione passata e recente di questa biblioteca, prima che la memoria storica dei Gerolamini rimanga affidata soltanto a una maestosa architettura ferita e umiliata, tragicamente solitaria nel cuore di una rete mondiale di traffici rapaci»;
anche il Corriere della Sera, con un articolo di Gian Antonio Stella, è tornato sul tema, associandosi alla denuncia del docente Tomaso Montanari; Stella si chiede come sia possibile che a dirigere uno dei santuari della cultura italiana sia uno dei mediatori nell’affare del petrolio venezuelano, titolare di una libreria antiquaria a Verona, e socio della libreria antiquaria a Buenos Aires (la «Imago Mundi») di Daniel Guido Pastore, coinvolto in Spagna in un’inchiesta su una serie di furti alla Biblioteca Nazionale di Madrid e alla Biblioteca di Saragozza;
l’articolo del Corriere della Sera denuncia anche che il direttore De Caro, diversamente da quanto da lui dichiarato, non risulta laureato presso l’università di Siena, dove «si iscrisse a Giurisprudenza nel 1992-1993, restando iscritto fino al 2002», senza terminare gli studi; allo stesso modo il direttore De Caro, secondo la denuncia del giornalista Stella, non risulterebbe essere mai stato docente all’università di Verona, come avrebbe invece dichiarato -:
come si intenda intervenire per garantire e tutelare l’immenso patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, attualmente in condizioni di intollerabile degrado;
se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa sulla denuncia di alcuni importanti giornali italiani rispetto alle condizioni di degrado della Biblioteca e rispetto alla presunta inadeguatezza del direttore De Caro, se esista una stima dei danni e dei furti subiti negli anni dalla Biblioteca, con la conseguente scomparsa di antichi e pregiatissimi libri, e quali siano le ragioni che lo hanno spinto a dare fiducia al sopra menzionato De Caro per un ruolo di così grande importanza;
se e come Ministro interpellato intenda rispondere all’appello degli studiosi italiani rispetto alla necessità di una guida più autorevole e di un progetto di tutela della biblioteca.
(2-01455)
«Bossa, Andrea Orlando, Lenzi, Sarubbi, Gozi, Amici, De Biasi, Pes, Madia, Murer, Gatti, Albini, Cenni, Zaccaria, Sereni, Vaccaro, Piccolo, De Micheli, Bachelet, Coscia, Picierno, Rossa, Zampa, Lo Moro, Codurelli, Giulietti, Ginefra, Marini, Colombo, Concia, Mario Pepe (PD), Giorgio Merlo, Nannicini, Strizzolo, De Torre, Servodio, Lulli, Ciriello, Mazzarella, Cuomo, Iannuzzi, Farina Coscioni, Capano, D’Antona, De Pasquale, Miotto, Levi, La Forgia, Oliverio, Rampi, Tempestini, Boffa, Bonavitacola».

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PRESIDENTE. L’onorevole Bossa ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01455, concernente iniziative per tutelare il patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, con particolare riferimento all’idoneità dell’attuale direttore della biblioteca (vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti).
LUISA BOSSA. Signor Presidente, la Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini è la più antica biblioteca di Napoli, un’istituzione culturale statale con un’importantissima dotazione libraria. È stata aperta al pubblico nel 1586, è specializzata in filosofia e teologia cristiana, ed è parte del complesso della chiesa dei Girolamini. L’edificio che la ospita fu ridisegnato nel Settecento. Il suo status attuale di biblioteca statale è lo stesso fin dal Cinquecento, quando fu destinata alla frequentazione e consultazione pubblica. È nota, tra l’altro, per essere stata assiduamente frequentata da Giambattista Vico, le cui spoglie riposano nell’attigua chiesa.
Questa biblioteca custodisce circa 159 mila titoli, prevalentemente antichi, tra cui 120 incunaboli, 5.000 cinquecentine, numerosi manoscritti, di cui circa 6.500 riguardanti composizioni e opere musicali dal XVI al XIX secolo. Il patrimonio, poi, comprende anche ricchissimi fondi privati, fondi librari (18.000 volumi circa) e acquisizioni che i padri oratoriani portarono a termine proprio su consiglio di Giambattista
Vico. Il terremoto del 1980, come sappiamo, determinò l’utilizzo di locali come ricovero per sfollati. Da allora è iniziata un’epoca di abbandono. Secondo una stima approssimativa, uscita anche su tanti giornali importanti, anche per l’attenzione che gli studiosi hanno posto su questa biblioteca, tra il 1960 e il 2007 sarebbero spariti dalla biblioteca migliaia di volumi. Anzi, più di
recente, l’attuale direttore della biblioteca, Marino Massimo De Caro, ha denunciato la scomparsa di 1500 volumi. Chi ha visitato la biblioteca, che fino a questa mattina è stata chiusa al pubblico e poi sono arrivati i Carabinieri, come ella sa, denuncia di averla trovata in condizioni di totale abbandono. Da tutto ciò è scaturita una petizione indirizzata a lei, signor Ministro, con cui si denuncia « lo stranissimo e increscioso affare che riguarda
l’attuale direzione della Biblioteca nazionale dei Girolamini a Napoli » e in cui si chiede « come sia possibile che la direzione dei Girolamini sia stata affidata a un uomo (Marino Massimo De Caro) che non ha i benché minimi titoli scientifici e la benché minima competenza professionale per onorare quel ruolo ».L’altro giorno anche il Corriere della Sera è tornato sul tema. Nell’articolo ci si chiede come sia possibile che a dirigere uno dei santuari della cultura italiana sia uno dei mediatori nell’affare del petrolio venezuelano, titolare di una libreria antiquaria a Verona, socio della libreria antiquaria a Buenos Aires (la « Imago Mundi ») di Daniel Guido Pastore, che sappiamo essere coinvolto in Spagna in un’inchiesta su una serie di furti alla Biblioteca Nazionale di Madrid e alla Biblioteca di Saragozza. È di stamattina la notizia che la biblioteca all’alba di oggi è stata sequestrata dai Carabinieri del nucleo del patrimonio artistico su disposizione della Procura di Napoli.
Alle 11 di oggi era prevista la conferenza stampa sull’apertura della biblioteca ai visitatori, che è stata annullata. Allora noi le chiediamo, ed io le chiedo, signor Ministro, come intenda intervenire per garantire e tutelare l’immenso patrimonio storico e culturale di questa biblioteca, se esiste una stima dei danni e dei furti subiti dalla Biblioteca – con la scomparsa naturalmente di antichi e pregiatissimi libri –, quali sono le ragioni che l’hanno spinta, signor Ministro, a dare fiducia a questo signor De Caro per un ruolo di così straordinaria importanza, e se – e come – intende rispondere all’appello degli studiosi italiani rispetto alla necessità di una guida più autorevole e di un progetto di tutela della biblioteca.

