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Partiti, Bersani a Casini e Alfano: "Subito legge su trasparenza e controlli dei bilanci"

l leader del PD ha scritto una lettera al segretario del Pdl Angelino Alfano e al leader dell’Udc, Pierferdinando Casini. “Rispondere con rapidità ed efficacia alla forte domanda della pubblica opinione”

“Credo che in queste ore possiamo condividere una forte preoccupazione. I fatti gravissimi evidenziati dalle recenti inchieste giudiziarie in relazione alla gestione delle risorse pubbliche attribuite ai partiti rendono ormai improrogabile il cambiamento delle normative che regolano la trasparenza e i controlli dei bilanci dei partiti. Su questi temi sono state depositate in Parlamento da diverse forze politiche proposte di legge che prospettano soluzioni largamente condivide.
Mi pare ci siano dunque le condizioni politiche per approvare in tempi brevissimi una legge di pochi articoli che abbia una corsia di assoluta priorità.
Tale legge, considerate le proposte in campo e un loro possibile comune denominatore potrebbe prevedere a mio avviso:

1) L’obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti alla verifica e alla certificazione da parte di società di revisione esterne e indipendenti;

2) L’attribuzione alla Corte dei Conti del controllo dei bilanci dei partiti;

3) La pubblicazione dei bilanci dei partiti sui siti internet dei partiti stessi e sul sito istituzionale della Camera dei Deputati;

4) La riduzione a cinquemila euro della soglia oltre la quale è obbligatoria la dichiarazione congiunta per le erogazioni liberali ai partiti;

5) Il rafforzamento delle sanzioni, prevedendo una decurtazione dei rimborsi elettorali proporzionata alla gravità delle irregolarità riscontrate, fino a concorrenza dell’importo dei rimborsi dovuti per l’anno in corso.

Sono convinto che su questi ed eventuali altri punti sia possibile costruire un ampio consenso tra le forze politiche presenti in Parlamento, rispondendo con rapidità ed efficacia alla forte domanda di trasparenza che sale dall’opinione pubblica e che il Presidente Napolitano ha raccolto sollecitando adeguate iniziative in sede parlamentare”.

Così il Segretario Nazionale del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani in una lettera inviata al Segretario del Pdl Angelino Alfano e al Leader dell’Udc, Pierferdinando Casini.

da www.partitodemocratico.it

L'Aquila tre anni dopo

L’Aquila tre anni dopo.
Sono molte le donne che continuano a investire nella città lesionata, non senza enormi difficoltà. Le storie di alcune di loro. E a partire dal 6 aprile le organizzatrici di “Mettiamoci una pezza” danno vita a un’azione di “urban knitting. A tre anni dal terremoto, ricerca dello Spi-Cgil sulla condizione degli anziani. Tra i problemi principali: assenza di servizi di prima necessità, inadeguatezza del trasporto pubblico, assenza di luoghi di svago, carenza di luoghi di incontro informali.

A tre anni da terremoto. Gli aquilani: “Tutto fermo”
Il volto sfigurato della ex Casa dello studente e’ un monumento alla memoria: sulla rete metallica che divide la strada dalla voragine che ha inghiottito le macerie del vecchio studentato sventolano ancora le foto delle otto vittime del terremoto del 6 aprile 2009. Studenti uccisi dalla furia della natura ma anche e soprattutto dall’errore umano che aspettano ancora giustizia. Di fronte alle immagini dei loro volti sorridenti ogni giorno, su via XX Settembre, gli aquilani si fermano, si fanno il segno della croce e fanno volare il pensiero alla notte di tre anni fa che ha cambiato la vita della loro citta’. Una vita che non e’ mai piu’ tornata la stessa, nonostante le promesse della prima ora fatte dai governanti.
Lo sanno bene i sette pensionati che ogni giorno si riuniscono in piazza Duomo, un tempo teatro di passeggiate, incontri, appuntamenti, oggi palco vuoto su cui va in scena la nostalgia dei pochi aquilani che si fermano sulle panchine o vicino alla fontana. Marcello, Giorgio, Vincenzo, i due Tonino, Alberto e Paolo mai avrebbero pensato di passare i mesi della loro pensione su una piazza fantasma. Da qui comincia il viaggio della Dire dentro L’Aquila, a tre anni dal sisma. “Il nostro motto- scherza Giorgio Pomero, 73 anni, il piu’ loquace dei pensionati di piazza Duomo- e’ ‘Immota manet’. Non succede nulla, tutto e’ rimasto come prima. Le macerie le hanno portate via, ma la ricostruzione vera e propria non e’ mai ricominciata”.
Visitando la citta’, negli scorsi giorni, anche il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha dovuto ammettere che “c’e’ stato un intervento iniziale efficace ma poi tutto si e’ bloccato”. E per rimettere in moto le cose ci vorra’ “tempo”. E soprattutto ci vorra’ “un piano pluriennale di risorse e interventi”. Gli annunci roboanti dell’ex premier Berlusconi si confondono nei ricordi. Il leader del Pdl durante il suo governo ha visitato 31 volte la citta’. In una di queste, durante il G8, si e’ tirato dietro anche la politica internazionale. A L’Aquila e’ arrivato Obama, la Merkel e’ andata nella vicina Onna. Ma degli impegni presi dai paesi di mezzo mondo restano solo le parole sulla carta. E delle promesse di ricostruzione immediata, di soluzioni rapide dell’ex governo resta una valanga di dichiarazioni che solo in parte hanno avuto riscontro. Ed eccola L’Aquila, oggi, citta’ ferita con le strade ancora interdette, i palazzi imbragati dentro impalcature e puntelli, le chiese sfigurate.
“Hanno promesso di rimettere tutto a posto, ma non e’ accaduto”, continua il pensionato Giorgio senza peli sulla lingua. E i suoi ‘colleghi’ di piazza Duomo annuiscono, confermano. “C’e’ stata una confusione di ordinanze prima e ora il nuovo governo ricomincia daccapo”. Intanto una famiglia di turisti passa sulla piazza con la macchina fotografica al collo del papa’ che scatta foto e mostra con il dito a moglie e figli le macerie vicino ad un palazzo.
Una mamma porta il suo passeggino con il naso che guarda in su, verso i tetti delle case e delle chiese anche quelli puntellati. Tanti aquilani, raccontano i pensionati di piazza Duomo, “per mesi hanno fatto sacrifici facendo avanti e indietro fra la citta’ e le seconde case sulla costa per non lasciare L’Aquila, ma poi in molti hanno ceduto e se ne sono andati. E poi c’e’ chi come noi, solo perche’ aveva una certa eta’, non ha avuto le nuove case. Che magari sono andate agli stranieri. Ci hanno fatto male due volte”.
Ma gli aquilani hanno la pelle tosta e anche mentre raccontano questi anni non si scompongono. Giorgio Pomero, dopo aver aspettato per 18 mesi, ora sta in 54 metri quadrati a Coppito 3. Case nuove. Ma e’ la citta’ vecchia che gli aquilani rivogliono. Una prospettiva lontana, a guardare il volto delle strade che si snodano per il centro. La centralissima piazza della Repubblica e’ ancora interdetta: reti metalliche impediscono l’accesso, entrano solo gli operai. O i politici. Un dipendente del cantiere ci racconta che attualmente i lavori consistono nel “ripuntellare gli edifici”. L’ex Prefettura, il Palazzo del Governo, e’ stato aperto per la prima volta ad un politico nazionale la scorsa settimana. Il ministro Profumo ha potuto vedere l’interno del palazzo che si regge solo grazie ad una fitta rete di impalcature. Pezzi di archivio sono rimasti intrappolati sotto la polvere e le macerie. Dalle finestre si intravede la vicina chiesa di Sant’Agostino.
Imbragata come la dirimpettaia chiesa di San Marco. Sono venuti studenti di Architettura da tutta Italia, dalla Sicilia, da Bolzano, raccontano dal cantiere, per fare le tesi di laurea “per proporre progetti di ricostruzione”. Si potrebbero usare le idee fresche dei giovani per rimettere in piedi L’Aquila. Ma manca la molla e le risorse che ci vorrebbero sono “enormi”, conferma un operaio. Anche per questo, forse, fra le vie storiche ci sono ancora i cumuli delle macerie, le chiese con le facciate coperte dai ‘rinforzi’, i palazzi sostenuti da ‘stampelle’ di metallo. I negozianti di Corso Federico II ora lavorano in zona Villa Comunale dentro prefabbricati di legno. Chi ha potuto si e’ preso un negozio in un centro commerciale, la nuova piazza obbligatoria. Le strutture di cemento armato dei colossi del commercio hanno resistito. E li’ si e’ trasferita la vita di piazza. “Ma noi giovani vogliamo tornare in citta’. Vogliamo farla rivivere”, commenta Leonardo Scimia, presidente della Consulta studentesca aquilana. Intanto i vecchi negozianti che si sono trasferiti nei prefabbricati la citta’ che fu la guardano dalle finestrelle delle casette di legno. E mentre sulla via Crispi, che costeggia la Villa Comunale, si alza la polvere dei cantieri che penetra tutto il giorno dentro i polmoni dei passanti, i commercianti vivono fra il ricordo e la speranza, fra i tempi andati che potrebbero non tornare e il sogno di un’Aquila di nuovo viva.
Per vedere la citta’ del presente bisogna lasciarsi alle spalle i palazzi terremotati di via XX Settembre, avvicinarsi alle periferie, dove stanno rispuntando case e negozi. Perche’ la vita deve andare avanti. Oltre la memoria del terremoto. Fra poco ci saranno le elezioni comunali. La sfida di chi punta a guadagnare un seggio e’ doppia: conquistare consensi e fare promesse mantenibili. Perche’ agli aquilani non si puo’ piu’ mentire.

