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Meloni: Giovani ricercatori, vigileremo su impegni governo, spirito norma Marino rimanga intatto. Stop a polemiche

Gli impegni assunti oggi al Senato dal ministro per l’Università e la Ricerca, Francesco Profumo, sull’imminente adozione di un disegno di legge volto a favorire i giovani ricercatori, sono positivi, e vigileremo circa il loro rispetto. Posto che sarebbe stato molto meglio affrontare in quella sede l’eventuale revisione delle modalità di attribuzione dei finanziamenti previsti a favore dei giovani ricercatori, è necessario che lo spirito della norma abrogata sia mantenuto intatto: i fondi, che – è bene precisarlo – continuano a essere destinati “a interventi in favore di ricercatori di età inferiore a 40 anni”, devono essere comunque assegnati attraverso meccanismi trasparenti e secondo il metodo della valutazione tra pari.
Non è pensabile che in Italia sia difficile trovare ricercatori “di livello eccellente” che abbiano meno di 40 anni, per costituire una commissione di valutazione: semmai il vero problema è che la loro preparazione non viene sufficientemente riconosciuta, visto che i meccanismi di accesso alla carriera, lenti e farraginosi, producono l’età media dei docenti universitari più alta del mondo.
Dunque al ministro Profumo chiediamo di adottare rapidamente un provvedimento che rispetti, sul punto specifico dell’assegnazione dei fondi per i giovani ricercatori, lo spirito della norma della Legge Finanziaria 2007 , e che affronti le numerose emergenze che riguardano l’università italiana, a partire dalla necessità di riaprire le porte ai giovani, riattivando i meccanismi di ingresso nella carriera, resi ancor più lenti e macchinosi dalla legge Gelmini e comunque bloccati ormai da 4 anni.
Al senatore Marino chiediamo di fornire, come suo solito, un positivo apporto alle proposte del PD, per contribuire all’elaborazione di un testo capace di cogliere realmente gli obiettivi cui oggi lo stesso ministro ha fatto riferimento, e al contempo di porre fine alle polemiche sul voto di ieri : i parlamentari democratici, in un momento delicatissimo, hanno scelto di favorire una rapida adozione del decreto semplificazioni, evitando di prestare il fianco alle forze politiche pronte a cogliere qualsiasi occasione per complicare la vita al governo Monti.

Così in una nota Marco Meloni, responsabile Università e Ricerca della Segreteria Nazionale PD

