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“Aria di golpe contro il quid di Berlusconi”, di Francesco Lo Sardo

Fare fuori ora il cavaliere e Monti: giochi sull’articolo 18 per mantenere Pdl e poltrone. Il notabilato del Pdl è isterico: per l’horror vacui sul proprio futuro appeso alla scadenza delle amministrative, da cui teme che Berlusconi possa prendere l’abbrivio per liquidare la baracca. Il Cavaliere tace, o rassicura senza troppa convinzione, alimentando così il terrore nel partito. Alfano sta in mezzo, stritolato da questi e da quello. Questa, in sintesi, la fotografia della destra oggi. Fatti loro? No, fatti di Monti. Perché le violente tensioni che scuotono il Pdl stanno cominciando a scaricarsi, pericolosamente, sull’esecutivo tecnico.
É di ieri la voce trapelata da palazzo Grazioli che Berlusconi si sia raccomandato così ad Alfano, nel fine settimana: «Facciamo attenzione a non tirare troppo la corda sull’articolo 18…». Già, perché le sortite dei falchi del Pdl (in testa la componente ex An) sulla riforma del mercato del lavoro senza modifiche all’articolo 18, dagli strilli sul decreto-legge alle intimazioni ad Alfano – che non l’ha ottenuto – a convocare i vertici del partito per una resa dei conti dicono dell’intenzione di cercare l’incidente per rovesciare Monti: cercando una saldatura tra le opposte insofferenze che serpeggiano a sinistra e a destra nei confronti il tecnogoverno.
La manovra fallirà, i pompieri sono subito entrati in azione. Ma all’interno del Pdl la tensione è cresciuta ben oltre il livello di guardia e gli incidenti sono destinati a moltiplicarsi. Dietro le quinte del partito di Berlusconi, sotto il governo Monti, è in atto un terremoto. La battuta di Berlusconi sul quid che mancherebbe ad Alfano, presa a ridere fuori dalle mura del Pdl, ha avuto all’interno del rissoso condominio di ex An e ex forzisti l’impatto di uno tsunami.
Anche i sassi hanno ormai capito che Berlusconi (vero ispiratore delle varie liste locali da Forza Lecco, Forza Verona, Forza Monza…) intende liquidare il Pdl che sta assumendo la forma a lui più invisa: riti, quote, guai delle tessere finte, liti tra cacicchi. Berlusconi non ha ancora deciso quando pronunciarne la sentenza di morte: intanto però ha ripreso i rapporti con Fini e Casini, in vista del 2013, prima attraverso Pisanu e poi direttamente. Senza troppa pubblicità, tiene strettissimi contatti con Monti e, in compagnia di Gianni Letta, sale ogni tanto al Colle da Napolitano. Conferme che Berlusconi vuol restare l’azionista principale del governo e ristrutturarsi per meglio pesare negli assetti futuri e essere tra i king maker nella partita per il Quirinale: il Pdl, questo Pdl, gli è d’impiccio e d’impaccio. Non riunisce l’ufficio di presidenza dal 6 dicembre, infischiandosene delle richieste di La Russa: vuol tenersi le mani più libere che mai, da allora ha invitato solo una volta capigruppo, coordinatori e Alfano a pranzo. Quelli del Pdl, che conoscono bene Berlusconi, avvertono il pericolo per poltrone e rendite di posizione.
Sanno che per sopravvivere politicamente dovranno a tutti costi sbarrargli la strada. Perciò il putsch strisciante dei colonnelli, giocando in parte di sponda con un Alfano complice che s’arrampica sugli specchi per tenere insieme capra e cavoli, imprigionato nelle ragnatele correntizie e d’apparato, è già scattato: obiettivo, tenere in piedi la baracca partito e spartirsi le quote. Con gli ex An che nei provinciali sarebbero “risaliti” al 70/30 dei tempi di Fini.
Se la situazione politica precipitasse anzitempo, o comunque se si andasse al voto con un Pdl così, uguale a se stesso, senza alleati, condannato a perdere, per loro sarebbe una fortuna: un Berlusconi nell’ombra per cinque anni alle elezioni successive avrebbe 81 anni. E nessuna influenza sul partito.

da Europa Quotidiano 27.03.12

«Paese pronto ma serve dialogo» Sul lavoro Bersani compatta il Pd, di Simone Collini

