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"Una scopa per bandiera", di Filippo Ceccarelli

Il mondo dei proverbi, come quello dei simboli, non ha bisogno in genere di troppe spiegazioni: e l´immagine di Bobo Maroni che sul palco di Bergamo impugna una scopa mentre un Bossi già piuttosto ingobbito si curva sul microfono, apre un mare di significati, ma anche e soprattutto un oceano di minacciose contraddizioni sul futuro della Lega. Ci sono e si immaginano oltretutto centinaia di scope in platea. La maggior parte come quella classica di saggina brandita dall´ex ministro dell´Interno, con tanto di ruota solare impressa in color verde – e con l´aria che tira si spera vivamente siano state ordinate e prodotte e pagate su base volontaria. Però le foto riportano l´ostensione di una tale pluralità di scope, ramazze e pure scopettoni, e in un caso disposti addirittura a cerchio sul pavimento per sbeffeggiare la pretesa magia di Gemonio, che l´insolita mostra mette in causa un che di spontaneo, di gioioso, e anche per questo finisce per richiamare un inconsapevole esorcismo, una specie di rituale di purificazione.
La Lega ne ha senza dubbio bisogno. I militanti, e tanto più quelli semplici e disinteressati, sentono l´effetto dello sporco che arriva a compromettere la sopravvivenza del movimento. Rimpiangono il tempo regalato e intanto espongono cartelli che invocano la pulizia, triplicano la parola e il concetto, evocano pollai da lavare e incidono pale e badili sulle magliette. Bossi piange, certo, ma il lavacro di una stagione richiede ben altro che lacrime in scena.
La scopa è un attrezzo che sa anche essere prepotente e risolutivo, e qui prima che alla magia delle supposte streghe, che fin dagli albori della civiltà viaggiano di notte a cavallo dell´utensile in questione, si tornerebbe alla sapienza anche cruda, anzi specialmente cruda dei proverbi. Ce n´è uno, appuntato e chiosato dall´insostituibile dizionario del professor Carlo Lapucci (Le Monnier, 2006) che si riporta nella sua integrità anche in onore del linguaggio leghista, e del Senatùr in particolare, che con le parole e i gesti non è mai troppo andato per il sottile. Per cui: «Vecchia scopa non teme la merda».
Chi inizia l´opera cioè non solo non deve fermarsi dinanzi a nulla, ma nemmeno deve temere di sciupare il suo sperimentato strumento. E qui Lapucci si fa forte di ulteriori irriferibili motti a base di prostituzione e varietà genitali, per poi ritornare al punto: «Con la scopa vecchia si spazza anche la stalla», e sentirlo viene un po´ in mente la fattoria acquistata a beneficio di Roberto Libertà, il terzogenito di Bossi, con tanto di somari in dotazione. Mentre per quanto attiene la compiutezza sapienziale si raggiunge il vertice della pulizia con un proverbio che suona in rima: «Scopa nuova scopa bene, ma è la vecchia che la mantiene».
A proposito di quest´ultimo, converrà segnalare che almeno nella prima parte, e quindi sacrificando il risvolto per così dire venale all´ammiccamento a doppio senso con ritorno di risatine, l´ex presidente Berlusconi, uno specialista, l´ha menzionato prima delle elezioni amministrative di Roma, di Torino e di Napoli. Per Alemanno, Coppola e Lettieri valeva dunque lo slogan: «Scopa nuova, scopa bene». E seppure il Cavaliere, con qualche giustificazione, ometteva ogni richiamo al successivo mantenimento dei candidati del Pdl, solo Alemanno – pure da lui gratificato di essere «un cane da polpacci» – ha poi vinto le elezioni, presto vanificando ogni speranza di pulizia, a cominciare dalla nettezza urbana con le sue implicazioni parentopolesche. Ma pazienza.
Non solo per questo la scopa berlusconiana ispira qualche ragionevole diffidenza. O almeno: una ramazza di plastica colorata in elettrico azzurro fu messa in mano all´allora presidente del Consiglio nell´agosto del 2008 a Napoli per certificare, con l´energia dei simboli, il suo personalissimo trionfo sull´immondizia. Sta di fatto che con una di quelle mosse che sul momento gli riescono così bene, Berlusconi sospese la routine del bagno di folla e facendosi largo tra i napoletani sotto gli occhi delle telecamere con umile e signorile dedizione cominciò a spazzare il selciato di piazza Carolina pronunciando formule auto-incensatorie. Solo in seguito, purtroppo, si venne a sapere che pochi minuti prima alcuni non meglio identificati «volontari» della Protezione civile gli avevano preparato il set movimentandolo con cartacce e bicchieri di plastica destinati all´illustre raccolta, per la gloria del telepopulismo istituzionale.
Così, anche rispetto all´esibizione lustrale di Maroni e dei suoi barbari sognanti, alla sua volontà e ancor più alla possibilità che egli ha di fare effettiva pulizia nella Lega «senza guardare in faccia a nessuno», come scrive su Facebook, si coltiva un certo scetticismo. Quanto è davvero vecchia e quindi efficace la sua scopa? O non è invece il solito spettacolino improvvisato per buscare qualche foto o ripresa televisiva?
Al corto di passioni, soluzioni e progetti, l´odierna politica è prodiga di oggetti parlanti: magliette, lenzuola, scarpe, spugne, fazzoletti, coccarde, fasce nere al braccio, mutande, monetine. Simboli, si direbbero, di corta durata e a bassa intensità. Ogni tanto qualche sindaco (Veltroni, poi Alemanno) organizza volontari munite di scope che fanno pulizia per le strade, così come a Londra dopo i disordini dell´estate scorsa centinia di cittadini si raccolsero in gruppi «Riotcleanup». Per la verità l´avevano già fatto alcuni tunisini dopo la rivolta a Lampedusa. Tutto è molto diverso da quando i militanti radicali si presentavano alla parata militare con scope in mano e scolapasta in testa.
Più si smorza l´affetto del corpo sociale nei confronti del potere e più i politici si lambiccano il cervello dilatando sui loro precari altari lo spazio intimo della casa, del lavoro e della famiglia con il criterio delle merci e del consumo. La celebre «scopa Pippo», quella di tanti spot, veniva giusto appunto da Castronno, che tra Cassano Magnago, dove è nato Bossi, e Gemonio, dove vive.

La Repubblica 12.04.12

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Lega, ecco i conti segreti

Alla moglie di Bossi 11 case, spuntano i diamanti. I consigli di Tremonti. Nelle intercettazioni della Dia di Reggio Calabria sulla linea dell´ex tesoriere leghista Francesco Belsito sono citati il Senatur e l´ex ministro dell´Economia Tremonti perché a conoscenza degli investimenti del Carroccio all´estero. Inoltre, alla moglie di Bossi, Manuela Marrone, risultano intestati 11 immobili. Maroni in Procura: «Umberto è stato raggirato».

Umberto Bossi e Giulio Tremonti sapevano degli investimenti dei fondi della Lega all´estero, compresi quelli in Tanzania. E degli immobili intestati alla moglie del leader della Lega. Ben undici, mentre altri sarebbero stati intestati ad altri membri che costituivano la corrente del “Cerchio magico”. Nello scandalo appena scoppiato si fanno tanti commenti e diverse previsioni sul “futuro politico” della Lega che sarebbe finita nelle «mani» di Maroni, il quale stava spingendo su Formigoni che «gli aprirà tutta la Lombardia».
È quanto emerge dalla lunga informativa della Dia di Reggio Calabria che ha intercettato per mesi il tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito, l´imprenditore Stefano Bonet, le segretarie e dipendenti della Lega che lavorano nel gruppo parlamentare della Camera. Un´indagine coordinata dal pm della Dda Giuseppe Lombardo che ha svelato l´uso dei fondi della Lega gestiti da faccendieri e politici. «Scenari che non lasciano alcun dubbio – sottolineano gli inquirenti – circa l´esistenza di un sistema contaminato di malaffare a cui si alimentavano poteri istituzionali, politici e dell´economia».
BOSSI E TREMONTI SAPEVANO
In una telefonata tra il tesoriere Francesco Belsito e l´imprenditore Stefano Bonet, intercettata il 10 gennaio scorso quando lo scandalo era appena scoppiato, Belsito rivela a Bonet: «Bossi e Tremonti erano d´accordo sul fatto che la Lega Nord, con l´operazione (in Tanzania ed a Cipro ndr), avesse voluto diversificare i loro risparmi». Ed aggiungeva che gli importi bonificati erano riportati in bilancio anche perché, con il 2009 e 2010 il movimento politico aveva chiuso con un attivo di 16,5 milioni di euro. Il tesoriere della Lega rivela anche a Bonet che «Bossi mi ha fatto divieto di rilasciare interviste». Non solo, sempre l´ex tesoriere del Carroccio racconta che in occasione dello stanziamento a favore del fondo della Tanzania, l´ex ministro dell´Economia suggeriva: «Fate bene a diversificare perché tra due mesi l´euro salta».