"I precari cancellati" di Franco Buccino

Emblematica figura della lunga e difficile crisi che stiamo attraversando è il precario, una sorta di vittima sacrificale nei riti propiziatori per la ripresa e il benessere, cioè i grandi incontri nazionali e internazionali sulle questioni economiche.
La crisi sta profondamente modificando le stesse caratteristiche del precario: sempre meno è il lavoratore in attesa della stabilizzazione, e sempre più un lavoratore alla giornata che passa dalla disoccupazione all´occupazione e viceversa, soprattutto, e che spesso è solo un disoccupato.
È un lavoratore giovane il precario, anzi sta contribuendo a spostare in avanti la fascia d´età dei giovani: spesso supera ormai la soglia dei quarant´anni. Ed è quasi certo che, alla fine della sua eventuale attività lavorativa, non riuscirà a percepire alcuna pensione, o solo un assegno largamente insufficiente per vivere.
Da disoccupati, precari, giovani, viene in mente l´acronimo “dispregio” a indicare l´indifferenza e il disprezzo nei loro confronti del mondo dell´economia e del lavoro, e, nei fatti, dell´intera società; un disprezzo del tutto ricambiato dai giovani precari e disoccupati, insieme al più profondo disincanto verso un mondo che li esclude e che li obbliga spesso a saltare tappe importanti di una vita normale: l´uscita dalla famiglia, il lavoro, una casa, il matrimonio, e domani forse la pensione.
Eppure, quando si fa l´analisi dei mali che affliggono il nostro paese, dalle indagini scientifiche ai sondaggi popolari, tutti convengono sul fatto che i due problemi principali del paese sono il debito pubblico e la disoccupazione giovanile. Che diventano le priorità di ogni programma di governo e di ogni accordo con le parti sociali.
Combattere entrambi con lo stesso impegno; anzi l´abbassamento del primo è funzionale alla riduzione della seconda. Poi, inevitabilmente, scatta la politica dei due tempi: subito sacrifici, tagli, nuove tasse, aumento dei prezzi e delle tariffe, domani lavoro, istruzione, welfare. Giovani, disoccupati, precari, pagano come i pensionati al minimo, i disabili, i non autosufficienti: molto più degli altri considerando le loro possibilità.
Quando poi il secondo tempo non arriva, sono come quei disperati che versano per un posto di lavoro promesso migliaia di euro, e poi scoprono la truffa. C´è un equivoco di fondo nel rapporto tra crisi economica, precariato e disoccupazione. Si parte dalla crisi e, passando per globalizzazione e competitività, si arriva a precari, licenziati e disoccupati, come se ci fosse un rapporto di causa ed effetto tra i due fenomeni.
La verità è che si decide di scaricare su di loro i costi della crisi, di farla pagare a loro, salvando altre categorie sociali e di lavoratori.
Da chi sono rappresentati i precari, viene da chiedersi. Certo non dal governo, ma neanche dai sindacati, almeno non pienamente. A una recente riunione delle rsu della scuola, a chi illustrava con una tabella i risultati di una lista nelle elezioni dal 2000 a oggi, un precario ha contrapposto, ricavandolo dalla stessa tabella, il numero degli addetti in continua flessione, anno dopo anno, segno della violenta espulsione di tanti lavoratori precari dal mondo della scuola. Garanzie per quelli di ruolo, nessuna per gli altri.
Si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro un grosso contenzioso, politico e sindacale, perché si è capito che con le modifiche dell´articolo 18 si vogliono precarizzare tutti i lavoratori: altro che estendere diritti ai precari. Ma se pure si salverà l´articolo 18, non si salveranno i precari. Non è rappresentanza la semplice tutela di precari che rimangono precari, di precari che vengono sempre in seconda battuta dopo i “tempi indeterminati”.
Si lascia così spazio di rappresentanza ad altri, che ondeggiano tra inquietanti progetti politici e mera speculazione. Disoccupati organizzati a Napoli che condizionano tempi, movimenti ed eventi della città. Pseudosindacati con sede presso uffici legali che procedono per ricorsi e azioni giudiziarie. Comitati e coordinamenti d´ogni genere, solleticati da politici spregiudicati di ogni schieramento.
L´ultima fase politica è caratterizzata dai moniti. Un monito alla stabilità politica, che sembra un ricatto. Moniti al rigore e all´equità, che sembrano veti incrociati in grado di annullare entrambi. Aggiungere moniti su giovani disoccupati e precari, per esempio che il paese perde il contributo d´intere generazioni e il ricambio di risorse umane non solo per il lavoro ma anche per la democrazia e l´impegno politico e civile, o che questi giovani possono diventare preda della malavita o di gruppi terroristici, eccetera, non serve francamente a nulla.
Si può continuare a decidere e concordare, per superare la crisi, misure e provvedimenti che ignorino disoccupati, precari, giovani. Con una preghiera, più che un monito: non dite che lo fate per loro.

