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"Gli editori: niente fondi per i giornali politici", di Roberto Monteforte

Il sottosegretario all’Editoria Peluffo annuncia i nuovi criteri per il finanziamento pubblico. Plaude il presidente della Fieg, Anselmi che però vuole esclusi i quotidiani «politici» come l’Unità. La Fnsi: non vanno chiusi. È questione di giorni perché il governo presenti regole nuove e più rigorose per accedere al finanziamento pubblico. L’obiettivo è quello di moralizzare il settore e disboscarlo dai giornali e dalle redazioni finte. Ma il presidente della Fieg, Giulio Anselmi, vuole altro, i giornali politici «si cerchino altri canali più propri di finanziamento». Nei fatti vuole cancellarli, anche se sono giornali veri. Una presa di posizione inaccettabile per Federstampa.
Le intenzioni del governo le ha confermate ieri, a margine della sua audizione alla commissione Affari Costituzionali al Senato, il sottosegretario all’Editoria Paolo Peluffo. «Spero a giorni di portare in Consiglio dei ministri tutto l’insieme degli interventi sull’editoria», compresa ha affermato «una legge delega per creare un nuovo sistema con dei criteri molto selettivi nella scelta delle testate meritevoli di sostegno».
LA RICETTA PELUFFO
L’obiettivo dell’esecutivo è quello di mettere in campo «un intervento normativo che rende trasparente, semplifica e rende più facili i controlli» ha spiegato il sottosegretario. Il meccanismo sarà quello della «selettività industriale». «Il contributo sarà erogato sulla base delle copie effettivamente vendute». Perché «non si possono finanziare pubblicazioni che nessuno legge». Ha ancipato i criteri. Si prevederà «la tracciabilità delle vendite con l’informatizzazione delle edicole», quindi «una semplificazione e una riduzione delle tipologie di costi che vengono rimborsati, dando la prevalenza a quelli per giornalisti e poligrafici, ma anche all’online, oltre alla stampa e alla distribuzione».
È così che da una parte saranno più semplici ed efficaci i controlli e dall’altra le aziende potranno effettuare risparmi, «spendendo meno su costi che ora subiscono per poter usufruire del contributo». L’obiettivo del governo è chiaro. «Le poche risorse disponibili vanno usate bene e in modo trasparente» afferma Peluffo. Per questo «bisogna eliminare distorsioni e zone grigie conclude evitando l’uso improprio da parte di imprenditori che si organizzano con la sola finalità di prendere contributi». Entro due anni e mezzo i nuovi criteri dovranno essere operativi.
Gli editori plaudono all’avvio dell’operazione «trasparenza e rigore». Ma con un distinguo. La stampa di partito deve essere esclusa dal Fondo per l’Editoria. È stato più che chiaro, brutale, il presidente della Fieg e dell’Ansa, Giulio Anselmi ieri alla presentazione del Rapporto Fieg sulla Stampa in Italia 2009-2011. Ha snocciolato i dati della crisi del settore che, comunque vede oltre 22 milioni di persone leggere ogni giorno quotidiani, quasi 33 milioni i periodici, circa sei milioni gli utenti dei siti web dei quotidiani. Ha ribadito la critica «alla distribuzione indiscriminata delle risorse». Chiede di «indirizzare i contributi pubblici verso i giornali veri: per copie vendute e per numero di dipendenti con regolari contratti». Ma dovrebbero restare fuori quotidiani, come l’Unità, che malgrado le difficoltà rispondono proprio a questi criteri, solo perché politici. «Si cerchino altri canali più propri di finanziamento» taglia corto Ansemi riferendosi a quelli della politica. Il Fondo dell’editoria andrebbe utilizzato «per favorire la trasformazione tecnologica con una forte spinta all’innovazione». È così che si tutelerebbe il pluralismo. Comunque il sostegno dovrebbe essere «a termine».
LA RISPOSTA DELLA FNSI
Ad Anselmi risponde la Federazione nazionale della stampa. «Non si può liquidare il sistema dei contributi in essere, soprattutto con riferimento ai giornali politici, senza avere chiaro il quadro del sistema, la funzione e il lavoro dei giornalisti di questo genere di testate» risponde in una nota. «Tagliare i fondi ai giornali di partito, mentre ancora si deve discutere su come riqualificare e rendere più trasparente il finanziamento della politica continua la Fnsi farebbe morire senza ragione testate significative del dibattito pubblico e perdere alcune centinaia di posti di lavoro». E mette in guardia. «Il riordino deve essere di sistema. Non si deve precipitare nel calderone dell’indistinta antipolitica e l’informazione non può essere comunque l’agnello sacrificale».
La Fnsi ricorda l’ impegno per la trasparenza e la lotta agli abusi chiama in causa «ciascun editore, compresi i partiti, a fare la sua parte con chiarezza e responsabilità». Per il resto la Fnsi accetta e rilancia la sfida per lo sviluppo anche per l’informazione digitale, evitando che testate significative siano costrette a chiudere per mancanza di ossigeno e di garanzie per il pluralismo.

l’Unità 19.4.12

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Il commento: Chi vuole colpire l’Unità

