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"Qualche euro in più in busta paga", di Rinaldo Gianola

Con la Borsa in ribasso del 5% in un solo giorno e lo spread tra Btp e Bund tedeschi che risale fino alla soglia d’allarme di 400 punti la domanda che emerge è se abbiamo sbagliato tutto, se dobbiamo attenderci un’altra correzione dei conti pubblici, se la baraonda della crisi non finisce mai. Naturalmente prendiamo per buone le assicurazioni del presidente Mario Monti che esclude qualsiasi manovra aggiuntiva nel corso dell’anno, ma non possiamo negare, tuttavia, che la situazione resterà ancora al limite dell’emergenza nei prossimi mesi come indicano previsioni e analisi di autorevoli fonti italiane e internazionali. La sensazione più chiara, lampante, che deriva dalla mole finanziaria e dall’impatto sociale delle manovre, decise dall’agosto scorso ad oggi prima da Tremonti-Berlusconi e poi dall’esecutivo dei tecnici, è che il malato è debole, troppo debole e rischia di non farcela. Famiglie e imprese, che pur non si sono tirate indietro quando sono state chiamate a sopportare pesanti sacrifici, hanno bisogno di una mano, di un alleggerimento della pressione fiscale, di liberare un po’ di risorse da investire, per pagare i debiti e ridare fiato ai consumi. Sarà una ricetta banale, troppo semplice, ma dobbiamo trovare il modo di rimettere qualche euro in più nelle buste paga dei lavoratori, di sostenere i pensionati, di offrire uno spiraglio alle famiglie che faticano a pagare il mutuo, le bollette e ora temono, giustamente, la stangata dell’Imu. Le associazioni stimano in circa 2500 euro il costo per i cittadini tra aumenti delle bollette e nuove tasse. Come ha ben spiegato la Banca d’Italia il formidabile risparmio degli italiani si sta erodendo, il welfare familiare ha garantito in questi anni di crisi una tutela concreta a chi perdeva il reddito, ma i miracoli sono finiti e in questa congiuntura, con un’economia che non cresce più, le formichine italiane non riescono a esercitare le loro tradizionali virtù. Il problema è sempre quello di trovare i soldi necessari a cambiare l’agenda. L’impegno del governo Monti nella lotta all’evasione fiscale può produrre importanti risultati se mantenuto nel tempo. Anche se alcuni hanno storto il naso davanti ai controlli a tappeto da Cortina a via Montenapoleone, non c’è dubbio che queste azioni e le eventuali sanzioni siano state utili per dare credibilità alla strategia del governo. Le risorse incassate con il contrasto all’evasione fiscale potranno finanziare la riduzione delle tasse per imprese e lavoro? È una strada sulla quale il governo Monti si è indirizzato, ma va anche detto che una possibile manovra di riequilibrio della pressione fiscale è attesa solo per l’inizio del 2013, per non turbare i nostri conti e il giudizio degli osservatori e dei mercati. Ci possiamo permettere di non fare nulla in un anno come questo, di crisi e di nuovo allarme sociale? Possiamo negare un aiuto alle famiglie i cui “fallimenti”, secondo il Fondo Monetario Internazionale, accentuano e allungano la recessione internazionale? Un aggiustamento in corsa della politica economica forse è possibile, anche per mantenere quel rapporto di fiducia che si è creato in questi mesi tra governo e opinione pubblica. Proprio chi chiede sacrifici al Paese deve avere la credibilità e l’autorevolezza di colpire privilegi e aiutare chi sta peggio. Di più: l’esigenza di cambiare le priorità dell’agenda di governo e della maggioranza diventa importantissima se valutiamo le condizioni della nostra industria. Ci sono situazioni di grave sofferenza che non possono esser trascinate a lungo. La Fiat, che ha registrato un calo delle vendite del 37% in marzo in Italia, chiuderà per due settimane a maggio lo stabilimento di Melfi, il più efficiente, il più moderno, per adeguare la produzione alle richieste modeste del mercato. I fornitori della componentistica temono un esodo dei grandi gruppi perché la produzione italiana di auto rischia di diventare residuale. La multinazionale Alcatel ha confermato al ministro Passera che intende tagliare la presenza italiana, nella Silicon Valley brianzola, con conseguenze gravi per il tessuto industriale di una delle zone più produttive del Paese. Finmeccanica, uno dei motori della politica industriale, è ostaggio di una gestione opaca e della mancanza di una nuova strategia dell’azionista. Un po’ di soldi in busta paga, una politica industriale che punti su settori innovativi e valorizzi il patrimonio produttivo nazionale, il recupero di risorse dall’evasione per alleggerire il peso del fisco sulle imprese: forse da questi interventi può ripartire la nostra economia.

l’Unità 11.04.12

Carpi (Mo) – 67° anniversario Festa della Liberazione

Carpi – Piazza dei Martiri

Programma

Ore 10.00 – Cimitero Urbano
Deposizione delle corone al Sacrario dei Caduti

Ore 10.45 – Piazza Martiri
Saluto di
Francesco Lioce, Presidente dell’ANPI di Carpi
Interventi di
– Enrico Campedelli, Sindaco del Comune di Carpi
– Manuela Ghizzoni, Parlamentare

Carpi – Fossoli, biciclettata resistente
Ore 14.30
Ritrovo davanti al Municipio di Carpi – Corso Alberto Pio 91
Percorso dei cippi della zona

Ore 16.00
Arrivo all’ex Campo di concentramento di Fossoli
A cura di Fondazione ex Campo di Fossoli e dell’ANPI di Carpi

Ex Campo di concentramento di Fossoli
Parole e musica
Ore 15.00
“Negli sconfinati spazi liberi”
Dal diario di Leopoldo Gasparotto, musiche e letture

Ore 16.00
Note di Passaggio. Concerto per la Liberazione
Avi Avital, mandolino
Murat Coskun, percussioni
Enzo Salomone, voce recitante
Vai alla scheda dell’evento

Ore 17.00
Inaugurazione della mostra
“Parole chiare. Luoghi della memoria in Italia 1938-2010”