La Repubblica 29.03.12

“I precari cancellati” di Franco Buccino

Emblematica figura della lunga e difficile crisi che stiamo attraversando è il precario, una sorta di vittima sacrificale nei riti propiziatori per la ripresa e il benessere, cioè i grandi incontri nazionali e internazionali sulle questioni economiche.
La crisi sta profondamente modificando le stesse caratteristiche del precario: sempre meno è il lavoratore in attesa della stabilizzazione, e sempre più un lavoratore alla giornata che passa dalla disoccupazione all´occupazione e viceversa, soprattutto, e che spesso è solo un disoccupato.
È un lavoratore giovane il precario, anzi sta contribuendo a spostare in avanti la fascia d´età dei giovani: spesso supera ormai la soglia dei quarant´anni. Ed è quasi certo che, alla fine della sua eventuale attività lavorativa, non riuscirà a percepire alcuna pensione, o solo un assegno largamente insufficiente per vivere.
Da disoccupati, precari, giovani, viene in mente l´acronimo “dispregio” a indicare l´indifferenza e il disprezzo nei loro confronti del mondo dell´economia e del lavoro, e, nei fatti, dell´intera società; un disprezzo del tutto ricambiato dai giovani precari e disoccupati, insieme al più profondo disincanto verso un mondo che li esclude e che li obbliga spesso a saltare tappe importanti di una vita normale: l´uscita dalla famiglia, il lavoro, una casa, il matrimonio, e domani forse la pensione.
Eppure, quando si fa l´analisi dei mali che affliggono il nostro paese, dalle indagini scientifiche ai sondaggi popolari, tutti convengono sul fatto che i due problemi principali del paese sono il debito pubblico e la disoccupazione giovanile. Che diventano le priorità di ogni programma di governo e di ogni accordo con le parti sociali.
Combattere entrambi con lo stesso impegno; anzi l´abbassamento del primo è funzionale alla riduzione della seconda. Poi, inevitabilmente, scatta la politica dei due tempi: subito sacrifici, tagli, nuove tasse, aumento dei prezzi e delle tariffe, domani lavoro, istruzione, welfare. Giovani, disoccupati, precari, pagano come i pensionati al minimo, i disabili, i non autosufficienti: molto più degli altri considerando le loro possibilità.
Quando poi il secondo tempo non arriva, sono come quei disperati che versano per un posto di lavoro promesso migliaia di euro, e poi scoprono la truffa. C´è un equivoco di fondo nel rapporto tra crisi economica, precariato e disoccupazione. Si parte dalla crisi e, passando per globalizzazione e competitività, si arriva a precari, licenziati e disoccupati, come se ci fosse un rapporto di causa ed effetto tra i due fenomeni.
