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"L'Aquila che non c'è", di Ilaria Ravarino

In piazza Sallustio, quella che fu invasa dalle carriole, c’è talmente tanto silenzio che si sentono le lucertole strisciare nell’erba e i piccioni tubare fra le macerie. Una ventina di metri più indietro, oltre alle camionette dei militari che sorvegliano la zona rossa, si allunga il Corso: quello dove tre anni fa s’andava a fare shopping, e dove oggi alzano le serrande solo i pub per il giovedì universitario. È il 6 aprile 2012, sono passati tre anni dal terremoto che l’ha devastata, e L’Aquila è ferma nel tempo. Transenne che punteggiano facciate fatiscenti, insegne di negozi che non esistono più, porte spalancate sul nulla: più che una città, pare un set abbandonato all’incuria del tempo.

In Piazza Duomo, dove il sabato c’era il mercato, i cani passeggiano pigri. Alcuni sono sdraiati sotto alle transenne dei lavori in corso. Altri giocano con i bambini: animali e bimbi sono le uniche creature, nel raggio di un paio di chilometri, a muoversi tra le macerie con serena indifferenza. “Io lo porto qui perchè mio marito insiste, ma non mi piace per niente guardare la città com’è ridotta” dice M., mamma del piccolo che sta rincorrendo i piccioni intorno alla statua dedicata ai caduti del terremoto. La vita quotidiana per i genitori de L’Aquila, dopo la catastrofe, è diventata più difficile di prima.

“Non sappiamo dove portare i nostri figli”, dice T., altra mamma e insegnante. “Spazi verdi non ce ne sono e qui in centro col passeggino è impossibile camminare: ci sono le buche, le macerie a terra, è pericoloso”. Le scuole del centro, chiuse perchè inagibili, sono state riaperte in periferia: “E il risultato è che nostra figlia per fare educazione fisica deve prendere un autobus”, spiega una coppia la cui casa si è letteralmente disintegrata nel sisma, “perchè il nucleo scolastico che frequenta contiene solo la prima, la seconda e la terza elementare: il resto delle classi, e la palestra, è finito in un altro quartiere”.

Storie di (stra)ordinaria follia urbana, in una città in cui il cimitero è diventato più frequentato del Corso: “Hanno riaperto le Poste vicino al campo santo, e pure gli uffici pubblici”, si lamenta una signora anziana, che per arrivarci deve affrontare un viaggio di 30 minuti in autobus, “e se vuoi mandare una raccomandata di pomeriggio devi attraversare mezza città”.

In centro, la gente era abituata a muoversi a piedi: ora, senza macchina, non si va da nessuna parte. “Il giovedì ti facevi la serata da un pub all’altro, bevevi ma non facevi danni perchè tanto eri a piedi. Ora tocca prendere l’auto perchè un sacco di posti hanno chiuso in centro e riaperto fuori. E nessuno resta più fino alle quattro”. Lo dice S., universitario, che la scorsa estate è stato vittima della “strage di patenti” messa a segno dalla polizia municipale de L’Aquila.

Con la sua ragazza si sta rollando una canna in Piazza 9 Martiri, sullo stesso muretto su cui altri adolescenti hanno graffitato pensieri, amori e proclami di sfida al terremoto (“Sara & Anto torneranno a sedersi, qui, sulla loro panchina in piazzetta”, dice una scritta. Ma la panchina ancora non c’è). L’erba non manca, evidentemente. Le tabaccherie invece sì: “Nelle 19 new town non c’è una sola tabaccheria, ma le sembra possibile?”, dice G. che di professione fa il medico e si occupa proprio di polmoni. “Me lo dicono i miei pazienti”, dice per giustificarsi…

In centro, in compenso, manca tutto il resto. “Alcuni pub hanno riaperto, noi per esempio siamo tornati da un anno”, fa la proprietaria di una tavola calda vicina alla piazza della Fontana Luminosa, “d’inverno campiamo con gli operai, con la bella stagione arriva qualche passante. Ma la polizia non è che faccia tanti controlli, e la notte in centro non è sicura”. Sarà anche per questo che sui muri squarciati e sulle vetrine annerite proliferano, tra gli altri, i manifesti di un corso di autodifesa per donne: “Ti senti preparata, ti senti sicura”.

Molti negozi, ancora agibili, sono stati dati in affitto. Altri hanno cambiato sede, e non si contano in città i cartelli che avvisano “Ci siamo trasferiti”, “Nuova sede in”, “Di nuovo aperti ma”. Tanti hanno abbandonato il centro. E hanno rialzato la saracinesca all’interno di centri commerciali come L’Aquilone, dove sono trasmigrate anche le bancarelle e gli ambulanti del mercato. “Ti incontri là, alle casse, con gente che eri abituato a salutare sulle panchine”, dice un signore con il cane al guinzaglio, “e ti sembra di vivere in una specie di fiction: riconosci una faccia, ma non sai più dire chi sia perchè ti manca il contesto”.

La vita è cambiata per tutti. “Per chi non ha più la casa, ma anche per chi ce l’ha”, racconta Betti Leone, capolista Sel a sostegno del sindaco Massimo Cialente alle prossime elezioni, “perchè tutti abbiamo perso una cosa: la città. È cambiato il ritmo della vita, sono cambiate le relazioni familiari e le abitudini. Gli anziani non sono più autonomi. I tempi per gli spostamenti sono aumentati: per andare in farmacia, per comprare un vestito o fare la spesa, puoi impiegare anche 40 minuti. E il centro di notte è un luogo artefatto, triste, senza alcun controllo sociale”.

Cambiano le piccole abitudini: le cene a casa, se abiti in un prefabbricato, non te le puoi permettere per ragioni di spazio. Meglio una pizzeria, di quelle che si sono moltiplicate nell’enorme periferia che è diventata L’Aquila, o un bel tendone con gonfiabili in affitto per le feste dei bambini. Al cinema si rinuncia, come ricorda la sala Massimo che all’ingresso del centro storico sfoggia la mesta locandina ingiallita de Gli amici del bar Margherita di Pupi Avati, ultimo film proiettato. Era venerdì 3 aprile 2009. Tre giorni dopo, il terremoto.