Ore 18.00
“Voci di Libertà”
Banda Città di Carpi
Diretta da Pietro Rustichelli, e Simone Maretti
In collaborazione con la Fondazione ex Campo di Fossoli

Ore 21.00
Cinema Ariston, loc. San Marino
Proiezione del film
“Il ribelle. Guido Picelli, un eroe scomodo”
di Giancarlo Bocchi
Ingresso unico 4 euro
La proiezione fa parte del ciclo “Prima all’Ariston”

Sentieri resistenti
“Campotizzoro e Foresta del Teso – Appennino pistoiese”
Camminata a cura del Club Alpino Italiano – Sezione di Carpi
Nell’ambito dell’escursione sono previsti la visita allo stabilimento ed al rifugio antiaereo della Società Metallurgica Italiana di Campotizzoro ed il concerto del Coro del CAI Carpi
Per informazioni e prenotazioni
320/4676258 – 335/6938728

"Il dubbio dei padani", di Curzio Maltese

«Luisaaa, dove hai messo la scopa?». Sono arrivati a Bergamo dalle casette a schiera della Brianza. SONO ARRIVATI dai centri commerciali, dai villini coi nanetti in giardino, con la ramazza in mano e nel cuore uno stato d´animo finora sconosciuto al buon leghista, fra tanti sentimenti e risentimenti evocati in vent´anni di psicopolitica verde: il dubbio.
Il dubbio che li abbiano fregati con la Padania libera, l´ampolla sacra, le scampagnate a Pontida, Braveheart e le cornamuse celtiche, il federalismo che non s´è mai visto e la rivolta fiscale mai partita, i ministeri al Nord e insomma tutto l´inventario immaginifico bossiano. «Tutto per imbertarsi una montagna di quattrini alla faccia nostra. Altro che devoluscion e deregulescion. Regalescion, ladrescion. Ma io non ci posso credere». Non ci possono credere in tanti, almeno qui, fra brava gente che in questi anni si è cibata di Radio Padania e feste di partito, comizi arroventati e dibattiti al bar dello sport, senza mai essere sfiorata dai dubbi insinuati dalla «stampa romana» a proposito dei maneggi del cerchio magico e dell´ampio sottogoverno insediato dagli ex barbari nei meandri dell´odiata Roma ladrona.
Ma ora di colpo ecco la caduta dei semidei padani, uno dopo l´altro. Fuori uno, due, tre, quattro. Bossi e l´erede designato Renzo, la Rosy Mauro che non si è dimessa, ma «ci penserà la Lega a dimetterla», ha detto Maroni. Il cerchio magico in frantumi, e non soltanto. Fuori Roberto Calderoli, il cui nome circola nelle carte dell´inchiesta e per questo è stato escluso ieri dal palco di Bergamo. La grande nave verde è inclinata sulle rive del dio Po e tutti corrono alle scialuppe di salvataggio agli ordini di Roberto Maroni, ma l´operazione sembra disperata.
Maroni è stato anche bravo a fare la parte di chi cade all´improvviso dal pero e scopre la corruzione del gruppo dirigente di Bossi. Ha fatto fischiare chi voleva, il Trota e Rosy Mauro, e ha provato a separare le responsabilità della famiglia, “the family”, da quelle del capo. In ogni caso assai più abile di un Umberto Bossi sempre più struggente nel tentativo di sopravvivere a se stesso, rinchiuso nella trincea del complotto e perciò più volte fischiato. Ma per quanto Maroni si sia sforzato di vestire i panni del salvatore della patria padana, con l´annuncio applauditissimo del congresso anticipato di giugno che lo incoronerà segretario, a chi ha un po´ di memoria l´ex ministro è parso soltanto la riedizione pallida del Claudio Martelli di vent´anni fa, ovvero uno che cerca di ripararsi dal diluvio universale aprendo l´ombrello.
Lo schianto della Lega è lo schianto del sistema più corrotto e incapace della storia della repubblica. Le inchieste sono appena al principio e di certo riserveranno altre sorprese. Ma la corruzione, i veri scandali erano sotto gli occhi di tutti da molto tempo, nei nomi, nelle biografie e nel rapporto fra questi e i posti ricoperti. La strapaesana Rosy Mauro vicepresidente del Senato, il Trota pluribocciato consigliere regionale della Lombardia, il taroccatore di professione Francesco Belsito seduto nel consiglio di amministrazione di Fincantieri e tutti gli altri boiardi ignoranti piazzati in questi anni alla Rai, all´Enel, negli enti locali, nelle Asl, in uno sguaiato e insaziabile assalto ai forni dell´odiato Stato centralista. Una spedizione contro Roma ladrona che negli anni si è trasformata sempre di più in razzia di posti e benefici da parte degli ex barbari, garantita dall´alleanza supina con Berlusconi, capace di coprire tutto e tutti. Era questa la vera ragione dell´alleanza di ferro fra Bossi e il Cavaliere, la garanzia d´impunità, mascherata sotto le bandiere di un federalismo immaginario. Ora che il gioco si è svelato, i boiardi verdi tremano sulle poltrone, grandi e piccole, dai consigli d´amministrazione dei colossi pubblici all´ultima municipalizzata lombarda, e sono disposti a rimettersi la camicia verde e le corna vichinghe, a sventolare il vessillo delle origini “pure” e il poster dell´integerrimo Maroni, come molti di loro hanno fatto alla Fiera di Bergamo. Bisogna vedere se il buon popolo padano ci crederà anche stavolta. Se gli operai delle fabbriche varesine, minacciati dai licenziamenti, i padroncini della Pedemontana, strangolati dai debiti, gli artigiani e i commercianti che ormai alimentano le cronache dei suicidi, saranno ancora disposti a sfilare sotto le bandiere «macchiate dal fango di pochi mascalzoni». I segnali sono cattivi e non da oggi. Alle ultime amministrative la Lega ha preso batoste un po´ dappertutto, perfino nelle roccaforti della provincia di Bossi, da Gallarate a Vergiate. Il voto di maggio rischia di essere una catastrofe. E allora a giugno, più che il congresso della rinascita declamato da Maroni, si rischia di celebrare il funerale del movimento.