La verità è che si decide di scaricare su di loro i costi della crisi, di farla pagare a loro, salvando altre categorie sociali e di lavoratori.
Da chi sono rappresentati i precari, viene da chiedersi. Certo non dal governo, ma neanche dai sindacati, almeno non pienamente. A una recente riunione delle rsu della scuola, a chi illustrava con una tabella i risultati di una lista nelle elezioni dal 2000 a oggi, un precario ha contrapposto, ricavandolo dalla stessa tabella, il numero degli addetti in continua flessione, anno dopo anno, segno della violenta espulsione di tanti lavoratori precari dal mondo della scuola. Garanzie per quelli di ruolo, nessuna per gli altri.
Si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro un grosso contenzioso, politico e sindacale, perché si è capito che con le modifiche dell´articolo 18 si vogliono precarizzare tutti i lavoratori: altro che estendere diritti ai precari. Ma se pure si salverà l´articolo 18, non si salveranno i precari. Non è rappresentanza la semplice tutela di precari che rimangono precari, di precari che vengono sempre in seconda battuta dopo i “tempi indeterminati”.
Si lascia così spazio di rappresentanza ad altri, che ondeggiano tra inquietanti progetti politici e mera speculazione. Disoccupati organizzati a Napoli che condizionano tempi, movimenti ed eventi della città. Pseudosindacati con sede presso uffici legali che procedono per ricorsi e azioni giudiziarie. Comitati e coordinamenti d´ogni genere, solleticati da politici spregiudicati di ogni schieramento.
L´ultima fase politica è caratterizzata dai moniti. Un monito alla stabilità politica, che sembra un ricatto. Moniti al rigore e all´equità, che sembrano veti incrociati in grado di annullare entrambi. Aggiungere moniti su giovani disoccupati e precari, per esempio che il paese perde il contributo d´intere generazioni e il ricambio di risorse umane non solo per il lavoro ma anche per la democrazia e l´impegno politico e civile, o che questi giovani possono diventare preda della malavita o di gruppi terroristici, eccetera, non serve francamente a nulla.
Si può continuare a decidere e concordare, per superare la crisi, misure e provvedimenti che ignorino disoccupati, precari, giovani. Con una preghiera, più che un monito: non dite che lo fate per loro.