A tre anni dal sisma L’Aquila scommette sulle idee delle donne.
L’AQUILA – Hanno animato movimenti, pulito case distrutte, fatto traslochi, accarezzato ricordi, percorso chilometri, inventato soluzioni, consolato figli, apparecchiato tavole improvvisate, tenuto i contatti con parenti distanti, guidato camper e scritto, raccontato.
Antonietta Centofanti, rappresentante del Comitato Familiari Vittime Casa dello Studente e l’avvocato Simona Giannangeli che li difende; Patrizia Tocci, Luisa Nardecchia, Giusi Pitari, docenti che hanno raccontato il dramma degli studenti e che per tre anni hanno promosso iniziative per chiamare l’attenzione sui loro problemi; Licia Galizia, l’artista aquilana che ha trasformato un liceo in un prezioso museo di arte contemporanea; Sara Vegni e Annalucia Bonanni del comitato 3:32 che da tre anni organizzano iniziative e manifestazioni per una ricostruzione trasparente; la presidente della Pro Loco di Coppito Marina Marinucci, che ha creato nella frazione di Coppito un centro per attività sociali: sono queste e molte altre le donne che hanno lavorato in maniere diverse alla ricostruzione materiale e sociale della città distrutta dal sisma.
Sono le donne aquilane, quelle che tre anni dopo il sisma del 6 aprile 2009, continuano a investire nella città lesionata e abbandonato e che continuano a sperare nel futuro, come Katia ed Enrica, 32 anni ciascuna, compagne fin dal liceo, due lauree “inutili” e un’attività appena aperta.
“Dopo il terremoto – raccontano – abbiamo avuto l’impressione di essere ferme, sospese, eppure giravamo come trottole alla ricerca di un lavoro, di una stabilità, di un futuro, di un luogo per vedere le nostre amiche. Volevamo andare via, poi siamo restate accanto alle nostre famiglie, alla città in cui siamo cresciute, ai nostri fidanzati. Abbiamo aspettato e sperato, per un po’ che arrivassero gli aiuti, la zona franca, qualcosa che potesse permetterci di restare a vivere qui. Dopo due anni e mezzo non era successo nulla: nessun miracolo, nessun contributo, affitti altissimi, nessuna possibilità di lavoro. Ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo deciso di aprire un’attività, qualcosa che potesse essere innovativo a L’Aquila e che offrisse benessere e che fosse utile, soprattutto per le donne”. È così che nasce una grotta di sale pensata soprattutto per i bambini e per le mamme, per il loro benessere e la loro salute. “Abbiamo timore, certo, non abbiamo ricevuto nessun contributo. Abbiamo voluto investire qui sperando che la città sappia apprezzare il tentativo di chi rischia. Ci siamo legate ancora più di prima a questa realtà aquilana e spaventa, certe volte sembra di essere in un vicolo cieco, la gente sembra non avere vitalità, ma sappiamo che è dalle donne e dai bambini che si può ripartire: è per questo che abbiamo pensato a loro”.
Ines guarda il cantiere di casa sua da lontano, un pellegrinaggio quotidiano. 56 anni, due figli universitari, un marito in pensione, un cane e un Map: “Dal febbraio 2010 vivo in una casetta di legno. Ormai ci siamo abituati, ci si abitua a tutto. Mi manca casa mia, certo, quella in cui sono cresciuti i miei figli e da cui sono fuggita il 6 aprile con una pantofola sì e una no. Cosa mi ha tolto il terremoto? I miei figli! Certo, sono ancora con noi a casa ma quando finiranno l’università li “caccerò”… La città è finita, per loro non c’è lavoro, vuole che una madre voglia vedere i figli infelici? Spero che se ne vadano e che siano felici. Mio marito ed io resteremo qui, questa è casa nostra, saremo da soli, certo, il terremoto ci ha tolto una vecchiaia serena con i nostri figli, ma va bene così… con quello che è successo, ogni giorno è un regalo”.
Anche Maria Elena è una mamma. I suoi bimbi hanno 4 e 6 anni. Dal 6 aprile 2009 vive sulla costa dove suo marito chef, ha trovato lavoro in un hotel in cui erano ospitati degli sfollati aquilani. Il suo sogno è quello di tornare a L’Aquila. Ogni lunedì, nel giorno libero del marito, sono all’Aquila: vedono gli amici, i parenti, mantengono legami con la città in cui avevano scelto di vivere. “Quando mio figlio più grande a scuola dice che è stato all’Aquila la maestra lo guarda con una faccia triste.
A Peppe invece l’Aquila piace, ci sono i suoi amichetti, le persone e che lo hanno visto nascere, la nostra vecchia casa. Non c’è lavoro per mio marito, per ora dobbiamo restare a Pescara, ma conto i giorni, voglio tornare, voglio che i miei figli tornino nella loro città. Dicono che la città sia morta, ma non è vero. Ti sembro un fantasma io?”.
La verità che il cuore della città, a più di mille giorni dal sisma, è spettrale: impalcature, rumori sinistri, palazzi sventrati. A non essere morte sono le persone, le donne che continuano a lottare, a sperare, a cercare una normalità, a ricucire rapporti. È da questa attitudine che hanno preso ispirazione le organizzatrici di “Mettiamoci una pezza” un’azione di urban knitting da svolgersi nel centro storico di L’Aquila a partire dal 6 Aprile 2012, terzo anniversario del sisma: “Cento metri quadrati di superficie da ricoprire con pezze lavorate a maglia, con l’uncinetto – spiegano le organizzatrici – provenienti da tutta Italia. Una maniera per mantenere viva la memoria ridando colore a quei tasselli che, ingrigiti, sono destinati a scomparire, anche se presenti come carcasse”.