La Repubblica 11.04.12

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“No a quei soldi, sono sospetti” così la Tanzania bloccò Belsito, di DAVIDE CARLUCCI e SANDRO DE RICCARDIS

Sentito il body guard di Renzo Bossi. A rischio la posizione della moglie del Senatùr. Il rovesciamento dello stereotipo è così clamoroso da sembrare incredibile: una banca africana che rifiuta i soldi padani perché sembrano sporchi e a quelle latitudini – cosa che non sempre accade tra le nebbie del Nord – pecunia olet. Ma è proprio questo, l´ultimo sviluppo di un´inchiesta che sta demolendo l´idea di una Lega portabandiera dell´onestà. Dagli accertamenti dei pm Paolo Filippini e Fabio Pellicano – coordinati dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo – emerge il fallimento del tentativo di riciclaggio dei finanziamenti pubblici del Carroccio in Tanzania operato dal tesoriere Francesco Belsito. Per ragioni di trasparenza, la banca tanzaniana decise di congelare i fondi – 4,5 milioni di euro – per oltre un mese. E di restituirli, in un secondo momento, al mittente, accreditandoli al conto della Lega presso la banca Aletti di Genova.
Di «riciclaggio», nelle carte del Noe, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, parlano gli stessi indagati. L´imprenditore veneto Stefano Bonet parla al telefono con Romolo Girardelli, «faccendiere, già collaboratore genovese di Belsito» nonché link, secondo la Dda di Reggio Calabria che lo indaga, con la ‘ndrangheta. «In realtà – dice Bonet – questo (Belsito, ndr) mi ha davvero trascinato come un bastardo in uno dei reati più infimi che possa avere io come uomo di consulenza… ».
Da dove provenissero davvero i soldi da ripulire e perché la lavatrice fosse individuata in Tanzania – e se addirittura all´operazione abbiano partecipato anche le cosche – è materia di approfondimento da parte dei pm. L´affare, però, non va in porto. A consentire ai magistrati di ricostruire il flusso (interrotto) di denaro è stata l´acquisizione dei documenti bancari e l´interrogatorio di Paolo Scala, il consulente aziendale indagato che aveva Bonet tra i suoi clienti. La testimonianza del manager, che si occupa di internazionalizzazione di imprese a Cipro – dove è stata investita un´altra quota del tesoro della Lega, pari a 1,2 milioni di euro – è stata chiarificatrice. «La sua posizione sarà ridimensionata», assicura l´avvocato Pierluigi Bonafin. Bonet, invece, a Repubblica dice: «Ho scoperto che si trattava di soldi pubblici dalle banche il 10 gennaio 2011. Sono stato tradito da Belsito ma sono sereno perché non ho commesso nessun reato».
Per Scala gli investimenti a Cipro e in Tanzania sono due cose distinte. Per i magistrati potrebbero essere collegati. A Nicosia ha sede una filiale della Fbme Bank Ltd, l´istituto di credito tanzaniano, nato come una filiale della Federal Bank of Lebanon Sal, migrato poi alle Cayman come sede legale e infine stabilitosi in Tanzania. E dalla filiale cipriota sono transitati i soldi del Carroccio.
Per ora, nel registro degli indagati a Milano risultano solo i tre protagonisti di questa vicenda. L´ipotesi di ulteriori iscrizioni è al momento esclusa dal procuratore Edmondo Bruti Liberati. Ma si sta esaminando il materiale sequestrato, e nei prossimi giorni potrebbero definirsi nuovi capi d´imputazione, anche sulla base delle intercettazioni. E di nuove rivelazioni, come quelle dell´autista di Renzo Bossi, Alessandro Marmello. Interrogato ieri dai pm, il bodyguard ha confermato le rivelazioni sui fondi del partito usati «come un bancomat» per le esigenze del rampollo del Senatur. E ha descritto i video che provano le sue accuse, formalmente acquisiti dalla procura, e il «sistema per mantenere Renzo» con i rimborsi elettorali. Tra le posizioni più critiche c´è quella della moglie di Bossi, Manuela Marrone che, secondo la funzionaria Nadia Dagrada, avrebbe chiesto a Belsito di accantonare un milione di euro per la scuola Bosina. «Io – ha spiegato ai pm Dagrada – gli manifestai il mio disappunto e la mia netta contrarietà perché ritengo che dette operazioni devono essere regolarmente iscritte nel bilancio».

La Repubblica 11.04.12

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“Il giallo dell´appartamento ereditato dal Senatur: doveva andare al partito”, di Paolo Berizzi