GLI INCONTRI CON I VERTICI DELLA LEGA
Dieci giorni dopo Lubiana Restaini, dipendente della Lega nel gruppo parlamentare chiama Stefano Bonet per chiedergli se vuole incontrare Maroni, Giorgietti e Calderoli per spiegare cosa è accaduto con i fondi gestiti da Francesco Belsito. «Vi potete incontrare in una villa a Varese per spiegare tutta la vicenda» specifica la segretaria che aggiunge: «Ormai la linea politica della Lega è in mano a Maroni. Cambierà il capogruppo che sarà un maroniano, e anche Zaia è passato sotto la sua corrente. E loro stanno anche spingendo su Formigoni che gli aprirà tutta la Lombardia».

GLI UNDICI IMMOBILI ALLA MOGLIE DI BOSSI
Quattro giorni dopo, il 24 gennaio, è Stefano Bonet che chiama Lubiana Restaini e la donna lo informa che ha appena mandato un messaggio a Maroni che lo riguardava e questo in previsione di un incontro per il venerdì successivo con i vertici della Lega che Bonet teme possa diventare pubblico paventando una fuga di notizie «poiché Belsito si manifestava particolarmente nervoso». Lubiana spiega a Bonet che Belsito era nervoso «per il fatto che il tesoriere era finito sui giornali per la vicenda dei fondi, ma anche, soprattutto per quello che riguardava tutta una serie di acquisti di immobili da parte di Bossi (11 intestati alla moglie) ed altri da parte di altri membri che costituivano la corrente del “Cerchio Magico”. E se ciò fosse vero il partito ne verrebbe fuori distrutto e tutti sarebbero andati sotto la corrente di Maroni» «.

GLI INCONTRI DI BONET CON ROBERTO CASTELLI
I Vertici della Lega sono in agitazione, cercano di parare i colpi dello scandalo e, soprattutto, premono per fare rientrare nelle casse del partito i milioni di euro che Belsito aveva trasferito a Cipro e in Tanzania. Ed il 3 febbraio Roberto Castelli s´incontra, in maniera riservata, con Stefano Bonet, nella sala d´aspetto dell´aeroporto di Linate. Bonet lo comunica al suo uomo a Cipro, Paolo Scala e definisce Castelli una persona “precisa e puntigliosa” e che « «all´interno della Lega erano scattate delle indagini sulla vicenda Belsito-Fondi» «. Castelli, tra l´altro, « «avrebbe espresso il desiderio di chiudere la vicenda nel più breve tempo possibile». Ma Bonet cambia parere dopo che Castelli gli fa capire che la Lega non è disposta a restituirgli i soldi che l´imprenditore aveva anticipato per l´affare a Belsito. Per questo chiama il suo socio Romolo Gerardelli e minaccia di fare scoppiare il caso: «Vado in Procura e ai giornali e mi porto dietro mogli e ministri».

IL GIALLO DI MARONI
Dalle intercettazioni si parla spesso di incontri fissati tra Bonet e Roberto Maroni. Il primo appuntamento risalirebbe al 27 gennaio. In realtà a quella riunione Maroni non avrebbe partecipato, e non è chiaro se vi siano state altre occasioni. Una cosa è certa e si tratta di una telefonata tra Bossi e Maroni alla presenza di Belsito. E lo stesso tesoriere che la racconta a Rosy Mauro. «Perché il Capo, quando sono stato (incompr.) ha detto: “Devi avvisare due persone: Stiffoni e Castelli”. Ed io li ho chiamati e gliel´ho detto. Poi lui, di sua iniziativa, ha detto al commesso di chiamargli Maroni. … e a Maroni gli ha detto: “Stronzo! Adesso non puoi più dire niente in giro…”. E lui rideva… e lui rideva! Gli fa: “Aspetta che ti passo Belsito”. .. ed io gli ho detto: “Ciao. .. come avrai già sentito dal Capo, è tutto a posto”… “Bene, bene… sono contento…”, e basta».

BELSITO E I FONDI NERI DELLA COOP7

C´è anche dell´altro nella mani del pm Giuseppe Lombardo. È lo sfogo di Belsito con Girardelli. Dice che «gli aprirà una fiumara… la Coop7. .. tutto, il conto corrente che aveva in Svizzera che pagava la Coop7. Facendo riferimento a quella terza persona, non identificata, dice che era stato fermato con 100.000 euro». Quindi dice «che farà venir giù un terremoto di quelli pesantissimi e di sapere anche in quale Procura farlo».

La Repubblica 12.04.12

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Le multe, le cliniche da vip e la polizza di Gemonio la Family a carico del partito” di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO

La grafia è a stampatello. La scritta «The Family», in un riquadro. Più sotto, i nomi: «Umberto, Sirio, Renzo». E il cognome: «Bossi». All´interno, il materiale che scotta: le multe del Trota, la polizza e i lavori sulla casa di Gemonio, l´intervento chirurgico di Sirio, il modello di pagamento delle tasse del “capo” e altra documentazione sanitaria e fiscale relativa alla famiglia del senatùr. Eccola, la cartellina sequestrata nella cassaforte della Lega, in uso all´ex tesoriere Francesco Belsito, nell´ufficio della Camera di via Poli, a Roma. Sono le carte dello scandalo su cui indagano tre Procure. I pm di Napoli Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock hanno trasmesso ieri gli atti alla Corte dei Conti. Si apre così anche un fronte contabile.
L´auto e le multe di Renzo
Belsito conserva ogni multa. In un caso, fa anche il totale di quattro spese: 674,53 euro. Via fax, con foglio intestato alla Presidenza del Consiglio, verosimilmente relativo al periodo in cui il tesoriere ricopre anche la carica di sottosegretario, Belsito annota le contravvenzioni elevate tra il 18 settembre e il 16 ottobre 2010 all´auto intestata a Renzo Bossi.
Due volte viene multato a Bologna, il 15 e 16 ottobre 2010, con l´annotazione «Festa Lega Nord Bologna». Il 18 settembre a Modena, per «un accesso abusivo alla ztl». Sulla notifica, a penna, ulteriore annotazione: «Pranzo con dott. Panini, Rosi Mauro, Angelo Alessandri». Ancora il 15 novembre, stavolta a Milano, «sosta sul marciapiede». Altre contravvenzioni pesano, e riguardano l´Audi intestata a Renzo. Al Trota piace correre: ben tre multe, per eccesso di velocità, nella notte tra il 7 e l´8 agosto 2010. Ecco la sequenza: all´1.50 sull´A1 all´altezza di Fontanellato (Parma), alle 2.10 in località Ospedaletto lodigiano, alle 2.46 a Cassano Magnano. Altre contravvenzioni arrivano dalle “Stradali” di Rovigo (è annotato: «Festa Lega Nord Ferrara»), Vicenza e Padova.
Spese mediche per il leader e figli
Diciassette pagine “raccontano” le spese mediche per la famiglia Bossi che, secondo l´ipotesi accusatoria, sono state saldate con i fondi della Lega. Nel dossier, fatture, bonifici, diagnosi: tutto ordinatamente raccolto nella cartellina custodita dall´ex tesoriere e ormai depositata agli atti. Il capitolo che riguarda la “sanità” di famiglia: dalle cure odontoiatriche per il leader Umberto all´operazione per il naso del figlio, oggi quindicenne, Sirio. Belsito risulta aver saldato con i soldi del partito, attraverso un bonifico complessivo, effettuato su un conto del Banco di Napoli, 9.901,62 euro per l´intervento chirurgico sostenuto da Sirio Bossi nell´aprile 2011, a favore della casa di cura “Gruppo Iseni” di Lonate Pozzolo (Varese). Ammontano invece a 1500 euro le cure mediche per il dentista di Bossi, fattura emessa da un medico di Gallarate (Varese) alla vigilia di Natale del 2009.
L´assegno e il pagamento
delle tasse
Agli atti figurano anche documenti bancari e fiscali che dovranno essere valutati dagli investigatori. Come quella mail inviata il 10 giugno 2010 dalla Lega Nord a una casella di posta intestata alla scuola Bosina (l´istituto fondato dalla moglie di Bossi, Manuela) con riferimento «all´acconto Ici di Bossi», «da pagare entro il 30 giugno». C´è anche un assegno di 2 mila euro del Banco di Napoli firmato da Belsito nella qualità di tesoriere della Lega il 14 luglio 2010. Ad attirare l´attenzione, un dato: nello stesso giorno e presso la stessa banca (agenzia del Banconapoli di Montecitorio) risulta effettuato il pagamento di tasse, imposte dirette ed Ici a carico di Umberto Bossi per l´importo di 1300 euro. Altra documentazione bancaria si riferisce ad estratti di due conti correnti accesi presso la Banca popolare di Lodi e intestati rispettivamente a Umberto Bossi e alla moglie Manuela Marrone. Il conto del Senatùr presenta, al 31 dicembre 2009, un passivo di oltre 46 mila euro, quello della moglie un attivo di poco meno di 5 mila euro.
La ristrutturazione della
residenza di Gemonio
Dallo studio di architettura di Curno (Bergamo), il 15 gennaio 2010, parte il fax diretto alla signora Manuela Marrone, moglie di Bossi. Oggetto: «Realizzazione ampliamento edificio residenziale». Tra i documenti, un bonifico da 779,38 euro per il pagamento della polizza sulla casa di Bossi a Gemonio diretto a una compagnia assicurativa. Come ordinante, “Lega Nord”.
«Scudo fiscale» e «Contatto Fincantieri, cosa devo fare!!!».
Offrono spunti da approfondire anche le ultime due pagine del fascicolo “The family”. Fogli fitti di appunti slegati tra loro, stesi all´impronta, grafia veloce e disordinata. Un elenco di cose da fare, dove spiccano parole da valutare. Per esempio. «Scudo fiscale». «Campagna elettorale». «Barcello (contatto Fincantieri) cosa devo fare!!». «Situazione saldo prima ditta ad oggi». «Farsi mandare lettera alla ditta esecutrice dei lavori a Gemonio».