PRESIDENTE. Il Ministro per i beni e le attività culturali, Lorenzo Ornaghi, ha facoltà di rispondere. LORENZO ORNAGHI, Ministro per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, con riferimento alla interpellanza presentata dall’onorevole Bossa e altri, con la quale gli onorevoli interpellanti, a seguito di denunce di studiosi e di articoli di giornali, sollecitano di conoscere come e se il Ministero sia intervenuto e intenda intervenire per garantire e tutelare il grande patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, chiedendo nel contempo informazioni rispetto alla nomina dell’attuale direttore della biblioteca, la mia risposta si articola in quattro punti.
Il primo punto attiene al regime che regola i rapporti tra il Ministero e le biblioteche annesse ai monumenti nazionali. Il secondo punto attiene alla disciplina delle nomine. Il terzo alla cronistoria della successione dei vertici della biblioteca ed infine il quarto punto concerne gli interventi in atto.
Quanto al primo punto, ossia allo specialissimo regime che regola le biblioteche annesse ai monumenti nazionali, il patrimonio
artistico, monumentale e librario degli undici monumenti nazionali presenti sul territorio nazionale, tra cui quello dei Girolamini di Napoli, fino all’Unità d’Italia era proprietà della rispettiva Curia. Dopo l’unificazione dell’Italia, la legge n. 3096 del 1866 dichiarò l’obbligo per lo Stato italiano di conservare, dopo la soppressione degli ordini monastici, alcuni siti monumentali ecclesiastici, che furono esclusi sia da possibili vendite, sia dalla conversione ad altri usi. Il Regio Decreto del 7 luglio 1866, n. 3036, per la soppressione delle corporazioni religiose, stabilì, all’articolo 24, che: « I libri e i manoscritti, i documenti scientifici, gli archivi, i monumenti, gli oggetti d’arte o preziosi per antichità che si troveranno negli edifici appartenenti alle Case religiose e agli altri enti morali colpiti da questa o da precedenti leggi di soppressione, si devolveranno
a pubbliche biblioteche ». L’ordinario funzionamento dei monumenti
nazionali fu oggetto di un compromesso tra Stato e Santa Sede. In particolare, le attività di gestione furono affidate all’ordine religioso che da sempre aveva gestito i monumenti. La nomina del conservatore del monumento nazionale, proposto dall’ordine, doveva invece essere ratificata da parte dello Stato. Tuttora, la nomina del conservatore del monumento nazionale viene ratificata dalla Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee del mio Ministero. Del tutto diversa, invece, è la situazione per quanto attiene alla eventuale nomina del direttore della biblioteca. Ciò vale in generale per le biblioteche dei monumenti nazionali e, nello specifico, per la Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini, come dirò subito.
Per quanto concerne il secondo punto, ai sensi dell’articolo 8 della convenzione rinnovata nel 2011-2012 tra il Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d’autore – e il monumento nazionale dei Girolamini per il funzionamento della biblioteca, approntata a norma della legge 2 dicembre 1980, n. 803, il conservatore può nominare tra i religiosi della comunità il direttore della biblioteca.
L’articolo 8 di tale convenzione così recita: « Il conservatore può nominare, tra i religiosi della comunità, il direttore della biblioteca, tale funzione riveste carattere onorifico e gratuito, e per il suo svolgimento non è comunque possibile corrispondere
fondi erariali ad alcun titolo pervenuti alla biblioteca. Ferma restando ogni sua responsabilità relativa alla gestione amministrativa e contabile, all’amministrazione del personale e alla cura e custodia dei locali della biblioteca e di quanto in essi contenuto, il conservatore può delegare compiti e funzioni al direttore della biblioteca.
Il potere di firma degli atti a rilevanza esterna non è delegabile, salvo autorizzazione ministeriale » (fine dell’articolo 8). Dalla predetta convenzione si evince, dunque, l’esclusiva competenza del conservatore nella nomina del direttore della biblioteca, non essendo previsto per tale nomina, ad alcun titolo, l’intervento del Ministero.
Vengo ora a ricostruire i concreti avvicendamenti dei vertici della biblioteca. Il monumento nazionale dei Girolamini, fino al 12 maggio 2009, è stato gestito da padre Giovanni Ferrara, venuto a mancare nell’aprile del 2010, il quale dal 1971 ha svolto, presso la struttura, la funzione di direttore della biblioteca e che, alla morte nel 1984 del conservatore padre Ugo Oggè, ha assunto anche quella di conservatore del monumento nazionale, carica che già ricopriva come conservatore facente funzioni, considerato lo stato di malattia di padre Oggè.
In data 20 marzo 2009, il procuratore generale della Confederazione Oratoriana di San Filippo Neri, sacerdote dottor. Edoardo Aldo Cerrato, affidò l’incarico di conservatore del monumento nazionale dei Girolamini al padre Sandro Marsano che, a sua volta, nominò quale direttore della biblioteca il dottor Alberto Bianco, figura laica, ma appartenente alla Confederazione Oratoriana di San Filippo Neri.
In data 15 febbraio 2011 il conservatore Marsano ha comunicato alla direzione del Ministero le avvenute dimissioni da direttore della Biblioteca del Dottor Alberto Bianco.
In data primo giugno 2011, il conservatore della biblioteca Oratoriana ha comunicato alla direzione generale del Ministero
che sarebbe stato nominato come direttore della biblioteca il signor Marino Massimo de Caro, il quale – cito puntualmente dalla lettera di comunicazione – « si è mostrato ben disposto a mettere a servizio, anche solo temporaneo, la sua professionale competenza al servizio della nostra biblioteca ».
Il direttore generale del Ministero, dottor Maurizio Fallace, proprio perché il Ministero non ha alcuna competenza nella nomina del direttore della biblioteca, ha risposto, in data 2 giugno 2011, prendendo semplicemente atto di quanto comunicato e aggiungendo, cito, che « tenuto conto della mancanza di professionalità nell’ordine monastico e che da tempo la signoria
vostra – il conservatore – svolge funzioni di direttore ad interim e nelle more del reperimento di un bibliotecario al quale conferire le titolarità in via definitiva, si prende atto e si resta in attesa di ricevere copia del provvedimento ».
Nel momento della nomina a direttore della biblioteca, il signor Marino Massimo de Caro era consulente del Ministro pro tempore, con nomina in data 15 aprile 2011. Tale incarico è stato da me riconfermato in data 15 dicembre 2011. Aggiungo a margine che ho provveduto alla stragrande conferma dei precedenti consulenti,
salvo omologare le indennità uguagliandole. Con riferimento alle vicende in corso, informo la Camera che il signor Marino Massimo de Caro, con lettera del giorno 17 aprile ultimo scorso, si è autosospeso dall’incarico di consulente fino al completamento di ogni tipo di indagine. La quarta parte è la più attuale. Prima ancora dell’appello, sottoscritto da numerosi esponenti della cultura e richiamato nell’interpellanza, il segretario generale del Ministero dispose, in data 23 febbraio 2012, una visita ispettiva. Interventi ispettivi erano stati effettuati, per le ragioni che dirò, anche in anni precedenti. Tra questi interventi annovero le ispezioni disposte dalla direzione generale e le richieste di informative ai conservatori pro tempore ai fini di verificare – questo era l’oggetto dell’ispezione – la sistemazione degli atti amministrativi, contabili e inventariali. Da tali interventi sono emersi, in sintesi, oltre alla non rendicontazione della contabilità speciale dal 1981 al 1994, la mancata compilazione e il mancato invio dei modelli 15 (ossia il prospetto riassuntivo delle variazioni intervenute nell’anno del materiale
considerato immobile agli effetti dell’articolo 7 del Regolamento di contabilità generale dello Stato), omissioni che costituiscono una grave inadempienza da parte dell’Istituto, non solo per il controllo della corretta tenuta delle scritture inventariali, ma soprattutto per la custodia dei beni dello Stato.
Da ultimo, quest’oggi, come ricordava anche l’onorevole interpellante, sono stati comunicati il sequestro conservativo della Biblioteca, disposto dall’autorità giudiziaria napoletana, e la contestuale nomina del direttore della Biblioteca nazionale di Napoli, dottor Mauro Giancaspro, quale custode giudiziario. Tutto questo ci rassicura e attendiamo pertanto sereni l’esito delle indagini penali e amministrative, di cui terrò informato il Parlamento in maniera tempestiva.