L’Aquila: il disagio degli anziani, vittime dell’indeterminatezza
A tre anni dal terremoto come stanno anziani del capoluogo abruzzese? A domandarselo, e soprattutto, a domandarlo ai diretti interessati ha provveduto lo Spi Cgil nazionale che, con il patrocinio del Comune dell’Aquila, ha condotto la ricerca “Condizioni di vita delle famiglie e degli anziani dopo il terremoto” sotto la direzione del professor Enzo Pugliese dell’università La Sapienza di Roma, tesa a descrivere la vita degli over 65 residenti dopo il sisma in una delle 19 new town o negli isolati di M.a.p, casette di legno costruite nelle frazioni del capoluogo.
“Il lavoro di campo – affermano i ricercatori – ha rilevato le condizioni di vita quotidiana e, soprattutto, le specifiche situazioni di disagio incontrate dalla popolazione anziana negli insediamenti C.a.s.e. e nei M.a.p.. Oltre che le condizioni di disagio materiale si è analizzato anche il rilevante disagio psicologico e il rischio elevato di desocializzazione forzata, soprattutto per gli anziani soli e le famiglie (in genere coppie) di soli anziani. La perdita della casa e poi la ricollocazione, più o meno temporanea, rappresentano per gli anziani – soprattutto per quelli che vivono da soli e, con intensità maggiore, per i grandi anziani – motivo di più forte disagio psicologico e relazionale”. A peggiorare la situazione è la questione mai chiarita del carattere stabile o temporaneo (che per gli anziani può significare anche per il resto della esistenza) delle nuove residenze: l’indeterminatezza che ne consegue è una delle cause più gravi del disagio. In generale è emerso che la situazione risulta essere grave e difficile per quasi tutti gli anziani, anche se con differenze sensibili tra un insediamento e l’altro.
Uno dei problemi principali degli new town – secondo la ricerca – riguarda l’assenza di servizi di prima necessità, insufficienza e inadeguatezza del trasporto pubblico, assenza di strutture di distribuzione di beni di consumo, dei luoghi di svago, carenza di luoghi di incontro informali di comunità e assenza di spazi associativi e di partecipazione.
Si tratta di una carenza più o meno grave secondo il grado d’integrazione dell’insediamento nel tessuto urbano preesistente il terremoto: così per i M.a.p. – che sono tutti collocati in prossimità di paesi o frazioni abitate – tale problema si attenua un po’, mentre per gli insediamenti C.a.s.e., man mano che ci si allontana dai quartieri centrali, la situazione diventa molto problematica ed evidenzia alcune situazioni drammatiche.
“Le persone intervistate – hanno spiegato i ricercatori – mostrano rimpianto per quello che hanno perso non solo in termini di socialità, ma anche in termini di funzionamento della vita quotidiana. Fare la spesa e incontrare amici erano spesso la stessa cosa. L’impossibilità di raggiungere un negozio riduce anche questa possibilità, almeno fino a quando non si creano alternative nuove di socializzazione. Anche lo svolgere le usuali attività quotidiane per garantirsi i servizi di welfare come recarsi a un ambulatorio, andare a chiedere un certificato, uscire per ritirare la pensione, per fare esempi banali ma concreti, sono occasioni d’incontro. Ora – concludono – mancano le une e le altre: le occasioni di incontro e le possibilità di accesso ai servizi”.