La Repubblica 12.04.12

Italia Bene Comune

“Sono entusiasta delle candidature, grazie ad un percorso intenso, siamo arrivati a mettere in campo una squadra veramente buona per le prossime Amministrative. Le considerazioni che emergono sono chiare, prima fra tutte, in questa campagna elettorale i nostri candidati si troveranno davanti dei cittadini veri: pensionati, lavoratori, giovani, che vengono da noi anche per dire cose non gradite. Questa per il PD è una grande occasione per essere in campo e parlare con la gente andando porta a porta, interpretando e misurando il profondo disagio che vivono in questo momento di crisi”. Così il Segretario del PD Pier Luigi Bersani ha concluso la Conferenza Stampa di presentazione dei candidati a Sindaco del PD per le prossime Elezioni Amministrative del 6 – 7 maggio, quando saranno chiamati alle urne circa 10 milioni di cittadini in 1020 Comuni di cui 29 capoluoghi”.

Parlando di crisi, Bersani ha commentato la caduta delle borse, che “evidenziano il rischio di un avvitamento tra austerità e recessione. Siamo in un momento molto difficile, c’è una nuova tempesta dei mercati, ma leggo analisi non sempre soddisfacenti. E’ lampante – ha chiarito – il problema che in Italia e in Europa non stiamo rassicurando il mondo sulla capacità dell’Europa di coniugare rigore e crescita. Le ricette della destra europea sono state e sono un disastro. Non usciremo dai guai senza un cambio di leadership nella gestione della crisi, senza una riscossa dei progressisti”.

E tornando alle amministrative, Bersani ha ribadito “l’importanza di una deroga al patto di stabilità per i Comuni con i conti a posto e quindi l’opportunità di un confronto tra le forze politiche e il governo. I Comuni non sono la malattia, ma possono essere una parte della medicina – ha sottolineato Bersani – visto che il 70% delle opere pubbliche in Italia le fanno i Comuni. Quello è un rubinetto che va aperto – ha spiegato – per consentire una ripresa a breve dei lavori e un po’ di pagamenti alle imprese che sono in crisi drammatica di liquidità. Bisogna mettere i comuni in condizione di dare qualche risposta in più, perchè questo serve all’Italia”.
Altro punto da affrontare durante la campagna elettorale, secondo il Segretario democratico, è il “tema del discredito della politica e dello smarrimento dei cittadini. Quelli che emergono dall’affaire Lega sono fatti sconvolgenti per l’opinione pubblica e anche per i dirigenti di un partito come il nostro, che sono abituati a dare al partito, non a prendere. Mettere tutti nel mucchio – ha chiarito Bersani – rischia di far arrivare a un punto di non ritorno. Da Pericle, la democrazia ha sempre funzionato con il sostegno pubblico, per evitare che il più ricco e il più forte facesse il burattinaio e governasse la città. La democrazia da sempre è vissuta con un sostegno alla politica, e da qui non si può deflettere. Il PD è disponibilissimo e ha tutta l’intenzione di rivedere il sistema – ha affermato Bersani – ma ridiscutere di questo richiede dei tempi e non accetterei che nell’attesa con i soldi del partito, qualcuno si ristrutturasse la casa. Servono immediate misure di controllo serio e serve partire immediatamente con la discussione di come ristrutturare la materia e su questo il PD è impegnatissimo”.

In fine Bersani ha annunciato che domani sarà a Monasterace, in Calabria, per incontrare il sindaco Maria Carmela Lanzetta, dimissionaria dopo essere stata bersaglio di diverse intimidazioni mafiose. Cosa deve pensare chi è sul fronte e rischia la pelle dentro a questo generico discredito?”, ha chiesto Bersani, “dobbiamo abbandonare chi è sul fronte? Dire che sono tutti disonesti? Non lo accettiamo. Per questo sarò a Monasterace per portare la mia solidarietà a Maria Lanzetta”.

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La Conferenza Stampa, è stata aperta da Davide Zoggia, Responsabile Enti Locali del PD.

“Queste elezioni rappresentano una tornata molto significativa, abbiamo chiuso con le candidature parecchie settimane fa e su 29 candidati a Sindaco, dei capoluoghi di provincia, ben 20 sono del PD e la maggior parte scelti con le elezioni primarie. Abbiamo una situazione pressocchè omegenea sulle alleanze – ha chiarito Zoggia – con l’Idv e sinistra democratica e solo in alcuni territori con Udc e terzo polo”.

Un dato importante evidenziato dal Responsabile nazionale Enti Locali è “l’apertura al civismo, come espressione della sensibilità del territorio, in alcuni casi con liste a fianco a quella del PD, in altri con candidati espressione di liste civiche”.
Zoggia ha voluto sottolineare che “il PD ha lavorato perché ci fossero parecchie candidature di genere, nei comuni sopra i 35.000 abitanti, ci sono 35 candidature femminili. E’ un numero che ancora non ci soddisfa del tutto, ma è il segno di un lavoro che abbiamo avviato. E su questo punto – ha specificato – c’è un impegno che parte dalla segreteria nazionale, fino ai territori per dare adeguata rappresentanza alle donne una volta che i Sindaci si siano insediati”.

I punti su cui si basano le candidature espresse dal PD si possono riassumere in tre, che Zoggia indica in : “civismo, parità di genere e valori etici della rappresentanza. E su quest’ultimo in particolare il Partito democratico basa tutta la campagna elettorale. Per la trasparenza dei conti, alla fine della campagna elettorale verrà presentato un rendiconto delle spese.

Sui programmi che caratterizzano le candidature, ha chiarito Zoggia che “c’è molta particolarità legata ai singoli territori ma un tratto comune che li caratterizza tutti è l’attenzione verso le famiglie e le imprese. Anche la modifica e la rivisitazione del patto di stabilità è un elemento comune e su questo – ha dichiarato – siamo a fianco dell’Anci. Cercheremo di convincere il governo, che alcune azioni in favore dei Comuni si possono fare in tempi rapidisissimi. Una per tutte la deroga al patto di stabilità per consentire investimenti in favore della crescita”.

Gli amministratori locali – ha concluso Zoggia – dovranno darci una mano a ricostruire la credibilità della politica nel nostro Paese. Insieme ci riusciremo, con un grande gesto di responsabilità e forza, ridaremo fiducia alla politica. Come PD nazionale diamo tutto il nostro appoggio ai nostri candidati. È una tornata importante per il Paese – ha ripetuto Zoggia – è l’ultima volta che si vota prima delle politiche del 2013, quindi un grande augurio a tutti noi, per risollevare insieme le sorti del Paese”.

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Massimo Cialente (L’Aquila): Quelle del 6 e 7 maggio saranno elezioni importantissime e storiche per L’Aquila. Ho affrontato questa campagna chiedendo con forza le primarie perché sono convinto che un sindaco non possa ricandidarsi non sottoponendosi prima al giudizio dei suoi concittadini per il primo mandato. La risposta positiva con il 70,5% delle preferenze mi ha dato nuova forza. L’Aquila dopo i primi nove mesi del dopo terremoto ha dovuto camminare sulle proprie gambe.

Dal febbraio 2010 sono stati spenti i riflettori e ci hanno abbandonati a noi stessi. Siamo stati affidati ad un commissariamento che ha paralizzato la città bloccando la ricostruzione e il rilancio economico. Con il nuovo governo Monti finalmente si è capito che L’Aquila merita di più. Queste elezioni sono decisive perché il sindaco e la sua giunta avranno grande responsabilità di essere l’elemento di catalizzatore della ricostruzione della comunità e dell’identità dell’Aquila da un lato e suo tessuto economico e produttivo, dall’altro. Noi rappresentiamo la moralità del buon governo con cui abbiamo amministrato la città. Noi siamo credibili, pronti e capaci a ricostruire la città.