PRESIDENTE. L’onorevole De Biasi, cofirmataria dell’interpellanza, ha facoltà di replicare.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio per la risposta tempestiva, peraltro mi auguro che ci sarà un’analoga risposta scritta in Commissione all’interrogazione
che ho presentato, che propone anche altre domande. Sono parzialmente soddisfatta, anche per un elemento che lei non
conosce, che è appena uscito sulle agenzie di stampa, cioè che il signor De Caro è ufficialmente indagato. È stata fatta una perquisizione nella sua casa e sono stati trovati diversi volumi e le inchieste della magistratura immagino che ne accerteranno la provenienza. Quindi, rispetto alla notizia che lei ci ha dato dell’autosospensione del signor De Caro, mi permetto di rilevare che un’autosospensione non è sufficiente, data la situazione, ma credo che sarebbe necessaria una revoca dell’incarico. Ciò anche perché, come recita un comunicato stampa del MIBAC, il signor Massimo De Caro è stato chiamato a collaborare con il Ministero per i beni e le attività culturali in qualità di consulente esperto per l’approfondimento delle tematiche relative alle relazioni con il sistema impresa nei settori della cultura, dell’editoria, nonché delle tematiche connesse all’attuazione della normativa concernente autorizzazione e costruzione all’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e al loro concreto inserimento nel paesaggio. Ora io capisco tutto, ma la relazione e la compatibilità fra i libri, il petrolio, le fonti rinnovabili e quant’altro e il paesaggio, oggi è difficilmente immaginabile. Tuttavia, ormai tutto è possibile. Quindi, la persona in questione non ha i titoli. Credo che occorra anche accertare quello che dicono alcune testate nazionali, cioè che egli sia privo anche dei requisiti minimi di accesso ad alcuni incarichi, per esempio il titolo di laurea, per non parlare di quelli relativi a studi di biblioteconomia e di paleografia, perché
andremmo troppo sul raffinato. Quindi, signor Ministro, sinceramente la inviterei, apprezzando molto la tempestività con cui si è agito per tutelare il bene inestimabile della Biblioteca dei Girolamini, a prestare complessivamente un’attenzione maggiore
al tema delle consulenze, perché è evidente che tutto il lavoro importante che viene svolto e gli atti importanti che vengono fatti, rischiano di essere vanificati da un sistema di consulenze che non sempre sono trasparenti nelle loro motivazioni. Capisco che lei ha ereditato con un gentlemen agreement una serie di incarichi, e penso che sia arrivato anche il momento di fare una sorta di verifica complessiva. Quanto alla Biblioteca dei Girolamini, attendo di conoscere se sia vero quanto scritto da alcuni giornali della incuria complessiva, cioè se è vero che ci sono lattine di Coca Cola in giro – lei capisce che se cade una sola goccia di Coca Cola su un manoscritto del Cinquecento il disastro è irreparabile – se è vero che ci sono in giro le deiezioni canine, se sono infondate le notizie di stampa. Certo è che, con tutto il rispetto per la congregazione, che naturalmente ha la sua autonomia, essendo un patrimonio pubblico statale – aggiungo non solo pubblico, ma pubblico statale – credo che sia dovere anche della congregazione – mi permetto di aggiungere
alle sue parole – assolvere ad una funzione pubblica, cioè mantenere, indipendentemente dai livelli delle direzioni, un livello di decoro e soprattutto di aprire finalmente al pubblico questo inestimabile tesoro. Come lei ha detto, non soltanto oggi è stata revocata la possibilità di visita al pubblico, ma sappiamo che le visite al pubblico erano possibili solo in alcune parti.
La verità è che questa biblioteca non è accessibile agli studiosi e questo non è, francamente, accettabile. Detto questo, la ringrazio di nuovo e spero che vi saranno sviluppi positivi.

www.camera.it

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“Napoli, sotto sequestro la biblioteca di Vico”, di Antonio DI COstanzo

Indagato il direttore del complesso dei Girolamini: ha sottratto dei testi antichi. Scomparsi negli anni 1500 volumi. Alcuni sono stati trovati in una casa del dirigente. Libri trafugati, testi preziosi portati via nella notte. Quella di ieri è un´altra pagina nera per il patrimonio culturale e storico di Napoli. L´antica biblioteca dei Girolamini finisce sotto sequestro conservativo. La procura interviene per impedire nuovi scempi. Per fermare il saccheggio che va avanti dagli anni del terremoto. Massimo De Caro, che fino a ieri ne era direttore, finisce sotto inchiesta. L´ex librario antiquario, legato a Marcello Dell´Utri, è accusato di aver trafugato libri dagli scaffali, averli ficcati in borsoni e scatoloni, e di esserseli portati via. Non si tratta di libri qualsiasi, ma di antichi volumi saccheggiati nella biblioteca tanto cara a Giambattista Vico. Biblioteca che conserva circa 160 mila testi, tra volumi e opuscoli religiosi e letterali del Seicento e Settecento napoletano. Un patrimonio dell´umanità che negli anni ha visto sparire nel nulla almeno 1500 “pezzi”. Tutti dal grande valore. Roba da collezionisti, da bibliografi.
La bufera giudiziaria si abbatte sulla biblioteca dei Girolamini con i carabinieri che affiggono l´avviso di sequestro del locale a poche ore dalla conferenza organizzata dai padri Oratoriani, ai quali è affidata custodia e gestione del complesso, per replicare alla petizione promossa da storici e intellettuali per la salvaguardia della biblioteca. I pm Michele Fini e Antonella Serio vogliono evitare il rischio che spariscano altri libri e con essi le prove su quanto già portato via. Indagini delicata quella coordinata dal procuratore Giovanni Melillo e condotta dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale. Pesanti le accuse nei confronti del consulente dell´ex ministro Galan: si va dal peculato alla distruzione di documenti. Oltre a rubare i libri, infatti, secondo gli inquirenti, De Caro e complici avrebbero distrutto anche le schede dei volumi per cancellare ogni traccia del furto. Contro l´ex direttore ci sono anche otto riprese video. Nelle immagini lo si vedrebbe mentre con alcuni complici porta via i volumi.
Raid che avvenivano a tarda sera e di notte. Incursioni registrate dalle telecamere del sistema di video sorveglianza da due fratelli. Lavorano da anni nella biblioteca di via Duomo e attraverso Internet possono connettersi in qualsiasi momento dalla loro abitazione al sistema di video sorveglianza installato nel complesso. Nelle immagini si vede De Caro, all´interno della biblioteca, insieme ad altre persone. Hanno con loro scale, carrelli, scatoloni: li riempiono e li portano all´esterno. I due fratelli, vanno anche oltre. Guardano, annotano e segnalano tutto agli inquirenti. Raccontano anche di aver visto con i loro occhi l´ex direttore introdursi la sera in compagnia di altre persone per prelevare testi dagli scaffali e caricarli poi su alcuni veicoli lasciati in sosta a pochi passi dal Duomo. L´ex manager riceveva le chiavi da Padre Sandro Marsano, conservatore della biblioteca stessa. I carabinieri hanno perquisito le case di De Caro, a Napoli e Verona, e quelle di padre Marsano che comunque non risulta indagato. Quello dei pm è un provvedimento scattato anche perché le incursioni notturne, come ha denunciato uno dei testimoni, erano ancora in corso: De Caro sarebbe stato notato all´interno della biblioteca anche mercoledì scorso quando, tra l´altro, il sistema di video sorveglianza, sarebbe stato manomesso. Durissimo il commento del musicologo Roberto De Simone che ieri era presente nel complesso dei Girolamini: «È un monumento di portata mondiale, ma quando mai Bassolino o Iervolino sono venuti a visitarli? Mi vergogno di quello che accade in questa città. Mi viene voglia di non pagare più la tasse».