“Dici: hai perso la casa, hai perso il lavoro, ma perchè non te ne vai?”, si chiede B. È sopravvissuta con la sua bambina al crollo della casa, salvata dal marito che le ha dissepolte, e oggi vive in un prefabbricato. Ma continua a pagare le rate del mutuo “di quattro mura, perchè non mi è rimasto altro. Dici: perchè non te ne vai? Perchè questa è la mia vita. Qui c’è la mia storia. Il crollo fa parte di quello che siamo diventati. Torno qui una volta all’anno, chiedo ai vigili le chiavi del cancello e porto mia figlia a guardare la casa. Per lei è come una favola, per me è questione di sopravvivenza. Confino la rabbia in un angolino del fegato e continuo a sperare che i nostri figli un giorno abbiano una città”.

dalla rivista Rolling Stone

"Misure contro la corruzione: se non ora, quando?", di Roberto Scarpinato*

Il 3 aprile a Gela un’anziana signora si è suicidata dopo avere appreso che la sua pensione era stata ridotta da 800 a 600 euro. «Questa notizia l’ha letteralmente sconvolta. Non sapeva darsi pace perché la riteneva un’ingiustizia» hanno riferito i figli. È solo l’ultimo aggiornamento di un bollettino di suicidi per disperazione e per insopportabile umiliazione, il cui numero sta crescendo con ritmi impressionanti: decine di operai senza pane, di imprenditori senza credito, di impiegati ridotti quasi a mendicare, si gettano tra le braccia della morte. Una nullificazione fisica, esito finale di una nullificazione sociale ed esistenziale subita come un’ingiustizia sociale. Suicidi come “risposta-protesta” nei confronti di uno Stato da cui ci sente abbandonati e della vigile indifferenza di una società nella quale ogni giorno di più «ognuno è solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole, ed è subito sera».
Troppi nostri concittadini non hanno più la forza di attendere che si faccia sera “naturalmente”. Troppo insopportabile è divenuto il dolore. Tutto ciò accade mentre, come attestano le cronache giudiziarie, uno sterminato esercito di termiti continua a divorare la polpa viva della ricchezza residua della nazione, saccheggiando il denaro pubblico sotto lo scudo stellare di un’impunità garantita dallo stratificarsi di una serie di leggi che nell’ultimo ventennio hanno azzerato il rischio penale, garantendo la sistematica prescrizione di reati ormai ridotti a grida manzoniane, a tigri di carta. Il popolo dei corrotti e di coloro che abusano del potere pubblico per fini personali, sa che la gara del tempo è stata truccata a suo favore. Se proprio sei sfortunato e non riesci a raggiungere il traguardo della prescrizione, il peggio che ti possa accadere è una condanna ad una pena sospesa o all’affidamento sociale in prova, mentre continui a goderti i milioni di euro messi al sicuro nei paradisi fiscali che garantiscono una rendita vitalizia a te e alle future generazioni della tua famiglia.
Un rapporto costi-benefici assolutamente sbilanciato a favore dei benefici, che opera ormai da anni come uno straordinario moltiplicatore della corruzione. Il carcere viene riservato solo agli ultimi, a quelli che occupano i gradini più bassi della piramide sociale, come attesta la composizione sociale della popolazione carceraria. Oggi come ieri, la cifra statistica dei colletti bianchi in regime di espiazione definitiva è statisticamente irrilevante. Vale la pena di ricordare che l’approvazione parlamentare dell’indulto del maggio del 2006, dettato dall’esigenza di deflazionare le carceri sovraffollate, fu subordinata alla condizione che tra i reati indultati venissero previsti anche quelli riconducibili alla vasta fenomenologia della corruzione e dell’abuso del potere pubblico. Si trovò il modo di indultare persino il reato di scambio elettorale politico-mafioso previsto dall’articolo 416-ter del Codice penale, sebbene a quella data non vi fosse nelle carceri italiane neppure un detenuto da “sfollare” per quel reato ed i processi pendenti fossero meno di una decina in tutto il paese.
All’uscita dal carcere dell’Ucciardone, un piccolo ladruncolo graziato dall’indulto, dichiarò agli stupiti giornalisti: «Ringrazio i grandi ladri che hanno consentito ai piccoli ladri come me di uscire dal carcere». Quel che è accaduto e continua ad accadere non è più tollerabile. La statistica dei suicidi, punta visibile di un immenso iceberg di sofferenza sociale, e la statistica della corruzione sono divenute le coordinate che disegnano lo spazio di un triangolo delle Bermude che, giorno dopo giorno, continua ad inghiottire nei suoi gorghi interi pezzi della residua credibilità dello Stato e le vite di milioni di concittadini che “se vanno via”. Alcuni vanno via gettandosi nelle braccia della morte, altri vanno via non identificandosi più nella nazione, altri ancora emigrando all’estero.
È tempo di rompere gli indugi e di imprimere una brusca inversione di rotta riaffermando a tutti i livelli quel principio di responsabilità che costituisce nello stesso tempo la pietra angolare della credibilità dello Stato e l’ingrediente principale di quella imprescindibile infrastruttura dell’economia che i tecnici definiscono la «fiducia sistemica». Rinviare ancora o rassegnarsi a patteggiate soluzioni minimaliste, significa scivolare sempre di più lungo quella stessa china che ha portato al suicidio la democrazia greca, come nel giugno 2010 preannunciò, lucidamente e vanamente, Alexis Papahelas, direttore del quotidiano Kathimerini: «Le misure di austerità, inevitabili e necessarie sono irrealizzabili senza una democrazia funzionante e una classe politica incorrotta. Ambedue le cose mancano in Grecia, a causa di una storia postbellica caratterizzata da profonda sfiducia nello Stato e da una cultura della legalità inesistente».