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Samuele Bertinelli (Pistoia): Pistoia è una città di 92mila abitanti che sta vivendo come tutta l’Italia le difficoltà della crisi. Sono circa 10500 le persone senza lavoro (perso o mai trovato) e tutti noi siamo su un crinale pericoloso. La coalizione che mi sostiene, una larga coalizione con 2 liste civiche ha posto al primo posto della campagna elettorale la necessità della più ampia e aperta partecipzione dei cittadini. La nostra idea si spiega con lo slogan della campagna: Pistoia di tutti. Noi pensiamo al bene comune. Se vinceremo al primo turno faremo girare la ruota e metteremo al governo una tra le giunte più giovani in Italia, puntando ad avere più donne che uomini al governo della città.

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Paolo Dosi (Piacenza): Piacenza come tutta l’Italia assiste alla disaffezione dalla politica. Il partito maggiore è quello dell’astensione e della disillusione. Il dovere della politica è quello di riconciliare le persone con un senso civico più diffuso. Occorrono politiche volte a costruire e creare dei legami piuttosto che creare divisioni. Il percorso fatto con le primarie va in questa direzione. L’obiettivo principale ora è conservare quello che si è costruito in 10 anni di buon governo precedente. Il futuro sarà pesantissimo lo sappiamo, ma non dovremo distruggere quel di buono che è stato fatto negli anni passati. Il nostro slogan è provocatorio: gli anni migliori sono davanti a noi. E noi ci crediamo davvero, nonostante tutto.

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Alessandro Tambellini (Lucca): Io rappresento una sfida davvero importante: la dimostrazione che si possa far meglio di chi ci ha preceduto nei 14 anni di governo cittadino del centrodestra. Quegli anni hanno visto Lucca commissariata nella prima esperienza e poi impigliata nelle questioni urbanistiche della seconda esperienza. Siamo straconvinti che si possa far meglio e che nel momento in cui viviamo sia la buona politica la risposta alla troppa anti-politica che si sta vivendo. Ripartiamo dalle cose concrete. Le cose che riguardano le persone. Questa sarà la nostra sfida vincente.

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Roberto Scanagatti (Monza): Anche io sono un figlio delle primarie e devo dire che il risultato netto delle elezioni ha consentito a tutti di collaborare in maniera significativa per ricucire il rapporto con gli elettori e a garantire una maggiore partecipazione civile. Quella davanti a noi è una sfida davvero difficile perché Monza è una città tradizionalmente governata dal centrodestra.

È ora di voltare pagina! Il rapporto tra Lega e Pdl è venuto meno così come è venuto meno il loro rapporto con la città per risolvere i problemi veri. Non si sono occupati delle difficoltà del territorio ma solo di aree e di interessi. La città è preoccupata dalla crisi e dal mal governo che ha creato sacche di illegalità sociale ed economica. Un uomo solo al comando è un principio che ha fallito. Guardiamo con fiducia l’appuntamento del 6 e 7 maggio. Il ruolo che giochiamo è per tutti i cittadini.

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Salvatore Scalzo (Catanzaro): Dopo un anno ci ritroviamo qui. Il sindaco eletto dopo solo pochi mesi di amministrazione si è dimesso per fare il parlamentare. Una scelta politica difficile da capire per chi non è catanzarese. Siamo davanti ad un modello di mal governo portato avanti dal Pdl con assoluta irresponsabilità amministrativa, fatta da interessi particolaristici e dalla creazione di zone grigie per infiltrazioni malavitose. La Regione Calabria è l’ultimo avamposto del berlusconismo. Spese improduttive come risposta ad interessi particolari, disinteresse per la cittadinaza. Noi siamo l’unica alternativa al ripiegamento della cattiva politica. La partecipazione dei cittadini sarà la risposta utile alla politica per riappropriarsi del suo ruolo di sintesi per il bene comune. I sondaggi oggi ci danno appaiati e sappiamo che ce la possiamo fare. Possiamo restituire dignità per i nostri cittadini cominciando a combattere la piaga della disoccupazione, puntando sulla cultura e sul turismo. Dovremo anche ridare dignità alla politica togliendola dalle mani di quelle caste chiuse che l’hanno sporcata. Questa è davvero un’occasione importante.
www.partitodemocratico.it

"Troppo poco per le donne", di Daniela Del Boca

Le donne soffrono di più la crisi: i dati in proposito sono molto chiari. La riforma del mercato del lavoro propone alcune misure apprezzabili, ma si tratta di interventi simbolici. Mentre non trovano spazio sufficiente la tutela delle donne, il riconoscimento del peso del loro ruolo familiare e gli incentivi a una loro maggiore presenza sul mercato del lavoro. Obiettivo di una riforma efficace dovrebbe essere la riduzione dei divari di generazione e di genere, già così ampi nel nostro paese. E dovrebbe cercare di diminuire, non di accrescere, la dipendenza dei figli dalla famiglia.

Le donne stanno soffrendo la crisi economica in modo sempre più acuto. I dati della Banca d’Italia mostrano che il reddito è crollato di più tra le famiglie più povere, quelle che si collocano nel primo decile della distribuzione, e tra queste sono prevalenti i nuclei familiari con donne capofamiglia – meno istruite, monoreddito e che risiedono nel Meridione.

I DATI DELLA CRISI

Dall’Istat sappiamo inoltre che la propensione al risparmio delle famiglie continua a diminuire ed è scesa al 12 per cento, raggiungendo il punto più basso dal 1995, mentre il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,5 per cento nel 2011.
Questo quadro conferma lo stato di disagio e il ruolo sempre più problematico di ammortizzatore sociale esercitato dalle famiglie, con la quota di giovani nella fascia 15-34 anni che vivono con i genitori che ha raggiunto il 42 per cento.
I dati congiunturali Istat sul mercato del lavoro di marzo indicano che il tasso di occupazione maschile (67,2 per cento) è stabile rispetto a febbraio, mentre quello femminile (46,7 per cento) è in calo. La disoccupazione maschile cresce dello 0,3 per cento, mentre quella femminile del 4 per cento rispetto al mese precedente. Il tasso di disoccupazione dei giovani 15-24enni sale dal 29,8 per cento del quarto trimestre 2010 al 32,6 per cento, con un picco del 49,2 per cento per le giovani donne del Mezzogiorno. Infine, i dati Isfol mostrano che nonostante il sorpasso nei tassi di istruzione, le giovani donne sono sempre più prevalenti nei lavori precari.

LE DONNE E LA RIFORMA DEL LAVORO

In questa situazione di enorme difficoltà e discriminazione, la riforma del mercato del lavoro non dedica abbastanza spazio a tutelare le donne, riconoscere il peso del loro ruolo familiare e incentivare una loro maggiore presenza sul mercato del lavoro.
Questa situazione non può infatti che peggiorare nel breve periodo. Le recenti misure economiche stanno spingendo molti comuni a tagliare i servizi pubblici, come asili nido, scuole a tempo pieno, assistenza agli anziani e disabili. Inoltre in assenza di politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che vivono in famiglia imporrà ancora più lavoro alle donne anziane che, con la nuova età pensionabile, dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni.
Come è possibile che in queste condizioni le donne possano mantenere o aumentare la loro partecipazione al mercato del lavoro e contribuire così a redditi familiari erosi dalla crisi?
Nella riforma, gli interventi che hanno specifica attenzione alle donne, pur andando nella giusta direzione, sono limitati e insufficienti da molti punti di vista. Discutiamo qui quelli più rilevanti per le famiglie con figli piccoli.

I CONGEDI PARENTALI

Un primo intervento riguarda i congedi. Nell’ottobre del 2010 il Parlamento europeo ha approvato una legge per proteggere le donne dal licenziamento a causa della maternità e garantire anche ai padri almeno due settimane di congedo obbligatorio.
La riforma introduce congedi di paternità obbligatori di tre giorni (anche consecutivi!). La proposta va nella direzione giusta, ma è decisamente troppo limitata.
Il congedo di paternità è presente in quasi tutti gli Stati europei per periodi di diversa durata: dai due giorni della Spagna alle due settimane della Francia. Le “quote azzurre”, sia nel congedo obbligatorio che in quello facoltativo, devono essere una misura che possa contribuire a cambiare l’esperienza dei padri, ridurre le asimmetrie nella coppia e difendere la continuità delle carriere femminili, al di là dei messaggi simbolici.
Per quanto riguarda i congedi parentali, come abbiamo proposto altrove, una strada importante sarebbe quella di incentivare congedi part-time per ambedue i genitori, sull’esempio della Svezia e Norvegia. (1) In questo modo si ridistribuiscono su ambedue i genitori i costi dei figli sulle carriere lavorative. Se il congedo obbligatorio e quello parentale saranno più condivisi da ambedue i genitori, ci saranno meno perdite di capitale umano e meno ragioni per le imprese di discriminare le lavoratrici nei loro percorsi di carriera.