La Repubblica 29.03.12

“I precari cancellati” di Franco Buccino

Emblematica figura della lunga e difficile crisi che stiamo attraversando è il precario, una sorta di vittima sacrificale nei riti propiziatori per la ripresa e il benessere, cioè i grandi incontri nazionali e internazionali sulle questioni economiche.
La crisi sta profondamente modificando le stesse caratteristiche del precario: sempre meno è il lavoratore in attesa della stabilizzazione, e sempre più un lavoratore alla giornata che passa dalla disoccupazione all´occupazione e viceversa, soprattutto, e che spesso è solo un disoccupato.
È un lavoratore giovane il precario, anzi sta contribuendo a spostare in avanti la fascia d´età dei giovani: spesso supera ormai la soglia dei quarant´anni. Ed è quasi certo che, alla fine della sua eventuale attività lavorativa, non riuscirà a percepire alcuna pensione, o solo un assegno largamente insufficiente per vivere.
Da disoccupati, precari, giovani, viene in mente l´acronimo “dispregio” a indicare l´indifferenza e il disprezzo nei loro confronti del mondo dell´economia e del lavoro, e, nei fatti, dell´intera società; un disprezzo del tutto ricambiato dai giovani precari e disoccupati, insieme al più profondo disincanto verso un mondo che li esclude e che li obbliga spesso a saltare tappe importanti di una vita normale: l´uscita dalla famiglia, il lavoro, una casa, il matrimonio, e domani forse la pensione.
Eppure, quando si fa l´analisi dei mali che affliggono il nostro paese, dalle indagini scientifiche ai sondaggi popolari, tutti convengono sul fatto che i due problemi principali del paese sono il debito pubblico e la disoccupazione giovanile. Che diventano le priorità di ogni programma di governo e di ogni accordo con le parti sociali.
Combattere entrambi con lo stesso impegno; anzi l´abbassamento del primo è funzionale alla riduzione della seconda. Poi, inevitabilmente, scatta la politica dei due tempi: subito sacrifici, tagli, nuove tasse, aumento dei prezzi e delle tariffe, domani lavoro, istruzione, welfare. Giovani, disoccupati, precari, pagano come i pensionati al minimo, i disabili, i non autosufficienti: molto più degli altri considerando le loro possibilità.
Quando poi il secondo tempo non arriva, sono come quei disperati che versano per un posto di lavoro promesso migliaia di euro, e poi scoprono la truffa. C´è un equivoco di fondo nel rapporto tra crisi economica, precariato e disoccupazione. Si parte dalla crisi e, passando per globalizzazione e competitività, si arriva a precari, licenziati e disoccupati, come se ci fosse un rapporto di causa ed effetto tra i due fenomeni.
La verità è che si decide di scaricare su di loro i costi della crisi, di farla pagare a loro, salvando altre categorie sociali e di lavoratori.
Da chi sono rappresentati i precari, viene da chiedersi. Certo non dal governo, ma neanche dai sindacati, almeno non pienamente. A una recente riunione delle rsu della scuola, a chi illustrava con una tabella i risultati di una lista nelle elezioni dal 2000 a oggi, un precario ha contrapposto, ricavandolo dalla stessa tabella, il numero degli addetti in continua flessione, anno dopo anno, segno della violenta espulsione di tanti lavoratori precari dal mondo della scuola. Garanzie per quelli di ruolo, nessuna per gli altri.
Si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro un grosso contenzioso, politico e sindacale, perché si è capito che con le modifiche dell´articolo 18 si vogliono precarizzare tutti i lavoratori: altro che estendere diritti ai precari. Ma se pure si salverà l´articolo 18, non si salveranno i precari. Non è rappresentanza la semplice tutela di precari che rimangono precari, di precari che vengono sempre in seconda battuta dopo i “tempi indeterminati”.
Si lascia così spazio di rappresentanza ad altri, che ondeggiano tra inquietanti progetti politici e mera speculazione. Disoccupati organizzati a Napoli che condizionano tempi, movimenti ed eventi della città. Pseudosindacati con sede presso uffici legali che procedono per ricorsi e azioni giudiziarie. Comitati e coordinamenti d´ogni genere, solleticati da politici spregiudicati di ogni schieramento.
L´ultima fase politica è caratterizzata dai moniti. Un monito alla stabilità politica, che sembra un ricatto. Moniti al rigore e all´equità, che sembrano veti incrociati in grado di annullare entrambi. Aggiungere moniti su giovani disoccupati e precari, per esempio che il paese perde il contributo d´intere generazioni e il ricambio di risorse umane non solo per il lavoro ma anche per la democrazia e l´impegno politico e civile, o che questi giovani possono diventare preda della malavita o di gruppi terroristici, eccetera, non serve francamente a nulla.
Si può continuare a decidere e concordare, per superare la crisi, misure e provvedimenti che ignorino disoccupati, precari, giovani. Con una preghiera, più che un monito: non dite che lo fate per loro.