Replica a Fornero: «Non è questione di cedere, ma di ragionare». La Direzione del Pd si chiude con un voto unanime sulla necessità di modificare in Parlamento la riforma del lavoro varata dal governo. Bersani: «No a proposte estemporanee, trasmettiamo sicurezza e unità». «Il Paese è prontissimo e il presidente Monti ha già visto come sia responsabile nell’affrontare la situazione, nel far fronte alla fase di emergenza. Ma per aiutarlo bisogna che ci sia un buon dialogo tra governo, Parlamento e forze politiche se non si vuole creare un distacco tra le sensibilità del Paese, il disagio che vive, e l’azione del governo». Pier Luigi Bersani viene a sapere della frase pronunciata dal presidente del Consiglio a Seoul (se l’Italia non si sente pronta possiamo non restare, è il senso) poco prima che prenda la parola per la replica finale alla Direzione Pd. Il leader dei Democratici le giudica parole «da non sopravvalutare»: «Gliel’ho sentito dire una ventina di volte, fa parte del ragionamento di una persona chiamata a risolvere dei problemi senza essersi candidata». Monti, dice Bersani, pone il tema di capire se ci sono le condizioni per andare avanti. «Io gli rispondo: ci sono le condizioni. Noi siamo lì per servire, basta lavorare con serietà, senza drammatizzare i problemi».
VOTO UNANIME
Per oltre sei ore il gruppo dirigente del Pd discute a porte chiuse del voto amministrativo di maggio, della necessità di cambiare la legge elettorale, ma soprattutto del sostegno al governo e della riforma del lavoro. Bersani apre i lavori sottolineando che il sostegno a Monti non è in discussione e che questo governo rimarrà in carica fino al 2013 (qui ha ringraziato Napolitano per il ruolo di «saldatura tra tecnica e politica» e qualcuno fa notare che non è scattato come di consueto l’applauso). Ma il leader del Pd sottolinea anche che in Parlamento bisognerà «colmare le lacune» sull’articolo 18 (la tesi è che si deve prevedere anche il reintegro e non solo l’indennizzo monetario per i lavoratori licenziati per motivi economici senza giusta causa). Una posizione ribadita negli interventi che seguono, e alla fine la relazione del segretario viene votata e approvata all’unanimità dai membri della Direzione.
IN PARLAMENTO CONFRONTO VERO
Bersani già guarda al confronto parlamentare sulla riforma del lavoro, che vuole «vero e serio». E il passaggio di ieri è servito a mostrare che il Pd arriverà a quell’appuntamento compatto sulla necessità di portare in porto le nuove norme ma al tempo stesso determinato a modificare il testo uscito dal Consiglio dei ministri. Presto si riunirà «un presidio sul lavoro», viene spiegato, cioè un tavolo composto da esponenti di tutte le anime del partito e dei gruppi parlamentari che coinvolgerà nella discussione le parti sociali. «Nelle prossime settimane non servono proposte estemporanee è il messaggio di Bersani non prestiamo il fianco a chi vuole un Pd partito delle 100 voci». Gli emendamenti che si stanno studiando hanno come obiettivo di garantire la possibilità del reintegro anche per i licenziamenti economici senza giusta causa (il testo del governo la prevede solo
per licenziamenti discriminatori e disciplinari, per gli altri ci sarebbe solo l’indennizzo). Il modello tedesco, insomma, che «garantisce equilibrio tra diritti e coesione sociale». Per Bersani, soprattutto in una fase di crisi come questa, «bisogna avere orecchio a un’insicurezza diffusa prodotta da una recessione molto seria»: «Il governo deve andare avanti ma bisogna trovare una soluzione per colmare un po’ l’ansia dei cittadini, lavorando con serenità e collaborando, accettando buoni consigli».
È con questo spirito che il Pd vuole andare al confronto in Parlamento, sapendo che il Pdl ha tutto l’interesse ad alzare i toni ed evocare la crisi di governo, di fronte all’aumentare dei consensi attorno al «modello tedesco» e alla consapevolezza che poi la discussione si aprirà anche sulla Rai, le frequenze televisive e le norme anticorruzione.
Così si spiegano le uscite di Angelino Alfano («o una buona riforma o nessuna riforma») e per questo Bersani raccomanda ai suoi di mantenere bassi i toni, di caratterizzare il Pd come una forza che «trasmette sicurezza e unità».
Meno, i vertici del Pd, si spiegano l’uscita del ministro del Lavoro Elsa Fornero, quell’annunciare che il governo non accetterà che il disegno di legge venga snaturato. «Non so cosa intenda il ministro Fornero quando dice “non cederemo”», scuote la testa Bersani. «Qui non è questione di cedere ma di ragionare, di capire come modificando questa norma si possa garantire un esito che assomigli alle migliori esperienze europee». Il leader del Pd dice di non credere che quando si aprirà la discussione in Parlamento il tema sarà «messo giù così, chi cede e chi vince»: «Noi non siamo interessati a vincere, siamo interessati a trovare una soluzione giusta. Una soluzione di riforma che abbia il sostegno di una coesione forte è un tema dirimente per la prospettiva di questo Paese. Bisogna riformare con il consenso. E questo è l’elemento che può dare fiducia sia in campo internazionale che nel campo interno».

L’Unità 27.03.12

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“Il Pd prende le misure al governo. Articolo 18, in direzione tutti d’accordo”, di Rudy Francesco Calvo

Bersani a Monti: «Lavoriamo con serietà, senza drammatizzare i problemi. Ma serve più dialogo». Quando Massimo D’Alema interviene per affermare di essere d’accordo sia con Pier Luigi Bersani che con Walter Veltroni, si rende conto che il momento merita di essere suggellato con una battuta: «Non vorrei che si pensasse che stiamo scrivendo il libro Cuore…». Effettivamente, era da un po’ che al Pd non si vedeva una direzione così concorde. La riunione era stata preparata fino alle ultime ore dallo stesso segretario e dal suo braccio destro Maurizio Migliavacca, che avevano sentito al telefono o incontrato a quattr’occhi tutti i big del partito, ricevendo risposte tranquillizzanti: sulla riforma del mercato del lavoro, il partito potrà presentarsi unito sia di fronte ai cittadini che nel confronto parlamentare con il governo e gli altri partiti.
A sancirlo è stato il voto unanime alla relazione di Bersani, arrivato quando ormai molti dirigenti avevano abbandonato la riunione, dopo aver lasciato a verbale il proprio sì. Forte di un Pd compatto alle proprie spalle, il segretario può ribattere al premier Monti, che da Seul minaccia di lasciare «se il paese non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro».
Bersani minimizza: «Gliel’ho sentito dire una ventina di volte». Garantisce che le condizioni per arrivare a una buona riforma del lavoro ci sono, ma avverte: «Lavoriamo con serenità, ci si aiuta anche ascoltandosi e prendendo qualche buona idea. Serve che ci sia collaborazione tra governo, parlamento e forze politiche». E ricorda: «Un meccanismo in uscita più simile a quello che avevamo proposto noi avrebbe diminuito i problemi». Di questo, garantisce, «il ministro Fornero si convincerà in parlamento». Lì il Pd presenterà le proprie proposte, elaborate congiuntamente dagli organi di partito e dai gruppi parlamentari.
La nota dolente dell’articolo 18 non annulla comunque gli altri aspetti positivi della riforma. Un punto su cui in direzione si sono soffermati in molti. «L’asse ci interessa portarlo a casa – conferma Bersani – su precarietà e ammortizzatori sociali ci sono passi avanti». Di «giudizio positivo sull’insieme» parla anche Paolo Gentiloni ed Enrico Letta invita il proprio partito a «rappresentare giovani ed esclusi e non solo il lavoro già oggi tutelato». Insomma, chi cercava «di introdurre un cuneo tra noi e il governo, isolare la Cgil e spaccare il Pd – spiega D’Alema – non c’è riuscito, è finito come Willy il Coyote».
Il dissenso sul tema del reintegro per i licenziamenti per motivi economici non cambia nemmeno il giudizio dei dem sul governo Monti. Bersani, d’altra parte, si muove confortato anche dai sondaggi che sono giunti sul suo tavolo nei giorni scorsi: gli italiani hanno forti dubbi sul punto specifico dell’articolo 18, sono un po’ meno scettici sull’impianto generale della riforma e, seppur in calo, confermano comunque la fiducia nel premier e nell’esecutivo. Statistiche che ricalcano la linea portata avanti dal segretario e da tutto il Pd: quel «tenere insieme il sostegno al governo e l’ansia dei cittadini» ribadito ancora ieri da Bersani. «In un paese carico di incertezze – è la preoccupazione del leader dem – dobbiamo trasmettere saldezza, unità, sicurezza, convinzione che diano il senso della nostra posizione». E Franceschini rafforza l’idea: «Il Pd non sta subendo il governo Monti, né lo sta vivendo come un governo lontano o, peggio, come se fosse di destra». Insomma, «Monti è tutt’altro che conservatore – ribadisce Letta – come troppi anche a casa nostra lo dipingono».
Il giudizio positivo è condiviso, ovviamente, anche da Walter Veltroni, che aggiunge: «Ora però è il momento della sfida della crescita coniugata all’equità, che il Pd deve saper accompagnare con le proprie proposte ». Un tema caro a Bersani, che torna a chiedere l’allentamento del patto di stabilità per i comuni, i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese e il sostegno a lavoratori e produttori. Anche così il Pd «lavora a una svolta rispetto alle politiche conservatrici del recente passato», che D’Alema invoca per il 2013. Se sul merito sono tutti d’accordo, sul metodo fa un appunto Veltroni, stigmatizzando «l’ossificazione correntizia» interna al partito e chiedendo di «discutere, lavorare, decidere insieme». In una parola, collegialità.