NIDI E VOUCHER PER LA BABY SITTER

Un secondo intervento proposto nella riforma sono i voucher per l’uso delle baby sitter, intervento utile perché può contribuire a far emergere parte del lavoro di cura sommerso.
Tuttavia, l’intervento non può compensare la diminuzione di offerta di servizi pubblici oggi in atto. I tagli alle spese per gli asili nido implicheranno una minor occupazione (femminile) sia per gli effetti diretti (le educatrici assunte) sia per gli effetti indiretti (più mamme con difficoltà di conciliare famiglia e lavoro), nonché effetti sui risultati cognitivi e non dei bambini stessi, dalla socializzazione per i figli unici agli esiti scolastici ed effetti di lungo periodo. (2)
Per continuare a rispondere alla domanda di nidi delle famiglie, molti comuni stanno decidendo di esternalizzare o privatizzare i servizi. Questa scelta è molto pericolosa perché è una via senza ritorno che implica la perdita di un patrimonio estremamente prezioso accumulato negli anni da insegnanti, pedagogisti, coordinatori, genitori. È necessario pensare a scelte diverse sui modi in cui la già scarsa offerta di nidi viene razionata. Anche se le regole di accesso al nido sono di rado esplicitamente legate al reddito, fra gli aventi diritto sono di più i bambini di famiglie numerose e i figli di madri sole, e quindi una porzione prevalente degli utenti del nido usufruisce di tariffe agevolate, il che ha comportato gravi problemi economici per molti comuni.
Eppure in alcune Regioni, in primo luogo l’Emilia Romagna, i nidi pubblici sono stati salvaguardati con strategie basate su scelte di criteri di accessibilità che danno priorità alle mamme che lavorano (oltre che ad altri) e su una ri-articolazione delle fasce di reddito molto ampia, cosicché quasi tutti pagano, nelle fasce più basse molto poco, e nelle nuove fasce più alte una proporzione molto elevata del costo effettivo. Si potrebbero anche re-distribuire i costi tra scuole materne e nidi, incentivando le scuole materne ad aprire sezioni “primavera” per bambini in età 18-36 mesi, pagando parte della retta dei bimbi. Questa strada è stata seguita dal varie Regioni, tra cui il Veneto, con importanti risultati in termini di numero dei bambini coinvolti e di qualità del servizio.

CONGEDI AI NONNI

Altre proposte arrivano dal ministero della Famiglia e hanno l’obiettivo di rendere i congedi usufruibili per un periodo più lungo (fino ai 18 anni) e più flessibili. Inoltre, dato che tra i giovani genitori sono prevalenti ormai situazioni di lavori precario, il congedo parentale può anche essere preso dai nonni, tra i quali invece è più diffuso il lavoro dipendente. La proposta sembra esacerbare le differenze tra generazioni invece di attutirle dando per scontato che c’è una generazione che non può “permettersi” di prendere i congedi parentali, ma deve delegare questo diritto ai propri genitori. I nonni hanno svolto e svolgono un ruolo importante, ma una maggior “condivisione” con loro della cura dei figli piccoli può contribuire anche alla perpetuazione di modelli e standard di gestione del tempo di lavoro familiare. Dal 2007, anno in cui sono stati fatti significativi investimenti nei servizi pubblici per bambini e anziani, le donne e le famiglie hanno smesso di essere tra le priorità dei governi. Sarebbe auspicabile che obiettivo importante delle riforme del lavoro e del welfare sia quello di ridurre i divari di generazione e genere già così ampi nel nostro paese; e diminuire – non accrescere – la dipendenza dei figli dalla famiglia.

(1) Del Boca D. L. Mencarini, S. Pasqua Valorizzare le donne conviene Il Mulino 2012. Il congedo parentale, così come risulta oggi è dato ai genitori per un periodo complessivo di 10 mesi, che diventano 11 mesi qualora il padre usufruisca di almeno tre mesi di congedo. Oggi solo il 6,9 per cento dei padri prende il congedo parentale nei primi due anni di vita del bambino, ben al di sotto della media europea, che è del 30 per cento (in Svezia 69 per cento e in Finlandia 59 per cento).
(2) Brilli Y., D. Del Boca C. Pronzato “Exploring the impacts of public child care on mothers and children in Italy” Collegio Carlo Alberto 2012.

da lavoce.info

"Segnali dal governo: è in arrivo l’asta per le frequenze tv", di Luca Landò

Sospiri e sussurri, al massimo un sms che fa più moderno. Saranno gli interessi coinvolti, saranno le ire di Mediaset, ma sul beauty contest vale la regola del mezzo silenzio: bocche cucite tranne qualche fazzoletto lasciato cadere con sapienza a metà del ballo. Così, aspettando il 19 aprile, quando scadrà la moratoria decisa dal governo, il ministro Passera fa sapere che le nuove frequenze tv, quelle liberate nel passaggio dall’analogico al digitale, non saranno più regalate come prevedeva un decreto del governo Berlusconi, ma vendute all’asta. Con una frase recapitata a Repubblica (qualcuno parla di un sms) il ministro delle Comunicazioni “comunica” che la decisione è presa.E che il concorso di bellezza, singolare meccanismo che avrebbe consegnato gratuitamente quelle frequenze a Rai e Mediaset, verrà azzerato.
Mancano i dettagli ma anche le smentite. Che nel linguaggio della politica significa molto. E dal ministero di Passera fanno sapere che «la decisione è imminente» anche se «restano ancora dadefinire i contorni tecnici». Che in effetti non sono poca cosa. Perché il governo Monti deve prima annullare quanto deciso dal governo Berlusconi. Con che strumento: un decreto? una legge ad hoc? un emendamento inserito da qualche parte? Una volta cancellato il beauty contest, si tratterà poi di capire come assegnare le nuove frequenze. E qui la materia diventa scivolosa perché la palla dovrebbe passare nel campo dell’AgCom. Il governo può infatti dare indicazioni di massima ma i dettagli della probabile asta (chi invitare, che pacchetti vendere, con che base di partenza) li potrà decidere, per evidenti motivi di indipendenza e trasparenza, solamente l’Autorità delle Comunicazioni. I cui vertici, ecco il punto, scadranno a metà maggio. Cosa farà il governo? Forzerà i tempi per passare la patata bollente nelle mani dell’uscente Calabròo si limiterà ad azzerare il beauty contest in attesa della nuova Authority? E nel frattempo, mentre la crisi corre, si congela la vendita di un bene pubblico che Mediobanca stima intorno a 1-1,2 miliardi di euro? Domande tutt’altro che banali a cui i messaggi smarriti di Passera non portano risposta. Vedremo oggi se al convegno di Confindustria sull’Agenda digitale – settore strategico di sviluppo in cui l’Italia è in grande ritardo – i ministri Passera e Profumo, ospiti d’onore assieme al Commissario europeo Neelie Kroes, lasceranno cadere qualche altro fazzoletto. Come hanno detto ieri sia Vincenzo Vita che Antonio Di Pietro, le indiscrezioni sulle intenzioni del governo sono incoraggianti ma a nove giorni dalla scadenza della moratoria, sarebbe ora che il governo rivelasse e confermasse ufficialmente le
proprie decisioni. Tra sospiri e sussurri, qualche dettaglio comincia comunque a prendere corpo. Quello ad esempio di uno spacchettamento delle frequenze, come anticipato dall’Unità la scorsa settimana. Le frequenze da vendere, infatti, sono di qualità diversa. Quelle della banda 700 (i canali 54, 55 e 58 Uhf) sono disponibili subito ma hanno un “problema”: come deciso dall’Unione europea, dovranno essere liberate nel 2015 per diventare delle autostrade a banda larga e consentire lo sviluppo di internet sui telefonini di nuova generazione. Chi comprerà delle frequenze pregiate da usare solo per tre anni? In teoria le più interessate all’acquisto sarebbero le compagni telefoniche che, a differenza delle compagnie televisive e vista la destinazione d’uso decisa dall’Europa, potrebbero ricevere quei canali per vent’anni. Peccato che le stesse aziende (Tim, Vodafone, Winde Tre) abbiano appena partecipato, lo scorso autunno, a un’asta simile sborsando la bellezza di 4 miliardi di euro. Saranno intenzionate, le stesse aziende, a rimettere mano al portafogli? Ci sono poi altre altre frequenze (6 Vhf e 23-28 Uhf) che potranno venire assegnate alle compagnie televisive per vent’anni. Ma anche qui c’è un ostacolo da superare: prima di essere utilizzati questi canali dovranno attendere la riorganizzazione di tutto il sistema etere; uno “spectrum review” che non ha certo l’aria di essere una faccenda veloce.
Prodotti diversi a prezzi diversi: è questa dunque l’ipotesi più probabile a cui il governo sta lavorando. L’importante, come detto ieri da Gentiloni, deputato Pd e ministro delle Comunicazioni al tempo di Prodi, è che alla fine si tratti di un’asta vera e non di una svendita a prezzi stracciati. Sarebbe un risarcimento ai delusi del beauty contest. E uno schiaffo agli italiani.