Metti un´anziana militante leghista. Metti che la signora, prima di morire, disponga nel testamento che una casa di sua proprietà vada «all´on. Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord…». Aggiungi che Bossi decide poi di vendere la casa. Ora: al di là del rispetto della volontà indicata dalla ottuagenaria fan del Carroccio – e cioè che il bene lasciato finisca effettivamente al movimento – si apre un´altra questione. Decidendo, come ha poi fatto, di vendere l´appartamento, il capo padano avrebbe l´obbligo di versare il denaro ricavato alla Lega, e di comunicare la compravendita alla Camera dei Deputati. Se questo non accade, e non è accaduto, oltre a un problema morale se ne pone anche uno legale e amministrativo: posto che Bossi ha violato la normativa parlamentare, dovrebbe pagare una sanzione pari a una cifra che varia da due a sei volte il valore della casa (480mila euro).
[LA MONTECARLO LEGHISTA]
La storia ha un inizio ma forse non ancora una fine. L´inizio è datato 20 agosto 2003. All´epoca Caterina Trufelli, classe 1931, pasionaria leghista da Cicognara di Viadana (Mantova), è ancora in salute. Il Tribunale di Milano ha risolto in suo favore un´accesa disputa familiare per la proprietà di un appartamento di via Mugello 6 a Milano. La casa è al sesto piano di un palazzo inizio secolo in zona viale Umbria: 250 metri quadrati, quattro stanze, cucina, bagno, ripostiglio e balconcini, cantina, solaio. Rendita catastale, 958,03 euro. Nel suo nuovo testamento olografo – ufficializzato il 20/8/2003 – scrive: «Io sottoscritta Caterina Trufelli, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali revoco ogni mio precedente testamento e nomino erede universale l´onorevole Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord, nato a Cassano Magnago (VA) il 19/9/1941…» La Trufelli muore il 10 maggio 2010. Il suo ultimo scritto è un addio con «desiderata» degni della miglior militante leghista: vuole che le sue ceneri vengano cosparse nel «dio Po», e, non potendo dare la casa in lascito né alla sorella (non c´è più) né al nipote (con cui ha rotto), decide che il beneficiario sarà il partito verde nella figura del segretario Bossi. È a questo punto che prende forma la Montecarlo leghista.
[VENDITA IN SILENZIO]
Che fa il Senatùr con la casa di via Mugello? La gira nella disponibilità della Lega come prevede la normativa sulle “erogazioni liberali”? Oppure: la vende e versa i soldi nelle casse del partito? Macché. Bossi la vende, sì, ma si tiene i soldi. Il 1 febbraio l´appartamento viene acquistato da Angela Torazzi, «non coniugata», alla cifra di 480mila euro (pagati con assegni non trasferibili e circolari). L´Agenzia del Territorio registra accettazione e compravendita. Secondo le norme parlamentari, il capo leghista è tenuto a comunicare il tutto alla Camera. Cosa che non fa. E dunque, si macchia di una doppia leggerezza. La prima è una violazione dei regolamenti parlamentari (qualunque atto che riguardi finanziamenti politici al partito deve essere denunciato; la sanzione amministrativa prevista consiste in un cifra che varia da due a sei volte il valore del bene). La seconda è che è venuto meno ai suoi doveri verso il Carroccio: il termine previsto per i versamenti sotto forma di erogazione volontaria liberale è 60 giorni. Non risulta che Bossi abbia provveduto ad alcun versamento. Il bilancio ufficiale dei partiti, va detto, si chiude il 30 giugno, ma è prassi della Lega, come di altri, presentare gli stessi rendiconti alla Camera assieme alle “dichiarazioni congiunte”, il cui termine è scaduto il 31 marzo.
[GIRANDOLA IMMOBILIARE]
Case, case, case. Nello tsunami che ha travolto la Lega Nord, una voce di spesa non trascurabile è rappresentata proprio dalle case. Da ristrutturare – come il castelletto di Gemonio – in affitto («a Riccardo Bossi gli paghiamo gli affitti cash», dice la segretaria amministrativa Nadia Dagrada). E case comprate. Tra le operazioni immobiliari sulle quali i magistrati stanno facendo luce c´è l´acquisto di una cascina a Brenta, vicino a Gemonio, intestata a Manuela Marrone, moglie di Bossi, e regalata a Roberto Libertà, altro rampollo di casa. La first sciura leghista l´ha acquistata il 24 giugno 2011 da una signora milanese residente nel Varesotto con atto firmato a Cesano Boscone, nello studio di un notaio di fiducia. Niente mutuo, sconosciuto il valore della transazione. E se la cascina fosse stata acquistata col denaro proveniente dal lascito dell´anziana militante leghista? È la domanda a cui i magistrati cercheranno di dare una risposta.

La Repubblica 11.04.12

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“I soldi presi per la Festa del Garda? Iniziative per il turismo, anche con Bonet”, di Carmelo Lopapa

Bossi? Lo conosco bene, penso che sia inconsapevole di tutto, non aveva informazioni corrette, lui è onesto. Con Belsito avremo preso si e no tre caffè in tre anni, come colleghi sottosegretari, mai pranzato con lui. L´imprenditore veneziano Stefano Bonet sostiene di averlo conosciuto solo per ragioni professionali. Col tesoriere leghista Francesco Belsito dice di aver preso tre caffè e nulla più, da «collega sottosegretario» del governo Berlusconi. La storia dell´acquisto del simbolo del Carroccio da parte di Berlusconi per coprire i debiti della Lega la respinge con forza: «Leggenda ridicola». Aldo Brancher resta tuttavia il trait d´union tra il Cavaliere e il Senatur. Appena sfiorato (e non coinvolto) dagli atti dell´inchiesta in corso sui conti lumbard.
Come è potuto avvenire tutto quello che sta emergendo, alla corte di Bossi?
«Lo conosco bene, Umberto. E penso che su queste storie non abbia avuto informazioni corrette. Era inconsapevole di tutto. Lui è onesto e rigoroso. Di altro e altri non so».
Negli atti dell´inchiesta si parla di «qualificate relazioni politiche» tra lei e Bonet. Le può chiarire?
«Bonet l´ho conosciuto nella sua qualità di titolare di una società, la Polare, riconosciuta anche dal ministero dell´Università. Ho parlato con lui, certo, perché sono presidente di un fondo gestito dai comuni di confine attraverso il quale si punta a ottenere finanziamenti pubblici, anche dall´Unione europea. E la sua società conosce meglio di altri quali percorsi seguire, quali master plain presentare per accedere a quel genere di fondi».
Sembra le sia stato utile. Si parla di una sponsorizzazione di 150 mila euro per la Festa del Garda.
«Io abito sul Lago di Garda. E il mio sogno è incrementare il turismo nella zona, anche attraverso la realizzazione dei 160 km di pista ciclabile attorno al Lago. Abbiamo creato l´associazione “Lago di Garda tutto l´anno» organizzando parecchie iniziative attraverso quattro società. E la Polare di Bonet, che ha preso a cuore il territorio, è solo uno dei 15 sponsor che ha versato finora 100 mila euro. Saranno nel tempo 600 mila. Ma è solo uno degli sponsor. Il fatto che il mio nome venga in qualche modo tirato fuori mi fa pensare che sia davvero un perseguitato dalla giustizia».
Aveva rapporti più frequenti invece col tesoriere Belsito, a quanto sembra.
«Macché. Eravamo entrambi sottosegretari. Sì e no avremo preso tre caffè in tre anni. Ma mai pranzato con lui, se può interessare».
Di lei si parla invece come mediatore tra Berlusconi e Bossi. Cosa può dire del presunto acquisto del simbolo della Lega per coprire i debiti del Carroccio, nel 2000?
«Non mi risulta. È una storia ridicola. Bossi è tutto fuor che stupido. Ma vi pare che abbia mai potuto ipotecare quel simbolo che per lui è la vita? Neanche in coma avrebbe mai firmato un atto di quel genere. Io sono amico di entrambi, ci siamo incontrati spesso insieme, ma abbiamo sempre parlato di cose serie, di affari mai».
Avrà sentito Bossi dopo le dimissioni. Come lo ha trovato?
«Lui è una roccia, solida, non friabile».
Sopravviverà anche a questo?
«Che dire, me lo auguro…»