da Europa Quotidiano 27.03.12

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“Tutti contro la Fornero, il Pd ritrova l´unità”, di Giovanna Casadio

Quasi da “libro Cuore”. Massimo D´Alema fotografa con una battuta quello che accade al Pd, riunito in una direzione che dimentica di parlare di amministrative, preso com´è dall´offensiva sul mercato del lavoro. Questione da cui i Democratici si distraggono solo per mettere sul tappeto quell´altro tema cruciale che è la riforma elettorale e che segna divisioni nette nel partito. Ma contro la riforma Fornero tutto il Pd è unito sulla linea di Bersani: «Vogliamo la riforma ma ci sono lacune da correggere». Lo si farà in Parlamento. E lì, nel merito, il Pd avrà modo di divaricarsi sulle ricette (tra Ichino e Fassina), ma ieri no. Tanto che, annuncia il segretario, ci sarà «una task force unitaria, un tavolo con gruppi parlamentari e partito perché non dobbiamo avere 100 voci, stop alle uscite estemporanee». La soluzione condivisa sull´articolo 18 è il cosiddetto modello tedesco, ovvero la possibilità di risarcimento o reintegro decisa dal giudice per i licenziamenti individuali per motivi economici. Alla fine il voto sulla relazione di Bersani è unanime. Notizia diffusa in tempo reale su Twitter, perché – oltre a essere la prima direzione unitaria, è anche la prima seguita via tweet con foto postata: una birretta sul tavolo, che il segretario berrà a fine riunione.
Comincia con commenti sulla frase di Fornero riportata nel colloquio con Repubblica. Il ministro del Lavoro ha detto: «Non cederemo». Bersani non la cita nella relazione ma, in conferenza stampa post direzione, attacca e avverte: «Non so cosa intenda il ministro quando dice “non cederemo”. Qui non è questione di cedere ma di ragionare, di capire come modificando questa norma si possa garantire un esito che assomiglia alle migliori esperienze europee». In Parlamento, aggiunge, «non si potrà mettere giù così il tema, chi vince e chi perde, noi non siamo interessati a vincere, siamo interessati a trovare una soluzione giusta».
Nei capannelli in direzione, si parla di Fornero. Il malumore è forte nei confronti del governo e del ministro, definita «talebana». «Chi ha posto veti è lei, la Fornero», afferma Nicola Latorre. I cattolico democratici ricordano che sarebbe stato molto meglio alla guida del dicastero del Lavoro, Carlo Dell´Aringa. Gelo anche su Napolitano. Bersani ringrazia il capo dello Stato «per lo sforzo di saldatura tra tecnica e politica». Nessuno applaude. Solo Enrico Letta, il vice segretario, osserva: «Monti è tutt´altro che conservatore come troppi anche a casa nostra lo dipingono». Veltroni valorizza i punti di unità: «Apprezzo la relazione di Bersani», ma pressa: «Lavoriamo insieme, no all´ossificazione delle correnti e agli attacchi personali». D´Alema premette: «Come ha detto Walter…, ma non stiamo scrivendo il libro Cuore». Applausi. Applaudito anche quando afferma: «Chi ha sperato di spaccare il Pd e metterlo contro la Cgil, rischia di finire come Willy il coyote». Spiaccicato. Intervento appassionato di Bindi: «Con l´articolo 18 è in gioco la dignità dei lavoratori, senza il Pd la riforma non si fa». Finocchiaro: «Vogliamo cambiare un´ingiustizia». Intervengono tutti i big, e Sandro Gozi tweetta: «Sembra Ballarò, questi non molleranno mai». Franceschini parla anche di primarie per dire no a quelle per i candidati al Parlamento. Ci sarà un lifting-primarie. Si parla anche dei rimborsi elettorali ai Radicali, Rai, socialdemocrazia, della piazza Cgil. Meta: «Connettiamoci con il paese».