“Microcredito per l’Abruzzo”: quasi 4 milioni per cooperative e famiglie
Erogati da gennaio 2011 a oggi per un totale di 191 finanziamenti. Permesso l’accesso al credito a chi altrimenti ne sarebbe stato escluso. Trend in continua crescita
ROMA – Oltre 3 milioni e 830 mila euro di crediti erogati da gennaio 2011 a oggi, un totale di 191 finanziamenti suddivisi fra imprese (114), cooperative (9) e famiglie (68), per un ammontare medio che si attesta rispettivamente intorno a 27 mila, 38 mila e 5.600 euro. Sono i risultati, aggiornati al 31 marzo 2012, del progetto “Microcredito per l’Abruzzo”. Un intervento dal forte impatto sociale, perché ha permesso l’accesso al credito a soggetti che altrimenti ne sarebbero stati esclusi in quanto incapaci di offrire le garanzie patrimoniali o personali normalmente richieste dalle banche. Fra i beneficiari, famiglie in difficoltà, artigiani e commercianti che avevano visto la propria attività distrutta dal terremoto, persone che, perso il lavoro, si sono inventate una nuova opportunità microimprenditoriale e, fra queste ultime, un numero rilevante di giovani. Entrato ormai a pieno regime operativo, il progetto evidenzia un trend di erogazione mensile in continua crescita, anche negli ultimi mesi, nonostante la stretta creditizia e la recente fase di recessione; nessuna insolvenza e pochissimi ritardi nel pagamento delle rate.
“Microcredito per l’Abruzzo” è un’iniziativa coordinata da Etimos Foundation, in partnership con Consorzio Etimos, Abi-Associazione bancaria italiana, Federazione delle Bcc di Abruzzo e Molise, Associazione Qualità e Servizi, Caritas diocesana dell’Aquila. Conta su un fondo patrimoniale di 4 milioni e 530 mila euro, che ha la sua origine nel più ampio flusso di donazioni degli italiani post terremoto, canalizzate attraverso il Dipartimento di Protezione civile. Il fondo non viene utilizzato direttamente nell’attività di finanziamento, bensì impiegato progressivamente come garanzia per la concessione di prestiti erogati attraverso il sistema bancario locale (che utilizza dunque fondi propri), a parità di prodotti e condizioni per tutti e con uno spread che, fino a oggi, si è mantenuto invariato al 2,5 %. L’impegno delle banche aderenti ad applicare un meccanismo di leva finanziaria sul fondo stesso, rende inoltre possibile un plafond potenziale di finanziamenti di oltre 50 milioni di euro.
“I risultati ottenuti in Abruzzo sono particolarmente significativi: il progetto dà un segnale di controtendenza rispetto alla crisi del credito che in questi mesi colpisce famiglie e microimprese, e lo fa coinvolgendo le banche stesse nell’utilizzo di uno strumento come il microcredito, fino a oggi diffuso in misura limitata e frammentaria nel nostro paese” spiega Marco Santori, presidente di Etimos Foundation, che annuncia: “Noi invece riteniamo che, oggi più che mai, il microcredito possa essere utilizzato come strumento di welfare e di sviluppo: da un lato per combattere l’esclusione sociale e la povertà, dall’altro per offrire risposta al bisogno di sostegno finanziario delle micro e piccole imprese. Per questo Etimos Foundation ha intrapreso un percorso per replicare l’esperienza abruzzese in altri territori italiani; con una funzione che non è più quella di sostegno post emergenza, ma di supporto per affrontare la crisi economica e guardare al futuro. È nato a tale scopo ‘MxIT-Microcredito per l’Italia’, impresa sociale che lancerà nelle prossime settimane la campagna per la costituzione del proprio fondo e diverrà operativa nel corso dell’anno, non appena ottenuta l’iscrizione come intermediario finanziario presso Banca d’Italia”.
Alla base di “Microcredito per l’Abruzzo” c’è un modello innovativo che, lontano da logiche assistenziali, fa del microcredito un autentico strumento di welfare e garantisce la sostenibilità economica di tutte le operazioni: fondamentale, in tal senso, è stata la scelta di non creare una nuova struttura operativa a servizio del progetto e di non affidarsi a un unico istituto di credito, bensì di coinvolgere il sistema bancario del territorio, ottenendo un’adesione ampia che copre oltre l’85% degli sportelli operativi. All’interno di questo modello Etimos Foundation ha svolto un ruolo di regia, che comprende il coordinamento dei diversi attori coinvolti – in particolare banche e volontari –, la formazione degli operatori e il monitoraggio dei risultati. Oltre a questo, il progetto si distingue nel panorama nazionale dei programmi di microfinanza per la destinazione specifica delle risorse: ben l’80% dell’ammontare finanziato è stato erogato a sostegno della microimpresa, con un’attenzione particolare al segmento delle start-up (pari al 39% delle realtà finanziate). Altra novità è costituita dalla policy in materia di trasparenza: gli aggiornamenti quotidiani di tutti i dati sulle erogazioni di “Microcredito per l’Abruzzo” sono pubblicati online, in tempo reale, all’indirizzo: www.etimedia.org/Microcredito-Abruzzo/Utilizzo-fondi

da Redattore Sociale

Intervista a Carlo Smuraglia «Inqualificabile odio per un uomo che ha dato tutta la vita per la libertà», di Salvatore Maria Righi

Il presidente dell’Anpi sugli attacchi alla figura di Rosario Bentivegna «Grave che vengano da chi predica memoria condivisa e pacificazione». Il giorno dopo la scomparsa di Bentivegna e gli attacchi alla sua figura, come «assassino» detto da Storace, la replica nelle parole e nel ricordo del numero uno dell’Associazione nazionale partigiani.
Forse anche peggio degli insulti, «assassino», quel minuto di silenzio da spartirsi con Chinaglia. Con tutto il rispetto per Bob, non proprio geniale l’idea che è venuta al quinto municipio di Roma, mescolare la memoria di un partigiano con quella di un calciatore, già che c’erano potevano infilarci anche un tributo ai dischi in vinile. Vedi alla voce rispetto, insomma.
Quello che non tutti hanno dimostrato per Rosario Bentivegna, coi suoi novant’anni di battaglie e di ferite, nonostante gli onori resi dal presidente della Repubblica, Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi, non si era però fatte molte illusioni «Spero sempre che prevalgano il buon senso e la ragionevolezza, ma che questi attacchi vengano proprio da chi predica la condivisione di valori e di una memoria comune vuol dire che possiamo aspettarci qualsiasi cosa. Trovo inqualificabile queste espressioni di odio e disprezzo. Anche perché, perfino sotto il profilo giudiziario, sono state cancellati tutti i dubbi su Bentivegna».
Si riferisce alle accuse su via Rasella naturalmente.
«Certo, ci sono una serie di sentenze che hanno fatto chiarezza una volta per tutte su quella vicenda. Non c’erano nemmeno i presupposti in concreto per fare lo scambio con i prigionieri poi giustiziati, per il semplice motivo che i tedeschi hanno parlato delle Fosse Ardeatine solo dopo, a massacro avvenuto».
La figura di Bentivegna secondo l’Anpi?
«Un comandante partigiano che coi Gap e poi anche col Comitato di liberazione nazionale ha combattuto a tutto tondo per la libertà e per i diritti di questo paese, con una coerenza e un impegno che non sono mai venuti meno. Dopo tante strumentalizzazioni e speculazioni sarebbe ora di ragionare in termini diversi, certi atteggiamenti non fanno onore a chi li tiene perché non è solo questione di rispetto per chi muore, ma anche per chi ha dedicato la vita alla libertà degli altri». Ferite che dopo tanti anni non sono ancora chiuse.
«Evidentemente c’è ancora chi non accetta la resistenza, le stesse persone che come detto parlano spesso di memoria condivisa e di pacificazione. Eppure credo che in un paese civile sia necessario una specie di patto storico comune sulle vicende fondamentali come il risorgimento, la resistenza e la costituzione. Per questo un paese come l’Italia deve saper fare i conti col proprio passato e ricordare la sua storia più importante, invece si continua a sentire di negazionismi e revisionismi». Come racconterebbe Bentivegna ad un ragazzo del Duemila?
«Un uomo che con l’Italia divisa in due per l’occupazione dei tedeschi ha scelto di combattere per il suo paese unito e per il bene di tutti, anche dei ragazzi di oggi, nel nome della libertà e della democrazia».