La Repubblica 11.04.12

"Made in Iktaly", di Massimo Gramellini

L’Ikea delocalizza in Italia. Nel mondo al contrario in cui ci tocca vivere la multinazionale scandinava sposta un pezzo consistente della sua produzione dall’Estremo Oriente alla Padania detrotizzata. Pare infatti che, nonostante tutte le statistiche ci diano per spacciati, nessuno abbia ancora imparato a fare i rubinetti come noi. E i cassetti della cucina. E i giocattoli per le camere dei bambini. La qualità sanno crearla anche altri. La produzione in serie, pure. Ma la qualità in serie, quella rimane una specialità della casa. Non siamo soltanto il Paese dei partiti famelici, dei funzionari corrotti e di mamme più parziali degli arbitri (la Family di Gemonio insegna che in molte madri italiane c’è un’Agrippina disposta a qualsiasi nefandezza pur di spingere avanti il proprio debosciato Nerone). All’estero si ostinano a riconoscere l’esistenza di un’altra Italia in cui noi abbiamo smesso di credere. L’Italia del lavoro ben fatto, del buon gusto, del bel vivere e del meglio pensare.
Se avessi il potere assoluto per cento minuti farei piazza pulita dei mestieri che non possono più darci un mestiere (perché altrove sono fatti meglio e a minor costo) e concentrerei tutte le risorse disponibili su ciò che ci rende unici: l’artigianato di qualità, il design, il cibo, il vino, il turismo, la cultura. Creerei un fondo per la Bellezza a cui attingere per aprire botteghe di alta manualità, restaurare opere d’arte, ripulire spiagge e rifugi di montagna, trasformare case smozzicate in agriturismi. Nel mondo al contrario c’è spazio solo per chi si distingue dagli altri. E noi, o diventiamo la patria delle meraviglie o non saremo più niente.