La Repubblica 29.03.12

"Magneti Marelli, «l’Unità» torna nella bacheca sindacale", di Giulia Gentile

C’era stata una sollevazione popolare. E ora la ferita politica e sindacale è stata sanata: «l’Unità» è tornata nella bacheca della Magneti Marelli a Crevalcore. Il giorno dopo la sentenza del giudice sulle Rsu. Dai cancelli principali della Magneti Marelli rientrano a testa alta i delegati della Fiom-Cgil. E insieme a loro, le pagine de L’Unità. Nel “day after” della sentenza bolognese, con cui mercoledì un giudice ha imposto al gruppo Fiat di riconoscere i Responsabili sindacali d’azienda della Cgil nelle fabbriche del gruppo a Bologna e Crevalcore, nelle bacheche sindacali è comparso il primo volantino dei metalmeccanici Fiom.
E insieme a questo, sono state affisse di nuovo nella vetrina pubblica anche le pagine del nostro quotidiano, con il titolo di prima “Ritorno in fabbrica” e la foto dello stabilimento di via del Timavo a Bologna. «Abbiamo avuto dalla direzione le chiavi per affiggere un nostro comunicato e le prime tre pagine de L’Unità racconta Francesco Di Napoli, ex rsu Fiom di Crevalcore, a una quarantina di Km da Bologna -. Per noi era importante, dopo tre mesi di silenzio e censura, far vedere ai lavoratori che eravamo tornati». Poi sono arrivate le congratulazioni degli operai alle ex Rsu della sigla di categoria Cgil, che nello stabilimento del Bolognese rappresenta il 70 per cento su 350 tute blu, e a Bologna la maggioranza assoluta fra i 665 lavoratori. Ma se è vero che, per il rientro a tutti gli effetti dei delegati negli stabilimenti, secondo il segretario provinciale della Fiom-Cgil Bruno Papignani serviranno almeno alcuni giorni («Non prima di lunedì», pronostica Papignani), già ieri gli ex rsu hanno chiesto ai responsabili del personale di poter rientrare al più presto in possesso della saletta sindacale da cui erano stati sfrattati all’inizio dell’anno.
E pure delle bacheche “specifiche” per i giornali, dove almeno dagli anni Settanta ogni mattina i lavoratori Fiom affiggevano (spesso dopo aver fatto collette di autofinanziamento) il quotidiano fondato da Gramsci. «C’è un gran bel clima dice Massimo Monesi, delegato Fiom in via del Timavo a Bologna -: siamo contenti. E una volta chiariti definitivamente modalità e tempi tecnici del nostro rientro, torneremo alla carica per saletta e bacheca».
Nei giorni scorsi, nei due stabilimenti Marelli del Bolognese Fim-Cisl e Uilm-Uil avevano già avviato le procedure per le elezioni delle Rsa, che con il nuovo contratto del gruppo Fiat da dicembre hanno sostituito le vecchie rsu. Proprio per effetto del nuovo accordo aziendale, siglato tre mesi fa dalle sole Cisl e Uil, Fiom era stata di fatto cacciata dalle fabbriche del gruppo. E con lei, dall’inizio del mese, anche le bacheche con L’Unità erano sparite. «Sembrava volessero dirci “o pensi o lavori” riflette Daria Marrucci, con Monesi fra i sette ex delegati Fiom della ex Weber di Bologna oggi finalmente possiamo festeggiare». La delegata fa anche parte del coordinamento nazionale delle lavoratrici Fiat. E con loro, all’inizio di marzo aveva incontrato a Roma senatori e senatrici Pd per sottoporre loro uno dei tanti aspetti del nuovo contratto aziendale del Lingotto: quello che pone il veto sul premio di produttività (600 euro) per chi manca dal lavoro per oltre nove giorni nei primi sei mesi dell’anno. Ergo, soprattutto per le donne assenti per maternità (compresa quella obbligatoria), allattamento, cura di un famigliare o malattia di un figlio. «Abbiamo scritto anche al ministro Elsa Fornero ricorda Marrucci e ci aveva promesso che ci avrebbe incontrate. Per noi si tratta di una discriminazione chiarissima». Insieme agli altri delegati, e a molti lavoratori della Marelli, anche Daria lunedì prossimo sarà alla grande festa per L’Unità organizzata al bolognese teatro Duse. Intanto, il tam tam sulla vittoria in tribunale della Fiom cittadina passa attraverso il social network Facebook. «Ecco finalmente la libera bacheca sindacale di un tempo!!! esultavano ieri sulla pagina della Fiom-Marelli -. Con noi è rientrata in fabbrica anche L’Unità».