l’Unità 05.04.12

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«Ciao, patriota Sasà» l’addio al partigiano fra rose, pugni chiusi e segni della croce, di Gioia Salvatori

La folla è sfilata alla camera ardente, allestita alla sede della provincia di Roma. Commozione e riconoscenza per l’uomo di via Rasella, che «ha lottato per le sue idee, ed erano idee di libertà». Presenti Veltroni e Zingaretti.
di Gioia Salvatori

C’è chi depone una rosa rossa e chi fa il saluto militare. Chi dice una preghiera, chi alza il pugno chiuso dopo essersi fatto il segno della croce. Sfilano pezzi del Pd, della sinistra radicale, ex partigiani, iscritti all’Anpi di ogni età, i ragazzi delle occupazioni e dei centri sociali. Accanto alla bara, la compagna Patrizia Toraldo di Francia resta in piedi: accoglie, saluta, ringrazia. Indossa un tailleur nero, i bianchi capelli allacciati in una coda. Si vede che è orgogliosa di “Sasà”, nonostante le abbia fatto lo scherzo di andarsene, il 2 aprile, per le conseguenze di un ictus.
Ieri centinaia di romani hanno salutato per l’ultima volta Rosario
“Sasà” Bentivegna nella camera ardente allestita nella sede della Provincia di Roma. Per tutti è il partigiano che ha messo la bomba in via Rasella il 23 marzo 1944, ma il suo impegno politico è durato una vita lunga 90 anni. Se ne va un «combattente», «un patriota» dice la gente: un partigiano che ha fatto la storia ma anche un uomo che non ha mai smesso di battersi per le sue idee, un pensatore libero che non si sottraeva ai confronti, da ultimo attivissimo nelle scuole su progetti per la memoria. Uno col quale era facile polemizzare, uno che non la mandava a dire, un oratore brillante, appassionato. La figlia naturale, Elena, avuta dalla moglie e partigiana Carla Capponi, ieri ha assistito insieme alla sorella di Rosario Bentivegna ai funerali laici. A loro hanno stretto la mano parenti, amici e tanti romani che non avevano mai conosciuto di persona Bentivegna. «Se ne va un partigiano che ha fatto la storia mettendo la bomba di via Rasella, con l’intento di risvegliare una città», dicono. «Se volete vedere dove è nata la nostra Costituzione dovete andare in via Rasella», diceva Piero Calamandrei, ieri citato da Walter Veltroni. Lo sa chi è a ricordare “Sasà”, non lo sa chi anche nel giorno della morte chiama Bentivegna, scagionato in più processi, «assassino». Non perde l’occasione Francesco Storace de La Destra che ieri ha abbandonato l’aula del consiglio regionale durante il minuto di silenzio commemorativo. Il giorno prima lo avevano fatto tre consiglieri del Pdl nel diciassettesimo municipio romano.
LA GENTE NON LO DIMENTICA
«La madre degli Storace è sempre incinta», replica senza tenersi il vicepresidente vicario dell’Anpi Roma, Ernesto Nassi. Ma anche se La Destra e alcune frange del Pdl rivangano l’antica polemica, anche se il sindaco di Roma Alemanno manda un assessore ai funerali laici di Bentivegna, la città è con il partigiano gappista, poi militante del Pci, di cui tutti ricordano la passione. Sfila, nella camera ardente, un universo vario che va dai ragazzi col bomber a Giorgio Cremaschi, Gianni Borgna, Carla Verbano e tanti iscritti all’Anpi. Durante il funerale laico viene ricordato quanto Bentivegna diede alla medicina del lavoro e quanto amasse l’arte moderna. Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti apre la cerimonia ricordando l’impegno di “Sasà” per la memoria ed esorta alla raccolta del testimone; il segretario del Pd Bersani in una nota mette tutta la sua gratitudine al partigiano e il suo omologo del Pd Lazio, Enrico Gasbarra, chiede che a Roma venga intitolata una strada a Rosario Bentivegna. Davide Conti, storico e amico di “Sasà”, piange mentre elenca i falsi storici su cui si basano le tesi revisioniste perché soffrendo, Bentivegna, vi ha combattuto contro tutta una vita: via Rasella è sempre stata con lui. Nella sede della Provincia di Roma per l’ultimo saluto sono pugni chiusi sulle note di Bella Ciao, poi c’è il trasferimento al cimitero per la cremazione.
L’ultimo saluto di Vittorio Sartogo per l’amico “Sasà” è con i versi de Il congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni, poeta amato da Bentivegna: Ciao e grazie per l’ottima compagnia.

l’Unità 05.04.12

"Regione Lombardia, sì alla legge scuola i supplenti scelti dagli istituti. Salta l´ordine delle graduatorie", di Andrea Montanari

