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"Il tabù rovesciato", di Ezio Mauro

Dunque “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all´articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l´opposto.
Non c´è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C´è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.
Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale. La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama “la libertà di licenziare”, e che rischia di trasformare l´articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la “feroce gioia” di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato.
Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già “pronto”.

La Repubblica 27.03.12

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“Il Professore teme il binario morto”, di GOFFREDO DE MARCHIS

«La mia angoscia è che la riforma finisca su un binario morto. Questo non potrei accettarlo». Il presidente del Consiglio Mario Monti comincia a vedere troppe insidie intorno alla legge sul mercato del lavoro. La campagna imminente per le amministrative, un gioco di veti incrociati, una coperta che, se non si ferma la giostra dei rilanci, rischia di essere sempre corta da una parte o dall´altra. Ecco perché insiste sulla parola «equilibrio». Il segnale di Seul è diretto ai leader della sua “strana” maggioranza: Alfano, Bersani e Casini. «Certo, sono le Camere a fare le leggi. Ma una riforma così complessa non regge se prima non si trova un accordo politico blindato». Se ci si affida solo al dibattito parlamentare, i tempi possono diventare lunghissimi. «E di tempo non ne abbiamo». Un nuovo vertice a Palazzo Chigi sembra perciò scontato, al ritorno dalla lunga missione in Oriente.
Il messaggio che giunge dalla direzione del Partito democratico viene letto a Palazzo Chigi come un incoraggiamento. Che Bersani e i dirigenti del Pd all´unanimità non mettano in discussione la necessità di una riforma allontana il timore della melina democratica sull´articolo 18. Ma fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Così l´esecutivo, una volta scritto il disegno di legge, lo trasmetterà quasi sicuramente al Senato per la prima lettura. In quel ramo del Parlamento siedono infatti gli esperti di lavoro del Pd, a cominciare dagli ex cofferatiani Paolo Nerozzi e Achille Passoni. Ma soprattutto indirizzano le scelte del gruppo, con la loro competenza, i giuslavoristi Pietro Ichino e Tiziano Treu. Due pontieri di grande peso, due tifosi di Elsa Fornero. Ichino, durante la direzione, ha messo in guardia il partito: «Guardate cosa fa il Pdl. C´è una loro proposta che prefigura uno scambio: togliamo le nuove rigidità del mercato in entrata e concediamo qualcosa sulla flessibilità in uscita. Un disarmo bilanciato. Ma sapete cosa significa? Tornare allo status quo. Mentre noi dobbiamo dire con forza che la riforma, anche con le correzioni, la vogliamo».
Il professore-senatore individua il grande pericolo che Monti esprime con l´ultimatum coreano. Quello di un estenuante dibattito parlamentare, dove la concessione a una parte deve essere compensata dall´altra. E dove si infilerebbe la battaglia campale e già intrisa di suggestioni elettorali di Di Pietro e Bossi. Se è vero, come sottolinea spesso Casini, che Monti, altro che tecnico, si muove come un politico sottile e abilissimo, questa è la sua prova del fuoco. Il Pd ieri ha promesso un sostegno vero fino alla fine della legislatura, lo sforzo per una riforma del mercato del lavoro e una discussione in cui il partito non si presenterà diviso. Ha giocato di sponda con il governo. Bersani infatti ha minimizzato le parole del premier: «Quella frase gliela sento dire spesso. Fa bene a ricordare la natura del suo governo». Ma sui tempi il Pd offre garanzie? Il segretario chiede all´esecutivo una “tregua elettorale” per il voto dei comuni (6 maggio e secondo turno due settimane dopo). Non vuol dire chiudere la riforma nel cassetto, ma «prendere in esame un provvedimento complesso partendo dall´inizio. L´articolo 18 può essere votato alla fine», dice Enrico Letta, esponente democratico non sospettabile di simpatie per l´ala laburista e la Cgil.
Ma la conferma di una coperta corta arriva da Milano, dalla conferenza sul lavoro del Pdl. Le parole di Alfano sono un monito per il governo. E il frutto di un pressing delle imprese unito alle sirene delle elezioni locali da giocarsi ancora con la Lega. Gaetano Quagliariello evoca scenari apocalittici: «Rinunciando al decreto, il governo rischia che la riforma sia finita prima di partire». Schermaglie elettorali? Forse ma il problema c´è. Pier Ferdinando Casini non ha lanciato a caso l´allarme sulla crisi. Ci sarà anche nella sua posizione il desiderio di intestarsi la scelta di Monti per spingere i consensi verso il Terzo polo. Ma l´esternazione del premier gli dà ragione. Il Quirinale guarda ai movimenti delle forze politiche e alla capacità dell´esecutivo di trovare una sintesi. Il premier e Napolitano hanno l´ampia garanzia di Silvio Berlusconi: «Io non farò saltare il governo e la maggioranza», è la linea del Cavaliere. Eppure i timori di un inciampo che sta nelle cose fa fatica a essere fugato. A prescindere dalle possibili correzioni, l´incubo reale del Professore è che tutto resti com´è, che non si arrivi a nessuna riforma, che le sabbie mobili parlamentari avvolgano il mercato del lavoro come stanno facendo con le riforme istituzionali. Sarebbe una sconfitta pesantissima.