La Stampa 11.03.12

"Quando il cittadino diventa un clandestino", di Barbara Spinelli

Risale a più di dieci anni fa un articolo di Paul Krugman – uno dei più profetici – sul collasso della compagnia energetica Enron. La Grande Crisi che traversiamo fu preceduta da quel primo cupo segnale, e in esso l´economista vide, sul New York Times del 29 gennaio 2002, la forma delle cose future. Quella storia di finta gloria mischiata a frode era ben più decisiva dell´assalto al Trade Center, che l´11 settembre 2001 aveva seminato morte e offeso la potenza Usa. «UN GRANDE EVENTO – era scritto – cambia ogni cosa solo se cambia il modo in cui vedi te stesso. L´attacco terrorista non poteva farlo, perché di esso fummo vittime più che perpetratori. L´11 settembre ci insegnò molto sul wahabismo, ma non molto sull´americanismo».
La vicenda Enron mise fine all´età di innocenza del capitalismo, svelando le sregolatezze e il lassismo in cui era precipitato. I sacerdoti di quell´età erano prigionieri di dogmi, e nessuna domanda dura scalfiva la convinzione che questo fosse il migliore dei mondi possibili. Fu come il terremoto di Lisbona, che nel 1755 costrinse la filosofia europea ad abbandonare (grazie a Voltaire, a Kant) l´ottimistica fede nella Provvidenza. Nell´immediato non uccise come l´11 settembre, ma siccome non esiste sacerdote senza sacrifici cruenti anche questo presto cambiò: fra il 2007 e oggi la crisi ha cominciato ad avere i suoi morti, sotto forma di suicidi. Sono iniziati in Francia, nel 2007-2008. Ora quest´infelicità estrema, impotente, lambisce Grecia e Italia, colpite dalla recessione e da misure che rendono disperante il rapporto fra l´uomo e il lavoro, l´uomo e la propria vecchiaia, l´uomo e la libertà. Senza lavoro, senza la possibilità di adempiere gli obblighi che più contano (verso i propri figli, la propria dignità) la stessa libertà politica s´appanna: diventi un emigrante clandestino in patria, un trapiantato.
Suicidi di questo tipo non sono patologie intime, dislocazioni dell´anima che nella morte cerca un suo metodo. In Francia, in Grecia, in Italia, sono tutti legati alla crisi. Sono commessi da pensionati, lavoratori, imprenditori presi nella gabbia di debiti, mutui non rimborsabili, aziende fallite. È significativo che quasi tutti si immolino in piazza o nei posti di lavoro, lasciando lettere-testamenti che dicono l´indicibile scelta. Dimitris Christoulas, il pensionato che il 4 aprile s´è tolto la vita in Syntagma Square – la piazza delle proteste – scrive che il governo, ribattezzato «governo collaborazionista di Tsolakoglou» in ricordo del Premier che nel ´41-42 aprì le porte ai nazisti, «ha annientato la mia capacità di sopravvivenza, basata su una pensione dignitosa cui avevo contribuito per 35 anni».
Christoulas non vuol «mettersi a pescare nella spazzatura» di che sostentarsi, e avverte: i giovani derubati di futuro impiccheranno i responsabili come fecero gli italiani a Piazzale Loreto con Mussolini. «Vista la mia età avanzata, non posso reagire in modo attivo. Ma se un mio concittadino afferrasse un Kalashnikov, sarei pronto a stare al suo fianco». Le statistiche sui primi cinque mesi del 2011 certificano un incremento di suicidi del 40 per cento, rispetto allo stesso periodo del 2010.
Disastri simili accadono in Italia. La Cgia, Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, annuncia che nel 2008-2010 i suicidi sono cresciuti del 24,6%: sono usciti dal mondo imprenditori, lavoratori dipendenti, pensionati. Nel 2008 i suicidi economici sono 150, nel 2010 sono 187. C´è un «effetto imitazione», spiega la Cgia, ma il termine è lenitivo. Ci si consolò così nel 2008, quando si uccisero 24 dipendenti di Telecom-Francia (una prima avvisaglia era venuta l´anno prima da Renault: tre suicidi in 4 mesi). Il motivo sociale venne sottovalutato, come nel 2002 si sottovalutò il crollo di Enron, rovinoso per i fondi pensione di migliaia di lavoratori. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, parla di «perdita di sicurezza, solitudine, disperazione, ribellione contro un mondo che si sta rivelando cinico, inospitale». Governi, giornalisti, economisti dovrebbero smettere le sacerdotali litanie sulla «resistenza al cambiamento». Fa parte del loro mestiere provare a capire le segrete molle dell´uomo, non solo dei bilanci. Il suicida è un indignato che naufraga perché non riconosciuto, non visto.
Anche su questo Krugman fu veggente, nel 2002: «Per chi non è direttamente implicato – gran parte dei politici non lo è – non conta quel che ha fatto, ma quel che fa». Mancò infatti ogni esame critico del passato, del consenso a tante sregolatezze. Un decennio è passato, e l´ottusa reazione del ministro del Tesoro di Bush, Paul O´Neill, fa tuttora scuola: «Le imprese vengono e vanno. È il genio del capitalismo». I suicidi in Grecia o Italia sono una ribellione contro il fatalismo di questa definizione – genio – che vede nel capitalismo una forza di natura, contro cui nulla si può se non cader fuori dalla giostra impazzita. Un falso profeta, Samuel Huntington, predisse nel ´92 prossimi scontri tra le civiltà. Lo scontro è dentro le civiltà: la nostra. I suicidi ne sono il sintomo. Chi non ci crede vada all´Aquila. Salvatore Settis ha visto una Pompei del XXI secolo (Repubblica 7-4). Le rovine del terremoto sono restate tali e quali, come in un racconto di fantascienza. Chi ha detto che il capitalismo è movimento?
Il suicidio studiato nell´800 da Emile Durkheim è l´autoaffondamento del cittadino cui sono strappati non solo i diritti ma gli obblighi stessi della cittadinanza: la libera sottomissione alla necessità del lavoro, il sentirsi parte di una società, di un ordine professionale, di un sindacato che includa e integri. A differenza del suicidio intimista, o dell´immolazione altruista, Durkheim lo chiama suicidio anomico. La sua radice è nell´anomia: nello svanire di norme che ogni crisi comporta. Nell´impunità di cui godono gli iniziati che di norme fanno a meno.
In quest´anomia viviamo, senza più gli avvocati dell´individuo che sono stati i sindacati, gli ordini professionali, le chiese, i partiti. La corruzione di questi ultimi è una manna, per chi vuol fare un deserto e chiamarlo pace. Grecia e Italia ne sono malate, e non a caso è qui che il cittadino tramutato in cliente non spera più di essere udito. «Mai gli uomini consentirebbero a limitare i propri desideri se si credessero autorizzati a superare il limite loro assegnato. Ma per le ragioni suddette non possono dettarsi da soli questa legge di giustizia. Dovranno perciò riceverla da una autorità che rispettano e alla quale si inchinano spontaneamente. Soltanto la società, sia direttamente e nel suo insieme, sia mediante uno dei suoi organi è capace di svolgere questa funzione moderatrice, soltanto essa è quel potere morale superiore di cui l´individuo accetta l´autorità. Soltanto essa ha l´autorità necessaria a conferire il diritto e a segnare alle passioni il limite oltre il quale non devono andare». (Durkheim, Il suicidio, 1897).
Della società fanno parte partiti, sindacati, imprenditori, governanti: tutti si sono rivelati incapaci di osservare e dunque imporre le norme, tutti sono portatori di anomia. Per questo leggi e tutele sono così importanti. Diceva nell´800 il cattolico Henri Lacordaire: «Tra il forte e il debole, tra il ricco e il povero, tra il padrone e il servitore: quel che opprime è la libertà, quel che affranca è la legge».
Di legge, di nòmos, hanno bisogno i cittadini greci e italiani, apolidi in patria. Se è vero che viviamo trasformazioni planetarie, urge sapere che esse scatenano sempre un aumento di suicidi: secondo Durkheim anche i boom economici demoralizzano. Dobbiamo infine sapere che Camus aveva ragione: la rivolta è la risposta, l´unica forse, al suicidio (il paese «si salva al piano terra», dice Erri De Luca). Quando è positiva, la rivolta tende a reintrodurre il senso della legge lì dove s´è insediata l´anomia.

La Repubblica 11.04.12

"Il vero allarme è sulla crescita", di Massimo Riva

Una riapertura pessima dei mercati dopo la parentesi pasquale con le Borse in calo in tutta Europa e un record negativo di Milano a meno cinque per cento, mentre il fatidico “spread” è risalito di colpo oltre quota quattrocento. Ma stavolta sarebbe davvero un serio errore di prospettiva leggere questi scivoloni come l´ennesimo avvertimento a rincarare la dose dei tagli alla finanza pubblica.