La Repubblica 27.03.12

"Quel maschio cattivo che abita in casa", di Adriano Sofri

Prendiamo una frase così: Gli uomini uccidono le donne. È una generalizzazione spaventosa: la stragrande maggioranza degli uomini non uccidono le donne. Eppure a una frase così succede di reagire con assai minor indignazione e minor sorpresa di quanto la statistica consentirebbe. Non dico delle donne, che sanno bene che cosa vuol dire la frase. Ma gli uomini, anche se la statistica dice che in Italia, non so, uno su 400 mila ammazza una donna in un anno, ammetteranno di sentire confusamente come mai uomini ammazzano donne.
L´uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla, catturarla – e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell´uomo maschio sta il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. E´ una metà della cosa: prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tanto, perché non si distragga dall´obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati. L´altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l´hai riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un´impossibilità. Non c´è carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c´è prigioniero più irriducibile della donna.
L´uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indomabile, e al suo fondo una propria inferiorità sessuale, un piacere pallido rispetto a quello che immagina sconfinato e astratto della donna – la sua capacità di puttana – e, quando si persuada di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la uccide. Lui, mediamente, vive: a volte tenta il suicidio, per lo più lo manca. Dice: “Sono incapace di intendere e di volere, perciò l´ho ammazzata”. L´altroieri le diceva: “Sono pazzo d´amore per te”. Voleva dire: “Sono incapace d´intendere e di volere, perciò ti amo”. Vivrà, compiangendosi, nel ricordo di lei, ormai soltanto sua – e comunque di nessun altro.
Ho scritto questa orrenda cosa: non perché non veda che è grossolanamente orrenda, ma perché penso che si avvicini alla verità. E´ una di quelle che si dicono male con le parole, dunque si preferirà fare un vuoto – un raptus, un´uscita da sé di cui non resterà memoria – e puntare sulle attenuanti generiche. Specifiche, fino a ieri, quando ammazzare una donna, specialmente la “propria” donna, era poco meno di un atto onorevole. La disparità, in questo campo, è senza uguali. Di fatto, perché le donne che ammazzano il “loro” uomo sono così rare da far leggere due volte la notizia, per controllare che non sia un benedetto errore del titolista – trafiletti, del resto. E di diritto e perfino di lessico, perché la parola era una sola, finora, a designare l´ammazzamento coniugale, uxoricidio, l´uccisione della moglie.
Il nuovo conio di “femminicidio” non è un puntiglio rivendicativo, è l´adeguamento stentato della lingua e della legge a una stortura di millenni. A meno che non fosse esaltata, che è l´altra faccia dell´avvento dell´amore romantico, gran rivoluzione in cui, nella nostra parte di mondo, si mescolarono la considerazione arcaica della donna forte e ribelle e infine domata in Grecia, e la nuova tenerezza che volle risarcirne l´inferiorità nel cristianesimo. Strada facendo, l´amore cavalleresco si conquistò uno spazio formidabile, e la donna dell´ideale non poté toccarsi nemmeno con un fiore – quanto alla reale, aveva il suo daffare, e non l´ha mai smesso: bella storia, grandiosamente rovesciata in amori così mirabili da indurre l´uomo ad ammazzarla, l´amata, e diventare così un eroe romantico, o un grande delinquente espressionista, o almeno un poveretto da compatire, per aver tanto sovrumanamente amato.
L´uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l´uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” – sono sempre questi, all´indomani, gli aggettivi dei vicini – che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera – dov´ero loro collega – avevano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti. Vi passa la voglia di simpatizzare per Otello e Moosbrugger, per la Sonata a Kreutzer o per l´Assassino speranza delle donne.
Le statistiche oscillano: viene ammazzata una donna, in Italia, ogni due giorni, ogni tre, secondo le più ottimistiche. Se le donne non fossero il genere umano, la parte decisiva del genere umano, e venissero guardate per un momento come un´etnia, o un gruppo religioso, o una preferenza sessuale, non se ne potrebbe spiegare l´inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un´autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo, che è sì altra cosa ma strettissimamente legata. Quel titolo, Uomini che odiano le donne, è diventato proverbiale scendendo da un nord civile e favoloso come la Svezia, una tremenda rivelazione. L´Italia, come le succede, si batte per il record, spinta dalla rapidità febbricitante dei suoi cambiamenti, dal ritardo alla rivalsa, e oggi le deplorazioni internazionali contro il femminicidio ci mettono assieme al Messico di Ciudad Juarez.
Oggi si parla di questo, ci si informa. E´ molto importante. Sono due gli strumenti decisivi per affrontare l´assassinio delle donne (e gli stupri, le persecuzioni, le botte, le minacce e le vite di paura): la polizia – e le leggi – e la cultura. La polizia femminile è il più significativo progresso del nostro Stato (e dell´Afghanistan). I due strumenti non sono, come si pensa, agli antipodi, una che arriva dopo il fatto, l´altra che lo previene da molto lontano. Vanno assieme, per prevenire da vicino e da lontano, e per sanzionare, materialmente e moralmente. Escono libri – l´ultimo che ho visto è Il silenzio degli uomini, di Iaia Caputo, Feltrinelli. Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza), sciorina un repertorio impressionante di fantasie maschili passate per scienza e legge. La Rai ha programmi nuovi ed efficaci. Su Rai 3 “Amore criminale”, ora condotto da Luisa Ranieri, ha raccontato decine di storie di donne uccise, storie di persone altrimenti gelate in un numero statistico, ognuna a suo modo terribile.
Da oggi Rai 1 trasmette quattro film contro le violenze sulle donne, di Liliana Cavani, Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel web sono ormai numerosi i siti che aggiornano fedelmente e discutono le notizie sulle donne assassinate, rinvenute, quando ci arrivano, dentro le cronache locali. Ci sono gruppi di uomini che hanno deciso di parlare di sé, come l´associazione “Maschile plurale”. Torno all´inizio. Noi uomini, se appena siamo capaci di ricordarci del modo in cui siamo stati iniziati, e non ci dichiariamo esonerati, sappiamo che cos´è la voglia frustrata o vendicativa o compiaciuta di malmenare e vessare le donne e la loro libertà. Lo sappiamo, come Endrigo quando passava da via Broletto, al numero 34, dove dorme l´amore mio. Non si sveglierà. Proprio sotto il cuore c´è un forellino rosso, rosso come un fiore.

La Repubblica 27.03.12

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“Una campagna nelle scuole per educare i ragazzi al rispetto”, di PAOLO GRISERI

Una campagna in tutte le scuole contro la violenza sulle donne. Francesco Profumo, ministro della Pubblica istruzione, annuncia una imminente chiamata a raccolta tra gli studenti perché presentino progetti da valutare in ottobre, in occasione della “Settimana contro la violenza” istituita per la prima volta, nel 2009, dai ministri Gelmini e Carfagna.
Ministro Profumo, le cifre sono inquietanti. Ogni due giorni una donna è vittima della violenza di un uomo. Che cosa può fare la scuola?
«In questi casi la scuola deve svolgere un lavoro quotidiano di educazione. Credo poco all´effetto degli eventi se non sono preceduti da un lavoro con i ragazzi. La ‘Settimana contro la violenza´ che si tiene in tutta Italia ad ottobre è un´occasione importante se riusciamo a farla precedere da un progetto comune con gli studenti».
Come funzionerà il progetto?
«L´idea è quella di far partire una chiamata e sollecitare proposte. Si tratta di suggerire i cento modi, le molte occasioni concrete per promuovere una educazione permanente al rispetto, che è poi la base di un corretto rapporto tra chi è differente».
Ci sono iniziative analoghe in altri paesi?
«E´ molto interessante l´esperienza spagnola. Perché realizzata in un paese di cultura mediterranea come il nostro. Queste esperienze possono essere replicate e migliorate ancora, per esempio sfruttando i social network. Se le proposte vengono dai ragazzi e sono discusse da loro, i risultati sono duraturi».
Lei fa l´esempio della Spagna. Perché la cultura mediterranea è più a rischio per le donne?
«C´è sicuramente un problema di modello culturale ma anche di riconoscimento sociale. Da generazioni nelle società del nord Europa il ruolo delle donne è valorizzato e rispettato. Questo è molto importante, ha conseguenze dirette sui comportamenti sociali e anche sull´atteggiamento dei maschi nei loro confronti. E´ un fatto che nei paesi mediterranei e nelle nostre società non è sempre così».
Lei pensa che il ruolo delle donne nella società possa avere una funzione educativa per i ragazzi?
«È fondamentale. Prima di fare il ministro io sono stato rettore del Politecnico di Torino. Nel corso degli anni ho visto aumentare considerevolmente il numero delle ragazze che si iscrivevano alla facoltà di Ingegneria, fino ad allora tradizionalmente frequentata dai ragazzi. Al punto che ancora oggi, se ci si riflette, ‘un ingegnere´ si scrive senza l´apostrofo anche se si sta parlando di una donna. Ebbene, oso pensare che una società in cui ci sono donne che diventano ingegneri, per dire di un mestiere oggi molto considerato, sia una società in cui, in generale, il rispetto per le donne sia maggiore e gli atti di violenza nei loro confronti tendano a diminuire».
Ci sono altre azioni, oltre alla vostra campagna nelle scuole, che possano raggiungere l´obiettivo?
«Penso che anche in questo campo, come in molti altri, sia indispensabile un rapporto stretto con il ministro Fornero, che è titolare del lavoro e delle pari opportunità. Nei prossimi anni lo schema classico per cui la scuola e lo studio precedono il lavoro verrà completamene rivoluzionato. Ciascuno alternerà periodi di studio e di lavoro, i due ambiti saranno sempre più intrecciati. Così accadrà che quel che succede nelle scuole influenzerà molto di più i modelli di comportamento negli uffici e nelle aziende. Promuovere atteggiamenti di rispetto tra generi sarà compito dei due ministeri insieme. Ne ho già parlato in queste ore con la collega Fornero e penso che presto troveremo il modo di collaborare su questo».
Il rispetto tra i generi come misura della modernità di una società?
«Certamente. Tanto più una società è in grado di far convivere ogni tipo del diversità al suo interno, tanto più è vitale. Il rispetto è il primo passo in questa direzione»,