La Repubblica 27.03.12

“Il tabù rovesciato”, di Ezio Mauro

Dunque “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all´articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l´opposto.
Non c´è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C´è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.
Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale. La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama “la libertà di licenziare”, e che rischia di trasformare l´articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la “feroce gioia” di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato.
Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già “pronto”.

La Repubblica 27.03.12

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“Il Professore teme il binario morto”, di GOFFREDO DE MARCHIS

«La mia angoscia è che la riforma finisca su un binario morto. Questo non potrei accettarlo». Il presidente del Consiglio Mario Monti comincia a vedere troppe insidie intorno alla legge sul mercato del lavoro. La campagna imminente per le amministrative, un gioco di veti incrociati, una coperta che, se non si ferma la giostra dei rilanci, rischia di essere sempre corta da una parte o dall´altra. Ecco perché insiste sulla parola «equilibrio». Il segnale di Seul è diretto ai leader della sua “strana” maggioranza: Alfano, Bersani e Casini. «Certo, sono le Camere a fare le leggi. Ma una riforma così complessa non regge se prima non si trova un accordo politico blindato». Se ci si affida solo al dibattito parlamentare, i tempi possono diventare lunghissimi. «E di tempo non ne abbiamo». Un nuovo vertice a Palazzo Chigi sembra perciò scontato, al ritorno dalla lunga missione in Oriente.
Il messaggio che giunge dalla direzione del Partito democratico viene letto a Palazzo Chigi come un incoraggiamento. Che Bersani e i dirigenti del Pd all´unanimità non mettano in discussione la necessità di una riforma allontana il timore della melina democratica sull´articolo 18. Ma fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Così l´esecutivo, una volta scritto il disegno di legge, lo trasmetterà quasi sicuramente al Senato per la prima lettura. In quel ramo del Parlamento siedono infatti gli esperti di lavoro del Pd, a cominciare dagli ex cofferatiani Paolo Nerozzi e Achille Passoni. Ma soprattutto indirizzano le scelte del gruppo, con la loro competenza, i giuslavoristi Pietro Ichino e Tiziano Treu. Due pontieri di grande peso, due tifosi di Elsa Fornero. Ichino, durante la direzione, ha messo in guardia il partito: «Guardate cosa fa il Pdl. C´è una loro proposta che prefigura uno scambio: togliamo le nuove rigidità del mercato in entrata e concediamo qualcosa sulla flessibilità in uscita. Un disarmo bilanciato. Ma sapete cosa significa? Tornare allo status quo. Mentre noi dobbiamo dire con forza che la riforma, anche con le correzioni, la vogliamo».
Il professore-senatore individua il grande pericolo che Monti esprime con l´ultimatum coreano. Quello di un estenuante dibattito parlamentare, dove la concessione a una parte deve essere compensata dall´altra. E dove si infilerebbe la battaglia campale e già intrisa di suggestioni elettorali di Di Pietro e Bossi. Se è vero, come sottolinea spesso Casini, che Monti, altro che tecnico, si muove come un politico sottile e abilissimo, questa è la sua prova del fuoco. Il Pd ieri ha promesso un sostegno vero fino alla fine della legislatura, lo sforzo per una riforma del mercato del lavoro e una discussione in cui il partito non si presenterà diviso. Ha giocato di sponda con il governo. Bersani infatti ha minimizzato le parole del premier: «Quella frase gliela sento dire spesso. Fa bene a ricordare la natura del suo governo». Ma sui tempi il Pd offre garanzie? Il segretario chiede all´esecutivo una “tregua elettorale” per il voto dei comuni (6 maggio e secondo turno due settimane dopo). Non vuol dire chiudere la riforma nel cassetto, ma «prendere in esame un provvedimento complesso partendo dall´inizio. L´articolo 18 può essere votato alla fine», dice Enrico Letta, esponente democratico non sospettabile di simpatie per l´ala laburista e la Cgil.
Ma la conferma di una coperta corta arriva da Milano, dalla conferenza sul lavoro del Pdl. Le parole di Alfano sono un monito per il governo. E il frutto di un pressing delle imprese unito alle sirene delle elezioni locali da giocarsi ancora con la Lega. Gaetano Quagliariello evoca scenari apocalittici: «Rinunciando al decreto, il governo rischia che la riforma sia finita prima di partire». Schermaglie elettorali? Forse ma il problema c´è. Pier Ferdinando Casini non ha lanciato a caso l´allarme sulla crisi. Ci sarà anche nella sua posizione il desiderio di intestarsi la scelta di Monti per spingere i consensi verso il Terzo polo. Ma l´esternazione del premier gli dà ragione. Il Quirinale guarda ai movimenti delle forze politiche e alla capacità dell´esecutivo di trovare una sintesi. Il premier e Napolitano hanno l´ampia garanzia di Silvio Berlusconi: «Io non farò saltare il governo e la maggioranza», è la linea del Cavaliere. Eppure i timori di un inciampo che sta nelle cose fa fatica a essere fugato. A prescindere dalle possibili correzioni, l´incubo reale del Professore è che tutto resti com´è, che non si arrivi a nessuna riforma, che le sabbie mobili parlamentari avvolgano il mercato del lavoro come stanno facendo con le riforme istituzionali. Sarebbe una sconfitta pesantissima.