Il mini-tsunami finanziario di ieri per unanime e planetaria convinzione nasce tutto da fattori connessi all´economia reale. È da questo terreno, infatti, che stanno arrivando segnali particolarmente allarmanti che investono le due principali potenze mondiali. Negli Usa si sta aprendo la stagione dei primi rendiconti trimestrali delle aziende e le previsioni sono nettamente di profitti in calo. Da Pechino poi giunge la conferma che il temuto rallentamento della grande locomotiva cinese è ormai un dato di fatto reso esplicito dalla frenata delle importazioni.
Se fino a ieri dinanzi alle brusche altalene sui mercati era possibile almeno in parte consolarsi con la tesi dell´irrazionalità dei movimenti speculativi, ora la questione sta cambiando pericolosamente di segno. Non è più soltanto la fragilità contabile di alcuni Paesi a innescare ondate di vendita nelle Borse, le paure maggiori nascono dalla sfiducia sul futuro immediato delle attività produttive. Insomma, dal serio rischio che anche le più prudenti stime di crescita dell´economia mondiale dovranno essere ridimensionate in corso d´anno. Con conseguenti riflessi sugli investimenti e quindi sui livelli dell´occupazione, soprattutto nei Paesi occidentali fra i quali gli europei per primi.
In un Paese come l´Italia questo mutamento del quadro internazionale riporta con prepotenza in primo piano il tema finora più trascurato dei tre impegni proclamati dal governo Monti: quello degli stimoli alla crescita. La strategia dei due tempi – prima il rigore con l´equità e poi, appunto, la crescita – appare ormai superata dagli eventi. Alla lunga i mercati si rivelano sempre intelligenti. In questi mesi hanno dato chiari giudizi di apprezzamento per l´austerità fiscale realizzata nel Paese senza troppi contrasti sociali, come ha testimoniato il corso finora discendente del differenziale coi titoli tedeschi. Ma ora giustamente cominciano a chiedersi se la minaccia di default scongiurata con misure rapide di fiscalità straordinaria non possa ripresentarsi da un altro lato: quello di una caduta della crescita tale da vanificare il risanamento momentaneo dei conti per effetto dell´impoverimento collettivo del Paese. Esito che renderebbe ancor meno sostenibile nel medio periodo l´abnorme debito pubblico accumulato.
Il governo Monti ha voluto caricare sulle spalle proprie e del Paese un impegno particolarmente gravoso: quello di raggiungere il pareggio di bilancio entro la fine del prossimo anno. Per arrivare a questo traguardo ha impostato una politica fiscale di insolita durezza, sicuramente necessaria in prima battuta per riconquistare quella credibilità sui mercati che era stata dissipata dalla gestione precedente. Ma poi ha creduto o fatto finta di credere che chissà quali stimoli alla crescita potessero venire da provvedimenti di malcerta gestione e di dubbia efficacia come i decreti sulle liberalizzazioni o sulla semplificazione, finendo poi per infilarsi in una riforma del mercato del lavoro che – pure al netto dell´inutile teatrino sull´articolo 18 – potrà forse dare qualche beneficio nell´arco di alcuni anni. Quel che sta accadendo ora sui mercati non dice che la strada intrapresa sia sbagliata, ma indica che il passo deve essere accelerato e che la vera e indispensabile “svolta storica” va attuata sul terreno dell´economia reale.
Compito che travalica sicuramente i confini del Paese e postula una mobilitazione in chiave europea. Terreno sul quale Mario Monti ha oggi tutte le carte in regola per ingaggiare battaglia. La campana dei mercati ha suonato per tutti.
Perciò, se non ora, quando?

La Repubblica 11.04.12

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“Troppa austerity e niente crescita” i Fondi abbandonano Roma e Madrid, di Maurizio Ricci

Italia sulla graticola anche per le modifiche alla riforma del lavoro E i rendimenti tornano vicino al 6%. Più grave la situazione della Spagna che insiste nella politica di massicci tagli al bilancio: 37 miliardi per il 2012
Da capo. I mercati finanziari europei sembrano tornati sull´orlo di una crisi di nervi e, questa volta, ad alimentare la tensione ci sono paesi importanti, Italia e Spagna, cioè economie pesanti, che non possono essere salvate con programmi, relativamente contenuti, di aiuto europeo, come quelli che hanno permesso di tamponare, con poco più di 200 miliardi di euro, le crisi di Grecia, Portogallo e Irlanda. Anche se i picchi dello scorso novembre sono ancora lontani, gli spread con il Bund tedesco hanno ripreso a correre: 404 punti percentuali per l´Italia, oltre 430 per la Spagna. In parte, questo è dovuto al riprendere della fuga verso i titoli tedeschi, i cui rendimenti continuano, quindi a scendere. Ma il tasso sui Bonos decennali spagnoli è pericolosamente vicino al 6 per cento e quello italiano è oltre il 5,65 per cento: in pratica, nell´ultimo mese, abbiamo perso quasi un intero punto percentuale.
Le banche scricchiolano
Molti, a cominciare dallo stesso presidente, Mario Draghi, avevano previsto che l´effetto dei mille miliardi di euro di liquidità, iniettati nelle banche dalla Bce, fra dicembre e febbraio, sarebbe stato solo temporaneo. Qualcuno aveva anche predetto che, paradossalmente, questi soldi avrebbero aumentato la fragilità del sistema. Se ne stanno convincendo anche i mercati, come mostra il crollo delle azioni bancarie in Borsa. Con i prestiti della Bce, infatti, le banche italiane e spagnole hanno acquistato in massa, per circa 100 miliardi di euro, i titoli pubblici dei rispettivi paesi, favorendo la discesa dei tassi. Ma, adesso, quelle banche hanno le casseforti piene, rispettivamente, di Btp e di Bonos: un eventuale default italiano o spagnolo, anche parziale, le metterebbe in ginocchio. Simmetricamente, un crac bancario devasterebbe i bilanci statali di Roma e Madrid. Secondo l´acido commento di un operatore londinese, «è un po´ come legare insieme due che stanno annegando, sperando che, così, galleggino».
Il problema è più acuto a Madrid che a Roma, perché il sistema bancario spagnolo, investito da uno scoppio della bolla immobiliare digerito solo in parte, è più pericolante. Willem Buiter, capoeconomista a Citigroup, prevede che, se la situazione economica spagnola peggiorerà ancora, le insolvenze nei bilanci delle banche iberiche potrebbero aumentare di 200 miliardi di euro.
Sfiducia internazionale
Il nodo che strangola Roma e Madrid è, però, il mancato ritorno nelle aste dei Btp e dei Bonos dei soldi degli investitori istituzionali, i quali non sembrano credere alle promesse di risanamento dei due paesi. Lo scetticismo, tuttavia, non nasce da una eccessiva timidezza dell´austerità imposta dai governi Monti e Rajoy, ma dagli effetti che questa stessa austerità può avere su economie, già in recessione. Un buon interprete degli umori di questi investitori – Charles Dallara, il capo dell´Institute of International Finance, la lobby bancaria che ha negoziato la ristrutturazione del debito greco – ha osservato ieri che «l´Europa si sta concentrando troppo sull´austerità e questo minaccia la sua ripresa economica», cruciale per rimpolpare le entrate fiscali e rinsaldare i bilanci. E´ una tesi che si scontra da mesi con l´intransigenza di Berlino. In effetti, questo nuovo capitolo della crisi si è aperto un mese fa, quando, nel giorno stesso in cui l´Europa, sulla spinta tedesca, varava un patto che sancisce l´obbligo di bilanci virtuosi, il premier spagnolo Rajoy annunciava che la Spagna non avrebbe centrato gli obiettivi previsti, perché la recessione era troppo dura. Da allora, il governo spagnolo ha varato nuovi massicci tagli al bilancio di quest´anno (ieri ha aggiunto altri 10 miliardi di euro ai 27 miliardi decisi poco più di una settimana fa), ma pochi credono che, con un´economia che sta colando a picco, possa farne ancora l´anno prossimo, per rispettare gli impegni con l´Europa.
Febbre spagnola
L´Italia rischia di cadere nella stessa spirale, se i dati sulla situazione economica dovessero ulteriormente peggiorare nei prossimi mesi. La somiglianza delle due situazioni è l´innesco di quel “contagio spagnolo” che, in un momento di sincerità, il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha indicato. Il clima pesante che si respira in Europa è testimoniato dal modo in cui, ieri, il governatore della Banca centrale spagnola, Miguel Angel Fernandez Ordonez, ha pensato bene di restituire il colpo. «In Italia – ha detto Ordonez – la retromarcia sulla riforma del lavoro sta creando enorme ansia». Per quanto maligna, la sortita del governatore spagnolo trova riscontro in commenti e umori internazionali. Il governo Monti sembra incontrare, per la prima volta, un problema di credibilità. Forse, non era inevitabile. Avendo fatto, per primo, dell´articolo 18 la pietra di paragone del programma italiano di riforme, ora Monti paga il prezzo del passo indietro.