L’Unità 29.03.12

“Magneti Marelli, «l’Unità» torna nella bacheca sindacale”, di Giulia Gentile

C’era stata una sollevazione popolare. E ora la ferita politica e sindacale è stata sanata: «l’Unità» è tornata nella bacheca della Magneti Marelli a Crevalcore. Il giorno dopo la sentenza del giudice sulle Rsu. Dai cancelli principali della Magneti Marelli rientrano a testa alta i delegati della Fiom-Cgil. E insieme a loro, le pagine de L’Unità. Nel “day after” della sentenza bolognese, con cui mercoledì un giudice ha imposto al gruppo Fiat di riconoscere i Responsabili sindacali d’azienda della Cgil nelle fabbriche del gruppo a Bologna e Crevalcore, nelle bacheche sindacali è comparso il primo volantino dei metalmeccanici Fiom.
E insieme a questo, sono state affisse di nuovo nella vetrina pubblica anche le pagine del nostro quotidiano, con il titolo di prima “Ritorno in fabbrica” e la foto dello stabilimento di via del Timavo a Bologna. «Abbiamo avuto dalla direzione le chiavi per affiggere un nostro comunicato e le prime tre pagine de L’Unità racconta Francesco Di Napoli, ex rsu Fiom di Crevalcore, a una quarantina di Km da Bologna -. Per noi era importante, dopo tre mesi di silenzio e censura, far vedere ai lavoratori che eravamo tornati». Poi sono arrivate le congratulazioni degli operai alle ex Rsu della sigla di categoria Cgil, che nello stabilimento del Bolognese rappresenta il 70 per cento su 350 tute blu, e a Bologna la maggioranza assoluta fra i 665 lavoratori. Ma se è vero che, per il rientro a tutti gli effetti dei delegati negli stabilimenti, secondo il segretario provinciale della Fiom-Cgil Bruno Papignani serviranno almeno alcuni giorni («Non prima di lunedì», pronostica Papignani), già ieri gli ex rsu hanno chiesto ai responsabili del personale di poter rientrare al più presto in possesso della saletta sindacale da cui erano stati sfrattati all’inizio dell’anno.
E pure delle bacheche “specifiche” per i giornali, dove almeno dagli anni Settanta ogni mattina i lavoratori Fiom affiggevano (spesso dopo aver fatto collette di autofinanziamento) il quotidiano fondato da Gramsci. «C’è un gran bel clima dice Massimo Monesi, delegato Fiom in via del Timavo a Bologna -: siamo contenti. E una volta chiariti definitivamente modalità e tempi tecnici del nostro rientro, torneremo alla carica per saletta e bacheca».
Nei giorni scorsi, nei due stabilimenti Marelli del Bolognese Fim-Cisl e Uilm-Uil avevano già avviato le procedure per le elezioni delle Rsa, che con il nuovo contratto del gruppo Fiat da dicembre hanno sostituito le vecchie rsu. Proprio per effetto del nuovo accordo aziendale, siglato tre mesi fa dalle sole Cisl e Uil, Fiom era stata di fatto cacciata dalle fabbriche del gruppo. E con lei, dall’inizio del mese, anche le bacheche con L’Unità erano sparite. «Sembrava volessero dirci “o pensi o lavori” riflette Daria Marrucci, con Monesi fra i sette ex delegati Fiom della ex Weber di Bologna oggi finalmente possiamo festeggiare». La delegata fa anche parte del coordinamento nazionale delle lavoratrici Fiat. E con loro, all’inizio di marzo aveva incontrato a Roma senatori e senatrici Pd per sottoporre loro uno dei tanti aspetti del nuovo contratto aziendale del Lingotto: quello che pone il veto sul premio di produttività (600 euro) per chi manca dal lavoro per oltre nove giorni nei primi sei mesi dell’anno. Ergo, soprattutto per le donne assenti per maternità (compresa quella obbligatoria), allattamento, cura di un famigliare o malattia di un figlio. «Abbiamo scritto anche al ministro Elsa Fornero ricorda Marrucci e ci aveva promesso che ci avrebbe incontrate. Per noi si tratta di una discriminazione chiarissima». Insieme agli altri delegati, e a molti lavoratori della Marelli, anche Daria lunedì prossimo sarà alla grande festa per L’Unità organizzata al bolognese teatro Duse. Intanto, il tam tam sulla vittoria in tribunale della Fiom cittadina passa attraverso il social network Facebook. «Ecco finalmente la libera bacheca sindacale di un tempo!!! esultavano ieri sulla pagina della Fiom-Marelli -. Con noi è rientrata in fabbrica anche L’Unità».