Il presidente della Fieg ha dichiarato ieri che i giornali di partito non hanno diritto ai contributi pubblici. Si tratta di affermazioni gravi, tanto più se pronunciate da chi, come Giulio Anselmi, ricopre un delicatissimo ruolo a tutela degli editori associati.
Dire semplicisticamente che i quotidiani che si riferiscono a un partito non hanno diritto ai contributi pubblici ha il suono della campana a morto. Ed è paradossale che l’Unità, da tempo impegnata in una difficile battaglia di risanamento dei conti, rischi di essere il bersaglio principale di questa campagna.
Come Anselmi dovrebbe sapere, proprio l’Unità da tempo è in prima linea per contribuire a una nuova ed efficace gestione dei contributi pubblici, proponendo tra i primi nuovi e più stringenti parametri per la loro erogazione. Copie effettivamente vendute, numero dei dipendenti a tempo indeterminato, innovazione tecnologica sono esattamente i criteri con i quali l’Unità chiede che vengano determinati i contributi. Per quanto la libertà di stampa sia un valore che va oltre le mere logiche di mercato, siamo sempre stati consapevoli che l’uso mal disciplinato delle risorse pubbliche vada combattuto.
Nel merito, quello che evidentemente sfugge al presidente della Fieg è che i giornali di idee, compresi quelli di partito, sono parte della libertà di un Paese: contribuiscono alla circolazione delle opinioni anche quando queste si scontrano con le logiche di mercato. Dovrebbe essere una preoccupazione anche di Anselmi: garantire il pluralismo oltre le attuali distorsioni del mercato che penalizzano i più deboli e assicurano i maggiori vantaggi ai più forti, anche sul piano dei sostegni pubblici. Purtroppo è più facile cavalcare il vento dell’antipolitica e dare sponda a chi sarebbe ben felice di veder morire un concorrente.

L’UNità 19.04.12

"Per il governo il rapporto con il Pdl si fa più delicato", di Marcello Sorgi

Anche se nessuno martedì sera aveva creduto troppo alle promesse di solidarietà pronunciate anche da Alfano all’uscita dal vertice di maggioranza, da ieri Monti è di nuovo alle prese con il Pdl a causa della decisione, annunciata dal ministro Passera, e confermata dal presidente del Consiglio, di mettere all’asta le frequenze televisive che il precedente governo aveva deciso di assegnare con la discussa procedura del «beauty contest».

La notizia s’era già diffusa due sere fa subito dopo l’incontro, mentre i partecipanti alla cena di Palazzo Chigi negavano che se ne fosse parlato e insistevano sui lati positivi della discussione appena finita. Ma la successiva decisione di Berlusconi di far saltare l’appuntamento di oggi a colazione con Monti è suonata come conferma che un nuovo caso è aperto. Il Cavaliere ha detto che aveva deciso di non andare proprio per evitare polemiche. Ma il problema rimane. Passera ha infatti spiegato che il testo preparatorio dell’asta delle frequenze era stato messo a disposizione dei partiti di maggioranza, da cui non era venuto alcun rilievo formale. Durissime sono state invece, sia la reazione dell’ex ministro delle comunicazioni Paolo Romani, che ha parlato di «tradimento» del governo, sia quelle del gruppo Mediaset, che per bocca del suo presidente Fedele Confalonieri ha minacciato di disertare l’asta. In questo clima il faccia a faccia tra l’ex premier e quello attuale era assolutamente sconsigliato: anche perché Monti, nella conferenza stampa di presentazione del documento di programmazione economica (Def) varato ieri, s’è schierato per l’asta delle frequenze al fianco del suo ministro e ha fatto un richiamo generale ai partiti a non ostacolare il suo lavoro. Va da sé che qualsiasi tentativo di venire incontro al Pdl su questa delicata materia troverebbe il Pd contrario. Di qui la prospettiva di un altro rallentamento dei lavori parlamentari, già oberati da resistenze incrociate su tutti i provvedimenti in discussione.

Gli altri dati forniti durante l’illustrazione del Def purtroppo non sono confortanti: Monti ritiene che di crescita non si potrà parlare prima del prossimo anno e le difficoltà di quello attuale, in termini di congiuntura e con tutte le conseguenze di disoccupazione crescente e sofferenza per le aziende, continueranno. Sarà già un bene se il quadro non tenderà ad aggravarsi. E proprio questo ha determinato la richiesta di maggior senso di responsabilità rivolta ai partiti che sostengono il governo.

La Stampa 19.04.12

"Flessibilità in entrata: le imprese all’offensiva. La mediazione del Pd", di Massimo Franchi