Procuratore generale presso la Corte d’appello di Caltanissetta

Il Sole 24 Ore 08.04.12

"L’ultima beffa italiana: gonfiate le cifre dell’aiuto ai Paesi poveri", di Umberto De Giovannangeli

Trucchetti di bilancio: a legger bene l’ultimo rapporto Ocse i fondi per lo sviluppo contengono voci «aliene». Come la lotta all’immigrazione e il taglio dei debiti. Un quadro desolante. Fatto di impegni mancati, di trucchetti di bilancio. Cifre gonfiate con acrobazie contabili per celare le promesse non mantenute ai Paesi più poveri. I dati sull’Aiuto pubblico allo sviluppo diffusi nei giorni scorsi dall’Ocse rivelano che l’Italia resta molto lontana dall’obiettivo di destinare lo 0,7% del Pil alla lotta contro la povertà. Se il nostro Paese registra uno 0,19% un incremento, seppur «sospetto» dall’anno scorso l’intera comunità internazionale compie un preoccupante passo indietro. Il primo dal 1997.
«La percentuale dichiarata dall’Italia non riflette il ritardo del nostro Paese, e fa pensare che il governo abbia conteggiato come Aiuti pubblici allo sviluppo spese che con gli aiuti non hanno molto a che fare, come, ad esempio, quelle per fronteggiare l’arrivo degli immigrati sulle nostre coste a seguito della Primavera araba. Lo 0,19% è una percentuale troppo alta rispetto alla realtà dell’impegno italiano nella lotta alla povertà, che nel 2010 e nel 2011 è stato inesistente. Basti pensare che l’Italia è l’unico Paese Ocse che non ha previsto finanziamenti alle iniziative di lotta alla povertà nel mondo della società civile italiana nel 2012», rimarca Elisa Bacciotti, portavoce di Oxfam Italia. «Ci auguriamo che questo governo inverta la rotta e la nomina di un ministro per la Cooperazione internazionale è un primo segnale positivo e benvenuto. È però necessario che siano presi impegni concreti, a cominciare da un piano di rientro per gli impegni internazionali dell’Italia».
«Questo dato di crescita non deve trarre in inganno», rilancia Luca De Fraia, presidente di ActionAid Italia e membro del gruppo di monitoraggio «AidWatch» della piattaforma delle Ong europee, Concord. «L’aumento è in gran parte dovuto ad aiuti inflazionati dalla cancellazione di debiti contratti da Paesi poveri nei confronti dell’Italia e dai fondi erogati per accogliere i rifugiati. Secondo i nostri calcoli, il volume totale degli Aps andrebbero ridotti del 18%». Il che al netto di queste dichiarazioni fa segnare un +15%
Anche lo scenario del resto dei Paesi Osce non è confortante. A causa dei tagli operati da diversi Paesi, centinaia di migliaia di poveri saranno privati di medicine salvavita e molti bambini non potranno più andare a scuola. Nel complesso, si tratta della prima diminuzione globale degli aiuti registrata dal 1997. Le cifre del’Ocse mostrano che gli aiuti dei Paesi industrializzati dal 2010 al 2011sono diminuiti in termini reali di 3,4 miliardi di dollari e, in percentuale, dallo 0,32 % allo 0,31% del Pil. L’analisi di Oxfam mostra che di questo passo i Paesi donatori nel loro insieme raggiungeranno l’obiettivo dello 0,7% solo tra 50 anni. Per spezzare una lancia a favore dell’Italia, va comunque ricordato che il nostro Paese copre il 14% degli aiuti erogati da Bruxelles nell’ambito della Cooperazione allo sviluppo.
I tagli più pesanti sono quelli di Grecia e Spagna, ma anche Austria e Belgio hanno diminuito i fondi per i Paesi in via di sviluppo. Lo scenario prossimo futuro è ancora più cupo: Spagna e Canada, infatti, hanno già annunciato ulteriori tagli, mentre l’Olanda, che ora supera lo 0,7% del Pil, li sta discutendo. Ci sono anche Paesi virtuosi: Norvegia, Danimarca e Lussemburgo mantengono il loro impegno di dare più dello 0,7% del reddito in aiuti; il Regno Unito è impegnato a centrare l’obiettivo entro il 2013; Germania, Australia e Svezia vedono numeri in crescita.
La capacità di alcuni Paesi di mantenere i loro impegni mostra che tagliare gli aiuti è una scelta politica piuttosto che una necessità economica. «I Paesi ricchi stanno utilizzando la crisi economica come una scusa per voltare le spalle ai più poveri del mondo proprio quando hanno bisogno di sostegno», dichiara Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International. «Con i tagli agli aiuti non si sistemano i bilanci e si perdono vite umane. Gli aiuti, infatti, sono una parte talmente piccola dei bilanci che tagliarli non ha un impatto percepibile sui deficit. È come tagliarsi i capelli per cercare di perdere peso». Si stima che 1.000 euro in aiuti siano sufficienti per salvare la vita di un bambino. Secondo Oxfam, i 3,4 miliardi di dollari che mancano all’appello basterebbero per pagare un intero anno di cure mediche per metà dei bambini che nel mondo sono colpiti dall’Hiv. La spesa globale in aiuti è nulla rispetto ai 1.000 miliardi di dollari destinati dai Paesi ricchi alle spese militari e meno di un terzo dei 400 miliardi di dollari che in tutto il mondo si spendono in cosmetici.L’incapacità dei governi di tener fede agli impegni presi nei confronti dei paesi più poveri è in netto contrasto con i 18 mila miliardi di dollari reperiti per salvare il mondo della finanza dalla crisi del 2008.
Oxfam chiede l’adozione di una Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) per sostenere le popolazioni colpite dalla crisi: la Commissione Ue ha proposto una Tttf europea che consentirebbe di raccogliere 57 miliardi di euro l’anno. «È cruciale che l’Italia mostri chiaramente il proprio sostegno alla proposta della Commissione creando un consenso più ampio possibile per una tassa che può contrastare la speculazione e raccogliere risorse da destinare anche alla lotta alla povertà globale e ai cambiamenti climatici», conclude Bacciotti. Una tesi, oltre che un grido d’allarme, rilanciati da Save the Children: «Gli aiuti a livello globale – sottolinea Valerio Neri, direttore di Save the Children Italia vengono decurtati proprio nel momento in cui si stanno iniziando a compiere significativi passi avanti per salvare le vite di milioni di bambini. E la crisi che sta attraversando i Paesi donatori non può essere la giustificazione per abbandonare al proprio destino i Paesi poveri: i fondi destinati agli aiuti sono una percentuale irrisoria della spesa pubblica».