l’Unità 11.04.12

"Ma le lauree false non erano solo prerogativa del Sud?", di Pasquale Almirante

Quante volte si è sentito dalle parti della Lega Nord di blindare le graduatorie delle scuole padane perché i laureati meridionali sarebbero ignoranti e con titoli fasulli? Se la magistratura stabilisse la fondatezza delle accuse legate alle intercettazioni e alle dichiarazioni della segretaria amministrativa della Lega Nord, Nadia Dagrada, secondo cui parecchie migliaia di euro, frutto dei rimborsi elettorali pagati coi nostri soldi, sarebbero servite a far man bassa di diplomi e di laure, ci sarebbe da chiedere spiegazioni sulle molte invettive che da sempre sono partite contro i professori del sud, titolari di diplomi e di lauree, a detta di emeriti esponenti della Lega, in odore di poco merito.
Sembra infatti che ci sarebbero ben “tre lauree”, un diploma per Renzo Bossi e anche un diploma e una laurea per Rosy Mauro e il suo compagno Pierangelo Moscogiuri con ogni probabilità conseguiti in Svizzera.
La segretaria amministrativa Nadia Dagrada,secondo quanto viene pubblicato, avrebbe detto al pm: “Belsito (il tesoriere della Lega) mi ha riferito che Pier Giuramosca, poliziotto, attualmente suo segretario particolare (di Rosy Mauro), è stato da lei aiutato ad ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa ed ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosy è Vicepresidente dello stesso organo. Nel 2011 sono stati versati circa 60.000 euro al Sinpa (Sindacato padano). Belsito mi ha poi riferito che sono stati dati altri soldi in contanti al Pier Giuramosca, compagno della Rosy Mauro, affinché pagasse le rate per le spese della scuola privata e conseguire il diploma e poi la laurea, credo “ottenuti” entrambi in Svizzera. Inoltre Belsito mi ha detto anche di aver pagato le rate per il diploma e poi la laurea della stessa Rosy Mauro, pagando con i soldi della Lega. Per quanto riferitomi da Belsito i titoli di studio menzionati sono costati circa 120.000 euro prelevati dalla cassa della Lega. Credo che i titoli sono stati conseguiti in Svizzera”.
La Svizzera sarebbe dunque il luogo privilegiato della compera delle lauree e delle patacche e dove questi esponenti della Lega, a quanto sembra, avrebbe attinto per fregiarsi del titolo di dottore.
Soldi comunque spesi bene? Sicuramente, al di là di ciò che raccontano le cronache e se fossero vere le dichiarazioni pubblicate dai giornali, meraviglia che gli aspiranti dottori non si siano rivolti alle tanto vituperate scuole private del sud.
Qui forse avrebbero risparmiato qualcosa dei 120mila euro versati alle scuole svizzere e avrebbero lasciato pure un po’ più di ricchezza nel Paese.
Con ogni probabilità non si sono fidati neanche della presunta, da loro, inefficienza dei diplomifici dei terroni.

La Tecnica della Scuola 11.04.12

"Dopo la Lega", di Pierluigi Castagnetti

La vicenda di Lusi e quella della Lega sono oggettivamente diverse, ma hanno in comune alcuni elementi che vanno affrontati di petto, e subito. Ne indico quattro: la corruzione della classe politica (per fortuna non tutta) figlia di una progressiva corrosione etica, la insostenibile perdurante assenza di un ordinamento che disciplini la vita dei partiti, il grande potere di chi gestisce le risorse dei partiti conseguenza anche del punto precedente e, infine, la eccessiva dotazione di risorse pubbliche a disposizione. Questi sono peraltro i punti di crisi del sistema che – nel momento in cui sono esplosi in termini tanto clamorosi – hanno contribuito ad allontanare ancora di più l’interesse dei cittadini per la politica, per non parlare di un esplicito rifiuto.
Chi pensava infatti che tutto potesse risolversi con la riduzione dei compensi ai parlamentari non coglieva il dato sistemico della crisi in cui si trova la politica. A onor del vero il Pd non è collocabile tra questi. Bersani infatti da tempo parla della necessità di porre mano contestualmente alla riforma elettorale, a quella istituzionale e alla disciplina della vita dei partiti dando attuazione ordinamentale all’art.49 della Costituzione.
Personalmente credo di essere stato, nei tempi recenti, tra i primi (già nella precedente legislatura, oltre che in questa) a presentare una proposta di legge su quest’ultimo tema, a cui altre si sono ispirate, ma il Pd è stato sicuramente il primo partito, in quanto tale, ad assumere un’iniziativa legislativa a prima firma Bersani. La strada è tracciata e il segretario l’ha richiamata in modo chiarissimo nell’intervista al Corriere della Sera domenica scorsa. Oggi stesso probabilmente quelle indicazioni prenderanno corpo con in una nuova proposta stralcio, relativa al solo aspetto della gestione trasparente, certificata e controllata in ultima istanza dalla Corte dei conti, delle risorse pubbliche destinate ai partiti, da parte dei gruppi parlamentari che sostengono il governo Monti. Speriamo (ma non è facile, perché basta l’opposizione di un solo gruppo) che la si possa approvare in sede legislativa in commissione, cioè senza arrivare all’esame dell’aula, per poter guadagnare tempo. È il minimo che si possa fare e lo si deve fare subito.
Gli altri aspetti riguardanti la democrazia interna e la selezione delle candidature seguiranno la via parlamentare ordinaria, considerato peraltro che l’esame delle diverse proposte è già iniziato nella commissione Affari costituzionali.
Ma sono convinto che il tema della forma e della misura del finanziamento pubblico della politica sia destinata nelle prossime settimane ad accendere un dibattito forte e non scevro da toni populistici. La proposta dell’on. Crosetto di prevedere una modalità di finanziamento tipo “5 per mille” che darebbe ai cittadini elettori e contribuenti il potere di decidere in materia, come avviene in altri paesi, merita di essere valutata, non foss’altro perché risolverebbe entrambi gli aspetti, della forma e della misura del finanziamento.
Ma resta drammaticamente aperta la questione di fondo, quella della corruzione interna alla politica, rispetto alla quale si potrebbe convenire sulla constatazione (i cattolici sanno che c’è il peccato originale) che c’è poco da fare. Eppure anche quel poco, sia esso pure poco, va fatto. Formare culturalmente ed eticamente le classi dirigenti. Rimettere in circolazione lo “spirito repubblicano”, cioe del servizio allo stato. Definire codici etici stringenti. Selezionare i candidati valutando biografie e attitudini. Aumentare la vigilanza, come si diceva una volta, anche attraverso controlli e rendicontazioni rigorosi. Ipotizzare forme di re-call (cioe di rinuncia agli incarichi), evitando evidentemente i rischi di linciaggio, dossieraggio o vendetta. Ma, ripeto, la cosa più importante è prevenire degenerazioni del sistema attraverso la formazione e la selezione accurata delle persone.
Questa è la strada per evitare un infarto letale al sistema dei partiti. E anche per rispondere al tormentone che accompagna la crisi della Lega: chi rappresenterà d’ora in poi il Nord? Detto che già oggi il Nord non è rappresentato solo e prevalentemente dalla Lega, è vero che “quel Nord” della Lega non sarà facile recuperare, almeno in tempi brevi. “Quel Nord” per la verità c’era anche prima che arrivasse la Lega.
Il Nord della “questione settentrionale” è riconquistabile da altre forze politiche, a partire dal Pd che ne è ben consapevole. Il Nord invece dell’ostilità a Roma (cioè allo stato) e al Mezzogiorno (cioe a quella parte d’Italia che “non si dà una mossa”), il Nord del “se è così, io non voglio pagare le tasse”, quello delle osterie delle vallate, insomma quello della “pancia”, è invece molto più difficile da riconquistare e, probabilmente, continuerà ad essere appannaggio ancora della Lega più o meno rinnovata, perché è saltato il modello della Dc che per anni ha saputo incassare rabbia e proteste popolari trasformandole, grazie a una sorta di “depuratore politico”, in strategia nazionale, cioè in politica. Eppure questa è la sfida che il Pd dovrà raccogliere, pur sapendo che a breve non ci sarà incasso.
Sabato scorso su Europa Giovanni Cocconi osservava che dopo venti anni di Lega le domande delle regioni settentrionali, a partire dalla Lombardia, sono ancora lì, inevase. Inevase – aggiungerei – proprio perché la illusione di quelle regioni di potere risolvere da sole le questioni pur vere che esse pongono, era ed è sbagliata, trattandosi di questioni che non possono che essere affrontate in un disegno politico nazionale. Non averlo compreso ha comportato non solo il costo della mancata soluzione, ma dell’aggravamento, come la spaventosa penetrazione della criminalità organizzata sta a dimostrare. Ma se una parte della gente del Nord non l’ha compreso, facendosi sedurre dal falso autonomismo della Lega, non è solo colpa sua. Quando l’elettorato sbaglia, normalmente non ha colpa, le colpe sono di chi non è riuscito a offrire un’alternativa.