La Repubblica 27.03.12

“Il tabù rovesciato”, di Ezio Mauro

Dunque “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all´articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l´opposto.
Non c´è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C´è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.
Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale. La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama “la libertà di licenziare”, e che rischia di trasformare l´articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la “feroce gioia” di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato.
Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già “pronto”.

La Repubblica 27.03.12

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“Il Professore teme il binario morto”, di GOFFREDO DE MARCHIS

«La mia angoscia è che la riforma finisca su un binario morto. Questo non potrei accettarlo». Il presidente del Consiglio Mario Monti comincia a vedere troppe insidie intorno alla legge sul mercato del lavoro. La campagna imminente per le amministrative, un gioco di veti incrociati, una coperta che, se non si ferma la giostra dei rilanci, rischia di essere sempre corta da una parte o dall´altra. Ecco perché insiste sulla parola «equilibrio». Il segnale di Seul è diretto ai leader della sua “strana” maggioranza: Alfano, Bersani e Casini. «Certo, sono le Camere a fare le leggi. Ma una riforma così complessa non regge se prima non si trova un accordo politico blindato». Se ci si affida solo al dibattito parlamentare, i tempi possono diventare lunghissimi. «E di tempo non ne abbiamo». Un nuovo vertice a Palazzo Chigi sembra perciò scontato, al ritorno dalla lunga missione in Oriente.
Il messaggio che giunge dalla direzione del Partito democratico viene letto a Palazzo Chigi come un incoraggiamento. Che Bersani e i dirigenti del Pd all´unanimità non mettano in discussione la necessità di una riforma allontana il timore della melina democratica sull´articolo 18. Ma fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Così l´esecutivo, una volta scritto il disegno di legge, lo trasmetterà quasi sicuramente al Senato per la prima lettura. In quel ramo del Parlamento siedono infatti gli esperti di lavoro del Pd, a cominciare dagli ex cofferatiani Paolo Nerozzi e Achille Passoni. Ma soprattutto indirizzano le scelte del gruppo, con la loro competenza, i giuslavoristi Pietro Ichino e Tiziano Treu. Due pontieri di grande peso, due tifosi di Elsa Fornero. Ichino, durante la direzione, ha messo in guardia il partito: «Guardate cosa fa il Pdl. C´è una loro proposta che prefigura uno scambio: togliamo le nuove rigidità del mercato in entrata e concediamo qualcosa sulla flessibilità in uscita. Un disarmo bilanciato. Ma sapete cosa significa? Tornare allo status quo. Mentre noi dobbiamo dire con forza che la riforma, anche con le correzioni, la vogliamo».
Il professore-senatore individua il grande pericolo che Monti esprime con l´ultimatum coreano. Quello di un estenuante dibattito parlamentare, dove la concessione a una parte deve essere compensata dall´altra. E dove si infilerebbe la battaglia campale e già intrisa di suggestioni elettorali di Di Pietro e Bossi. Se è vero, come sottolinea spesso Casini, che Monti, altro che tecnico, si muove come un politico sottile e abilissimo, questa è la sua prova del fuoco. Il Pd ieri ha promesso un sostegno vero fino alla fine della legislatura, lo sforzo per una riforma del mercato del lavoro e una discussione in cui il partito non si presenterà diviso. Ha giocato di sponda con il governo. Bersani infatti ha minimizzato le parole del premier: «Quella frase gliela sento dire spesso. Fa bene a ricordare la natura del suo governo». Ma sui tempi il Pd offre garanzie? Il segretario chiede all´esecutivo una “tregua elettorale” per il voto dei comuni (6 maggio e secondo turno due settimane dopo). Non vuol dire chiudere la riforma nel cassetto, ma «prendere in esame un provvedimento complesso partendo dall´inizio. L´articolo 18 può essere votato alla fine», dice Enrico Letta, esponente democratico non sospettabile di simpatie per l´ala laburista e la Cgil.
Ma la conferma di una coperta corta arriva da Milano, dalla conferenza sul lavoro del Pdl. Le parole di Alfano sono un monito per il governo. E il frutto di un pressing delle imprese unito alle sirene delle elezioni locali da giocarsi ancora con la Lega. Gaetano Quagliariello evoca scenari apocalittici: «Rinunciando al decreto, il governo rischia che la riforma sia finita prima di partire». Schermaglie elettorali? Forse ma il problema c´è. Pier Ferdinando Casini non ha lanciato a caso l´allarme sulla crisi. Ci sarà anche nella sua posizione il desiderio di intestarsi la scelta di Monti per spingere i consensi verso il Terzo polo. Ma l´esternazione del premier gli dà ragione. Il Quirinale guarda ai movimenti delle forze politiche e alla capacità dell´esecutivo di trovare una sintesi. Il premier e Napolitano hanno l´ampia garanzia di Silvio Berlusconi: «Io non farò saltare il governo e la maggioranza», è la linea del Cavaliere. Eppure i timori di un inciampo che sta nelle cose fa fatica a essere fugato. A prescindere dalle possibili correzioni, l´incubo reale del Professore è che tutto resti com´è, che non si arrivi a nessuna riforma, che le sabbie mobili parlamentari avvolgano il mercato del lavoro come stanno facendo con le riforme istituzionali. Sarebbe una sconfitta pesantissima.