La Repubblica 11.04.12

"Con la solidarietà parte la riscossa dell'Italia. Sostenere il lavoro, le imprese e le famiglie", di Pier Luigi Bersani

Gentile elettrice, gentile elettore,
in vista delle prossime elezioni amministrative Le sarà certamente possibile conoscere e valutare le buone ragioni che il Partito Democratico Le sta proponendo, nella Sua città, per sostenere le nostre liste e la candidata o il candidato Sindaco del Centrosinistra. Voglio cogliere l’occasione, tuttavia, per dire qualcosa sulla situazione dell’Italia, così come noi la vediamo.

Per otto anni degli ultimi dieci la destra al governo ha fatto precipitare il Paese in tutte le possibili classifiche, raccontandoci favole, occupandosi di tutto fuorché dei problemi reali degli italiani e portandoci alla fine sull’orlo del baratro.

A un solo passo dal precipizio, si è insediato il Governo Monti. A questa novità noi abbiamo dato il nostro sostegno, mettendo l’Italia prima di tutto e davanti ai nostri stessi interessi di partito.

Abbiamo così evitato di cadere nelle drammatiche condizioni della Grecia; tuttavia i problemi di una disastrosa eredità rimangono. I tagli, l’incremento della tassazione, le difficili riforme pesano e peseranno molto sul Paese, rischiando di aggravare una recessione che è già pesante, con effetti gravi sui posti di lavoro e sulle prospettive della nostra impresa.

Noi conosciamo la situazione. Abbiamo detto la verità quando si raccontavano le favole. Sappiamo bene che oggi i margini sono stretti. Crediamo tuttavia che si possa fare qualcosa di più per dare lavoro, per garantire liquidità alle piccole imprese, per tenere a bada prezzi e tariffe che si muovono senza controllo e per consentire ai Comuni di fare investimenti e difendere gli essenziali servizi per i cittadini. Ciò significa recuperare risorse, lo sappiamo.

Lo si può fare risparmiando sulle spese della pubblica amministrazione; lo si può fare prendendo più soldi dall’evasione, dalle rendite e dai grandi patrimoni. Noi non pensiamo che le cosa possano migliorare indebolendo i diritti dei cittadini. Siamo contro la precarietà e stiamo combattendo per ridurla.

Siamo contro la totale incertezza del posto di lavoro e quindi combattiamo perché l’art.18 sia aggiornato in modo ragionevole, secondo le migliori esperienze europee, e non vanificato!

Conosciamo la disillusione dei cittadini verso la politica. Crediamo che il rimedio alla cattiva politica non sia l’antipolitica, ma la buona politica! Con le nostre proposte già avanzate da tempo, noi siamo impegnati a rendere più efficienti le Istituzioni, a ridurre il numero dei parlamentari, ad approvare una legge elettorale che consenta finalmente ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti e non di trovarseli nominati, così come impone la sciagurata legge voluta dalla destra.

Abbiamo anche presentato una legge sui Partiti per imporre trasparenza, democrazia interna, codici etici. In ogni caso, per parte nostra, stiamo già facendo certificare i nostri bilanci da Agenzie esterne indipendenti e facciamo sottoscrivere, pena l’incandidabilità, stringenti codici etici da parte di chi compone le nostre liste. Vogliamo anche che sia più forte la rappresentanza femminile nella gestione della cosa pubblica.

Noi crediamo che l’Italia possa risollevarsi, e che la Sua città possa progredire. Pensiamo che la ricostruzione del Paese debba partire dai Comuni, che sono vicini ai bisogni dei cittadini e che oggi sono messi di fronte a troppe difficoltà, che vogliamo rimuovere. Crediamo che la riscossa del Paese possa avvenire solo nella solidarietà e non nell’egoismo. Siamo convinti che nessuno può salvarsi da solo, che il merito vada premiato e che il lavoro dipendente, autonomo, professionale o imprenditoriale vada premiato contro la rendita, il privilegio, il parassitismo. Siamo convinti che le regole vadano sempre migliorate, ma sempre e comunque rispettate, e che la furbizia non possa vincere sulla serietà e sull’onestà.

Con queste convinzioni, con questi valori, con questi propositi noi chiediamo, in un passaggio difficile per l‘Italia, la Sua comprensione, la Sua fiducia, il Suo aiuto.

Con viva cordialità
Pier Luigi Bersani