La Repubblica 27.03.12

“Quel maschio cattivo che abita in casa”, di Adriano Sofri

Prendiamo una frase così: Gli uomini uccidono le donne. È una generalizzazione spaventosa: la stragrande maggioranza degli uomini non uccidono le donne. Eppure a una frase così succede di reagire con assai minor indignazione e minor sorpresa di quanto la statistica consentirebbe. Non dico delle donne, che sanno bene che cosa vuol dire la frase. Ma gli uomini, anche se la statistica dice che in Italia, non so, uno su 400 mila ammazza una donna in un anno, ammetteranno di sentire confusamente come mai uomini ammazzano donne.
L´uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla, catturarla – e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell´uomo maschio sta il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. E´ una metà della cosa: prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tanto, perché non si distragga dall´obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati. L´altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l´hai riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un´impossibilità. Non c´è carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c´è prigioniero più irriducibile della donna.
L´uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indomabile, e al suo fondo una propria inferiorità sessuale, un piacere pallido rispetto a quello che immagina sconfinato e astratto della donna – la sua capacità di puttana – e, quando si persuada di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la uccide. Lui, mediamente, vive: a volte tenta il suicidio, per lo più lo manca. Dice: “Sono incapace di intendere e di volere, perciò l´ho ammazzata”. L´altroieri le diceva: “Sono pazzo d´amore per te”. Voleva dire: “Sono incapace d´intendere e di volere, perciò ti amo”. Vivrà, compiangendosi, nel ricordo di lei, ormai soltanto sua – e comunque di nessun altro.
Ho scritto questa orrenda cosa: non perché non veda che è grossolanamente orrenda, ma perché penso che si avvicini alla verità. E´ una di quelle che si dicono male con le parole, dunque si preferirà fare un vuoto – un raptus, un´uscita da sé di cui non resterà memoria – e puntare sulle attenuanti generiche. Specifiche, fino a ieri, quando ammazzare una donna, specialmente la “propria” donna, era poco meno di un atto onorevole. La disparità, in questo campo, è senza uguali. Di fatto, perché le donne che ammazzano il “loro” uomo sono così rare da far leggere due volte la notizia, per controllare che non sia un benedetto errore del titolista – trafiletti, del resto. E di diritto e perfino di lessico, perché la parola era una sola, finora, a designare l´ammazzamento coniugale, uxoricidio, l´uccisione della moglie.
Il nuovo conio di “femminicidio” non è un puntiglio rivendicativo, è l´adeguamento stentato della lingua e della legge a una stortura di millenni. A meno che non fosse esaltata, che è l´altra faccia dell´avvento dell´amore romantico, gran rivoluzione in cui, nella nostra parte di mondo, si mescolarono la considerazione arcaica della donna forte e ribelle e infine domata in Grecia, e la nuova tenerezza che volle risarcirne l´inferiorità nel cristianesimo. Strada facendo, l´amore cavalleresco si conquistò uno spazio formidabile, e la donna dell´ideale non poté toccarsi nemmeno con un fiore – quanto alla reale, aveva il suo daffare, e non l´ha mai smesso: bella storia, grandiosamente rovesciata in amori così mirabili da indurre l´uomo ad ammazzarla, l´amata, e diventare così un eroe romantico, o un grande delinquente espressionista, o almeno un poveretto da compatire, per aver tanto sovrumanamente amato.
L´uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l´uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” – sono sempre questi, all´indomani, gli aggettivi dei vicini – che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera – dov´ero loro collega – avevano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti. Vi passa la voglia di simpatizzare per Otello e Moosbrugger, per la Sonata a Kreutzer o per l´Assassino speranza delle donne.
Le statistiche oscillano: viene ammazzata una donna, in Italia, ogni due giorni, ogni tre, secondo le più ottimistiche. Se le donne non fossero il genere umano, la parte decisiva del genere umano, e venissero guardate per un momento come un´etnia, o un gruppo religioso, o una preferenza sessuale, non se ne potrebbe spiegare l´inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un´autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo, che è sì altra cosa ma strettissimamente legata. Quel titolo, Uomini che odiano le donne, è diventato proverbiale scendendo da un nord civile e favoloso come la Svezia, una tremenda rivelazione. L´Italia, come le succede, si batte per il record, spinta dalla rapidità febbricitante dei suoi cambiamenti, dal ritardo alla rivalsa, e oggi le deplorazioni internazionali contro il femminicidio ci mettono assieme al Messico di Ciudad Juarez.
Oggi si parla di questo, ci si informa. E´ molto importante. Sono due gli strumenti decisivi per affrontare l´assassinio delle donne (e gli stupri, le persecuzioni, le botte, le minacce e le vite di paura): la polizia – e le leggi – e la cultura. La polizia femminile è il più significativo progresso del nostro Stato (e dell´Afghanistan). I due strumenti non sono, come si pensa, agli antipodi, una che arriva dopo il fatto, l´altra che lo previene da molto lontano. Vanno assieme, per prevenire da vicino e da lontano, e per sanzionare, materialmente e moralmente. Escono libri – l´ultimo che ho visto è Il silenzio degli uomini, di Iaia Caputo, Feltrinelli. Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza), sciorina un repertorio impressionante di fantasie maschili passate per scienza e legge. La Rai ha programmi nuovi ed efficaci. Su Rai 3 “Amore criminale”, ora condotto da Luisa Ranieri, ha raccontato decine di storie di donne uccise, storie di persone altrimenti gelate in un numero statistico, ognuna a suo modo terribile.
Da oggi Rai 1 trasmette quattro film contro le violenze sulle donne, di Liliana Cavani, Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel web sono ormai numerosi i siti che aggiornano fedelmente e discutono le notizie sulle donne assassinate, rinvenute, quando ci arrivano, dentro le cronache locali. Ci sono gruppi di uomini che hanno deciso di parlare di sé, come l´associazione “Maschile plurale”. Torno all´inizio. Noi uomini, se appena siamo capaci di ricordarci del modo in cui siamo stati iniziati, e non ci dichiariamo esonerati, sappiamo che cos´è la voglia frustrata o vendicativa o compiaciuta di malmenare e vessare le donne e la loro libertà. Lo sappiamo, come Endrigo quando passava da via Broletto, al numero 34, dove dorme l´amore mio. Non si sveglierà. Proprio sotto il cuore c´è un forellino rosso, rosso come un fiore.