La Repubblica 27.03.12

Anche quella omosessuale è una "famiglia", di Vladimiro Zagrebelsky

La carta di soggiorno riconosciuta dalla Questura di Reggio Emilia a un cittadino uruguayano sposato in Spagna con un italiano, è la diretta conseguenza della sentenza del Tribunale che ha annullato il diniego inizialmente opposto. Il Tribunale ha affermato che il diritto dell’Unione europea, che ha tra i suoi fondamenti la libertà di circolazione nei Paesi membri, implica il diritto a veder tutelata l’unione familiare, così come formatasi nel Paese di provenienza. Il Tribunale ha confermato che la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è di competenza dei parlamenti nazionali. Il diritto dell’Unione però disciplina aspetti specifici che sono di sua pertinenza e tra questi quello della libertà di circolazione. La sentenza ricostruisce il diritto dell’Unione e quello italiano conseguente e limita la sua portata ad un aspetto specifico: quello degli effetti sulla nozione di famiglia di un matrimonio (come quello omosessuale ammesso dalla Spagna), in funzione della libertà di circolazione dei cittadini europei nell’ambito dell’Unione. Benché importante, si tratta di questione delimitata.

Ma il Tribunale chiude la sua motivazione con un richiamo che va ben oltre il caso specifico, osservando come «lungi dall’attuare un riconoscimento dello status matrimoniale, la soluzione adottata appaia comunque conforme all’esigenza di dare attuazione al “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso dall’articolo 2 della Costituzione». Un diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale con una sentenza del 2010 e in linea con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti umani. Quest’ultima ha confermato che appartiene agli Stati ammettere o negare i matrimoni omosessuali, ma che le unioni omosessuali (come d’altronde le unioni di fatto eterosessuali) danno luogo a una vita di famiglia, che va rispettata e protetta. Nello stesso senso si è recentemente espressa la Cassazione italiana sviluppando la motivazione di una sentenza con la quale ha negato la possibilità di trascrivere in Italia un matrimonio omosessuale celebrato all’estero. La Cassazione ha affermato che quel tipo di unione, indipendentemente dalla forma matrimoniale che il diritto italiano attualmente non ammette, merita il riconoscimento che deriva dal fatto che essa costituisce una famiglia. E la Carta dei diritti dell’Unione ha voluto espressamente considerare che esistono modi diversi dal matrimonio di costituire una famiglia.

La Costituzione, come la Convenzione europea dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta ogni discriminazione sulla base, tra l’altro, del sesso. Il divieto di discriminazione non equivale però al diritto a un trattamento per ogni aspetto eguale. Ma ogni differenza deve essere fondata su una differenza rilevante della situazione disciplinata. Larga è in proposito la discrezionalità di cui il legislatore può far uso, ma non senza limiti. Vegliano a che non ne abusi la Corte Costituzionale e la Corte europea.

Ecco allora che la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia rivela un respiro che va ben oltre il limitato caso concreto. I giudici nazionali ed europei adottano ormai una linea univoca: che le unioni omosessuali siano o no riconosciute come una forma legittima di matrimonio, è certo che esse non possono essere trattate come un fatto irrilevante. Una serie di aspetti della vita di coppia sono già presi in conto dalle leggi italiane. Il Tribunale cita ad esempio il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del compagno, il trasferimento del contratto di locazione, il diritto del convivente omosessuale di astenersi dal testimoniare. Altri diritti verranno fatti valere davanti ai giudici, che dovranno giudicare tenendo presente che in linea di principio il rispetto della vita familiare non può aver contenuto diverso se si tratta di coppia omo o eterosessuale. Giudicheranno interpretando le leggi in vigore, fin dove è possibile farlo in coerenza con i principi affermati, oppure rinvieranno alla Corte Costituzionale l’esame della costituzionalità di quelle leggi. E poi, se i ricorrenti non avranno avuto soddisfazione vi sarà magari anche il ricorso contro l’Italia davanti alla Corte europea dei diritti umani.

I Parlamenti spesso si dimostrano inclini ad evitare di prendere posizione in materie sensibili, che dividono e suscitano emozioni profonde, radicate nella tradizione e nell’abitudine secolare. I giudici invece non possono sottrarsi all’obbligo di decidere le cause che vengono loro presentate. Un poco per volta emerge un orientamento; nel nostro caso un orientamento omogeneo in sede nazionale ed europea. Ma le decisioni dei giudici riguardano ogni volta la sola questione posta e rischiano di non essere costanti e univoche. Da tempo si attende che il Parlamento assuma le sue responsabilità legislative e regoli una buona volta la materia. Piuttosto che piccole specifiche disposizioni, è il momento della disciplina organica. Comunque le si voglia chiamare, si tratta di riconoscere e disciplinare le unioni omosessuali.