La Repubblica 20.04.12

Unioni di fatto dal Colle stop alle polemiche: «Serve una legge», di Marcella Ciarnelli

Il Parlamento legiferi per dare «puntuale regolamentazione» alle coppie di fatto, anche quelle omosessuali. Così il Quirinale che è stato coinvolto nelle polemiche successive alla sentenza della Cassazione sui matrimoni gay. Al lavoro per le riforme. Quelle che dovrebbero riuscire a portare il Paese fuori dalla crisi seguendo il percorso, pur doloroso, di stabilizzazione economica e quelle che viaggiano in parallelo, altrettanto necessarie, della politica e delle istituzioni su cui il Parlamento è dai fatti chiamato ad un intervento tempestivo. Riforme della politica che hanno in sè la potenzialità di stabilizzare il Paese e migliorare la percezione complessiva delle istituzioni. Un argomento anche questo affrontato nel colloquio tra il presidente della Repubblica e il premier nel corso del colloquio di un’ora e mezza dedicato non solo questioni economiche.
I DIRITTI
Ma, a proposito del ruolo che il Parlamento deve avere, il presidente della Repubblica ha deciso di rendere noto il suo carteggio con i senatori Gasparri e Giovanardi e con le deputate Concia e Alfano, a proposito delle unioni di fatto, comprese quelle omosessuali dato che «sono all’esame delle Camere più proposte di legge in materia e ad esse spetta comunque dare puntuale regolamentazione» a situazioni che riguardano più di seicentomila coppie in Italia che sovente si trovano davanti a condizioni di oggettiva difficoltà per il mancato riconoscimento di diritti nella costanza di un rapporto.
Nel giorno in cui al Senato è stato presentato un disegno di legge bipartisan sulle «modifiche da apportare al codice civile» per arrivare anche nel nostro ordinamento all’introduzione di «un accordo di unione solidale» ed alla Camera è partito l’iter in Commissione giustizia per unificare i disegni di legge in materia di unioni di fatto depositati da tempo, è riesplosa la polemica.
Ad innescarla hanno provveduto i senatori Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi che avevano pensato bene di far arrivare fino al Colle il loro sdegno davanti alla sentenza che la Corte di Cassazione aveva emesso in marzo a proposito di un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso «non trascrivibile» ma non mancando di fare intendere come ci si trovi di fronte ad una questione da affrontare. Finalmente. E poi di rendere nota ieri la loro interpretazione della risposta, peraltro riservata, arrivata da Napolitano, a firma del segretario generale della Presidenza, Donato Marra che ha provveduto a rispondere anche alle onorevoli Paola Concia e Sonia Alfano che avevano contestato l’iniziativa dei due senatori tornando a richiedere che in materia ormai si arrivi ad una legge.
LE RISPOSTE
Il Quirinale non è entrato nel merito della questione vissuta, ovviamente, con opposti punti di vista ma ha ai due senatori ha provveduto a specificare che «non pare che i giudici con il loro provvedimento abbiano voluto sostituirsi al legislatore o interferire sulle scelte che solo ad esso spettano» mentre alle due deputate che avevano criticato la missiva Gasparri-Giovanardi perché il presidente «non va tirato per la giacchetta», Concia ancora ieri.«Ai senatori Gasparri e Giovanardi ha scritto Marra ho fatto presente che, fermo il diritto di critica spettante a chiunque in relazione ai provvedimenti della magistratura, non pareva, al Capo dello Stato, che la sentenza avesse inteso interferire sulle scelte del legislatore. Come la pronuncia della Cassazione ha affermato in più punti, compete infatti esclusivamente alla discrezionalità degli Stati prevedere o meno il matrimonio tra coppie omosessuali e, per l’effetto, valutare, come ha stabilito di recente la Corte Europea dei diritti dell’uomo, se “stabilire diritti differenti tra coppie sposate e coppie dello stesso sesso che non possono contrarre matrimonio”» possa costituire una violazione del diritto.

L’Unità 20.04.12

"Francia al voto. La sinistra italiana aspetta il vento di Hollande" di Lucia Annunziata

Nelle urne francesi che si aprono domenica avvertiremo anche un assaggio di elezioni in Italia. François Hollande, unico leader di sinistra rimasto in Europa a dire «qualcosa di sinistra», è ufficialmente l’occasione che la sinistra italiana aspetta, il movimento del pendolo che fa cambiare gli equilibri di forza, una nuova locomotiva europea, cui molti Paesi, a iniziare proprio dall’Italia, potrebbero attaccare i loro vagoncini. Con il suo programma di vigorosa spesa pubblica e ridistribuzione delle risorse, partendo da una patrimoniale ad ampio spettro, Hollande è oggi la speranza per il Pd, ma anche per il Sel e molte altre forze, di poter fare in Europa, coperti dalla Francia, quella battaglia che la sinistra non può fare in Italia, per senso di responsabilità e per timore di dividersi.
Solita illusione (e quante volte la sinistra italiana l’ha coltivata nei confronti dei colleghi francesi)? O stavolta qualche spazio c’è perché si apra effettivamente un nuovo gioco in Europa?
Le risposte sono molteplici, e dipendono da molte componenti, non ultime le evoluzioni possibili dentro il governo Monti, arrivato a dover scegliere, pressato dagli eventi, un profilo più politico di quanto abbia tenuto nei suoi primi cinque mesi.
In effetti con Hollande rientra sulla scena della sinistra un candidato come non si vedeva da tempo: figura per nulla di rottura, anzi figlio delle strutture di partito, parte integrante delle élite del suo Paese, ma anche di «sinistra». Il suo programma rompe con trent’anni di programmi liberisti come uniche formule possibili per far marciare l’Occidente. Rompendo così anche l’incantesimo che per altrettanti anni la stessa sinistra ha subito nei confronti delle ricette liberiste. Una conversione che il candidato socialista ha, per così dire, in casa: ha ricevuto l’ investitura anche della sua ex moglie Ségolène Royal, che solo nel 2007 sfidò Sarkozy impugnando «l’idolatria fiscale» e «l’ossessione per le regole» di cui soffriva una parte secondo lei minoritaria della sinistra.
Oggi è un po’ fuori moda ricordarlo, ma la famosa terza via che segna il periodo d’oro della sinistra in Occidente, negli anni Novanta, con Blair in Uk, Clinton in Usa, Jospin in Francia, Gerhard Schrö der in Germania e Prodi e D’Alema in Italia, fu costruita proprio sullo sdoganamento del mercato a sinistra.
Così oggi si potrebbe dire che con Hollande si immagina una terza via al contrario. Del resto, i risultati elettorali in Occidente tendono ad avere una loro onda lunga. E sicuramente un cambiamento di posizioni della Francia, costituirebbe una forte novità negli assetti europei attuali. Il programma di Hollande è un bel chiodo piantato nell’asse Merkel-Sarkozy su cui si sostiene l’equilibrio europeo.
Alla obbedienza rigorista della Merkel, alla sua piena osservanza dei dettami della Bundesbank, Hollande oppone lo scontro frontale con le banche considerate una delle cause del crac finanziario internazionale: nella sua proposta alle banche francesi sarà vietato operare nei paradisi fiscali, le stock option potranno essere date solo dalle imprese nascenti, l’imposta sui profitti degli istituti di credito crescerà del 15% e sarà introdotta la tassa sulle transazioni finanziarie, la famosa Tobin Tax. Una forte tassa patrimoniale (il 75% sui redditi oltre il milione di euro) completa un quadro di ridistribuzione della ricchezza sociale, in cui il denaro per aumentare la spesa sociale in vari campi viene dai redditi più alti e dalle rendite. Tra le altre cose cui le nuove risorse dovrebbero essere dedicate è un piano per regolare il mercato degli affitti, anche attraverso la costruzione di due milioni e mezzo di alloggi popolari, promesse che, siamo sicuri, colerebbero come miele di questi tempi nelle orecchie degli elettori di sinistra italiani.
Il punto è proprio questo. Le promesse di Hollande sono esattamente quelle che vorrebbero/dovrebbero fare i democratici. Quelle su cui otterrebbero più consensi, su cui potrebbero meglio unirsi. Ma che non possono pronunciare per la scelta di sostenere Monti, per l’obbligo di responsabilità nazionale, e per la paura di non avere la stessa capacità dei colleghi francesi.
E se però vincesse Hollande, non potrebbe essere lui una sorta di nuovo leader indiretto, un papa nero straniero, che rimetta in moto un movimento che da soli gli altri non possono fare?
Il primo punto di questa marcia, partita da mesi, con un accordo fra François Hollande, il presidente dell’Spd tedesco, Sigmar Gabriel, e l’italiano Bersani, passa per una serie di elezioni in Europa, nazionali ed europee che dal 2014 potrebbero portare a un «cambiamento» dell’Europa, come dicono i leader, con al primo posto del programma la revisione del patto di stabilità. Il simbolo stesso della gestione dell’Europa, oggi è, a seconda dei punti di vista, la sua prigione o la sua salvezza.
C’è davvero spazio per uno scenario del genere oggi?
Non sarà facile (forse) né vincere, né continuare a vincere per Hollande. Il mondo anglosassone (quello che spesso si chiama «mercati») ha già inviato i suoi avvertimenti. La Francia entrerebbe subito nel mirino. Come ha fatto capire in una interessante intervista a La Stampa Richard Haass, presidente del più autorevole think tank d’America, Council on Foreign Relations. Ma è anche vero che l’opinione pubblica di altri Stati europei, e l’Italia per prima, potrebbe essere affascinata da questa riapertura politica, e magari davvero spingere per un cambiamento di equilibri a Bruxelles.
In questo senso un segnale di possibili cambiamenti, sia pur molto esili, si avverte persino nel governo Monti. Il Professore premier è nato letteralmente battezzato dall’Europa di Merkel e Sarkozy. È la sua stessa identità. Non che il nostro premier non faccia i dovuti distinguo, ma l’affermazione di questi è sempre rimasta dentro le regole conosciute, e come processo di accreditamento più che di sfida. Ma nello stesso governo italiano, e tra le figure italiane in Europa, non c’è necessariamente lo stesso atteggiamento nei confronti della Germania. Mario Draghi, governatore della Bce, non è certo benvisto dalla Banca centrale tedesca, la Bundesbank. In marzo Der Spiegel scriveva: «C’è una crescente divisione all’interno della leadership della Banca centrale europea su come gestire la crisi europea, per non parlare di quelle fra la Bce e la Bundesbank. Mario Draghi è molto contento di aver allagato i mercati con moneta a poco prezzo, mentre il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha invece avvertito dei pericoli che questa operazione comporta». Il riferimento è alla decisione di Draghi di fornire liquidità al tasso dell’1 per cento alle banche europee per stabilizzarle.
Contro la Bundesbank si è però di recente schierato – con sorprendente chiarezza, durante un’intervista – il più forte ministro dell’esecutivo Monti, Corrado Passera, lui stesso con un passato da banchiere: «Il problema non è la Merkel ma la Bundesbank». Parole che indicano che questo governo, di fronte al disagio del Paese, potrebbe voler affrontare sfide politiche che non sono per ora nella sua carta fondativa.