La Cisl parla di “balcanizzazione”, contrario il Pd E dal pacchetto sviluppo saltano gli incentivi per le autostrade . Via libera del Consiglio regionale alla riforma della scuola in salsa lombarda con il professore a chiamata, uno degli assi portanti del cosiddetto pacchetto Crescilombardia fortemente voluto dal governatore Roberto Formigoni in perenne sfida col governo. Per tre anni, quanto durerà la sperimentazione, i presidi potranno scegliere direttamente i supplenti annuali senza passare dal provveditorato, li dovranno pescare dalle graduatorie ma non dovranno rispettare l´ordine delle liste. Un passo indietro rispetto al progetto di legge originario della Regione, che non parlava di graduatorie e demandava alla giunta i criteri per gli inserimenti nelle scuole. Ma un deciso passo in avanti rispetto alla normativa precedente. Il testo uscito dall´aula ieri è stato ulteriormente ridimensionato. Prevede infatti che le modalità di espletamento del bando di concorso saranno definite «solo sulla base di un accordo con lo Stato». E che ogni sei mesi la giunta dovrà relazionare sulla sperimentazione alla commissione regionale competente.
«Una riforma incostituzionale», secondo la responsabile nazionale scuola del Pd Francesca Puglisi e il segretario generale nazionale della Cgil scuola Mimmo Pantaleo che «diffida» il ministro dell´Istruzione Francesco Profumo «a stipulare qualsiasi intesa con la Regione». No secco anche dal responsabile del settore scuola della Cisl Lombardia Silvio Colombini: «Ci sono già le graduatorie – attacca – con tanti aspiranti all´assunzione di ruolo, e ogni deroga alla normativa nazionale rischia di creare disagi e incertezze rendendo vano l´obiettivo che la proposta iniziale voleva raggiungere. Quello di garantire qualità stabilizzazione del personale». Il segretario nazionale Cisl scuola, Francesco Scrima, parla di «balcanizzazione» del sistema scolastico. Favorevole, invece, l´associazione dei genitori delle scuole cattoliche: «Il reclutamento diretto degli insegnanti – spiega il presidente Roberto Gontero – è un segnale di vero cambiamento per il sistema scolastico».
Formigoni in precedenza aveva sostenuto che «il mondo della scuola in maggioranza aveva espresso il consenso sulla riforma» e che più che un muro contro muro con la maggioranza era stata «l´opposizione di centrosinistra a sbattere la testa contro il muro». Il consigliere regionale del Pd Fabio Pizzul parla di «una forzatura poco rispettosa dell´ordinamento attuale». Chiara Cremonesi di Sel chiede al governo di «impugnare la legge». Mentre la maggioranza di centrodestra che ha votato sì compatta è soddisfatta: «È un provvedimento impostante che semplifica tanti settori della vita sociale», sostiene il Pdl Mario Sala. «La maggioranza ha dimostrato di saper portare a casa una legge importante», aggiunge il leghista Stefano Galli.
Stralciata dal pacchetto Salvalombardia, invece, accogliendo una richiesta dell´opposizione di centrosinistra che aveva presentato oltre duemila emendamenti, la parte di regole che prevedeva l´ampliamento delle concessioni autostradali regionali che, secondo gli ambientalisti, avrebbe aperto la strada a nuovi edifici lungo il percorso come misure compensative.
«L´ostruzionismo è stato battuto – ha commentato alla fine Formigoni -. Assurdo parlare di retromarcia o di aria fritta». Ma il segretario regionale del Pd Maurizio Martina è categorico: «È un provvedimento omnibus, disorganico e confuso». Mentre il leader della Cisl Lombardia Gigi Petteni è addirittura caustico: «Formigoni invece di ospitare l´Isola dei famosi dovrebbe smettere di fare la bella addormentata nel bosco».

da Repubblica/Lombardia 05.04.12

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“In Lombardia i docenti sono a chiamata diretta. Approvato l’articolo 8 della legge regionale”, di Pasquale Almirante

L’articolo 8 prevede la possibilità dell’assunzione diretta, da parte della singola scuola autonoma, del personale docente inserito in un albo regionale in cui sono inclusi obbligatoriamente solo i lavoratori che aderiscono al progetto di sviluppo regionale in materia di istruzione e formazione. Nonostante nella giornata di ieri, 3 aprile, la maggioranza alla Regione Lombardia, Pdl e Lega, abbiano deciso di rinviare l’approvazione del Progetto di Legge n. 146 “Misure per la Crescita e l’Occupazione”, contenente il contestatissimo l’art. 8, per mancanza del numero legale (dovuto con ogni probabilità alla diretta Tv della partita Milan-Barcellona), nella giornata di oggi, 4 aprile, la legge che introduce in via sperimentale il sistema della chiamata diretta da parte delle scuole per il reclutamento dei docenti è regolarmente passata.
“Quell’articolo è una follia istituzionale da mettere in capo tutta alle scelte ideologiche del Presidente Formigoni e dell’Assessore Aprea”, così si esprime il segretario nazionale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, che invoca pure l’interevento del ministro Profumo con un parere del tutto negativo perché permette il reclutamento dei docenti da parte delle singole scuole.
Ma grida pure alla incostituzionalità della legge “perché il reclutamento è materia delegata alla legislazione nazionale, col reale rischio di discriminazioni e messa in discussione della libertà d’insegnamento. E aggiunge: “Diffidiamo il Ministero a stipulare qualsiasi intesa con la Regione Lombardia per dare attuazione a quella legge. Siamo pronti ad intraprendere tutte le iniziative di mobilitazione e valuteremo come sollevare il profilo di costituzionalità.”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico: “il ministro Profumo deve bloccare la norma. In caso contrario la impugneremo in Tribunale. La giunta lombarda si sta assumendo una responsabilità enorme nel contrastare le indicazioni della nostra Costituzione e dovrà spiegare le ragioni di questa insensata iniziativa direttamente ai giudici”.
E poi l’Anief ricorda: “Neanche in Sicilia, Regione a statuto speciale, senza le necessarie modifiche legislative nazionali e regionali si può procedere alla gestione diretta del personale scolastico. Fanno eccezione Trento e Bolzano, ma si tratta di province autonome”.
Intanto la maggioranza che guida la Regione Lombardia (Pdl e Lega Nord) ha votato compatta, con 41 voti favorevoli, mentre, come era prevedibile, contrarie le opposizioni (Pd, Idv, Sel e Udc) appoggiate da alcune associazioni di insegnanti.
Sono state tuttavia accolte alcune modifiche proposte dal Pd, come la durata triennale della sperimentazione e l’obbligo di una relazione semestrale alla commissione consiliare competente.
Il testo dell’articolo 8 è il seguente: “Al fine di realizzare l’incrocio diretto tra domanda delle istituzioni scolastiche autonome e l’offerta professionale dei docenti le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi per reclutare il personale docente con incarico annuale. E’ ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola iscritto nelle graduatorie provinciali fino ad esaurimento”.
Per quanto riguarda la maggioranza, il relatore del provvedimento, Mario Sala (Pdl), ha spiegato: ”L’articolo 8 del progetto di legge apre alla sperimentazione di una vera autonomia scolastica attraverso una possibilita’ per le scuole di indire concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per selezionare il personale docente necessario a svolgere le attivita’ scolastiche annuali favorendo la continuita’ didattica. Ci siamo battuti in aula affinche’ il reclutamento diretto degli insegnanti da parte delle scuole statali lombarde fosse finalmente possibile”.