da Europa Quotidiano 11.04.12

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“Il fallimento della repubblica dei partiti personali”, di Paolo Soddu

Lusi, Calearo. Uno, «ladro»; l’altro, «persona orrenda». Così sono stati definiti da Francesco Rutelli e Walter Veltroni, i dirigenti politici ai quali si fa risalire la loro scelta. E certo, in tempi diversi, tra i pochi che sono parsi offrire, in tempi diversi, una prospettiva meno asfittica da quella in cui è precipitata l’Italia da ormai quasi venti anni.
Ora si aggiunge il caso, forse ancora più clamoroso, di Francesco Belsito, il tesoriere della Lega, il movimento del sovversivismo parolaio coniugato con l’ego ipertrofico della famiglia Bossi e del Cerchio magico che la attornia.
Bisogna riconoscere che Belsito sembra assai più consonante con chi lo ha scelto: anch’egli, come il leader di riferimento, ha raccontato qualche menzogna riguardo i titoli di studio spacciati nel curriculum, agevolando anche in tal modo la promozione a sottosegretario nell’ultimo indimenticabile governo Berlusconi.
Quel che è interessante in questi casi, non isolati sebbene siano certamente tra quelli che hanno maggiormente impressionato l’opinione pubblica, è il disprezzo rivelato nei riguardi del bene comune. Lusi sarebbe dovuto essere perbene per il solo fatto di provenire dallo scoutismo cattolico. Calearo avrebbe dovuto assurgere a emblema dell’imprenditoria e si è, tra l’altro, rivelato preda di un afflato razzista, intollerabile in qualunque paese civile, ma da noi largamente condiviso, a destra, al centro, a sinistra, dato che si rivolta contro gli omosessuali, un autentico anello flebile nella visione della cittadinanza della società italiana.
Belsito, da buon cortigiano campione nell’ammansire le lusinghe che certi leader attendono come il pane quotidiano, è in pochi anni passato dall’offrirsi come autista dell’ex ministro Biondi a vicepresidente di Fincantieri, cambiando nel frattempo casacca.
Sorge spontanea la domanda: ma come si selezionano, ai vari livelli, le classi dirigenti? Questi casi, insieme ai tanti altri che in questi ultimi due decenni si sono manifestati, non sono forse rivelatori di una deriva narcisistica che, a partire almeno dalla fine degli anni Settanta, ha investito il paese, rischiando seriamente di travolgerlo e di distruggerlo? Non si sceglie, in genere, sulla base della matura capacità di cogliere il merito, la solidità, i valori, ma in virtù di una proiezione che finisce col privilegiare nefandezze.
La cultura del narcisismo ha dilagato in tutto l’Occidente a partire dagli anni Settanta. Ma in Italia, paese nel quale la cultura dei media mostra sovente una inquietante dimenticanza di ogni discorso psicoanalitico, non ha trovato contrasti efficaci, non una forza religiosa, civile, culturale, laica, capace di renderla inoffensiva. E così diviene insopportabilmente condiviso un vittimismo deresponsabilizzante, che rinvia sempre agli altri la coscienza del proprio operare. Non solo per la classi dirigenti politiche, come gli italiani sono usi pensare: ma per il complesso delle classi dirigenti del paese, dal condominio ai corpi intermedi fino ai vertici. Una condizione assai più difficile da estirpare del debito pubblico, della disoccupazione, della rigidità corporativa, ché sono questi solo gli epifenomeni di una infinita maggiore sofferenza.
La crisi di regime, esplosa dopo la caduta del muro di Berlino e la rivelazione di Tangentopoli, lungi dal liberare il paese dalla zavorra e dal prevalere dei modelli cortigiani, li ha ulteriormente rafforzati. Dall’estrema destra all’estrema sinistra. E la classe dirigente emersa dopo Tangentopoli si è rivelata nel complesso assai più fragile, impreparata e inadeguata al ruolo rispetto alla precedente. È una constatazione drammatica, della quale però occorre avere piena coscienza se si intende risalire la china. Anche di qui discende la crisi della politica, che significa difficoltà sempre più inestricabile dello stare insieme della nostra comunità.
La repubblica dei partiti è vissuta per oltre 40 anni, con indubitabili successi e il finale fallimento. La repubblica dei partiti personali non ha raggiunto i 20 anni. Ha sancito il declino dell’Italia, un paese in cui è condivisa, prevalente e largamente praticata l’incapacità di giudizio e, quindi, di scelta. Con grande sollievo dei tanti Lusi, Calearo e Belsito, che ai diversi livelli possono tranquillamente e impunemente prevalere.

da Europa Quotidiano 11.04.12

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“Ma non è stata una parentesi”, di Roberto Della Seta

La caduta degli dei fondatori della seconda Repubblica – Bossi e Berlusconi – fa piacere a molti, me compreso, ma non bisogna esagerare.
Invece in tanti commenti compiaciuti si legge, nemmeno troppo tra le righe, la soddisfazione per una parentesi che sta per chiudersi. Una parentesi? Berlusconismo e leghismo sono stati fenomeni complessi, e soprattutto il secondo non è detto ancora che sia prossimo alla fine. Il loro successo fu largamente costruito su un discorso pubblico che si poneva, già vent’anni fa, come anti-politica: la politica romana che rubava e affamava il Nord per Bossi che sventolava il cappio in parlamento, la politica politicante per Berlusconi che riuscì, incredibilmente vista la sua storia, ad imporre se stesso come “homo novus” estraneo al potere e dunque alle sue degenerazioni.
Misurata sull’abisso di scandali, familismi, ruberie che sta inghiottendo entrambi, questa cifra anti-politica che fu uno dei grandi motori del decollo della Lega e di Forza Italia appare oggi quasi surreale. Ma altrettanto surreale, a me sembra, è l’idea che chiudendo la “parentesi” – ammesso che sia possibile… –, azzerando questi vent’anni dominati dall’egemonia dei due B., i problemi da cui l’anti-politica nasce saranno avviati a soluzione.
Nessuno dei grandi mali dell’Italia attuale è cominciato con Bossi e Berlusconi. Non i nostri mali economici: basti pensare al debito pubblico, esploso ai livelli attuali negli anni Ottanta e che oggi rappresenta un handicap formidabile di fronte alla crisi e all’urgenza di rilanciare lo sviluppo. Non certamente i nostri mali etici: dalla corruzione all’evasione fiscale, dal lavoro nero all’abusivismo edilizio, dall’intreccio ricorrente tra mafie e politica fino alla truffa del finanziamento pubblico ai partiti cancellato dagli italiani nei referendum del 1993 e reintrodotto “sotto falso nome” qualche mese dopo, l’allergia dell’Italia all’etica pubblica ha una storia molto più antica di questi vent’anni. È la storia di classi dirigenti abituatesi per decenni a coltivare più le appartenenze ideologiche, di classe, di partito, di religione, e poi cadute le ideologie del Novecento le convenienze personali e di gruppo o i peggiori localismi, che non l’orizzonte e l’interesse nazionali.
Berlusconismo e leghismo, basati come sono su visioni in prevalenza “antagoniste” (contro i “comunisti”, contro il Sud e gli immigrati), hanno aggravato anziché curare questo nostro peccato d’origine, anche se, nella loro prima stagione, sono stati il canale di domande non insensate: la “rivoluzione liberale”, mito fondativo di Forza Italia, alludeva ad urgenze vere dell’Italia; come vera, verissima era l’esigenza, che mosse l’ascesa repentina della Lega, di dare risposte forti, identitarie prima ancora che politiche, al disagio di un Nord impaurito e sfidato dai processi di globalizzazione.
A Berlusconi, poi, va dato almeno un merito indiscutibile: avere costretto la politica italiana, con la sua presenza così ingombrante e divisiva, dentro un vestito bipolare.
Sarebbe triste se, come più di un segnale parrebbe indicare, insieme all’acqua sporca del berlusconismo venisse buttato via anche il bambino del bipolarismo, condizione indispensabile per far crescere finalmente anche da noi una plausibile prospettiva riformista. Davvero se così fosse, e se in particolare il Pd coltivasse anche lui l’illusione della “parentesi” invece che mettersi in gioco per un vero cambiamento, l’addio a questi vent’anni di transizione fallita acquisterebbe il sapore amaro di una banalissima restaurazione di ancien régime, o forse ancora peggio finirebbe come intermezzo verso nuove, imprevedibili avventure populiste.