La Repubblica 27.03.12

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“Una campagna nelle scuole per educare i ragazzi al rispetto”, di PAOLO GRISERI

Una campagna in tutte le scuole contro la violenza sulle donne. Francesco Profumo, ministro della Pubblica istruzione, annuncia una imminente chiamata a raccolta tra gli studenti perché presentino progetti da valutare in ottobre, in occasione della “Settimana contro la violenza” istituita per la prima volta, nel 2009, dai ministri Gelmini e Carfagna.
Ministro Profumo, le cifre sono inquietanti. Ogni due giorni una donna è vittima della violenza di un uomo. Che cosa può fare la scuola?
«In questi casi la scuola deve svolgere un lavoro quotidiano di educazione. Credo poco all´effetto degli eventi se non sono preceduti da un lavoro con i ragazzi. La ‘Settimana contro la violenza´ che si tiene in tutta Italia ad ottobre è un´occasione importante se riusciamo a farla precedere da un progetto comune con gli studenti».
Come funzionerà il progetto?
«L´idea è quella di far partire una chiamata e sollecitare proposte. Si tratta di suggerire i cento modi, le molte occasioni concrete per promuovere una educazione permanente al rispetto, che è poi la base di un corretto rapporto tra chi è differente».
Ci sono iniziative analoghe in altri paesi?
«E´ molto interessante l´esperienza spagnola. Perché realizzata in un paese di cultura mediterranea come il nostro. Queste esperienze possono essere replicate e migliorate ancora, per esempio sfruttando i social network. Se le proposte vengono dai ragazzi e sono discusse da loro, i risultati sono duraturi».
Lei fa l´esempio della Spagna. Perché la cultura mediterranea è più a rischio per le donne?
«C´è sicuramente un problema di modello culturale ma anche di riconoscimento sociale. Da generazioni nelle società del nord Europa il ruolo delle donne è valorizzato e rispettato. Questo è molto importante, ha conseguenze dirette sui comportamenti sociali e anche sull´atteggiamento dei maschi nei loro confronti. E´ un fatto che nei paesi mediterranei e nelle nostre società non è sempre così».
Lei pensa che il ruolo delle donne nella società possa avere una funzione educativa per i ragazzi?
«È fondamentale. Prima di fare il ministro io sono stato rettore del Politecnico di Torino. Nel corso degli anni ho visto aumentare considerevolmente il numero delle ragazze che si iscrivevano alla facoltà di Ingegneria, fino ad allora tradizionalmente frequentata dai ragazzi. Al punto che ancora oggi, se ci si riflette, ‘un ingegnere´ si scrive senza l´apostrofo anche se si sta parlando di una donna. Ebbene, oso pensare che una società in cui ci sono donne che diventano ingegneri, per dire di un mestiere oggi molto considerato, sia una società in cui, in generale, il rispetto per le donne sia maggiore e gli atti di violenza nei loro confronti tendano a diminuire».
Ci sono altre azioni, oltre alla vostra campagna nelle scuole, che possano raggiungere l´obiettivo?
«Penso che anche in questo campo, come in molti altri, sia indispensabile un rapporto stretto con il ministro Fornero, che è titolare del lavoro e delle pari opportunità. Nei prossimi anni lo schema classico per cui la scuola e lo studio precedono il lavoro verrà completamene rivoluzionato. Ciascuno alternerà periodi di studio e di lavoro, i due ambiti saranno sempre più intrecciati. Così accadrà che quel che succede nelle scuole influenzerà molto di più i modelli di comportamento negli uffici e nelle aziende. Promuovere atteggiamenti di rispetto tra generi sarà compito dei due ministeri insieme. Ne ho già parlato in queste ore con la collega Fornero e penso che presto troveremo il modo di collaborare su questo».
Il rispetto tra i generi come misura della modernità di una società?
«Certamente. Tanto più una società è in grado di far convivere ogni tipo del diversità al suo interno, tanto più è vitale. Il rispetto è il primo passo in questa direzione»,