L’Unità 08.04.12

"La radice cristiana", di Claudio Sardo

La Pasqua è per i cristiani l’evento fondativo, dunque la festa più importante: è la Resurrezione che cambia il senso dell’incontro con Cristo e della storia dell’uomo. Questo ovviamente secondo la fede dei credenti. Ma la forza del messaggio, che ha attraversato epoche e organizzazioni sociali ed è alle radici della nostra civiltà, non può lasciare indifferente chi dà alla fraternità una prospettiva solo umana.
Oppure chi si batte per la giustizia e per l’eguaglianza, chi immagina lo sviluppo in funzione della persona e della comunità. Il cristianesimo non è una cultura, né una morale. Già la lettera a Diogneto, uno dei primissimi manoscritti cristiani, sottolinea che i seguaci di Gesù non sono «da distinguere dagli altri uomini né per regione, né per voce, né per culture» e che «partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri». Il cristianesimo è un incontro che modifica un destino. Lo stesso orizzonte escatologico la vittoria della vita sulla morte non è motivo di separatezza, né alibi per chiusure fondamentaliste. È semmai una spinta a vivere le contraddizioni della città dell’uomo e partecipare con gli altri alle sue liberazioni. Da questa fedeltà scaturisce, prima che da una dottrina, l’impegno sociale dei credenti, il nodo inscindibile tra fede e carità, dunque anche il contributo a tanti movimenti progressisti. Del resto, come contenere la forza delle Beatitudini, oppure quella del Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha mandato i ricchi a mani vuote».
Naturalmente nella storia la Chiesa si è trovata tante volte dalla parte della conservazione politica, o della reazione autoritaria contro la modernità e la scienza. Ma sarebbe un errore non cogliere, accanto ai limiti e agli errori, il contributo importante che la fede anche come forza rinnovatrice della stessa pratica religiosa porta alla comunità intera. Innanzitutto proprio perché non rinuncia a dare un valore e un traguardo alla storia dell’uomo: il mondo migliore non si potrà raggiungere del tutto, ma può essere avvicinato. E non per una imposizione divina, bensì perché la libertà e la capacità degli uomini sono in grado di modificare gli equilibri dei poteri.
La fede cristiana non comprime l’impegno sociale dell’uomo né la sua sfida politica: è anzi una spinta ad agire, guidata da una luce ottimistica sulla ragione. Per questo può portare speranza al pensiero progressista. E non è poco in un tempo come questo, dominato dal paradigma individualista il cittadino solo davanti al mercato e allo Stato e dalla prepotenza della globalizzazione finanziaria che sottomette le stesse istituzioni democratiche -. In fondo individualismo e strapotere della finanza sono due facce della stessa medaglia: non a caso qualcuno ha parlato di «fine della storia».
Tutte le idee di fraternità e uguaglianza, di solidarietà e di liberazione si fondano invece sulla convinzione che la storia non finirà finché ci sarà l’uomo. Che si può cambiare. Che si può cambiare insieme. Nessuna autorità sulla terra e neppure le crisi che colpiscono la Chiesa potranno impedire ai cristiani di impegnarsi per una società più giusta. E questa forza in campo continuerà ad alimentare la speranza e l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà, che vogliono costruire un mondo migliore in nome di diverse visioni dell’uomo.
Certo, la Pasqua non è un appello all’irenismo. Non ci sono liberazioni facili. La vita è una battaglia. Dove l’uomo rischia se stesso e dove gli errori incombono. Ma ciò di cui non possiamo essere privati è il desiderio, la volontà di costruire con le nostre mani. La politica è uno strumento di questa costruzione. Non l’unico. Non c’è politica senza un umanesimo, senza un’idea dell’uomo. Non c’è giustizia se l’uomo non viene considerato nella sua interezza, titolare di sentimenti, vocazioni, carismi, socialità. Ma la politica è importante ed oggi è minacciata da un pensiero dominante che cerca di eliminarla, o marginalizzarla.
La nostra società, avvolta da una crisi non solo economica, ha bisogno di riconoscere il tremendo significato antropologico di questo furto di speranza nella storia futura. L’uomo è impoverito più delle sue tasche. È un furto perpetrato innanzitutto a danno dei giovani. La sinistra di cui abbiamo bisogno deve essere capace di raccogliere da tutte le fonti, da tutte le energie disponibili, la forza per cambiare. E le fedi religiose possono essere tra queste fonti molto propizie.

L’Unità 08.04.12

Intervista a Pier Luigi Bersani «Nuove regole in pochi mesi Nessuno si metta di traverso» Ma il finanziamento serve per evitare populismi, di Maria Teresa Meli