Confindustria e imprese chiedono modifiche sulla flessibilità in ingresso e ottengono attenzione dal Pd. La Cgil, guardinga sull’iter della riforma del lavoro, mantiene le 16 ore di sciopero indette e, allo stesso tempo, prepara la manifestazione unitaria con Cisl e Uil che, a loro volta, si dicono favorevoli a una strategia comune su fisco e crescita. Nonostante i tempi stretti per l’approvazione, la riforma del mercato del lavoro continua a essere una partita apertissima in cui tutti gli attori in gioco si attivano per ottenere miglioramenti. Ieri è stata un’altra giornata piena di incontri e decisioni. E così sarà oggi. Ieri Emma Marcegaglia ha incontrato Pier Luigi Bersani e il gotha economico del Pd. Il tema è quello della flessibilità in entrata con Confindustria che chiede modifiche non piccole. «Abbiamo trovato un accordo su tre punti fondamentali – spiega Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd -. Il primo è quello di evitare che veri lavoratori autonomi rischino di rientrare nelle maglie del contrasto alle false partite Iva, la seconda è l’esenzione dall’aumento dell’1,4% del costo del lavoro sui contratti stagionali, la terza e ultima è la riduzione dei tempi fra un contratto a tempo determinato e l’altro. Sono tutte modifiche – chiude Fassina – che vanno nel senso di favorire l’occupazione e i lavoratori e quindi ora li tramuteremo in emendamenti che saranno stesi dal correlatore Treu e dai nostri componenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato». Emma Marcegaglia è uscita dall’incontro soddisfatta. «È andato bene – ha commentato la presidente uscente di Confindustria – abbiamo illustrato i punti che riteniamo critici della riforma e abbiamo trovato comprensione e condivisione per le nostre preoccupazioni. Il tema comunque non è stravolgere la riforma », ha concluso. In precedenza le associazioni delle imprese (Confindustria, Abi, Ania, Alleanza delle cooperative e ReteImprese Italia) avevano «concordato un pacchetto di proposte di modifiche da apportare al disegno di legge»: «Le modifiche più rilevanti riguardano il tema della flessibilità in entrata per assicurare l’equilibrio funzionale e necessario alla creazione di nuova occupazione». Le proposte sono state inviate «al governo e ai relatori della commissione Lavoro del Senato», dove è in corso l’esame del disegno di legge.

LA CGIL MANTIENE LO SCIOPERO La situazione in grande movimento consiglia prudenza alla Cgil. Questa mattina nella relazione al Direttivo Susanna Camusso confermerà le 16 ore di sciopero già indette, ma non indicherà una data. La linea delle segreteria è di seguire passo passo la riforma e di scegliere di mobilitarsi nel momento più appropriato, nel passaggio più delicato dell’iter parlamentare. La minoranza interna della “Cgil che vogliamo” e della Fiom, dal canto suo, chiederà invece di fissare una data e di mantenere lo sciopero contro la modifica dell’articolo 18, sottolineando il successo degli scioperi di questi giorni caratterizzati proprio da questo tema. Allo stesso tempo Susanna Camusso rilancerà la manifestazione unitaria con Cisl e Uil sui temi del lavoro, della crescita e del fisco e spiegherà come la Cgil ha chiesto al Parlamento modifiche profonde anche sul testo attuale dell’articolo 18, chiedendo di rafforzare le possibilità di reintegro e le tutele dei lavoratori. Anche la Cgil, infatti, incontrerà il Pd per la messa a punto degli emendamenti al disegno di legge che vanno presentati entro lunedì. LA CISL SI MOBILITA Ieri si è tenuto anche il Comitato esecutivo della Cisl. Nella relazione Raffaele Bonanni ha attaccato il governo. La Cisl considera l’azione del governo di fronte alla crisi «debole» sul piano del contrasto alla difficoltà economica e «contrassegnata dalla mancanza di equità sul piano sociale, come emerge dal continuo rinvio della riduzione delle imposte su lavoratori e pensionati». Nelle conclusioni, approvate all’unanimità, il Comitato esecutivo si dice pronto a impegnare «tutta l’organizzazione a una mobilitazione straordinaria a livello nazionale e territoriale per sostenere la realizzazione di un Patto per la crescita e per il lavoro». Su questi obiettivi la Cisl, «chiederà alle altre confederazioni di sollecitare l’apertura di un confronto con il governo e con le istituzioni regionali e territoriali». Ieri pomeriggio i giovani del gruppo “Non più disposti a tutto” e dei precari del Nidil della Cgil hanno protestato con un flash mob davanti al ministero del Welfare per dire basta alle «troppe bugie» sulla riforma del mercato del lavoro. Sono stati lanciati volantini con Pinocchio del tipo: «Ammortizzatori sociali universali? Bugia»; «Meno tasse su cocopro e Partite Iva? Bugia»; «Basta stage truffa e più stabilità? Bugia». E chiedono «riforme vere: lotta alla precarietà, diritti e welfare». Per questo domani saranno allo sciopero della Cgil di Roma e Lazio». Insomma, la mobilitazione del sindacato di Corso d’Italia continua: oggi sarà sciopero a Torino, e in alcune città dell’Emilia, ieri è toccato a Milano che ha visto oltre 10mila lavoratori e pensionati partecipare ai quattro presidi organizzati dalla Cgil nel corso dello sciopero generale.

l’Unità 19.04.12

"Scotch sulla bocca agli immigrati rimpatriati in aereo. La compassione e le regole", di Michela Marzano