da Europa Quotidiano 11.04.12

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“Quel mito delle origini”, di Giuseppe Civati

«Ho denunciato sempre con forza, e davanti agli elettori leghisti, il drammatico allontanamento della Lega dalle sue motivazioni originarie. Se ricominceranno da lì, potranno esistere ancora». Bersani si appella ancora una volta alla Lega delle origini, al suo elettorato, come già fece lo scorso anno.
Vale la pena di ricordare però che «la Lega delle origini» è un mito che – anche se adottato in modo strumentale, come sembra voler fare il segretario nazionale del Pd – va quantomeno decostruito.
Perché «la Lega delle origini» ha gli stessi leader di oggi. Anche quelli che ora prendono le distanze dal caro leader. E gridano allo scandalo.
Perché gli stessi giovani della «Lega delle origini», ora maturi amministratori, sono diventati più credibili, recentemente, proprio perché hanno abbandonato certi toni inaccettabili che frequentavano con gran gusto, e hanno scelto il profilo di governo (penso ai veneti, soprattutto).
Perché «la Lega delle origini» è proprio quella che si è messa alla ricerca delle «origini», che ha scelto la «società stretta» di cui parlava Leopardi, che ha dato prova di razzismo (qualcuno dice light, come se il razzismo potesse esserlo) per anni e ha fallito tutti gli obiettivi che si era prefissa.
Perché «la Lega delle origini» è passata dal cappio e dalla difesa della legalità come punto di partenza di qualsiasi scelta politica all’alleanza che ha consentito a Berlusconi (e nella “sua” regione, la Lombardia, a Formigoni) di governare per un ventennio. E la questione politica della legalità, per quanto mi riguarda, non si pone con il Trota oggi, ma con la scelta di allearsi con il Pdl tanti anni fa.
Perché «la Lega delle origini» ha contrastato l’Europa, ha impoverito il dibattito politico di un paese in cui per altro non si riconosceva, ha cavalcato la paura, ha pensato (e tentato) di dividere l’Italia.
Perché ha tenuto in una mano l’ampolla del grande fiume, e nell’altra la privatizzazione dell’acqua.
Perché ha insistito sul tema dell’identità, nella sua versione peggiore, ispirata a un localismo esasperato e, spesso, autarchico.
Perché ha fatto il movimento di lotta e quello di governo. Anzi, di sotto-lotta (gloriosa la battaglia delle quote latte) e di sotto-governo, come possiamo apprezzare leggendo le cronache del dibattito che si è aperto all’interno del movimento dei puri che, alle origini, ce l’avevano duro.
Perché ha capito, certamente, il rancore del Nord, perché ha letto cose che da Roma non si percepivano (e ancora non si percepiscono, questo è il vero problema), senza offrire alcuna soluzione credibile.
Perché ha posto la questione di uno Stato più diffuso, ma è finita con i ministeri di Monza (lontani parenti del parlamento padano, che invece era una delle manifestazioni più limpide proprio della «Lega delle origini»).
Piuttosto che confidare nel ritorno di una «Lega delle origini » e della sua sopravvivenza, fossi in Bersani lancerei una grande sfida al Nord, come ho cercato di argomentare più volte, da ultimo in direzione nazionale (in cui mi sono sentito un po’ un marziano, perché all’ordine del giorno c’era l’ispano-tedesco, non il Lombardo-Veneto).
A Varese, a fine gennaio, abbiamo provato a lanciare un segnale: come interpretare la questione settentrionale (che c’è ancora, anche perché in questi anni è stata solo blandita e brandita, ma alla fine frustrata), come dare voce ai «contadini» contro i «luigini» (per dirla con il titolo di un bel libro di Gabrio Casati) e cioè a chi lavora e produce ricchezza, come ridare senso a una politica che sia territoriale, ma in senso moderno, non mitologico.
La Lega sopravviverà: si sceglierà tra il modello Ba-Varese di Maroni, tra i Bossiani irriducibili e le variabili venete.
Se non dovesse sopravvivere, me ne farei una ragione senza troppi patemi.
La questione, però, è un’altra: tornerà il Nord al centro del dibattito politico, in modo più compiuto e concreto? Sarebbe ora. E sarebbe ora di rivolgersi all’elettorato leghista non in modo strumentale, ma in modo diretto. Dicendo cosa abbiamo intenzione di fare noi. Per il futuro dell’Italia, non per le origini del leghismo.

da Europa Quotidiano 11.04.12

"Fondi ai partiti. Oggi la proposta di Pd, Pdl e Terzo Polo", di Simone Collini

Oggi la proposta di legge sui rimborsi ai partiti di Pd, Pdl e Udc. Corte dei conti disponibile ai controlli. Cancellieri: «Alle forze politiche ogni espressione sul tema». L’ipotesi del via libera in commissione. Subito nuove norme per assicurare maggior controllo e trasparenza sull’utilizzo dei rimborsi elettorali, ma poi il confronto dovrà proseguire su un più complessivo riordino del sistema politico. Pd, Pdl e Terzo polo hanno concordato un percorso in due tempi, per la riforma dei partiti. Dopo l’intesa raggiunta da Pier Luigi Bersani, Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini sulla necessità di accelerare sulle nuove regole riguardanti i bilanci delle forze politiche, gli sherpa delle tre froze politiche che sostengono il governo hanno iniziato a mettere nero su bianco un testo che entro stasera incasserà il via libera definitivo, per poi essere discusso da domani anche con gli altri partiti.
Ma il lavoro portato avanti in queste ore da Antonio Misiani e Gianclaudio Bressa (per il Pd), Rocco Crimi e Massimo Corsaro (per il Pdl), Bendetto della Vedova (per Fli) e Giampiero D’Alia (per l’Udc) non si chiuderà con la definizione della proposta di legge che avrà come punti cardine il controllo dei bilanci da parte della Corte dei conti (che si è detta favorevole a svolgere questo compito, senza affidarlo ad un’Authority ad hoc), l’obbligo della pubblicazione su internet dei rendiconti finanziari, l’abbassamento della soglia (da 50 a 5 mila euro) per le donazioni anonime e una serie di sanzioni (fino all’azzeramento) per chi non rispetti i criteri stabiliti dalla nuova legge.
Nel corso dei lavori, sono state messe sul tavolo anche proposte su cui non c’è stato il consenso di tutti i presenti, si è discusso di come rivedere il sistema dei finanziamenti e si è parlato anche della necessità di approvare nuove norme che garantiscano la democrazia interna ai partiti. E alla fine si è convenuto sull’opportunità di chiudere sulle poche norme riguardanti controllo e trasparenza per poi proseguire la discussione sulle altre questioni nel corso del confronto dell’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione.
ITER RAPIDO
Su questo argomento torna a riunirsi oggi la commissione Affari costituzionali della Camera, ma nessuno si fa illusioni sul fatto che ci sia una svolta rispetto alle riunioni precedenti, chiuse con un nulla di fatto. Ma è proprio su questa commissione che ora sono puntati gli occhi. Tutti sono d’accordo che la via da seguire sia quella parlamentare e non il decreto governativo (dopo che nei giorni scorsi si era detto «pronto» ad intervenire il Guardasigilli Paola Severino, ieri il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ha detto che è meglio lasciare alle forze politiche «ogni espressione sull’argomento»). E il modo migliore per arrivare a un’approvazione in tempi rapidi della proposta di legge è convocare la commissione in sede legislativa anziché referente. Si potrebbe cioè approvare il testo direttamente, senza passare per l’Aula. Ma per farlo, secondo il regolamento di Montecitorio, è necessario il consenso dei capigruppo in commissione o dei quattro quinti dei componenti di essa. L’Idv non è contraria e la Lega difficilmente si metterà di traverso.
Scrive Bersani in una lettera inviata agli elettori che vanno alle urne alle amministrative del 6 e 7 maggio: «Conosciamo la disillusione dei cittadini verso la politica. Crediamo che il rimedio alla cattiva politica non sia l’antipolitica, ma la buona politica». Il Pd punta ad approvare rapidamente con le altre forze le nuove norme sui bilanci, ma di proseguire poi la battaglia per applicare l’articolo 49 della Costituzione. «Abbiamo anche presentato», ricorda Bersani dicendo di non voler essere «messo nel mucchio» con tutti gli altri, una legge «per imporre trasparenza, democrazia interna, codici etici. Noi stiamo già facendo certificare i nostri bilanci da Agenzie esterne indipendenti e facciamo sottoscrivere, pena l’incandidabilità, stringenti codici etici da parte di chi compone le nostre liste». Punti su cui non è riuscito di trovare l’accordo con gli altri partiti.

L’Unità 11.04.12