da La Tecnica della Scuola 05.04.12

"Oltre 2 milioni di schiavi nel Terzo Millennio. E sono quasi tutte donne", di Umberto De Giovannangeli

Le cifre dell’Onu sul traffico di esseri umani: l’80% viene sfruttato sessualmente, il 17% è destinato ai lavori forzati. I fondi per contrastare il fenomeno? Troppo pochi. Cifre agghiaccianti per un fenomeno sconvolgente. In tutto il mondo, 2,4 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani. In tutto il mondo 2,4 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani. Tra loro, l’80% viene sfruttato come schiavo sessuale. A denunciarlo è il Rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc).
A darne conto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è Yuri Fedotov, a capo dell’ Unodc. Il 17% delle vittime della tratta, ha spiegato Fedotov, è costretto al lavoro forzato. Due vittime su tre, ha precisato, sono donne. Ogni anno i criminali che gestiscono le reti di traffico di esseri umani guadagnano in media 32 miliardi di dollari (24,2 miliardi di euro). Catturare questi criminali, ha spiegato il capo dell’Unodc, «è una sfida di proporzioni straordinarie». «In qualsiasi momento ha ribadito Fedotov 2,4 milioni di persone soffrono la miseria di questo crimine umiliante e degradante». Secondo l’Unodc, soltanto una su cento vittime della tratta viene liberata e salvata. Fedotov ha fatto appello per una risposta coordinata a livello locale, regionale e internazionale per compensare «un’applicazione della legge progressiva e attiva» con azioni che lottino contro «le forze del mercato che contribuiscono al traffico di esseri umani in molti Paesi di destinazione». Cherif Bassiouni, professore di legge della DePaul University di Chicago, ha notato che la maggior parte dei Paesi criminalizza prostitute e altre vittime della tratta di persone, ma non i responsabili, «senza cui questi reati non sarebbero stati commessi». Secondo Bassiouni, inoltre, la stima di 2,4 milioni di vittime della tratta di persone non riflette la vera scala del problema. In tutto il mondo, ha proseguito, bisogna rivalutare «chi è una vittima e chi è un criminale». «Dobbiamo cambiare l’atteggiamento dominante nei dipartimenti della polizia controllati da maschi che considerano questi reati come la meno urgente delle loro priorità», ha aggiunto.
La tratta di persone può essere considerata come un crimine contro l’umanità, sia sulla base del diritto internazionale generale sia rifacendosi allo Statuto della Corte penale internazionale (StCPI), adottato a Roma nel 1998 ed entrato in vigore il primo luglio 2002. L’art. 5 dello Statuto, dopo aver sancito che la giurisdizione della Corte è limitata «ai più seri crimini che preoccupano la comunità internazionale nel suo insieme», afferma che la suddetta giurisdizione riguarda: «a) il crimine di genocidio; b) i crimini contro l’umanità; c) i crimini di guerra; d) il crimine di aggressione». Per quanto concerne la tratta di esseri umani, il delitto è inserito all’art. 7 StCPI nei crimini contro l’umanità. Infatti, tra le condotte illecite esplicitamente elencate, alla lettera c) è presente la «Riduzione in schiavitù». È al comma 2 di tale disposizione che vengono fornite le definizioni degli atti precedentemente indicati e, tra queste, la lettera c) recita: per «riduzione in schiavitù» s’intende l’esercizio su una persona di uno o dell’insieme dei poteri inerenti al diritto di proprietà, anche nel corso del traffico di persone, in particolare di donne e bambini a fini di sfruttamento sessuale».
L’ex presidente del Cile, Michelle Bachelet, direttrice dell’agenzia Un Women, prendendo la parola al Palazzo di Vetro, ha affermato che «è difficile pensare a un reato più orribile e scioccante della tratta di persone». «Ciononostante ha aggiunto è uno dei reati più lucrativi e in più rapido sviluppo». L’attrice Mira Sorvino, ambasciatrice di buona volontà dell’Onu contro il traffico di esseri umani, ha sostenuto nel suo intervento all’Assemblea che «la moderna schiavitù è superata per quanto riguarda i profitti soltanto dal traffico di stupefacenti» e ha notato che pochi soldi vengono spesi per combattere il fenomeno. Inoltre, ha affermato, manca la volontà politica e una forte normativa in materia. «Gruppi internazionali di criminalità organizzata ha spiegato la Sorvino aggiungono gli esseri umani alle loro liste di prodotti. Immagini satellitari hanno rivelato che per trasportare persone vengono usate le stesse rotte del traffico di droga e di armi». Il presidente dell’Assemblea generale, Nassir Abdulaziz Al-Nasser, e il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, hanno fatto appello ai donatori affinché contribuiscano a un nuovo fondo creato per aiutare le vittime del traffico di esseri umani. Alcuni Paesi, ha spiegato Fedotov, si sono impegnati a contribuire al Voluntary Trust Fund for Victims of Trafficking con una somma complessiva di quasi un milione di dollari (750mila euro), ma finora il fondo ha ricevuto soltanto 47mila dollari in contributi (35mila euro). Alla fine della sessione al-Nasser ha annunciato che ci sono state tre nuove offerte: 150mila euro dall’Australia, 23mila euro dalla Russia e 30mila euro dal Lussemburgo. Poco, troppo poco per contrastare un fenomeno in crescita.