La sicurezza innanzitutto. E poi le regole da rispettare e gli ordini da seguire. Ma fin dove? Dove comincia e dove finisce la “normalità”? Imbavagliare con nastro da pacchi due cittadini tunisini che vengono rimpatriati non dovrebbe essere qualcosa di “normale”. Anche quando si ritiene “normale” metterli su un aereo per rispedirli nel loro paese. Perché, nonostante tutto, il viso di una persona ha sempre un valore simbolico. È attraverso il viso e la bocca che ognuno di noi esprime la propria soggettività. È attraverso il proprio sguardo che si entra in relazione con gli altri. E la soggettività di un essere umano, anche quando si è commesso un crimine o un delitto, non dovrebbe mai essere negata o cancellata come accade quando, per applicare le procedure ed evitare di creare scompiglio e confusione, si cede alla tentazione di far tacere a tutti i costi, anche con del nastro adesivo. Per garantire il buon funzionamento della società, ciascuno di noi è chiamato a fare il proprio dovere e ad assumersi le responsabilità che gli competono. Non si tratta qui di negare l´importanza delle regole che, da sempre, rendono possibile il “vivere insieme”. Dovere e responsabilità, però, non dovrebbero implicare né un´assenza di compassione, né l´indifferenza. Perché gli esseri umani non sono dei semplici automi, delle macchine che si limitano ad eseguire i programmi con cui sono state concepite. La compassione nei confronti di un´altra persona, però, è possibile solo quando si è capaci di immedesimarsi nell´altro. E, quindi, quando si riconosce l´altro come un essere umano simile a noi. Altrimenti si scivola, anche senza rendersene conto, in una forma di barbarie.
Come ci insegna Hannah Arendt nel 1963, il problema del rapporto tra “dovere” e “umanità” è molto complesso. Perché talvolta accade che, proprio nel nome del dovere, ci si dimentica che chi ci sta accanto è anche lui una persona. È allora che si commette il “male”. Paradossalmente nel nome del “bene”. Anche banalmente. Non perché il male, in sé, sia banale. Ma perché può accadere a chiunque di “smettere di pensare” quando si tratta di applicare una regola, e di non sapere più fare la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Umiliare una persona non dovrebbe mai essere giusto, anche in nome della sicurezza e della giustizia. Eppure è proprio di umiliazione che si tratta quando si parla di nastro da pacchi sulla bocca. Questi due tunisini li si doveva, certo, rimpatriare. Si doveva probabilmente immobilizzarli. Ma c´era veramente bisogno di farli tacere imbavagliandoli? Non è solo una questione di “eccessi” o di “misura”. È una questione simbolica. Gli esseri umani sono caratterizzati dal linguaggio e dalla parola, come spiega bene Lacan. Perché privarli allora di ciò che li rende umani?

La Repubblica 19.04.12

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“La polizia: «La maschera tutela i passeggeri». Ma è polemica. Manganelli: ora una relazione”, di Ma. Ge.

Una foto shock, che apre uno squarcio su come vengono effettuati i rimpatri degli immigrati irregolari espulsi. «Guardate cosa è accaduto oggi sul volo Roma-Tunisi delle 9,20 Alitalia», scrive postandola su Facebook, l’autore, Francesco Sperandeo, aiuto-regista di fiction, che si trovava su quell’aereo martedì scorso insieme ai «due cittadini tunisini (è la sua supposizione ndr) respinti dall’Italia e trattati in modo disumano» ritratti nella foto: «Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca ai due e fascette in plastica per bloccare i polsi». Con il telefonino, in realtà, il passeggero-reporter è riuscito a fotografarne solo uno. Una foto «rubata» che fa il giro della rete, insieme alla sua denuncia: «Questa è la civiltà e la democrazia europea?», si domanda l’autore, protestando perché alla richiesta di trattare in modo umano i due passeggeri «mi è stato intimato in modo arrogante di tornare al mio posto perché si trattava di una normale operazione di polizia…». «Normale?», replica il regista a mezzo Facebook. «Fate girare e denunciate!».
E se gli altri passeggeri come racconta lo stesso Sperandeo non si sono indignati, la Rete ha fatto il suo dovere. E nel giro di poche ore al coro delle proteste raccolte sul social network, si sono aggiunti uno a uno politici, deputati, senatori. «Come è possibile che in uno Stato di diritto come l’Italia possa accadere una cosa del genere?», si domanda Andrea Sarubbi, annunciando una interrogazione al ministro dell’Interno. «Anche se i rimpatri sono necessari, devono essere effettuati nel rispetto dei diritti umani e non di certo violando la dignità degli immigrati che vengono espulsi dal nostro Paese», attacca Livia Turco, da ex ministro e da responsabile del Forum Immigrazione del Pd, che parla di fatto «inaudito». «Vorremmo che il ministro dell’Interno ci facesse sapere se effettivamente tale prassi sia di routine, come sembrerebbero aver asserito gli stessi agenti di polizia», scandisce il responsabile Sicurezza del Pd Emanuele Fiano: «La nostra opinione è che quanto denunciato sia inammissibile per un Paese civile». È lo stesso presidente della Camera Fini, di lì a poco, a incalzare il governo affinché riferisca in aula «con la massima urgenza».
LA RICOSTRUZIONE DEL VIMINALE
All’ufficio di Polizia di Frontiera, responsabile di quella «normale operazione di polizia» che normale non sembra affatto, il capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli ha chiesto una relazione dettagliata. Una prima ricostruzione, intanto, spiega che i due immigrati, che potrebbero essere algerini, provenivano da Tunisi ed erano diretti in Turchia, con scalo tecnico a Fiumicino: una volta giunti a Roma, però, la mattina del 15 aprile, si sono rifiutati di proseguire il viaggio. «Come accade in questi casi, è scattata la procedura di respingimento che prevede il ritorno alla località di partenza, indipendentemente dalla nazionalità», spiegano dal Viminale. Il giorno dopo quando è stato individuato il primo volo utile per Tunisi, i due avrebbero di nuovo rifiutato l’imbarco, «opponendosi in tutti i modi, mordendosi l’interno della bocca e sputando sangue».
È allora che sarebbe stata loro applicata quella che viene definita «una mascherina sanitaria», successivamente «fissata con lo scotch» perché «i due continuavano a tentare di sfilarsela facendo dei movimenti con la bocca». La misura spiegano dal Viminale -, sarebbe stata presa «per garantire la sicurezza degli altri passeggeri». Una volta effettuato il decollo, «ristabilita la calma», il nastro come ha confermato lo stesso Sperandeo è stato tolto.