La Stampa 20.04.12

"La scuola: passato, presente e futuro in un mondo che cambia", di Mila Spicola

Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare. Albert Einstein. La frase di Albert Einstein riassume il contenuto di questo articolo. I ragazzi oggi nelle scuole italiane sono messi nelle condizioni peggiori di sempre per imparare. Parleremo di “ambienti didattici”. Reali, gli edifici scolastici, e virtuali, cioè la didattica. Poichè la didattica è , di fatto, un mondo virtuale. “Se c’è un luogo in cui sarebbe meglio che i nostri figli non entrassero sono le aule”. Così concludeva nel settembre scorso il il IX Rapporto “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”, presentato a Roma da Cittadinanzattiva. Ultimo tra i tanti che hanno fotografato negli ultimi anni lo stato reale degli edifici scolastici come metafora dello stato ideale in cui versa la scuola in Italia: uno sfascio. Malmesse, degradate, e negli anni sempre più sovraffollate, le aule scolastiche sono da bocciare senza appello. Ai dati allarmanti si aggiunge l’aumento del numero di studenti per aula che non fa che aggravare la situazione. Dal Rapporto emerge che le classi con più di 30 alunni sono 21 su un totale di 1234, ossia l’1,7%. Da quanto risulta oltre il 50% dei 42 mila edifici, in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma, 10 mila di essi dovrebbero essere abbattuti e circa 13 mila sono ufficialmente da ristrutturare e in 2.400 casi si riscontra addirittura la presenza di amianto.

Vi avevamo avvertito: sono dati da paese in guerra. La situazione più grave la registra la Sicilia, regione nella quale ai mali di cui sopra si somma un fenomeno particolare: una buona percentuale degli edifici scolastici è rappresentata da locali in affitto. Spesso non sono ambienti nati per essere scuole, si tratta di appartamenti, piani terra di palazzi, magazzini, scantinati, dove si “tenta” di far scuola. In questi casi manutenzione ordinaria e straordinaria sono ancora più latitanti per il balletto di responsabilità che si instaura tra proprietari e enti locali responsabili. Chi ne paga gli effetti sono i ragazzi.

Il rapporto sull’infanzia elaborato da Save the Children nel 2011 rivela che in una città come Palermo 44 bambini su 100 vivono sotto la soglia di povertà, un dato che corrisponde al dato della dispersione scolastica (circa il 30% il più alto in Italia). Sicuramente, in contesti degradati, avere di fronte scuole “non scuole” fatiscenti, insicure, e, diciamolo, brutte, non fornisce a ragazzi, già privi di motivazione allo studio, grande desiderio di rimanere a scuola.

Cosa fare? Agire subito. Anche se lo si ripete da anni. Aggiornare e completare il quadro dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica. Senza una completa e aggiornata mappatura dello stato degli edifici scolastici italiani, è impossibile passare dall’emergenza ad una vera programmazione degli interventi. E poi investire. Servono risorse per recuperare e adeguare il patrimonio edilizio esistente. Ma anche costruire, perché no? Scuole nuove, sicure e belle. Edifici costruiti con parametri energetici, bioclimatici, ecosostenibili ma anche con criteri didattici innovativi, in cui i ragazzi e i docenti vivano “come a casa”, anzi, meglio che a casa, in certi contesti.

Va rimesso mano ad un regolamento attuativo della legge 81/08, che indichi con chiarezza, competenze, obblighi, funzioni e responsabilità dei diversi soggetti coinvolti in materia di sicurezza scolastica; inserire l’obbligo, per l’ente/soggetto proprietario, di aggiornare in maniera costante i dati relativi alle condizioni strutturali e non degli edifici scolastici; omologare gli studenti ai lavoratori non soltanto quando si fanno ”uso di laboratori, attrezzature di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici ivi comprese le apparecchiature fornite di video terminali”, al fine di garantirne adeguata tutela nel caso di incidenti a scuola.

Aggiornata la mappatura sarà possibile definire l’effettiva entità dei finanziamenti necessari per l’edilizia scolastica ed occorre dare organicità e stabilità nel tempo ai finanziamenti stessi attraverso piani pluriennali, non una tantum, basati su fondi ordinari del bilancio dello Stato, non solo sui fondi straordinari come sono i fondi FAS o i fondi europei e che comunque il passato governo non è riuscito a mettere in campo (circa 420 milioni di euro dei Fondi FAS, circa 220 milioni di euro dei Fondi strutturali Europei).

Il ministro Profumo ha manifestato in tal senso un interesse e una volontà precisi, ma ancora non riusciamo a capire cosa e quanto si potrà fare. Di concerto con il Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca ha destinato una buona parte dei fondi strutturali europei alle regioni “obiettivo convergenza” , cioè le regioni del Sud, proprio all’edilizia scolastica. Si tratta però, rispetto ai bisogni e alle emergenze illustrate sopra, di briciole, questo va detto e dobbiamo esserne consapevoli, prima di gioirne. L nostra perplessità è: nel bilancio dello Stato non c’è nessuna previsione di spesa in tal senso?

Abbiamo accennato all’innovazione fisica degli ambienti scolastici considerando gli edifici, ma c’è un altro tipo di innovazione che sta iniziando a investire la scuola ed è quella tecnologico-digitale. Cercherò di affrontare l’argomento da una prospettiva diversa, che non si concentri solo sui nuovi strumenti tecnologici esistenti e che iniziano a farsi strada nelle aule e nelle scuole (lavagne multimediali, personal computer, tablet, ebook) quanto su come e in che misura tutto ciò stia mutando la stessa concezione della trasmissione del sapere e della didattica.