La Repubblica 27.03.12

“Quel maschio cattivo che abita in casa”, di Adriano Sofri

Prendiamo una frase così: Gli uomini uccidono le donne. È una generalizzazione spaventosa: la stragrande maggioranza degli uomini non uccidono le donne. Eppure a una frase così succede di reagire con assai minor indignazione e minor sorpresa di quanto la statistica consentirebbe. Non dico delle donne, che sanno bene che cosa vuol dire la frase. Ma gli uomini, anche se la statistica dice che in Italia, non so, uno su 400 mila ammazza una donna in un anno, ammetteranno di sentire confusamente come mai uomini ammazzano donne.
L´uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla, catturarla – e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell´uomo maschio sta il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. E´ una metà della cosa: prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tanto, perché non si distragga dall´obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati. L´altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l´hai riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un´impossibilità. Non c´è carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c´è prigioniero più irriducibile della donna.
L´uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indomabile, e al suo fondo una propria inferiorità sessuale, un piacere pallido rispetto a quello che immagina sconfinato e astratto della donna – la sua capacità di puttana – e, quando si persuada di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la uccide. Lui, mediamente, vive: a volte tenta il suicidio, per lo più lo manca. Dice: “Sono incapace di intendere e di volere, perciò l´ho ammazzata”. L´altroieri le diceva: “Sono pazzo d´amore per te”. Voleva dire: “Sono incapace d´intendere e di volere, perciò ti amo”. Vivrà, compiangendosi, nel ricordo di lei, ormai soltanto sua – e comunque di nessun altro.
Ho scritto questa orrenda cosa: non perché non veda che è grossolanamente orrenda, ma perché penso che si avvicini alla verità. E´ una di quelle che si dicono male con le parole, dunque si preferirà fare un vuoto – un raptus, un´uscita da sé di cui non resterà memoria – e puntare sulle attenuanti generiche. Specifiche, fino a ieri, quando ammazzare una donna, specialmente la “propria” donna, era poco meno di un atto onorevole. La disparità, in questo campo, è senza uguali. Di fatto, perché le donne che ammazzano il “loro” uomo sono così rare da far leggere due volte la notizia, per controllare che non sia un benedetto errore del titolista – trafiletti, del resto. E di diritto e perfino di lessico, perché la parola era una sola, finora, a designare l´ammazzamento coniugale, uxoricidio, l´uccisione della moglie.
Il nuovo conio di “femminicidio” non è un puntiglio rivendicativo, è l´adeguamento stentato della lingua e della legge a una stortura di millenni. A meno che non fosse esaltata, che è l´altra faccia dell´avvento dell´amore romantico, gran rivoluzione in cui, nella nostra parte di mondo, si mescolarono la considerazione arcaica della donna forte e ribelle e infine domata in Grecia, e la nuova tenerezza che volle risarcirne l´inferiorità nel cristianesimo. Strada facendo, l´amore cavalleresco si conquistò uno spazio formidabile, e la donna dell´ideale non poté toccarsi nemmeno con un fiore – quanto alla reale, aveva il suo daffare, e non l´ha mai smesso: bella storia, grandiosamente rovesciata in amori così mirabili da indurre l´uomo ad ammazzarla, l´amata, e diventare così un eroe romantico, o un grande delinquente espressionista, o almeno un poveretto da compatire, per aver tanto sovrumanamente amato.
L´uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l´uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” – sono sempre questi, all´indomani, gli aggettivi dei vicini – che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera – dov´ero loro collega – avevano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti. Vi passa la voglia di simpatizzare per Otello e Moosbrugger, per la Sonata a Kreutzer o per l´Assassino speranza delle donne.
Le statistiche oscillano: viene ammazzata una donna, in Italia, ogni due giorni, ogni tre, secondo le più ottimistiche. Se le donne non fossero il genere umano, la parte decisiva del genere umano, e venissero guardate per un momento come un´etnia, o un gruppo religioso, o una preferenza sessuale, non se ne potrebbe spiegare l´inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un´autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo, che è sì altra cosa ma strettissimamente legata. Quel titolo, Uomini che odiano le donne, è diventato proverbiale scendendo da un nord civile e favoloso come la Svezia, una tremenda rivelazione. L´Italia, come le succede, si batte per il record, spinta dalla rapidità febbricitante dei suoi cambiamenti, dal ritardo alla rivalsa, e oggi le deplorazioni internazionali contro il femminicidio ci mettono assieme al Messico di Ciudad Juarez.
Oggi si parla di questo, ci si informa. E´ molto importante. Sono due gli strumenti decisivi per affrontare l´assassinio delle donne (e gli stupri, le persecuzioni, le botte, le minacce e le vite di paura): la polizia – e le leggi – e la cultura. La polizia femminile è il più significativo progresso del nostro Stato (e dell´Afghanistan). I due strumenti non sono, come si pensa, agli antipodi, una che arriva dopo il fatto, l´altra che lo previene da molto lontano. Vanno assieme, per prevenire da vicino e da lontano, e per sanzionare, materialmente e moralmente. Escono libri – l´ultimo che ho visto è Il silenzio degli uomini, di Iaia Caputo, Feltrinelli. Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza), sciorina un repertorio impressionante di fantasie maschili passate per scienza e legge. La Rai ha programmi nuovi ed efficaci. Su Rai 3 “Amore criminale”, ora condotto da Luisa Ranieri, ha raccontato decine di storie di donne uccise, storie di persone altrimenti gelate in un numero statistico, ognuna a suo modo terribile.
Da oggi Rai 1 trasmette quattro film contro le violenze sulle donne, di Liliana Cavani, Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel web sono ormai numerosi i siti che aggiornano fedelmente e discutono le notizie sulle donne assassinate, rinvenute, quando ci arrivano, dentro le cronache locali. Ci sono gruppi di uomini che hanno deciso di parlare di sé, come l´associazione “Maschile plurale”. Torno all´inizio. Noi uomini, se appena siamo capaci di ricordarci del modo in cui siamo stati iniziati, e non ci dichiariamo esonerati, sappiamo che cos´è la voglia frustrata o vendicativa o compiaciuta di malmenare e vessare le donne e la loro libertà. Lo sappiamo, come Endrigo quando passava da via Broletto, al numero 34, dove dorme l´amore mio. Non si sveglierà. Proprio sotto il cuore c´è un forellino rosso, rosso come un fiore.

La Repubblica 27.03.12

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“Una campagna nelle scuole per educare i ragazzi al rispetto”, di PAOLO GRISERI

Una campagna in tutte le scuole contro la violenza sulle donne. Francesco Profumo, ministro della Pubblica istruzione, annuncia una imminente chiamata a raccolta tra gli studenti perché presentino progetti da valutare in ottobre, in occasione della “Settimana contro la violenza” istituita per la prima volta, nel 2009, dai ministri Gelmini e Carfagna.
Ministro Profumo, le cifre sono inquietanti. Ogni due giorni una donna è vittima della violenza di un uomo. Che cosa può fare la scuola?
«In questi casi la scuola deve svolgere un lavoro quotidiano di educazione. Credo poco all´effetto degli eventi se non sono preceduti da un lavoro con i ragazzi. La ‘Settimana contro la violenza´ che si tiene in tutta Italia ad ottobre è un´occasione importante se riusciamo a farla precedere da un progetto comune con gli studenti».
Come funzionerà il progetto?
«L´idea è quella di far partire una chiamata e sollecitare proposte. Si tratta di suggerire i cento modi, le molte occasioni concrete per promuovere una educazione permanente al rispetto, che è poi la base di un corretto rapporto tra chi è differente».
Ci sono iniziative analoghe in altri paesi?
«E´ molto interessante l´esperienza spagnola. Perché realizzata in un paese di cultura mediterranea come il nostro. Queste esperienze possono essere replicate e migliorate ancora, per esempio sfruttando i social network. Se le proposte vengono dai ragazzi e sono discusse da loro, i risultati sono duraturi».
Lei fa l´esempio della Spagna. Perché la cultura mediterranea è più a rischio per le donne?
«C´è sicuramente un problema di modello culturale ma anche di riconoscimento sociale. Da generazioni nelle società del nord Europa il ruolo delle donne è valorizzato e rispettato. Questo è molto importante, ha conseguenze dirette sui comportamenti sociali e anche sull´atteggiamento dei maschi nei loro confronti. E´ un fatto che nei paesi mediterranei e nelle nostre società non è sempre così».
Lei pensa che il ruolo delle donne nella società possa avere una funzione educativa per i ragazzi?
«È fondamentale. Prima di fare il ministro io sono stato rettore del Politecnico di Torino. Nel corso degli anni ho visto aumentare considerevolmente il numero delle ragazze che si iscrivevano alla facoltà di Ingegneria, fino ad allora tradizionalmente frequentata dai ragazzi. Al punto che ancora oggi, se ci si riflette, ‘un ingegnere´ si scrive senza l´apostrofo anche se si sta parlando di una donna. Ebbene, oso pensare che una società in cui ci sono donne che diventano ingegneri, per dire di un mestiere oggi molto considerato, sia una società in cui, in generale, il rispetto per le donne sia maggiore e gli atti di violenza nei loro confronti tendano a diminuire».
Ci sono altre azioni, oltre alla vostra campagna nelle scuole, che possano raggiungere l´obiettivo?
«Penso che anche in questo campo, come in molti altri, sia indispensabile un rapporto stretto con il ministro Fornero, che è titolare del lavoro e delle pari opportunità. Nei prossimi anni lo schema classico per cui la scuola e lo studio precedono il lavoro verrà completamene rivoluzionato. Ciascuno alternerà periodi di studio e di lavoro, i due ambiti saranno sempre più intrecciati. Così accadrà che quel che succede nelle scuole influenzerà molto di più i modelli di comportamento negli uffici e nelle aziende. Promuovere atteggiamenti di rispetto tra generi sarà compito dei due ministeri insieme. Ne ho già parlato in queste ore con la collega Fornero e penso che presto troveremo il modo di collaborare su questo».
Il rispetto tra i generi come misura della modernità di una società?
«Certamente. Tanto più una società è in grado di far convivere ogni tipo del diversità al suo interno, tanto più è vitale. Il rispetto è il primo passo in questa direzione»,