LUnità 05.04.12

"Cambiamo quella legge", di Stefano Rodotà

Che cosa alimenta ogni giorno l´antipolitica, la fa crescere, la fa divenire un elemento che strxuttura la società e il sistema politico, che allontana i cittadini dall´idea stessa di partecipare alle elezioni, come dimostrano rilevazioni e sondaggi? Lo sappiamo, i fatti sono ormai da troppo tempo sotto gli occhi di tutti. E´ un viluppo di corruzione e privilegi, di uso privato di risorse pubbliche e di spudorata impunità, che è divenuto sempre più stringente, che soffoca una democrazia in affanno e ne aggrava una crisi già drammatica. Ed è proprio la politica, vittima di questa deriva, a farsene complice, comportandosi come se non fossimo di fronte ad una emergenza devastante, perché essa stessa ha finito con il radicarsi sul terreno concimato da un finanziamento pubblico ai partiti che ha tradito le sue ragioni ed è divenuto veicolo di nuove opportunità corruttive, di diffusione dell´illegalità.
A questi argomenti, o piuttosto constatazioni, si oppongono risposte indignate e virtuose. Basta con i moralismi, non si può fare d´ogni erba un fascio, non tutti i partiti sono allo stesso modo coinvolti negli scandali, i politici corrotti sono una minoranza. Ma queste sono parole ormai consumate, che suonano false. I politici onesti, i partiti che fanno certificare i loro bilanci non possono limitarsi ad essere i custodi della loro virtù. Essi, più d´ogni altro, hanno il dovere di agire, di pretendere un radicale mutamento, poiché non si può certo chiedere ai corrotti d´essere i protagonisti di una simile stagione.
Questi sono tempi di scoperte quotidiane dei modi fantasiosi in cui viene usato il denaro pubblico destinato ai partiti. Abbiamo conosciuto una nuova figura sociale, quella del tesoriere/faccendiere, sciolto da ogni vincolo, legittimato ad ogni impudicizia, milite ignoto per i leader dei partiti. Da lui si ritraggono, o meglio fingono di ritrarsi, i sodali di ieri. Ladri, pecore nere – questo sarebbero. E la responsabilità penale, come vuole la Costituzione, è e deve rimanere personale, non può contaminare gli altri dirigenti, gli onesti militanti. E così, per l´ennesima volta, viene eluso il nodo della responsabilità politica, che è assai diversa da quella penale, e ci si sottrae all´obbligo di mosse politiche impegnative, che avviino da subito quel tanto di rigenerazione di politica e partiti ancora possibile.
È di ieri la notizia che la commissione sulle retribuzioni di parlamentari e amministratori pubblici, affidata al presidente dell´Istat Enrico Giovannini, si è arresa, ha rimesso il suo mandato e ha invitato la politica a prendersi le sue responsabilità. Dal Governo è venuta la prevedibile risposta burocratica: «Proseguirà la propria azione nell´obiettivo di giungere ad una razionalizzazione dei trattamenti retributivi in carico alle amministrazioni pubbliche». E il Parlamento, e i partiti? Si rendono conto che l´uscita di scena di quella commissione non fa nascere un problema, ma è la caduta di un alibi? Il tempo è scaduto. Una agenda politica responsabile deve avere in cima la questione del finanziamento pubblico. In Parlamento sono state presentate molte proposte di legge, che qui non è possibile discutere nei dettagli. Ma è urgente una risposta immediata, anche nella forma di una disciplina transitoria, che blocchi definitivamente assurdità come il denaro a partiti inesistenti, ridimensioni radicalmente l´ammontare del finanziamento, imponga severissime regole di gestione e sanzioni penali adeguate. Un ceto politico con un minimo rispetto per se stesso, che aspiri ad una sopravvivenza rispettabile, o fa subito questo o è destinato ad essere giustamente sommerso dal discredito. E tuttavia anche questa mossa non basterebbe in assenza della nuova normativa sulla corruzione, oggi impantanata e per la quale il Governo non ha impiegato un grammo di quella energia spesa nella battaglia ideologica sull´articolo 18, pur sapendo che la corruzione è un vero freno agli investimenti e allo sviluppo. L´invito alla trasparenza del Presidente della Repubblica cade al momento giusto. E dovrebbe indurre ad uscire dagli opposti estremismi che hanno contribuito a far degenerare la questione del finanziamento pubblico. A chi difendeva un finanziamento pubblico senza se e senza ma, infatti, si è opposta la pericolosa suggestione di un finanziamento tutto privato. Certo, un referendum abrogativo del finanziamento pubblico è stato colpevolmente aggirato e sono stati ignorati proprio gli inviti ad abbandonare un sistema che impediva nella sostanza ogni controllo sui bilanci dei partiti (ricordo le accuse di moralismo rivolte negli anni ‘80 a Gustavo Minervini e ai deputati della Sinistra Indipendente che insistevano testardamente su questo tema). Ma una politica tutta affidata solo al contributo dei privati è fatalmente destinata alla dipendenza del potere economico, alla creazione di diseguaglianze. Questo tema è stato affrontato mille volte, ed è all´origine delle discipline sul finanziamento pubblico esistenti quasi ovunque, accompagnate però anche da limiti severi alle spese elettorali (in Francia Jack Lang perdette il suo seggio all´Assemblea nazionale per aver superato di poco la soglia fissata, mentre in Italia sono state cancellate tutte le pur modeste sanzioni previste dalle leggi). Proprio il costo delle elezioni divora la democrazia, come dimostra il loro vertiginoso accrescersi negli Stati Uniti, dove le nuove opportunità di raccolta di fondi direttamente dai cittadini, rese possibili da Internet, non hanno affatto ridimensionato il potere delle grandi imprese private, favorite da una “liberalizzazione” del finanziamento privato imposta dalla Corte Suprema. Non dimentichiamo che, all´inizio di questo millennio, alcuni senatori americani decisero di non riproporre la loro candidatura, dichiarando che il tempo da dedicare alla ricerca di fondi superava ormai quello dedicato allo svolgimento dei compiti pubblici. Un filosofo liberale, John Rawls, ha proposto che le campagne elettorali dovrebbero essere finanziate solo da fondi pubblici eguali per tutti i candidati, proprio per neutralizzare il potere del denaro. Pur senza accogliere questo suggerimento ragionevole e radicale, è ovvio che sono necessarie forme di incentivazione fiscale del finanziamento privato, accompagnate però da una totale pubblicità del nome d´ogni finanziatore. E non dimentichiamo, tornando a casa nostra, che il Pdl si fonda su una gigantesca fideiussione concessa da Silvio Berlusconi. Chi altri potrebbe fare lo stesso? E come non concludere che chi paga dall´interno diventa padrone del partito e della sua politica? E non dimentichiamo che l´unica opera di difesa della legalità possibile in questa materia viene, ancora una volta, dalla magistratura. Non a caso la sua affidabilità è grandemente cresciuta presso l´opinione pubblica, mentre precipita quella di Parlamento e partiti.