Oggi viviamo uno scontro apparente tra tecnologie per quel che riguarda la diffusione dei saperi esemplificato da due “oggetti” : il libro e il computer. Da un lato il “Sapere” tradizionale, la conoscenza, la cultura, l’approfondimento, la riflessione e il “metabolismo lento” dall’altro l’informazione, la multimedialità, l’intuizione, la velocità. Questa è almeno la dicotomia apparente che comportano i due oggetti. E’ apparente perché è uno iato che riguarda gli “adulti” e riguarda la scuola. Non altri. I ragazzi no. E nemmeno il mondo. Siamo infatti immersi senza soluzioni di continuità nelle tecnologie digitali e senza esserne nemmeno consapevoli le utilizziamo senza poterne più fare a meno: smartphones, pc, internet, sarebbe impensabile oggi farne a meno. Eppure la “didattica tradizionale” si ostina a farne a meno, come se il Sapere con la s maiuscola ne venisse intaccato. In realtà sono i metodi ad entrare in crisi, non valori e contenuti del sapere trasmesso. I colleghi più anziani ci mettono in guardia sui “pericoli della virtualità” e non riflettono su una verità incontrovertibile: ogni sapere , ogni universo concettuale disciplinare è un mondo “virtuale”. Il libro è un mondo virtuale, come lo è un tablet. Cioè quello che contengono.

I ragazzi, i cosiddetti nativi digitali questa dicotomia non la vivono e non la riconoscono, semplicemente perché non c’è. E allora dovremmo interrogarci sulla radice del problema, a monte: quella che è in crisi e che deve rifondarsi è proprio la metodologia didattica di trasmissione del sapere e se cambia il mezzo, da sempre, dall’inizio della Storia, in qualche modo cambia anche il contenuto, non nella sua importanza, ma nella sua aderenza al mondo. Accadde quando si passò dalla trasmissione orale a quella scritta, dal papiro al libro manoscritto, e poi alla stampa. Ma questi che abbiamo elencato, il manoscritto, il libro a stampa, il tablet, il pc. Sono tecnologie. E sono strumenti che nella storia hanno rappresentato sempre dei passi ulteriori in vista di una sempre maggiore condivisione della conoscenza e del sapere. Sono tutti ambienti di apprendimento virtuali. Che sia chiaro. Cioè prefigurano organizzazioni del sapere disciplinare. Non è ammissibile definire “virtuale” , nel senso di pericoloso, di poco realistico, di “irreale”, di non aderente, un contenuto digitale, e opporlo a una conoscenza appresa tramite il libro, come reale, approfondita, “vera”.

Quello che può declinarsi è il modo di utilizzo e di approccio, la metodologia e gli strumenti forniti per riportare su “binari didattici” quello che oggi non c’è: il 70% delle conoscenze di un ragazzino di 13 anni non viene dalla scuola. Questa è la realtà. E’ bene dunque iniziare a fare alcune considerazioni.

Chi cresce oggi “maneggia” e dà forma alla sua esperienza del mondo (tale è l’acquisizione di conoscenza) attraverso quella che è di fatto la sua tecnologia, nonostante le resistenze dei docenti tradizionali. Tutte le tecnologie, da sempre, dal papiro all’iphone, danno forma all’esperienza del mondo, comprese le ultime, anzi, a maggior ragione le ultime. Non è un male, purché l’uomo ne rimanga motore e non guardiano. Le tecnologie dunque sono forme dell’esperienza e della conoscenza. Oggi la tecnologia imperante è il pc connesso sempre e ovunque. Insieme alla tv è l’ambiente di apprendimento reale dei nostri ragazzi. Tranne nella scuola cioè nella sede di acquisizione del sapere per eccellenza. Il risultato di tale esclusione della tecnologia vincente è che la scuola non è più luogo di trasmissione della conoscenza,bensì di imposizione della conoscenza. Non corrisponde di fatto alla forma di esperienza del mondo come è oggi. Non credo che sia un problema di conflitto di agenzie educative, così come capita di leggere, a chi la vogliamo raccontare? E’ solo che la scuola ha come ambiente di apprendimento una tecnologia ormai in disuso: il libro. Ma cosa cambia nella sostanza? Non cambia solo il mezzo, il medium, ma anche il senso e la sostanza.

Il libro rappresenta un sapere fisso, statico, di tipo gerarchico. Mentre il web reca in sè un modo di trasmissione e acquisizione della conoscenza completamente diverso: mobile, condiviso, orizzontale e interattivo. Le gerarchie di trasmissione vengono azzerate. Non è cosa da poco. Se dobbiamo visualizzare il concetto da un lato abbiamo una piramide del sapere con al vertice il libro e la sua trasmissione statica da scrittore a lettore, o studente, passivo, dall’altro abbiamo la rete, che è basata sull’azione e sull’interazione delle informazioni. Conosce chi accresce il bagaglio, chi partecipa, non chi si pone come soggetto passivo. Trasferite tutto questo a scuola: secondo voi come accoglie un nativo digitale la classica lezione frontale? Semplicemente non la capisce nel modo, non è il suo linguaggio e non rispetta i suoi tempi, che poi non sono “tempi sbagliati”, semplicemente sono i tempi dell’oggi.

Il libro è una delle tecnologie di acquisizione di conoscenza, non l’unica. L’assurdo è che tutte le rilevazioni nazionali degli apprendimenti dei livelli cognitivi dei ragazzi, come l’architettura del sistema scolastico, sono costruite su un modello di acquisizione di conoscenza, fisso, che rispecchia la forma libro, fissa anch’essa. Gli ambienti di apprendimento come le forme di acquisizione del sapere delle nuove generazioni sono soprattutto altre, ed è bene cominciare a riconoscere che quello che noi chiamiamo “futuro”, e chissà come ce lo immaginiamo, per i nostri figli è già adesso.

Noi adulti siamo ancora permeati di questo scontro tra tecnologie, lo stiamo vivendo sulla nostra coscienza e sulla nostra consapevolezza , i nostri figli no. Questo scontro non lo vivono. Se non a scuola. La scuola è oggi il luogo in cui più che mai si riflette la resistenza tra lo scontro di tecnologie attraverso il disagio dei ragazzi. Bisogna iniziare ad adeguare le modalità ai nuovi ambienti di apprendimento, che rispecchino le loro esperienze del mondo, coerenti con la loro forma di pensiero. I territori che le nuove generazioni abitano non sono più i nostri. Sono altri. Li abitiamo anche noi (nel lavoro, nello “svago”, nella socialità) ma non li colleghiamo ancora alla trasmissione del sapere.

Ci ritroviamo dunque una scuola che cerca di trasmettere conoscenze immobili in un mondo di conoscenze mobili. Cioè ambienti in conflitto e linguaggi in conflitto in strutture fisiche obsolete.

Immaginatevi di avere 13 anni e rendetevi conto del disagio vissuto a quella età, non solo per la normale problematicità di quell’età, ma anche in relazione a quanto detto. Siamo stranieri gli uni agli altri: docenti e ragazzi. E non si trasmette nulla quando non si condividono i linguaggi. Ci ostiniamo a parlare in una lingua morta e ci stupiamo anche che non ci capiscono. Ci basiamo su un unico modello di conoscenza, quello fisso dell’autorevolezza del Sapere con la s maiuscola, quando bisognerebbe acquisire la molteplicità dei modelli e di saperi con le s minuscole, perché oggi si ragiona per interazione e integrazione.

E’ bene avere chiaro questo concetto prima di pensare che adeguarsi ai tempi si risolva nel portare un tablet in classe o usare la lavagna multimediale. No, significa operare una rivoluzione copernicana nella concezione “ontologica” della trasmissione del sapere.

Da qualcosa di fisso e gerarchico a qualcosa di mutevole e orizzontale senza “principi di autorità”. Bisogna arrendersi alla realtà: perché è già altro questo nostro mondo. Arrendersi anche alla supremazia sociale del virtuale digitale come promotore di dinamiche autonome: i social network hanno sancito questo.