Onorevole Bersani, che cosa l’ha spinta ad appellarsi ad Alfano e Casini per promuovere una legge sui bilanci dei partiti?
«Io sono convinto che nei prossimi dodici mesi dovremo affrontare un passaggio drammatico: o saremo in grado di consegnare all’Italia un assetto costituzionale occidentale del nostro sistema politico, riformandolo, o ci arrenderemo a un’eccezione italiana, passando da un populismo all’altro. Siccome il nostro obiettivo è il primo, è chiaro che dobbiamo riuscire ad affermare una democrazia moderna in cui i partiti non rispondano solo ai loro elettori e iscritti. Per raggiungere questo traguardo dobbiamo riuscire a varare una legge seria perché le forze politiche abbiano bilanci certificati e controllati, codici etici, meccanismi trasparenti di partecipazione alla vita interna, regole per le candidature. In questo senso vanno previste anche delle sanzioni, come l’esclusione dai finanziamenti ed eventualmente anche il divieto di presentazione liste. Noi avevamo presentato per tempo una nostra proposta e ora diciamo “acceleriamo assolutamente”, perché i fatti che stanno emergendo sono allucinanti».
Si riferisce alla Lega?
«Sì ma non solo, e in ogni caso c’è un punto da sottolineare: in questi anni siamo slittati verso una personalizzazione talmente accesa, con la costituzione di partiti quasi personali, che, com’era inevitabile, ha portato alla creazione di cerchie ristrette, familismi, corti, sistemi feudatari di vassalli valvassori e valvassini, con imperatori capaci di nominare anche i cavalli. Insomma, in queste condizioni non poteva non prendere piede un sistema opaco. Quando io tre anni fa dicevo che non metterò mai il mio nome sul simbolo non volevo fare demagogia, ma intendevo dire che i partiti devono essere un patrimonio collettivo, quasi istituzionale, non posso essere piegati a una logica personale, che tra l’altro ci ha consegnato una legge elettorale dove sono stati possibili casi come quelli di Calearo e Scilipoti che lasciano esterrefatti. Dobbiamo correggere queste derive e prendere esempio dalle normali democrazie occidentali che non hanno questi fenomeni perché lì i leader sono leader pro tempore, secondo regole che i partiti si danno».
Lei pensa che i partiti italiani abbiano gli anticorpi necessari?
«Assolutamente sì, guardi noi: per esempio, le primarie, che pure sono un meccanismo da migliorare, rispondono proprio all’esigenza di avere un partito, per così dire, all’aria aperta. Lo stesso dicasi per la decisione che abbiamo preso a suo tempo di far certificare i bilanci. Per lo stesso motivo affermo che dopo Bersani ci saranno le primarie, niente cooptazioni, ma meccanismi di partecipazione. La strada è questa e non riguarda solo noi che per primi abbiamo adottato questo meccanismo, dovrà riguardare tutti se vogliamo un sistema trasparente e democratico».
Sarete in grado di fare questa legge o ancora una volta toccherà al governo cavarvi d’impaccio?
«Un minimo comune denominatore tra i partiti per fare una legge sui finanziamenti c’è e ci può essere. C’è tutta la possibilità di lavorare su questo nelle prossime settimane».
Non le sembra di peccare d’ottimismo?
«Voglio dire la verità: io avevo scritto questa lettera dicendo di tenerla riservata e di lavorarci sopra, sono stati Alfano e Casini a dirmi “no, tiriamola fuori e impegniamoci a fare queste cose”. Questo significa che la volontà c’è. Immagino perciò che nei prossimi giorni si avvierà una discussione approfondita non solo tra noi tre. Se ci mettiamo seriamente all’opera ce la possiamo fare in poco tempo. Faccio un esempio, nella mia proposta di legge si prevede di mettere a sistema un meccanismo di primarie, ma se gli altri non sono pronti, possiamo vedere questa questione più avanti; però sulla certificazione dei bilanci, sulla necessità di inserire una soglia molto bassa per cui bisogna dichiarare i soldi che un partito ha ricevuto, sull’obbligatorietà di pubblicazione su Internet dei nostri bilanci possiamo metterci d’accordo rapidamente».
E poi verrà varato un decreto per fare velocemente?
«Per quel che riguarda lo strumento, per me può anche essere un progetto di legge di pochi articoli, che abbia una corsia ultrapreferenziale. Non escludo nemmeno, una volta stabilito il contenuto, sentito il governo, e, naturalmente il presidente della Repubblica, che ci si possa avvalere di uno strumento straordinario come il decreto. A me interessa la sostanza: in pochi mesi dobbiamo arrivare a una soluzione».
Intanto continuerete a prendere rimborsi senza spenderli tutti per le attività elettorali.
«Vorrei chiarire subito una cosa. C’è già stata una drastica riduzione del finanziamento della politica perché nel 2010 erano stanziati 289 milioni di euro, che diminuendo di anno in anno arriveranno ai 143 del 2013. Inoltre non è più vero che se si interrompe la legislatura continua il finanziamento. Dal 2011 non è più così. Con questa tagliola significa che non sarà più nemmeno possibile che partiti ormai morti ricevano dei soldi. Con queste novità, il finanziamento della politica in Italia diventerà inferiore a quello che è in Germania, in Francia o in Spagna. Ciò detto, è vero che il meccanismo adesso lascia un margine d’ambiguità. Sotto il titolo rimborso elettorale c’è, come negli altri Paesi, un forfait che riguarda il finanziamento dell’attività politica e non solo quello della campagna elettorale. Si può riconsiderare questo aspetto, ma l’importante è essere d’accordo su due punti di fondo. Primo, il finanziamento alla politica da Clistene e Pericle in poi c’è sempre stato nelle democrazie per evitare plutocrazie, oligarchie e dominio. Secondo, è vero che bisogna adeguarsi ai parametri europei, laddove non ci fossimo ancora, ma è soprattutto necessario prevedere un sistema di controllo che ora non c’è. Bisogna dire quali sono le regole, scriverle in una legge e avere qualcuno che le certifichi. Su questo fronte l’Italia adesso non è a posto. Senza certificazione regolare non deve essere più possibile prendere i soldi: i partiti non sono associazioni private per cui possono anche mantenere le famiglie dei loro leader, sono l’ossatura della democrazia».
Che cosa risponde a chi dice che i partiti si sono svegliati solo ora che sono ricoperti dagli scandali? Lo sapete che gli elettori non hanno più fiducia nelle forze politiche.
«Veramente sono due o tre anni che noi del Pd abbiamo elaborato quattro-cinque progetti in materia che ora abbiamo unificato. E voglio essere chiaro: se non riusciamo a risolvere un problema di questo genere ci meritiamo come sistema politico la sfiducia degli italiani. Su questo sconti non se ne faranno. Adesso partiamo, troviamo una soluzione e chi si volesse mettere di traverso se ne prenderà la responsabilità. Facciamo quattro articoli e poi parliamo con la Lega, con l’Idv, con chi sta in Parlamento. Il resto lo vedremo più approfonditamente dopo».
La gente non ha più fiducia nei partiti: perché dovrebbe accettare che vengano finanziati pubblicamente?
«Se vogliamo somigliare alle democrazie europee dobbiamo prevedere che la politica venga finanziata. Altrimenti ci ribeccheremo un miliardario che suona il piffero con tutti che gli vanno appresso».