La Stampa 27.03.12

Anche quella omosessuale è una “famiglia”, di Vladimiro Zagrebelsky

La carta di soggiorno riconosciuta dalla Questura di Reggio Emilia a un cittadino uruguayano sposato in Spagna con un italiano, è la diretta conseguenza della sentenza del Tribunale che ha annullato il diniego inizialmente opposto. Il Tribunale ha affermato che il diritto dell’Unione europea, che ha tra i suoi fondamenti la libertà di circolazione nei Paesi membri, implica il diritto a veder tutelata l’unione familiare, così come formatasi nel Paese di provenienza. Il Tribunale ha confermato che la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è di competenza dei parlamenti nazionali. Il diritto dell’Unione però disciplina aspetti specifici che sono di sua pertinenza e tra questi quello della libertà di circolazione. La sentenza ricostruisce il diritto dell’Unione e quello italiano conseguente e limita la sua portata ad un aspetto specifico: quello degli effetti sulla nozione di famiglia di un matrimonio (come quello omosessuale ammesso dalla Spagna), in funzione della libertà di circolazione dei cittadini europei nell’ambito dell’Unione. Benché importante, si tratta di questione delimitata.

Ma il Tribunale chiude la sua motivazione con un richiamo che va ben oltre il caso specifico, osservando come «lungi dall’attuare un riconoscimento dello status matrimoniale, la soluzione adottata appaia comunque conforme all’esigenza di dare attuazione al “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso dall’articolo 2 della Costituzione». Un diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale con una sentenza del 2010 e in linea con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti umani. Quest’ultima ha confermato che appartiene agli Stati ammettere o negare i matrimoni omosessuali, ma che le unioni omosessuali (come d’altronde le unioni di fatto eterosessuali) danno luogo a una vita di famiglia, che va rispettata e protetta. Nello stesso senso si è recentemente espressa la Cassazione italiana sviluppando la motivazione di una sentenza con la quale ha negato la possibilità di trascrivere in Italia un matrimonio omosessuale celebrato all’estero. La Cassazione ha affermato che quel tipo di unione, indipendentemente dalla forma matrimoniale che il diritto italiano attualmente non ammette, merita il riconoscimento che deriva dal fatto che essa costituisce una famiglia. E la Carta dei diritti dell’Unione ha voluto espressamente considerare che esistono modi diversi dal matrimonio di costituire una famiglia.

La Costituzione, come la Convenzione europea dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta ogni discriminazione sulla base, tra l’altro, del sesso. Il divieto di discriminazione non equivale però al diritto a un trattamento per ogni aspetto eguale. Ma ogni differenza deve essere fondata su una differenza rilevante della situazione disciplinata. Larga è in proposito la discrezionalità di cui il legislatore può far uso, ma non senza limiti. Vegliano a che non ne abusi la Corte Costituzionale e la Corte europea.

Ecco allora che la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia rivela un respiro che va ben oltre il limitato caso concreto. I giudici nazionali ed europei adottano ormai una linea univoca: che le unioni omosessuali siano o no riconosciute come una forma legittima di matrimonio, è certo che esse non possono essere trattate come un fatto irrilevante. Una serie di aspetti della vita di coppia sono già presi in conto dalle leggi italiane. Il Tribunale cita ad esempio il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del compagno, il trasferimento del contratto di locazione, il diritto del convivente omosessuale di astenersi dal testimoniare. Altri diritti verranno fatti valere davanti ai giudici, che dovranno giudicare tenendo presente che in linea di principio il rispetto della vita familiare non può aver contenuto diverso se si tratta di coppia omo o eterosessuale. Giudicheranno interpretando le leggi in vigore, fin dove è possibile farlo in coerenza con i principi affermati, oppure rinvieranno alla Corte Costituzionale l’esame della costituzionalità di quelle leggi. E poi, se i ricorrenti non avranno avuto soddisfazione vi sarà magari anche il ricorso contro l’Italia davanti alla Corte europea dei diritti umani.

I Parlamenti spesso si dimostrano inclini ad evitare di prendere posizione in materie sensibili, che dividono e suscitano emozioni profonde, radicate nella tradizione e nell’abitudine secolare. I giudici invece non possono sottrarsi all’obbligo di decidere le cause che vengono loro presentate. Un poco per volta emerge un orientamento; nel nostro caso un orientamento omogeneo in sede nazionale ed europea. Ma le decisioni dei giudici riguardano ogni volta la sola questione posta e rischiano di non essere costanti e univoche. Da tempo si attende che il Parlamento assuma le sue responsabilità legislative e regoli una buona volta la materia. Piuttosto che piccole specifiche disposizioni, è il momento della disciplina organica. Comunque le si voglia chiamare, si tratta di riconoscere e disciplinare le unioni omosessuali.