La Repubblica 27.03.12

"Art. 18 e la grana degli esuberi", di Alessandra Ricciardi

Ci sono circa 10 mila professori di ruolo da ricollocare. Patroni Griffi riapre la partita del settore pubblico: flessibilità in uscita al tavolo con i sindacati. Nel balletto di dichiarazioni del governo, Patroni Griffi aveva aperto all’applicazione dell’articolo 18 agli statali, scuola compresa, il ministro del lavoro, Elsa Fornero, aveva smentito, la stessa Fornero ha poi però ammesso che se ne potrebbe parlare. E da ultimo il ministro competente per il settore pubblico, Filippo Patroni Griffi, ha detto che sì, di flessibilità in uscita si parlerà con i sindacati al tavolo aperto a Palazzo Vidoni su contratti e relazioni sindacali.

Un polverone, quello sull’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto modificato nell’ambito della riforma del mercato del lavoro, che non tiene conto che nel settore pubblico i licenziamenti per motivi economici si possono già fare. E non solo perché il decreto legislativo n.165 del 2001 richiama espressamente lo Statuto dei lavoratori, ma perché la legge di stabilità del 2012 disciplina proprio i licenziamenti nel pubblico in caso di esubero di personale. Una norma che finora non è sta mai applicata e che troverebbe proprio nella scuola il suo terreno di più immediato impatto. Nei primi incontri che si sono già svolti tra Funzione pubblica e sindacati, quando ancora il polverone art. 18 non era stato sollevato, si è parlato dei 10 mila docenti in esubero nella scuola e del caso anche dei 4 mila docenti inidonei all’insegnamento e che vanno riconvertiti. L’ultima legge di stabilità di Giulio Tremonti ha modificato l’art. 33 del decreto165/2001 che già definiva la gestione delle eccedenze di personale e mobilità collettiva e ha previsto una mobilità verso altri comparti, anche altre regioni, a caccia di un utilizzo dei dipendenti assunti a tempo indeterminato ma risultanti in più rispetto al profilo di assunzione.

Nel caso di esito negativo, c’è l’atto finale della messa in disponibilità per la durata di 2 anni e una indennità pari all’80% della retribuzione, a cui fa seguito il licenziamento. Le procedure non sono mai state avviate anche perché definire i passaggi da un’amministrazione all’altra non è operazione semplice, dovendosi comparare profili professionali e vacanze in organico.

Nel frattempo il contratto sulle utilizzazioni della scuola ha disposto l’impegno dei prof in soprannumero nelle sostituzioni o nei progetti per il recupero dei ragazzi. Ma si tratta di interventi tampone. Di mobilità dovrà parlarsi di nuovo e in altra sede.

da ItaliaOggi 27.03.12

“Art. 18 e la grana degli esuberi”, di Alessandra Ricciardi

Ci sono circa 10 mila professori di ruolo da ricollocare. Patroni Griffi riapre la partita del settore pubblico: flessibilità in uscita al tavolo con i sindacati. Nel balletto di dichiarazioni del governo, Patroni Griffi aveva aperto all’applicazione dell’articolo 18 agli statali, scuola compresa, il ministro del lavoro, Elsa Fornero, aveva smentito, la stessa Fornero ha poi però ammesso che se ne potrebbe parlare. E da ultimo il ministro competente per il settore pubblico, Filippo Patroni Griffi, ha detto che sì, di flessibilità in uscita si parlerà con i sindacati al tavolo aperto a Palazzo Vidoni su contratti e relazioni sindacali.

Un polverone, quello sull’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto modificato nell’ambito della riforma del mercato del lavoro, che non tiene conto che nel settore pubblico i licenziamenti per motivi economici si possono già fare. E non solo perché il decreto legislativo n.165 del 2001 richiama espressamente lo Statuto dei lavoratori, ma perché la legge di stabilità del 2012 disciplina proprio i licenziamenti nel pubblico in caso di esubero di personale. Una norma che finora non è sta mai applicata e che troverebbe proprio nella scuola il suo terreno di più immediato impatto. Nei primi incontri che si sono già svolti tra Funzione pubblica e sindacati, quando ancora il polverone art. 18 non era stato sollevato, si è parlato dei 10 mila docenti in esubero nella scuola e del caso anche dei 4 mila docenti inidonei all’insegnamento e che vanno riconvertiti. L’ultima legge di stabilità di Giulio Tremonti ha modificato l’art. 33 del decreto165/2001 che già definiva la gestione delle eccedenze di personale e mobilità collettiva e ha previsto una mobilità verso altri comparti, anche altre regioni, a caccia di un utilizzo dei dipendenti assunti a tempo indeterminato ma risultanti in più rispetto al profilo di assunzione.

Nel caso di esito negativo, c’è l’atto finale della messa in disponibilità per la durata di 2 anni e una indennità pari all’80% della retribuzione, a cui fa seguito il licenziamento. Le procedure non sono mai state avviate anche perché definire i passaggi da un’amministrazione all’altra non è operazione semplice, dovendosi comparare profili professionali e vacanze in organico.

Nel frattempo il contratto sulle utilizzazioni della scuola ha disposto l’impegno dei prof in soprannumero nelle sostituzioni o nei progetti per il recupero dei ragazzi. Ma si tratta di interventi tampone. Di mobilità dovrà parlarsi di nuovo e in altra sede.

da ItaliaOggi 27.03.12