Il COrriere della Sera 08.04.12

"Le sospirate lauree. Quell’irresistibile attrazione padana per il pezzo di carta", di Marco Alfieri

Diplomi fuffa, corsi di studio in Svizzera, lauree esotiche comprate con soldi pubblici e magheggi da “tesoriere più pazzo del mondo”. Dalle carte della Procura che indaga sull’uso dei finanziamenti al Carroccio esce (anche) un Francesco Belsito impegnato a staccare assegni per pagare costosi esamifici privati all’estero e soddisfare la fame di status del “cerchio magico” di Gemonio. Nel crepuscolo leghista sta emergendo il familismo da strapaese dove i figli so’ piezz’e core da sistemare a tutte le latitudini; la logica della fabbrichetta dove non c’è quasi differenza tra i soldi personali del Capo e quelli dell’azienda e tutto tende a confondersi; e poi l’ossessione piccolo-borghese del pezzo di carta da appendere al muro per sentirsi arrivati. E imparati.
Siamo alla sublimazione del modello Cepu. Il che fa specie in un partito che ha fatto della propaganda contro dottori (quasi sempre meridionali) e intellettuali (quasi sempre da salotto) un formidabile cavallo di battaglia. Indimenticabile il Bossi d’antan che liquida il vecchio ideologo alla sua maniera: «Miglio? Una scoreggia nello spazio…». O il leghista posticcio Tremonti che chiude un comizio di Cota lisciando il pelo all’ignoranza padana: «Siamo uomini semplici, non abbiamo tempo di leggere libri…».
In principio sono i trucchi del fondatore. Umberto Bossi, medico. Sulla tessera d’iscrizione al Pci di Samarate si qualifica proprio così, il futuro Senatur. Nelle interviste racconterà di studi alla scuola Radio Elettra, all’università, e di collaborazioni con luminari mai esistiti. Effettivamente a Medicina si era iscritto, a Pavia. Ha fatto anche tre feste di laurea, peccato non si sia mai laureato. Per alcuni mesi esce di casa con la borsa degli attrezzi facendo finta di andare a lavorare all’ospedale Del Ponte di Varese. Ma la prima moglie, la Gigliola Guidali, madre del primogenito Riccardo “il rallysta”, lo scopre e chiede il divorzio.
La Lega delle origini sarà pure una forza anti sistema ma assorbe il provincialissimo clichè dei parvenu che raggiungono potere e consensi ma non lo status sociale del pezzo di carta che in Italia, Paese stratificato su gradi e dottori, resta la convenzione per antonomasia. Lo sa bene la seconda moglie dell’Umberto, Manuela Marrone: ape regina del cerchio magico ma 30 anni fa semplicemente «la signorina Manuela», giovane maestra elementare al Collegio Sant’Ambrogio di Varese.
Va da sé che il figlio Renzo non può che calcare le orme fanfarone del padre. Alla maturità ci arriva al quarto tentativo, di cui tre sostenuti da privatista all’arcivescovile “Bentivoglio” di Tradate. «Sono un perfezionista, amo fare le cose per bene», ironizzerà il Trota. Così bene da volersi laureare all’estero. La cosa nel giro si sapeva. Ma diventa di dominio pubblico con le ultime indagini su Belsito. Dal 2010 Renzo è iscritto in un’università privata di Londra. Soggiorni e retta tutti a carico della Lega, per un costo di 130mila euro.
Eppure il Senatur dice di non saperne nulla. C’è solo l’orgoglio di un papà che come al bar s’imbroda di un figlio che studia economia nella city. In realtà il Trota fa il “vitellone” padano a spese del contribuente, ma fa nulla. «Renzo sta studiando – s’intenerisce».

La Stampa 08.03.12

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“Ristoranti, hotel, camioncini Il bilancio parallelo a casa della contabile cacciata”, di Fiorenza Sarzanini