L’Unità 19.04.12

"Pressing di Bersani sul governo: al più presto misure per la crescita", di Maria Zegarelli

Le richieste del leader Pd al vertice con Monti: allentare il Patto di stabilità. Il premier: per ora il tesoretto non sarà utilizzato per diminuire le tasse. Sei ore di vertice, due delle quali riservate alle slide proiettate da Corrado Passera sul piano nazionale per le riforme, ma il vero braccio di ferro seppur sobrio e discreto si è consumato tra il leader Pd, Pier Luigi Bersani, e il governo sulle misure urgenti per fronteggiare la recessione.
All’indomani della full immersion il segretario traccia un bilancio positivo ma, aggiunge, «il lavoro deve continuare» perché di fronte ai dati drammatici diffusi ancora ieri dall’Istat e da Confindustria non c’è tempo da perdere e se il piano per le riforme del governo contiene proposte «valide e interessanti» i cui frutti sono destinati ad arrivare nell’arco di nove anni, il Paese ha bisogno di una «boccata d’ossigeno oggi, subito».
Di questo l’altra sera ha parlato a lungo Bersani, «è necessario sbloccare gli investimenti dei Comuni, gli unici a poter fare adesso investimenti rapidi» e per questo è tornato a chiedere a Monti, «un allentamento selettivo sul Patto di stabilità», questione definita ancora «irrisolta». Ma il primo ministro e il sottosegretario Grilli, pur consapevoli della necessità di dare una scossa all’economia, hanno frenato.
Le previsioni del Fmi, che danno per l’Italia uno spareggio di bilancio almeno fino al 2017, e i dati contenuti nello stesso Documento di economia e finanza presentato ieri (nel quale si conferma un crollo del Pil dell’1,2%), spingono il governo verso una tenuta della linea di rigore fin qui intrapresa. L’allarme è talmente alto (malgrado ieri il premier si sia detto ottimista sul pareggio nel 2013) che per ora non si parla di destinare alla diminuzione della pressione fiscale il provento del tesoretto frutto della lotta all’evasione.
Non a caso ieri Monti ha ribadito che soltanto nel 2014 sarà possibile intervenire su questo fronte. Argomento bruciante per il Pdl, che del calo delle tasse ha sempre fatto un cavallo di battaglia elettorale, tanto che Angelino Alfano è tornato all’attacco proprio pensando al 2013: «Il primo modo per sostenere la crescita del Paese è smettere di aumentare le tasse. La nostra idea è basta tasse e basta dare l’impressione che ogni provvedimento del governo contenga un nuovo balzello».
E se per il segretario Pdl la crescita passa attraverso la diminuzione delle tasse, per il segretario Pd passa anche e soprattutto attraverso una serie di misure che immettano nuova liquidità sul mercato per le imprese e contribuiscano alla creazione di posti di lavoro, vera emergenza nazionale. Bersani ha parlato di investimenti nel settore delle nuove energie, politiche industriali mirate soprattutto nei settori più in affanno, e nuove risorse per la pubblica amministrazione attraverso una «triangolazione con la Cassa di Depositi e prestiti e le banche». Su questo ultimo punto, ha spiegato ieri, «è stato allestito un percorso da verificare tra governo, Cassa depositi e banche, che può dare frutti positivi». Si è parlato «solo di questioni economiche, sociali e occupazionali», ha tenuto a chiarire, e non dell’asta delle frequenze, nervo scoperto di Silvio Berlusconi nonché motivo di frizione fortissima con la decisione ribadita ieri da Monti di andare avanti su questa strada.
Dunque, un bilancio positivo ma non esaustivo per il Pd che chiede più coraggio e interventi immediati, perché «c’è un Paese che soffre molto, che ha sulle spalle un’eredità pesantissima» e considera quello di ieri solo l’inizio di un confronto destinato ad andare avanti nelle prossime settimane. A partire dalla riforma del Lavoro che, su questo i leader di Pd, Pdl e Terzo Polo sono in sintonia, «dovrà essere migliorata in Parlamento» non solo su alcune parti sostanziali, ma anche per alcune «sbavature tecniche»: fermo l’impegno di Alfano, Bersani e Casini a rispettare l’impianto generale della riforma e i tempi di approvazione. Ferma la richiesta del premier ai partiti a condividere pubblicamente l’impegno a proseguire sulla strada tracciata dai tecnici e ad attuare la riforma della «governance», attraverso una nuova legge elettorale, la riduzione dei parlamentari, e un diverso meccanismo di finanziamento.