Tutto questo comporta e ha comportato dei paradigmi filosofici importanti, su due ordini di riflessione: una, l’analisi della resistenza dei docenti alle nuove tecnologie , non dello strumento in sé, ma il rifiuto di concepire nuovi spazi di realtà virtuali, cioè quelli digitali. E l’altra il prendere atto che la conoscenza sia mobile, non immobile. E’ questo è il perno di tutto. Dove virtuale, lo ripeto, non si oppone a reale, ma propone e mette in campo una possibilità diversa di realtà e la attua. La tecnica produce scarti con cambiamenti radicali e inaspettati.

Il virtuale, l’interazione dei saperi come si attua oggi, implica dei processi di dubbio e di discussione, cioè di cambiamento: ogni cambiamento è un processo di virtualizzazione, cioè si propone una possibilità diversa di realtà. Oggi con la rete siamo di fronte al “testo bucherellato”, come ha scritto qualcuno, il testo viene interpretato e anche modificato per divenire patrimonio condiviso e aperto a ulteriori modificazioni. I soggetti non sono solo lettori, ma scrittori.

E allora attenzione quando definiamo i nostri studenti “iperattivi” magari sono solo “interattivi”. E’ capace un docente di “accettare” e “impadronirsi” di un metodo che abbia nella messa in discussione continua e nel dubbio da risolvere il suo perno? So già la risposta: no. Variano, insieme ai linguaggi e agli ambienti di apprendimento, i meccanismi di comprensione ma anche di produzione che non sono più basati sull’univocità e sulla’autorevolezza del testo (il libro) ma sulla mobilità e sulla modificazione del testo.

E’ un altro tipo di logica quella messa in campo: quella della condivisione, dell’interazione e della continua modifica. Sono concetti e riflessioni anticipate da sociologi della conoscenza, da filosofi, da studiosi (da Perre Levy, a Roberto Maragliano) e che oggi trovano conferma nei comportamenti e nelle dinamiche relazionali che riguardano i ragazzi.

Ma se crolla il principio di autorità, se la conoscenza oggi procede per interazione, se diventa un bagaglio volto a costruire più che un monolite statico una ricerca dinamica, allora cos’è che possiamo trasmettere oggi nelle scuole? Cosa serve a questi ragazzi? Il senso del testo? Il contenuto? Non credo. Possiamo trasmettere i percorsi, l’autonomia e l’indipendenza di formulazione dei giudizi sul mondo. La capacità di scegliere, selezionare e mettere in relazione nel modo più adeguato possibile a seconda del problema posto. La cosa fondamentale è accompagnarli su tali percorsi cercando di facilitarne le condizioni di messa in atto.

Come diceva Einstein: non insegnare “qualcosa” bensì metterli nelle condizioni migliori per organizzare l’immensa quantità di sapere a loro disposizione.

Quale scuola dunque? Si tratta di un bagaglio di base da ridefinire a seconda dei comportamenti perché non c’è più la logica gerarchica del sapere, ma la costruzione e l’interazione dei saperi. L’ignorante oggi è chi è escluso dall’interazione: da quel bene comune che è la conoscenza orizzontale e riorganizzata. Chi non è in grado di reperire e riorganizzare a seconda del bisogno una qualunque conoscenza o informazione si ritrova ai margini.

Le famigerate “competenze” sono queste. Peccato che le valutiamo nel modo sbagliato e secondo i canoni tradizionale. Siamo di fronte a una metafisica dell’interazione a fronte di una metafisica della conservazione. E allora la ridicolaggine filosofica , come anche di concetto, delle attuali certificazioni internazionali o nazionali appare per intero, poiché corrisponde a una metafisica della conservazione.

Sono valutazioni che rappresentano un adeguamento a modelli predefiniti e chiusi, quando il mondo della conoscenza oggi marcia verso il continuo miglioramento dei modelli. Il migliore non è più chi si adegua in modo più esatto possibile a un modello predefinito rispondendo meccanicamente a una batteria di domande,, ma chi quel modello lo arricchisce e supera.

Abbiamo detto che la dimensione sociale del mondo contemporaneo si misura sulla rete. E la rete si fonda sull’interazione delle conoscenze e dei saperi. Questo è il mondo adesso e questo mondo dobbiamo riprodurre e organizzare nelle classi. Trasferendo, attraverso un lavoro artigianale e potente, e qua si riconosce l’importanza sempre attuale del docente, anche un’ etica della verità e una verità dell’etica implicite. Sta a vedere come la politica, la cultura, l’economia … e dunque la proposta dei modelli scolastici e didattici prenderanno atto di tutto ciò.

La società ha ormai fatto questa scelta, i governi e la scuola..chissà. Oggi, nelle scuole italiane, ai nostri studenti si insegna tantissimo, ma sono messi nelle condizioni peggiori per imparare. Sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista reale, sono circondati da sfacelo. E lo sanno, ne sono consapevoli.

Quando mi interrogano al riguardo io dico loro “Io vi guardo negli occhi e dico che il futuro ce lo dobbiamo fare con le nostre mani.” Placido Rizzotto

( Vi segnalo la pubblicazione del secondo numero della rivista digitale per docenti e genitori dell’associazione SAVE THE CHILDREN, che può essere sfogliata all’indirizzo http://issuu.com/dirittinclasse/docs/diritti_in_classe_aprile_2012 e anche all’interno dell’area dell’Unità Educazione sul sito di Save the Children:http://www.savethechildren.it/IT/Page/t01/view_html?idp=639. Il numero, inoltre, può essere scaricato in pdf da questo link:http://images.savethechildren.it/f/download/educaz-scuola/rivista-docenti/di/diritti_in_classe_aprile_2012.pdf. In questo numero è stato pubblicato il seguente mio contributo.)

L’Unità 20.04.12

"La competition di quelli contro", di Mariantonietta Colimberti

Grillo, Di Pietro e radicali, ma anche Renzi: soffia il vento della protesta. Ai nastri di partenza sono un certo numero: almeno tre in prima fila, ai quali vanno aggiunti singoli personaggi per quota-parte. La gara, anzi l’opa, per la conquista della rappresentanza di quella larga – sempre più larga, stando ai sondaggi – fetta di elettorato a vari gradi delusa, indignata, arrabbiata, schifata dalla politica e dai partiti è in pieno svolgimento.
Il più scatenato, almeno quanto a urla vere e ad attivismo comiziesco da campagna elettorale per le prossime amministrative, è Beppe Grillo: 104 liste (dice lui, ma sul sito del Movimento 5 stelle ne abbiamo contate 102) sparse sul territorio ma con una fortissima prevalenza in Veneto, Lombardia e Piemonte, l’ex comico si muove in camper annunciando le soste su Twitter e diffondendo filmati su Youtube. La rete, innanzitutto, dalla quale, dice, emergeranno decisioni collegiali se i sondaggi roboanti che danno in crescita i grillini saranno confermati alle politiche del prossimo anno. Intanto, ogni giorno le spara più grosse: ieri ha proposto l’uscita dall’euro e la non restituzione del debito pubblico. L’ultimo che esplicitò un’idea simile fu Rino Formica nella Prima repubblica e per questo si beccò giustamente del «commercialista di Bari» da Nino Andreatta, che riteneva un’ipotesi del genere un vero e proprio «tradimento», un «furto» da parte dello stato nei confronti dei cittadini, dunque improponibile. Chissà se i seguaci di Grillo, molti dei quali potrebbero avere i loro risparmi in Bot e Cct, apprezzeranno la proposta del loro leader. Da notare anche una certa contraddizione furbesca tra la dichiarata intenzione di «fare il processo di Norimberga ai partiti» e la difesa di Bossi e della Lega, vittime, secondo Grillo, di un attacco mediatico.
Tra coloro che si distinguono per tasso di antipolitica, anzi, che sull’antipolitica si buttano da dentro il palazzo, c’è Antonio Di Pietro. Suo bersaglio preferito il governo e i partiti (gli altri). La questione della legge sul finanziamento pubblico gli ha dato l’opportunità di uscire dall’angolo: da domani, al grido di “Giù le mani dal sacco” (questo il nome della campagna) militanti dell’Idv saranno nelle piazze con banchetti a raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che elimini il finanziamento dei partiti.
Last, but not least, i radicali. Storici inventori e diffusori del termine “partitocrazia”, non potevano restare indietro di fronte all’esplodere della protesta. A ottobre avrà inizio la raccolta di firme per un nuovo referendum abrogativo del finanziamento pubblico e a quel punto la loro strada potrà convergere con quella di Di Pietro. Intanto il segretario Mario Staderini ha annunciato la presentazione di una proposta per istituire una commissione di inchiesta sul «bottino» dei partiti e la home page del sito radicale è concentratissima sulla battaglia.
Fin qui i principali candidati a raccogliere i frutti della ventata anti-partiti. Le prossime amministrative saranno un test importante soprattutto per Grillo, visto che Di Pietro è alleato quasi ovunque con Pd e Sel e i candidati radicali sono per lo più sparpagliati in liste civiche.
Tra i personaggi portatori in proprio di istanze per certi aspetti vicine all’antipolitica, o comunque molto critici nei confronti degli attuali partiti, ci sono sicuramente Matteo Renzi, Luigi De Magistris e Luca Cordero di Montezemolo: è probabile che nel 2013 ognuno di loro avrà scelto come scendere in campo.