Esiste una documentazione finanziaria della Lega che i responsabili amministrativi avevano chiesto agli impiegati di non inserire nei bilanci. Una contabilità «occulta» che dovrà essere adesso analizzata e quantificata. Una parte di queste carte segrete sono state sequestrate a casa di Helga Giordano, contabile di via Bellerio per circa sette anni. Nel febbraio scorso la donna — che fino a qualche mese fa era assessore al Bilancio del Comune di Sedriano (Milano) — è stata licenziata perché accusata di aver truffato un’imprenditrice spacciandosi come la segretaria particolare di Bossi. Lei sostiene di essere stata in realtà «mobbizzata dal tesoriere Francesco Belsito, che mi costrinse anche a lasciare l’incarico politico». Il 3 aprile, dopo le perquisizioni scattate in tutta Italia nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rimborsi elettorali, è stata interrogata dai pubblici ministeri. E si è trasformata in una testimone chiave per ricostruire l’origine di fatture e pagamenti «anomali».
Non solo. L’ex dipendente ha rivelato come i rapporti tra la Lega e il procacciatore d’affari della ‘ndrangheta Romolo Girardelli siano iniziati ben prima dell’arrivo di Belsito. «Ho conosciuto Girardelli — ha verbalizzato la donna — perché accompagnava talora in ufficio Maurizio Balocchi» il tesoriere morto nel 2010. «I due sembravano legati da forte amicizia, pur essendo Girardelli del tutto estraneo al partito». In realtà i magistrati sono convinti che proprio Girardelli, attraverso le casse della Lega, riciclasse i soldi della criminalità organizzata. In questo quadro inseriscono il trasferimento dei cinque milioni e 700 mila euro a Cipro e in Tanzania. E infatti nel decreto di perquisizione firmato dal giudice di Reggio Calabria è scritto: «Si tratta di complesse operazioni bancarie di “esterovestizione” e “filtrazione” in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Condotta posta in essere da Girardelli per agevolare l’attività dell’associazione mafiosa e in particolare della “cosca De Stefano”».
I conti di ristoranti
e alberghi
Sono decine i documenti che Helga Giordano nascondeva nel suo appartamento. E lei così ha spiegato il proprio comportamento: «Nadia Dagrada selezionava specie negli ultimi tempi una serie di fatture che, anziché passarmi affinché le contabilizzassi, se le tratteneva lei. Proprio perché mi ero accorta che vi erano delle anomalie in questa attività di contabilizzazione decisi di portarmi a casa copia dei prospetti dei bonifici da me compilati. Si tratta della documentazione che è stata sequestrata in data odierna nel corso della perquisizione. Per ciò che riguarda la cartellina che mi è stata sequestrata, contenente documentazione varia, in particolare fatture e rendiconto di carte di credito, si tratta per quel poco che sono riuscita a fotocopiarmi, di alcune spese che la Dagrada non voleva che annotassi o di spese che mi sembravano anomale».
I sospetti della donna si concentrano fra l’altro su «varie spese alberghiere che venivano sopportate dal partito in base alla scelta discrezionale di Nadia Dagrada. Nella fattura CC Hotels di Vicenza, oltre a Bossi e ad altri militanti a me noti, vi sono nomi totalmente sconosciuti».
E ancora: «Le fatture emesse da Paola Prada, Andrea Calvi e Luigi Pisoni, ad esempio, le avevo sulla scrivania perché recapitatemi direttamente dal postino e mi furono tolte dalla Dagrada dicendomi che non andavano inserite nel prospetto ufficiale delle spese/bonifici. Tra tutte le spese indicate nei prospetti di bonifico non vi sono voci “sospette” nel senso che almeno da una prima visione mi sembrano spese inerenti l’attività di partito. Vi sono significative spese di rappresentanza in ristoranti, che potranno essere discutibili dal punto di vista del contribuente con i cui soldi vengono finanziati i partiti, ma si tratta di prassi consolidata e normale in tutte le formazioni politiche. Dove si vede la voce “asilo” nella colonna “Manifestazioni/Riferimento”, si tratta dell’asilo che si trova all’interno della sede della Lega Nord che svolge appunto un’attività di asilo per bambini a pagamento, anche per persone che non appartengono al partito».
Ristrutturazioni
e camioncini
Le dichiarazioni della Giordano confermano l’accusa che numerose spese accreditate alla Lega fossero in realtà spese personali della famiglia di Umberto Bossi o comunque di persone inserite nel «cerchio magico» del leader. Ma anche affari gestiti per proprio interesse da Belsito. Afferma la testimone: «Tra le spese anomale inserisco le fatture della “Cori.cal service” che erano singolari perché, tenuto conto che si tratta di una ditta di pulizie, avevano oggetti anche diversi dalla semplice pulizia e lo stesso importo delle fatture mensili era oscillante mentre invece ragionevolmente poteva ritenersi che dovesse essere più o meno fisso, o comunque non discostarsi troppo da un importo stabile. Indubbiamente sono molte le fatture della “Cori.cal service” con importo variabile e spesso con reiterazione di lavori tinteggiatura. Sembra che sia una ditta che lavori spesso in tandem con la “G&A soluzioni edili”. Mi si chiede se questi lavori di rifacimento facciate, pulizia straordinaria, manovalanza, siano stati effettivamente svolti e io rispondo che non sono in grado di stabilirlo. Tutta la questione della manutenzione della sede di via Bellerio veniva seguita da un nostro dipendente, il signor Luca Canavesi».
Ci sono poi altri pagamenti «anomali». Afferma la Giordano: «La fattura della “Italtrade”, oltre ad essere indubbiamente assai elevata per la prestazione fornita, richiamò la mia attenzione perché il fornitore mi chiamò per essere rassicurato sul pagamento. Si tratta di 1.000 euro al mese per il parcheggio di un camioncino con la vela pubblicitaria sopra, per complessivi 43.000 euro ed oltre, per sei camion in un semestre. E la fattura della “Boniardi Grafiche” perché non è emessa alla Lega, bensì a Massimiliano Orsatti».
La lista
delle macchine
Tra i fogli inseriti nella cartellina di Helga Giordano ci sono quelli relativi alla macchina di Daniela Cantamessa, la segretaria di Umberto Bossi. Lei spiega di averli presi perché l’auto era nella lista della Dagrada «sulle spese da non annotare». Su questo viene interrogata il giorno dopo la stessa Cantamessa che così spiega il possesso dell’auto: «Circa l’autovettura Focus che uso in via esclusiva, si tratta di vettura presa in leasing o comunque con un finanziamento con riscatto finale da parte della Lega. Le spese di riparazione dell’autovettura sono a carico del partito».
Anche nella sua abitazione sono stati sequestrati documenti contabili, in particolare «una copia del bilancio 2010 e i tabulati relativi alle autovetture del partito». E lei, per giustificare la scelta di portare via le carte dalla sede di via Bellerio, ha dichiarato: «Avevo redatto delle note critiche sulle spese e volevo darle a Roberto Castelli affinché svolgesse un accurato controllo».

Il Corriere della Sera 08.04.12

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Le cifre misteriose del sindacato «verde», di Andrea Galli