L’Unità 19.04.12

"Formigoni, le vacanze e quelle risposte non date", di Piero Colaprico

Roberto Formigoni, abile parlatore, pensa di cavarsela da solo: «Nessun problema, nessuna irregolarità, ma soprattutto nessuna regalia. Non ho mai ricevuto neppure un euro da nessuno», ripete. Questo «euro mai preso» è però il piccolo punto di rottura di questa storia. Perché qui gli euro che girano sono parecchi. Cominciamo dalle vacanze. Chiunque abbia viaggiato con amici, rispettando la decisione collettiva di dividere le spese, sa e può dimostrare (più o meno) quanto, dove e come ha speso la sua quota. Non si viaggia di solito con le mazzette di banconote in tasca, come fanno i gangster. Uno paga con assegni e con carte di credito. Paga così i ristoranti, o l´affitto dell´auto. Negli estratti conto c´è tutto. Ma Formigoni, sinora, non mostra estratti conto.
Guai, in fatti, a toccare questo tasto: «Scusi, chi è lei che fa questa domanda, che incarico ha?», chiede inviperito Formigoni al collega di Repubblica, il quale cercava uno straccio di ricevuta sulle feste di Capodanno del 2009 a Parigi. «Allora, se non ha un incarico, vale – dice Formigoni – la parola del presidente». E perché vale, questo nuovo modo di dire “Lei non sa chi sono io”? «Grazie a Dio, io ho la possibilità di pagare integralmente le mie vacanze, e ho la possibilità di dare una mano agli amici meno abbienti». Gli amici meno abbienti forse non vanno a Parigi: ma, se pure uno molto abbiente è abituato a girare per le capitali, come se si, quando gli si chiede dov´era nel capodanno del 2009, a dire «non ricordo adesso, verificherò, vedrò»?

LE VERSIONI DEL PRESIDENTE
La prima versione dei fatti sulle vacanze era in verità un bel po´ più netta: «Non ho nulla da rimproverarmi sulla vicenda delle vacanze, io non ho pagato niente a Daccò e lui non ha pagato niente a me». E´ stata dunque un po´ aggiustata. E c´è, a risentire con attenzione le parole di Formigoni, anche un´altra frasetta, che suona un po´ strana. E non è che gli sfugga: «Comunque, non costituirebbe nessuna fattispecie di reato ricevere cose in dono».
Ma quali «cose»? Di quale valore ed entità? Come Berlusconi aveva la pretesa farsi domande innocue e darsi le risposte «da vincente», così Formigoni appena può devia questa questione del «neppure un euro»: «Il giornalista del Corriere non è andato mai in vacanza in gruppo? C´è stato sempre da solo? E allora è un uomo triste, sfigato e malinconico», sfotte a distanza. A parte l´uso incommentabile della parola sfigato, il punto resta sempre uguale. Ma chi ha stabilito che Formigoni è talmente onesto da poterselo, con grande leggerezza, dirselo da solo? E se la sua fosse solo l´insostenibile leggerezza del prendere?

NEPPURE UN EURO
Il bivio in cui si trova Formigoni dovrebbe essere chiaro a tutti, ma forse non lo è. La Regione Lombardia ha un consiglio e un gruppo dirigente minato dagli scandali: arresti, «dazioni», interrogatori che parlano di tangenti, coinvolti Pdl, Lega, il ds Penati. Il crac del San Raffaele, un miliardo di euro buco. E adesso l´inchiesta sulla Fondazione Maugeri, settanta milioni di euro «succhiati».
Formigoni dice che non ha «preso un euro», ma a prendere quegli euro era Pierangelo Daccò, il suo compagno di vacanza, dice senza dubbio l´inchiesta. Vale per tutti la presunzione d´innocenza, ma esiste un «contesto». Negli atti giudiziari emerge come la carriera di Daccò, e di altri, sia simile. Sia quasi fotocopiabile. Sono persone che a Roberto Formigoni sono vicine umanamente, politicamente, religiosamente. E sono diventate stramilionarie senza lavorare davvero, e senza vincere al Superenalotto. Sono diventati ricchi per loro o per altri? Dove portano tutte le società che tra Portogallo, Svizzera, Bahamas, Austria hanno ricevuto i rivoli di un immenso fiume di denaro.