da Europa Quotidiano 20.04.12

"L’Atto di indirizzo per il 2012 del ministro Profumo" di Osvaldo Roman

Il Ministro Profumo ha formulato ai primi di aprile un “Atto di indirizzo concernente le priorità politiche del MIUR per l’anno 2012”. Con tale Atto egli , oltre che integrare le indicazioni emanate ai primi di novembre 2011 dal ministro Gelmini e raccordarsi alla “Nota integrativa al bilancio di previsione 2012-14”, descrive le priorità politiche in materia di innovazione tecnologica conferitagli come delega nel dicembre 2011.
Il Ministro ha dovuto conciliare l’ovvio rispetto delle scelte compiute dal precedente governo in materia di “riforma” (tragico ridimensionamento) del primo e del secondo ciclo di istruzione con la formulazione di alcune linee di intervento di fatto pressoché ignorate nella predente gestione.
Tali infatti mi sembrano quelle riguardanti l’impegno di perseguire, nell’ambito di un percorso condiviso con le Regioni, l’attuazione, in materia di istruzione, del Titolo V della Costituzione; la realizzazione di un potenziamento dell’Autonomia scolastica; la sottolineatura di un nuovo approccio, anche sotto il profilo del risparmio energetico, all’Edilizia scolastica; l’insistenza sul tema del nuovo reclutamento dei docenti.
In realtà su tutte queste materie, enunciate come finalità, fino ad oggi o sono mancate le scelte operative o si sono già verificati concreti fallimenti come è il caso dei risultati concernenti l’autonomia e l’edilizia scolastica nell’ambito del decreto sulle semplificazioni.
Per quanto riguarda il Titolo V° il Ministro non deve andare ad omaggiare Formigoni proprio nel momento che questo personaggio e la sua compromessa compagine di governo si assumono, in materia di reclutamento, la responsabilità di gravi violazioni del tessuto costituzionale che regola il nostro ordinamento. Il Ministro, anche attraverso la consultazione avviata con i tavoli tecnici aperti con il sindacato, deve rapidamente giungere ad una scelta precisa licenziando l’Intesa, da tempo definita in sede di Conferenza Unificata, e indicando il percorso legislativo che la deve sostenere. Su questo terreno sono disponibili due strade: o utilizzare, per tutto quanto ancora vigente la legge 131/2005 o sollecitare l’approvazione parlamentare del disegno di legge (A.S. 2259) sulle autonomie locali attualmente all’esame del Senato(2).
Non hanno invece trovato alcun posto nell’Atto di indirizzo tutta un’altra serie di scelte che forse non si possono collocare tra quelle strategiche ma che risultano di fondamentale rilievo per dare un senso compiuto ad una gestione in chiave tecnica e bipartisan dell’ultimo anno della legislatura. Se ciò non avvenisse potrebbe capitare che gravi questioni rimaste aperte per quanto riguarda la conoscenza della natura dei loro contenuti e dei loro effetti, fossero scaricate nella campagna elettorale e poi poste di fronte alla responsabilità del nuovo esecutivo senza una maturazione nella consapevolezza dell’opinione pubblica dei loro effetti e delle responsabilità di chi le ha determinate.
Questo anno che ci divide dalle elezioni politiche non può quindi essere gestito da questo ministro e dai suoi collaboratori per suonare i pifferi o per vendere pezze a colori magari presentate come tappeti.
Nessuno oggi può responsabilmente chiedergli un’inversione di marcia nella politica dei tagli ma si può giustamente esigere che quei tagli, come si è cominciato a fare con il decreto per gli organici 2012-13, non vadano oltre le previsioni stabilite dalla legge e che soprattutto se ne documentino gli effetti sul concreto funzionamento delle scuole anche in termini di diminuzione dell’offerta formativa.
Su quest’ultimo terreno purtroppo ancora non ci siamo! Infatti della controriforma si è finora documentata e anche malamente, senza alcuna comparazione con gli anni precedenti, solo la terrificante devastazione, arrecata all’ordinamento degli studi della scuola primaria e secondaria di primo grado, solo nel primo anno di attuazione della medesima, il 2009-10. Mancano ancora completamente i “risultati realizzati” nei successivi due anni scolastici che sono stati ormai rilevati e risultano noti agli Uffici statistici del ministero. Manca anche una valutazione degli effetti del riordino sulla scuola secondaria superiore: i soprannumerari non vengono dal cielo ma da una riforma che non ha attuato, in questo caso, l’unico principio pedagogico previsto dall’art.64 della legge 133/08, quello di diminuire il numero degli insegnanti in servizio aumentando di una unità il rapporto studenti docenti!
A proposito dei numeri riguardanti il personale in servizio e gli organici dopo la bufala colossale della dott.ssa Stellacci, sui 41 mila comandati imboscati, si è verificata quella, passata sotto silenzio, che ha visto protagonista lo stesso Ministro nel corso dell’audizione alle Camere, secondo la quale il personale Docente e ATA ammonterebbe oggi a 800 mila unità. Si sarebbe in tal modo realizzata una fantastica riduzione di 332 mila unità rispetto al 2008-09. Una riduzione che supera di 200 mila la realtà e che é buona per tranquillizzare definitivamente, senatori-economisti-giornalisti, “liberisti” e soprattutto i famigerati mercati, ma pessima come figura per chi non riesce ancora a mettere i funzionari giusti al posto giusto negli uffici statistici o negli uffici stampa che producono tali disastri.
Tanto per essere chiari il ministro per essere bipartisan non può solo rispettare e vigilare sulla realizzazione dei tagli deve anche dire e fornire all’opinione pubblica tutto quello che gli uffici conoscono sulla natura e qualità dei loro devastanti effetti!
Su questo terreno non possono essere ammissibili silenzi e coperture da parte di quell’apparato ministeriale che è stato spesso protagonista e autore di autentiche illegalità nella produzione di tali scempi.
Problemi di analoga natura si pongono per altri importanti questioni che derivano dalle scelte compiute dal precedente governo.
Tali sono le questioni riguardanti: la rapina degli “scatti nella carriera economica”, l’attuazione del Piano per il precariato; la definizione delle Indicazioni nazionali riguardanti la scuola dell’infanzia e del primo ciclo; il ripristino dei fondi per diritto allo studio; la realizzazione del Sistema nazionale di valutazione; la ridefinizione degli strumenti e delle sedi per la tutela della libertà d’insegnamento, e l’individuazione dei criteri per la definizione dei nuovi organici.
Su tutte tali materie ritorneremo con singoli specifici approfondimenti.
Atto di Indirizzo 2012
A.S. n. 2259

da flcgil.it