Ma quanti siete per l’esattezza? «Duecentocinquantamila». Tutti tesserati? Cioè, è dimostrabile, ci sono riscontri ufficiali, giusto? «Certo». E avete anche stranieri? «Sì». Quanti? «Mah, ora non le so dire la cifra esatta». Più o meno? «Di sicuro tra l’uno e il due per cento». Il momento è duro, le certezze vacillano, eppure al SinPa, il sindacato padano del quale Rosi Mauro dopo esser stata fra i fondatori è oggi segretario generale, mica navigano a vista. Eh no. Già han delineato percorso e programma dell’annuale «battellata», momento di festa il 29 aprile prossimo, sul Lago Maggiore. Un evento che genera una certa fibrillazione. «Manca poco ormai» dicono dalla sede, persa nello sperduto quartiere Cantalupa, che per vicino di casa ha il traffico e le code dell’autostrada Milano-Genova.
Ora, Emiliano Tremolada, che del SinPa è il numero due, manifesta sincera curiosità nell’esser bersagliato di domande sul sindacato medesimo. E però, ci scusi, Tremolada: siete davvero così rappresentativi? Qua s’infuria. «Lo sa», dice lui, «che abbiamo avuto delegati sindacali licenziati, perseguitati perché della Lega?».
Una delle aziende dove il SinPa debuttò da subito, dalla nascita negli anni Novanta, è l’Amsa di Milano, l’azienda dei rifiuti. Ecco, lì gli altri sindacalisti, Cgil o Cisl è uguale, scoppiano a ridere. E ricordano due cose. La prima è che in tutto questo tempo il SinPa, in Amsa, non ha mai convocato un’assemblea, tanto per fare un esempio; la seconda è che dei suoi sindacalisti Rosi Mauro si è piuttosto servita per sfuriate «politiche» contro quel direttore generale o quell’altro amministratore delegato. Naturalmente saranno voci nate per invidia, ma tornando da Tremolada, e riprovando a frugare, in risposta v’è stupore misto a fastidio. Del resto, se uno stesse attento, e magari s’informasse, si ricorderebbe che nell’agosto d’un anno fa, al Tavolo contro la crisi a Palazzo Chigi, insieme alle parti sociali partecipò anche una rappresentante del sindacato padano. O ancora, senza andar lontano, giusto due mesetti fa quelli del SinPa manifestarono sotto la Regione Lombardia sul delicato tema del trasporto pubblico. Erano in undici contati, però non importa.
Famoso per la sua aria (e aurea) di mistero, orgoglioso di spaziare dall’assistenza fiscale a quella previdenziale, il sindacato da dove prende il denaro? Quanti soldi entrano ed escono? Nei puntuali bollettini mensili dal pragmatico titolo «SinPa informa» tengono banco altri argomenti. E crescente è l’analisi dell’operato del premier Mario Monti, sul quale il giornalino ha titolato la prima pagina di novembre: «Fine della democrazia».
Se nel 1997 Bossi scommetteva sul sindacato, destinato a far tramontare la «triplice», Cgil-Cisl-Uil, in questi mesi le presenze del SinPa a Roma sono per lo più diventate semplici audizioni parlamentari su richiesta della Lega. Il passato glorioso era peraltro già stato archiviato, e in fretta. Nel 2006 il sindacato padano era perfino riuscito a entrare nel Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, salvo venir allontanato poco dopo per decisione di un giudice con la seguente motivazione: «Non è rappresentativo a livello nazionale».

Il Corriere della Sera 08.04.12

Stagisti, partite Iva e precari "La nuova legge non ci aiuterà", di Filippo Santelli

Parla a nome dei giovani chi questa riforma del lavoro l´ha pensata. Mario Monti ha assicurato che «ridurrà la disoccupazione e limiterà il precariato». Ma parla a nome dei giovani anche chi, per motivi diversi, la critica. Secondo Susanna Camusso «tradisce le nuove generazioni». Mentre per Emma Marcegaglia ostacolerà le aziende che vogliono assumere nuovi dipendenti. Manca la voce dei diretti interessati, i giovani. Ma fuori dai canali ufficiali, in rete, si scopre che le associazioni “di categoria” esistono. E che le perplessità sono tante.
«Erano tutti d´accordo: ridurre le tipologie contrattuali. Sono rimaste 46». Ilaria Lani, 34 anni, è responsabile Politiche Giovanili della Cgil. Da un anno dirige il gruppo “Precari non + disposti a tutto”, il cui sito è un luogo di dialogo tra giovani lavoratori. La riforma indica l´apprendistato come via prevalente di inserimento alla professione. «Positivo», commenta Lani, «che per le aziende cresca il costo dei tempi determinati. Il rischio però è una fuga verso contratti atipici, comunque più convenienti». Il ddl contiene una serie di norme a difesa dei precari, ma «efficaci solo su abusi già compiuti. Ci voleva una deterrenza più forte».

Le finte partite Iva
Le chiamano “finte partite Iva”, lavoratori dipendenti camuffati da autonomi. «Circa 900mila in Italia, molti under 35», spiega Paola Ricciardi, 30enne animatrice del sito “Iva sei partita”. Il ddl dispone che vengano stabilizzati in presenza di due su tre condizioni: almeno il 75% del reddito dallo stesso committente, più di sei mesi di rapporto e una postazione fissa in sede. «Al datore di lavoro basterà però indicare un progetto per trasformarli in co.co.pro., altro rapporto autonomo che non riconosce la subordinazione». Sugli atipici rischiano di scaricarsi molti dei costi extra dei contratti precari. I contributi saliranno dal 27 al 33%, «ma la riforma non fissa minimi tabellari», obietta Ricciardi. «Probabile che il lordo resti uguale mentre scenda il netto percepito».

GLISTAGISTI
«Una rivoluzione». Il sito “La repubblica degli stagisti” esulta per le novità in tema di tirocini. La fondatrice Eleonora Voltolina, 33 anni, spiega: «C´è il rimborso spese obbligatorio e sanzioni per chi viola le norme». Ogni anno sono più di 500mila i giovani in stage. Per evitare che le aziende li usino come forza lavoro mascherata Fornero aveva annunciato regole ferree, tra cui il divieto di stage post-universitari. Il ddl rimanda tutto ad un decreto da varare entro sei mesi. Un errore secondo Voltolina: «nel frattempo lo stage farà concorrenza all´apprendistato. E le ispezioni sono davvero poche».

ESClusi dall´aspi
Un sostegno al reddito universale, di tipo europeo. Di questa promessa del governo Eleonora Voltolina non vede traccia nel testo della riforma. «Ecco il vero tradimento», dice, «nei periodi in cui non lavorano i giovani continueranno a dipendere dai genitori». La nuova Aspi, l´assicurazione per l´impiego, ha la stessa platea del vecchio sussidio di disoccupazione. «E per gli atipici resta l´una tantum, somma ridicola a cui accedono in pochi». Un punto su cui Mattia Pirulli, 30 anni, responsabile giovani della Cisl, concorda: «Il sostegno va rafforzato. Ma i principi della riforma sono buoni, valorizza le forme di ingresso al lavoro più stabili». Resta il Parlamento: «un´opportunità per migliorarla», conclude. «Sono fiducioso».

La Repubblica 08.04.12