FACCENDIERI E TRADITORI
Queste persone, tra cui Daccò, con il quale Formigoni fa vacanze dimenticabili, hanno accumulato ricchezze – dice l´accusa – emettendo fatture taroccate, firmando contratti senza capo né coda. La ricchezza di Pieangelo Daccò si è moltiplicata perché Daccò – è negli atti, e in vari interrogatori – «protegge» in qualità di consulente-faccendiere gli interessi di aziende sanitarie private che guadagnano i tantissimi soldi grazie ai rimborsi con il denaro pubblico della Regione. E gli davano credito «perché aveva rapporti con il presidente della Regione». E´ questo o non è questo il senso del verbale?
«Ognuno risponde per sé», è il ritornello di Formigoni, come se i Comandamenti, specie il Settimo, non valessero. Ed è un po´ poco. Infatti ne ha aggiunto un altro: «Anche Gesù ha sbagliato a scegliere uno dei suoi collaboratori». Se si riferisce a Giuda, per il momento non si vede ragione: nessuno tradisce Formigoni. Forse, ipotizzano i maligni, perché molti, come lui, come Daccò, e come il «socio di fatto» di Daccò, Antonio Simone, appartengono a Comunione e Liberazione? Ma no, risponde Formigoni, «è un movimento di educazione alla fede cristiana, non c´entra nulla. Stiamo parlando di due persone – e cioè Daccò e Simone, che era il «gemello» di Formigoni, l´ex ex assessore alla Sanità in Regione ai tempi delle mazzette di Tangentopoli – che si dice svolgessero l´attività di mediatori, ma Regione Lombardia non ha mai avuto bisogno di mediatori. Io ho costruito una Regione aperta».
Glissare anche sui suoi rapporti con persone spedite in galera dal gip con gravissime accuse è una libertà che Formigoni si prende, grazie alla formula: «Ognuno risponde per sé». E pure sugli scandali della Fondazione San Raffaele e della Fondazione Maugeri la ricetta sciorinata è facile, quanto indigeribile: «Non è implicato nessuno della Regione Lombardia,», al massimo, ci sarà stata «sottrazione di denaro di privati da parte di privati» e ci sono «due privati cittadini che ci tirano in ballo in maniera del tutto ingiustificata, che tendono ad usarmi come paravento e tutelerò la mia onorabilità». Perché, in fondo, per lui la questione resta sempre quella del famoso euro: «Non è stato sottratto – dice – un euro di denaro pubblico».

SOLO GOSSIP?
Resta «quel» fatto che Formigoni non vuole vedere: «Dov´è il problema? Conosco il signor Daccò da 30 anni», le nostre sono «vacanze di gruppo», un´abitudine «comune a tutti gli italiani» e al ritorno «si fanno i conti». Appunto: gli si chiede la verità misera di un estratto conto. Arriva o no, quello di Parigi? E arriva o no, quello delle barche? Arriva o no, quello degli alberghi? Chi paga chi e perché, questo lo si pretende dal numero uno della Regione, dall´uomo che vanta l´efficienza senza faccendieri: «Permettete che ai giornali scandalistici non dedichi più di tanta attenzione?», ribatte Formigoni. Ci mancherebbe, ma dall´estero, al quale il presidente regionale al quarto mandato guarda sempre, forse perché il sogno di avere quel ministero s´è sempre infranto, arrivano altri esempi: il presidente tedesco che si dimette per un prestito a un tasso agevolato, il ministro per una tesi copiata, e via dicendo.

L´ACQUA E IL SAPONE
Qui vale, viceversa, l´auto-beatificazione: «Io sono limpido come acqua di fonte». E, in questa voglia di purezza, anche Nicole Minetti, la cubista selezionata da Berlusconi come consigliere regionale, riceva una metafora benedetta: com´era stata descritta a Formigoni da don Verzè? «Nicole, una ragazza acqua e sapone». Perché tutto è pulito, sotto il cielo di Lombardia. Ma non è vero, se Formigoni non dimostra che «neppure un euro» gli è arrivato in tasca dal faccendiere Daccò.

La Repubblica 19.04.12

"L'Italia delle consorterie", di Alfredo Reichlin.