La Stampa 27.03.12

Anche quella omosessuale è una “famiglia”, di Vladimiro Zagrebelsky

La carta di soggiorno riconosciuta dalla Questura di Reggio Emilia a un cittadino uruguayano sposato in Spagna con un italiano, è la diretta conseguenza della sentenza del Tribunale che ha annullato il diniego inizialmente opposto. Il Tribunale ha affermato che il diritto dell’Unione europea, che ha tra i suoi fondamenti la libertà di circolazione nei Paesi membri, implica il diritto a veder tutelata l’unione familiare, così come formatasi nel Paese di provenienza. Il Tribunale ha confermato che la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è di competenza dei parlamenti nazionali. Il diritto dell’Unione però disciplina aspetti specifici che sono di sua pertinenza e tra questi quello della libertà di circolazione. La sentenza ricostruisce il diritto dell’Unione e quello italiano conseguente e limita la sua portata ad un aspetto specifico: quello degli effetti sulla nozione di famiglia di un matrimonio (come quello omosessuale ammesso dalla Spagna), in funzione della libertà di circolazione dei cittadini europei nell’ambito dell’Unione. Benché importante, si tratta di questione delimitata.

Ma il Tribunale chiude la sua motivazione con un richiamo che va ben oltre il caso specifico, osservando come «lungi dall’attuare un riconoscimento dello status matrimoniale, la soluzione adottata appaia comunque conforme all’esigenza di dare attuazione al “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso dall’articolo 2 della Costituzione». Un diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale con una sentenza del 2010 e in linea con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti umani. Quest’ultima ha confermato che appartiene agli Stati ammettere o negare i matrimoni omosessuali, ma che le unioni omosessuali (come d’altronde le unioni di fatto eterosessuali) danno luogo a una vita di famiglia, che va rispettata e protetta. Nello stesso senso si è recentemente espressa la Cassazione italiana sviluppando la motivazione di una sentenza con la quale ha negato la possibilità di trascrivere in Italia un matrimonio omosessuale celebrato all’estero. La Cassazione ha affermato che quel tipo di unione, indipendentemente dalla forma matrimoniale che il diritto italiano attualmente non ammette, merita il riconoscimento che deriva dal fatto che essa costituisce una famiglia. E la Carta dei diritti dell’Unione ha voluto espressamente considerare che esistono modi diversi dal matrimonio di costituire una famiglia.

La Costituzione, come la Convenzione europea dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta ogni discriminazione sulla base, tra l’altro, del sesso. Il divieto di discriminazione non equivale però al diritto a un trattamento per ogni aspetto eguale. Ma ogni differenza deve essere fondata su una differenza rilevante della situazione disciplinata. Larga è in proposito la discrezionalità di cui il legislatore può far uso, ma non senza limiti. Vegliano a che non ne abusi la Corte Costituzionale e la Corte europea.

Ecco allora che la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia rivela un respiro che va ben oltre il limitato caso concreto. I giudici nazionali ed europei adottano ormai una linea univoca: che le unioni omosessuali siano o no riconosciute come una forma legittima di matrimonio, è certo che esse non possono essere trattate come un fatto irrilevante. Una serie di aspetti della vita di coppia sono già presi in conto dalle leggi italiane. Il Tribunale cita ad esempio il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del compagno, il trasferimento del contratto di locazione, il diritto del convivente omosessuale di astenersi dal testimoniare. Altri diritti verranno fatti valere davanti ai giudici, che dovranno giudicare tenendo presente che in linea di principio il rispetto della vita familiare non può aver contenuto diverso se si tratta di coppia omo o eterosessuale. Giudicheranno interpretando le leggi in vigore, fin dove è possibile farlo in coerenza con i principi affermati, oppure rinvieranno alla Corte Costituzionale l’esame della costituzionalità di quelle leggi. E poi, se i ricorrenti non avranno avuto soddisfazione vi sarà magari anche il ricorso contro l’Italia davanti alla Corte europea dei diritti umani.

I Parlamenti spesso si dimostrano inclini ad evitare di prendere posizione in materie sensibili, che dividono e suscitano emozioni profonde, radicate nella tradizione e nell’abitudine secolare. I giudici invece non possono sottrarsi all’obbligo di decidere le cause che vengono loro presentate. Un poco per volta emerge un orientamento; nel nostro caso un orientamento omogeneo in sede nazionale ed europea. Ma le decisioni dei giudici riguardano ogni volta la sola questione posta e rischiano di non essere costanti e univoche. Da tempo si attende che il Parlamento assuma le sue responsabilità legislative e regoli una buona volta la materia. Piuttosto che piccole specifiche disposizioni, è il momento della disciplina organica. Comunque le si voglia chiamare, si tratta di riconoscere e disciplinare le unioni omosessuali.

La Stampa 27.03.12

Bersani: “Dobbiamo arginare la recessione”

Sintesi della relazione del segretario Pier Luigi Bersani durante la Direzione nazionale del PD.
“In un paese carico di incertezze dobbiamo trasmettere salvezza, unità, sicurezza, convinzione che diano il senso della nostra posizione”. Così il leader del PD, Pier Luigi Bersani durante la Direzione nazionale del Partito, ha introdotto la sua relazione poi votata e approvata all’unanimità dai delegati.

“Fisseremo un presidio sul lavoro, un tavolo con gruppi parlamentari e partito” nel quale si dialogherà con tutti i soggetti sociali. “Nelle prossime settimane non servono proposte estemporanee. Il PD non dev’essere un partito “con cento voci”.