L’Unità 29.03.12

“Magneti Marelli, «l’Unità» torna nella bacheca sindacale”, di Giulia Gentile

C’era stata una sollevazione popolare. E ora la ferita politica e sindacale è stata sanata: «l’Unità» è tornata nella bacheca della Magneti Marelli a Crevalcore. Il giorno dopo la sentenza del giudice sulle Rsu. Dai cancelli principali della Magneti Marelli rientrano a testa alta i delegati della Fiom-Cgil. E insieme a loro, le pagine de L’Unità. Nel “day after” della sentenza bolognese, con cui mercoledì un giudice ha imposto al gruppo Fiat di riconoscere i Responsabili sindacali d’azienda della Cgil nelle fabbriche del gruppo a Bologna e Crevalcore, nelle bacheche sindacali è comparso il primo volantino dei metalmeccanici Fiom.
E insieme a questo, sono state affisse di nuovo nella vetrina pubblica anche le pagine del nostro quotidiano, con il titolo di prima “Ritorno in fabbrica” e la foto dello stabilimento di via del Timavo a Bologna. «Abbiamo avuto dalla direzione le chiavi per affiggere un nostro comunicato e le prime tre pagine de L’Unità racconta Francesco Di Napoli, ex rsu Fiom di Crevalcore, a una quarantina di Km da Bologna -. Per noi era importante, dopo tre mesi di silenzio e censura, far vedere ai lavoratori che eravamo tornati». Poi sono arrivate le congratulazioni degli operai alle ex Rsu della sigla di categoria Cgil, che nello stabilimento del Bolognese rappresenta il 70 per cento su 350 tute blu, e a Bologna la maggioranza assoluta fra i 665 lavoratori. Ma se è vero che, per il rientro a tutti gli effetti dei delegati negli stabilimenti, secondo il segretario provinciale della Fiom-Cgil Bruno Papignani serviranno almeno alcuni giorni («Non prima di lunedì», pronostica Papignani), già ieri gli ex rsu hanno chiesto ai responsabili del personale di poter rientrare al più presto in possesso della saletta sindacale da cui erano stati sfrattati all’inizio dell’anno.
E pure delle bacheche “specifiche” per i giornali, dove almeno dagli anni Settanta ogni mattina i lavoratori Fiom affiggevano (spesso dopo aver fatto collette di autofinanziamento) il quotidiano fondato da Gramsci. «C’è un gran bel clima dice Massimo Monesi, delegato Fiom in via del Timavo a Bologna -: siamo contenti. E una volta chiariti definitivamente modalità e tempi tecnici del nostro rientro, torneremo alla carica per saletta e bacheca».
Nei giorni scorsi, nei due stabilimenti Marelli del Bolognese Fim-Cisl e Uilm-Uil avevano già avviato le procedure per le elezioni delle Rsa, che con il nuovo contratto del gruppo Fiat da dicembre hanno sostituito le vecchie rsu. Proprio per effetto del nuovo accordo aziendale, siglato tre mesi fa dalle sole Cisl e Uil, Fiom era stata di fatto cacciata dalle fabbriche del gruppo. E con lei, dall’inizio del mese, anche le bacheche con L’Unità erano sparite. «Sembrava volessero dirci “o pensi o lavori” riflette Daria Marrucci, con Monesi fra i sette ex delegati Fiom della ex Weber di Bologna oggi finalmente possiamo festeggiare». La delegata fa anche parte del coordinamento nazionale delle lavoratrici Fiat. E con loro, all’inizio di marzo aveva incontrato a Roma senatori e senatrici Pd per sottoporre loro uno dei tanti aspetti del nuovo contratto aziendale del Lingotto: quello che pone il veto sul premio di produttività (600 euro) per chi manca dal lavoro per oltre nove giorni nei primi sei mesi dell’anno. Ergo, soprattutto per le donne assenti per maternità (compresa quella obbligatoria), allattamento, cura di un famigliare o malattia di un figlio. «Abbiamo scritto anche al ministro Elsa Fornero ricorda Marrucci e ci aveva promesso che ci avrebbe incontrate. Per noi si tratta di una discriminazione chiarissima». Insieme agli altri delegati, e a molti lavoratori della Marelli, anche Daria lunedì prossimo sarà alla grande festa per L’Unità organizzata al bolognese teatro Duse. Intanto, il tam tam sulla vittoria in tribunale della Fiom cittadina passa attraverso il social network Facebook. «Ecco finalmente la libera bacheca sindacale di un tempo!!! esultavano ieri sulla pagina della Fiom-Marelli -. Con noi è rientrata in fabbrica anche L’Unità».

L’Unità 29.03.12