È necessario, perfino preliminare (se vogliamo essere ascoltati), riformare i meccanismi del finanziamento pubblico ai partiti, compreso il suo ammontare. Ma che questa sia la risposta alla gravità della crisi a me sembra cosa insufficiente e perfino fuorviante. E vorrei dirlo rivolgendomi ancora alle coscienze intellettuali e morali di questo Paese.
Le quali sanno bene perché è così devastante la crisi della democrazia europea e occidentale. Chi comanda a Bruxelles e con quali armi si combattono le elezioni americane? Ma non voglio sfuggire. È dalla realtà italiana che dobbiamo partire. Dalla sua estrema gravità. Questa non è solo una crisi della struttura economica e del sistema politico, è l’insieme dell’organismo italiano che è investito da uno sbandamento che è anche morale. La gente è smarrita e si chiede chi la dirige, e dove stiamo andando. Perciò io credo che il mare di fango che il sistema politico-mediatico sta gettando sui partiti non è un episodio tra i tanti della polemica politica. Esso investe (anche al di là delle intenzioni) l’esistenza stessa del Parlamento, la fiducia in esso. Cioè in quella che è la più grande invenzione della democrazia moderna: la rappresentanza di idee e interessi diversi nella convinzione che solo dal confronto tra “parti” diverse scaturisce l’interesse generale.
A che gioco si sta giocando oggi in Italia? I “partiti” non sono una “cosa”, una professione. Hanno un nome e un cognome. Io da giovane non mi sono iscritto ai “partiti” ma al Pci, cioè a quello che era l’avversario della Dc. Oggi, vedo che cresce il numero di quelli che non si iscrivono a un partito (tutti in calo di militanti) ma a strutture molto più potenti, ramificate e oscure. Quelle che già Gramsci chiamava «l’Italia delle consorterie». Non confondiamole con i partiti. Io qui sto parlando invece di un partito che ha un nome e un cognome: il Partito democratico. Quella forza politica che con tutti i suoi difetti (e anche con qualche “mela marcia”) ha, nel recente passato, governato l’Italia assieme a persone come Ciampi, Prodi, Andreatta, Veltroni,Napolitano, D’Alema, Bersani, Visco. Perché non si dice che questi ministri sono stati tra i migliori e i più onesti della Repubblica? L’attuale governo dei tecnici non mi fa dimenticare che quei governi hanno privatizzato le banche e l’industria di Stato, hanno riformato il commercio, hanno portato l’Italia nell’euro. Poi, quando la maggioranza degli italiani (non noi, ma una maggioranza creata anche dal semi-monopolio tv-giornali) ha mandato al governo Silvio Berlusconi, noi (ripeto: noi), non altri che oggi si stracciano le vesti, siamo stati all’opposizione. Ma lasciamo stare la polemica. È la crisi anche morale dell’Italia il problema vero che suscita perfino angoscia. Come ne vogliamo uscire? Con una riforma anche intellettuale e morale senza la quale l’Italia – non esagero – non sarà più quella cosa meravigliosa che è stata nei secoli, oppure con questo miserabile gioco secondo cui, essendo i partiti tutti uguali, basta mettere la merda nel ventilatore e così impedire ogni possibilità reale di ricambio anche sociale. Niente soldi ai partiti? Che governino i miliardari, il popolo non avrà più nemmeno una tribuna parlamentare.
Il problema che mi assilla è questo. Quale strada vogliamo imboccare? Non è la sorte particolare del mio partito che è in cima ai miei pensieri. Guardo con tristezza a che punto siamo tutti arrivati. Di che partiti stiamo parlando? Da dieci anni la Lega Nord non fa un congresso. Adesso si scandalizzano per i diamanti, il Trota, gli investimenti in Tanzania. Ma quanti articoli abbiamo letto di illustri commentatori e professori di politologia, che esaltavano la Lega come finalmente il vero partito del Nord (non la pochezza della sinistra), un partito tanto popolare che il suo Capo andava alle sorgenti del Po per raccogliere le acque in una magica ampolla che poi veniva portata in processione fino a Venezia.
Questo partito del Nord (povero Nord) che radunava la sua gente con le corna in testa di non so quale razza pagana. E poi gli insulti ai meridionali e agli extracomunitari trattati come bestie. Ecco i veri, profondi danni che l’Italia, a cominciare dal Nord, ha subito. E abbiamo anche visto che cos’era il “partito” di Berlusconi, nato dalle strutture aziendali della Fininvest. Quale esempio e quale ferita per gli italiani: quel disprezzo per le istituzioni, la Corte Costituzionale «comunista», il rifiuto della legge uguale, il privato (comprese le squallide orgette) confuse con il bene pubblico, l’indulgenza per la rivolta fiscale.
È impressionante il racconto che fa il faccendiere Lavitola ai magistrati: perfino i rapporti personali d’affari con capi di Stato stranieri. Ecco il problema grave e difficile che sta davanti non solo a noi ma alla parte migliore degli italiani.
Il bisogno di dare un più alto messaggio etico-politico prima ancora che programmatico. Indicare una speranza, una prospettiva.
È vero che i vecchi partiti non torneranno più. Su questo ha ragione il professor Panebianco. Ma che risposta possiamo dare alle sfide che stanno svuotando i poteri della democrazia? Che tipo di società umana si sta formando? La domanda più importante è questa.
È vero che le vecchie distanze abissali di reddito tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo si vanno, nell’insieme, riducendo, ma il fenomeno nuovo a cui stiamo assistendo è l’aumento, nei Paesi ricchi, di una grande povertà e, nei Paesi poveri, di un forte sviluppo insieme a una miseria assoluta. Il tutto con crescenti disparità nel campo della conoscenza. Sembra di assistere all’avvento non di una nuova democrazia ma di un’aristocrazia planetaria del sapere, del potere e della ricchezza, a fronte di una massa di semplici consumatori, e più in basso ancora di esclusi, sia dal potere che dai consumi. I nuovi schiavi. Quali pari opportunità si aprono a una bambina che nasce e vive in una località remota della campagna calabrese rispetto a un bambino figlio di un docente della Bocconi?
Questi sono i fatti, le cose. E davvero non si capisce perché la sinistra non dovrebbe esitare a rialzare la testa e ritrovare l’orgoglio delle sue ragioni storiche (il suo partito) nell’aspro scenario di lotte e di contraddizioni che sempre più segnano questo nostro mondo. E allora non si può sfuggire alla necessità di tornare a dare alla sinistra quella ragione storica che è la sua e che non può che consistere in una critica di fondo degli assetti attuali del mondo. Una critica la cui radicalità non sta nella violenza e nel rifiuto di assumere responsabilità di governo, ma nel mettere in discussione i poteri reali che governano da sempre questo paese (la vecchia classe dirigente alla
eterna ricerca di avventure extraparlamentari) e lottare per la ricostruzione civile del Paese.

L’Unità 19.04.12