C’è la “necessita’ di una politica attiva per contrastare la recessione” e serve “dare un segnale” chiaro in questo senso. Per dare respiro ai comuni c’è bisogno di una serie di interventi a tra cui “l’allentamento del Patto di stabilità”. È necessario dare un messaggio di riscossa nazionale: “noi siamo consapevoli dei problemi che ci sono e siamo consapevoli nel dare il nostro appoggio al governo Monti anche in questi momenti di grande incertezza”. Ma non dimentichiamoci cosa è successo fino a poco tempo fa e chi ha governato 8 degli ultimi 10 anni. Dalla destra non accettiamo nessuna lezione!

“Il Partito Democratico è il principale soggetto per il cambiamento e il riscatto del Paese. Il PD dovrà essere l’infrastruttura nazionale capace di andare e dire le proprie idee in molti posti politici, culturali e sociali”.

Riforma del Lavoro. “Proponiamo di abbassare i toni e chiediamo alle forze parlamentari di riflettere sui punti controversi” della riforma del Lavoro che approda in Parlamento. “Noi non siamo fermi, ma siamo stati i primi ad intercettare la preoccupazione crescente tra i lavoratori. Ricordiamoci che per affrontare la riforma ci vuole anche modestia: sono i lavoratori che conoscono bene cosa sia la cassa integrazione e l’articolo 18. Si può arrivare in tempi rapidi a un risultato ragionevole con un dibattito parlamentare serio e costruttivo per correggere le lacune che ci sono. Siamo positivi e fiduciosi sull’esito della riforma”.

Legge elettorale. “Una cosa è chiara: il PD non traccheggia sulla necessità di riformare la legge elettorale. Per noi quella è una priorità assoluta a cui vorremmo aggiungere anche la diminuzione del numero dei parlamentari e una legge riforma dei partiti”. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che laddove non arrivano i meccanismi elettorali è la politica che deve dare delle risposte. La domanda che parte dal profondo del Paese con chi vai e contro chi sei, pretende una risposta”.

“Le forze di centrosinistra di governo si rivolgeranno a tutte quelle forze moderate e civiche che vogliono andare oltre il populismo e il berlusconismo che molti danni hanno portato al paese”.

Primarie. La commissione statuto del PD si metterà subito al lavoro “per trovare soluzioni correttive che mettano in sicurezza le primarie”, soluzioni che saranno votate nella prossima assemblea del PD dopo le amministrative. “Nella malaugurata ipotesi che non si possa arrivare ad una riforma della legge elettorale, le primarie saranno uno strumento democratico fondamentale. Non possiamo non tenere conto delle preoccupazioni di Franceschini e dovremmo trovare dei meccanismi alternativi di designazione dei candidati. Quando si entrerà nel merito vedrete che sarà possibile”, ha detto Bersani in direzione chiudendone i lavori.

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Gli interventi durante la Direzione del PD
Alcuni commenti alla relazione di Bersani durante la Direzione nazionale del PD

“Dobbiamo valorizzare tutte le cose positive nella riforma del lavoro che riguardano i giovani, i precari e gli esclusi. Dobbiamo rappresentare i giovani e gli esclusi e non solo il lavoro oggi tutelato”. Lo ha sottolineato il vicesegretario del PD Enrico Letta che, alla Direzione del partito, ha evidenziato come “l’unità del PD è essenziale per la vita del governo Monti” apprezzando la relazione di Pier Luigi Bersani che “ha aiutato molto lo spirito unitario”.

“Nessuno strappo con il Governo: confermiamo la nostra scelta della fiducia al Governo fatta con generosità” con l’obiettivo di “salvare l’Italia dal disastro” ma “nello stesso tempo non rinunciamo ad affermare la nostra forza e quella del Parlamento” dunque a tentare di modificare il testo. Lo ha detto la capo gruppo del PD al Senato Anna Finocchiaro riassumendo la linea del Partito emersa dalla relazione del segretario Pier Luigi Bersani alla direzione del PD.

“Il PD, – ha continuato Finocchiaro – il più grande partito del Paese si pone l’obiettivo di modificare in Parlamento una ingiustizia. E’ così che dobbiamo spiegare al Paese la nostra posizione. La proposta del Governo, per quello che riguarda la parte relativa ai licenziamenti economici, sta gettando nello smarrimento larghe fasce sociali. E noi dobbiamo dire che è semplicemente ingiusto che un lavoratore ingiustamente licenziato possa contare solo sull’indennizzo”.

“Questo – ha spiegato ancora Anna Finocchiaro – è il ragionamento che dobbiamo fare in Parlamento, sui giornali, nelle nostre discussioni e anche nelle piazze. Io credo che questo sia l’approccio giusto per dimostrare che ci preoccupiamo delle condizioni reali di vita dei cittadini, rilanciando contestualmente le questioni che riguardano la crescita”.

“Siamo ad aprile e temo che il Pdl stia puntando a trascinare tutti in una soluzione indistinta. Occorre allora andare avanti anche con la sola legge elettorale, non possiamo permetterci di andare a votare col porcellum”. Lo ha detto il capogruppo del PD alla Camera, Dario Franceschini, nel suo intervento alla direzione del partito, sollevando qualche dubbio sulla possibilità di fare elezioni primarie per la selezione dei candidati alle politiche. “Le primarie per le liste plurinominali” sono rischiose, ha osservato, dopo casi come quelli di Napoli e Palermo.

“Sulla riforma del mercato del lavoro ho condiviso con il Segretario l’esigenza che la proposta del governo sia discussa e modificata”. Lo ha detto Walter Veltroni nel suo intervento alla direzione del PD. Dobbiamo lavorare “in Parlamento per rendere più forte la capacità di stabilizzare i milioni di giovani italiani ed evitando contemporaneamente di sottoporre a ulteriori tensioni quanti, con contratti di lavoro già in essere possano sentirsi esposti a inediti rischi di instabilità”.

Per Veltroni, la relazione di Bersani “ci ha fornito in questa circostanza una utile base di discussione e permette una unità del PD, un partito che discute ma poi è unito, come lo siamo stati in tutti i voti parlamentari”.

L’intervento di Massimo D’Alema è arrivato dopo quello di Walter Veltroni, che ha manifestato il proprio consenso alla relazione di Bersani. “Questo passaggio è stato pensato, interpretato da qualcuno come una occasione importante, un agguato preparato. Nel senso che ci si aspettava, arrivati a questo punto, di introdurre un cuneo tra noi e il governo, isolare la Cgil e spaccare il PD. Non ci sono riusciti, come Willy il coyote”.
“Non è così. Innanzitutto, perché la domanda di cambiare la riforma viene da tutti i sindacati, compresa la Ugl, dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Si tratta di una domanda larghissima di cui noi ci facciamo portatori”. “Non siamo subalterni a nessuno e noi ne possiamo uscire anche più uniti e credibili in un passaggio delicatissimo, perché la situazione è dura. Noi reggiamo nel rapporto tra la durezza delle scelte dell’oggi e la sofferenza del Paese se siamo anche in grado di dare forza al dopo, anche perché questo dopo non è così lontano: sono le elezioni del 2013″. Il presidente del Copasir si è lasciato sfuggire una battuta sul clima al positivo della direzione del partito: “non stiamo scrivendo il libro Cuore…”.

“Prima di una nuova cornice istituzionale, di cui non convince né l’ipotesi di sfiducia costruttiva né quella sul superamento del bicameralismo perfetto, la vera priorità è la riforma della legge elettorale”: lo ha ribadito Rosy Bindi alla direzione del partito. “Bene la decisione di convocare l’Assemblea nazionale, come avevamo chiesto. Concordo sulle priorità indicate nella relazione di Bersani: restituire agli elettori la scelta dei parlamentari e la scelta delle coalizioni di governo. Non mi convince la bozza Violante – fa presente – e non sono d’accordo con l’impostazione di D’Alema: un conto è chiedere i voti per un partito e il suo programma di governo, altro e’ lasciare ai partiti le mani libere dopo il voto per formare le alleanze.
Come si fa una campagna elettorale senza dire ai cittadini chi sono i nostri alleati e con chi vogliamo governare? Lo considero un passo indietro – conclude Rosy Bindi – che non farebbe bene alla politica, al Pd e al Bipolarismo’.

Quella di Bersani è stata una relazione “molto equilibrata, che condivido comprese le premesse”. Lo ha detto il deputato del PD Beppe Fioroni alla direzione del partito esprimendo la propria preoccupazione rispetto alla disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Per questo, ha evidenziato, “oltre alla legge elettorale e alle riforme, serve una profonda auto-riforma della politica a partire dal PD” che deve “ricostruire il patrimonio della politica che genera passione e identità evitando le scorciatoie della seconda Repubblica”.
Bisogna quindi andare avanti nella costruzione di una casa europea dei socialdemocratici e moderati e su questo “passare dalla parole ai fatti”, è l’invito di Fioroni. Tutto questo anche “per evitare che si utilizzino i nostri sostegni in Europa per dire che in Italia si sta costruendo una svolta a sinistra”. Di qui il plauso al passaggio dell’intervento di Bersani in cui si è sottolineata l’importanza “di un’alleanza con i moderati e cioè il Terzo Polo evitando di far credere che stiamo dando vita a una svolta a sinistra del PD”. Per quanto riguarda, infine, la legge elettorale, Fioroni ha ribadito la propria “solitaria posizione per le preferenze”.

“Sulla riforma del lavoro è in gioco il profilo stesso del Pd. Condivido il terreno comune di discussione offerto da Bersani e le proposte della sua relazione. Ma le richieste di correzione sull’art. 18 non possono oscurare il nostro giudizio positivo sull’insieme della riforma Fornero”. Lo ha detto Paolo Gentiloni nel corso della direzione del partito.
“Il Pd deve essere in prima fila nella battaglia per i diritti dei precari e per estendere le tutele ai lavoratori che oggi ne sono privi e non può essere invece l’ultima fila riluttante di un corteo che incita alla lotta contro i padroni e il governo”, ha concluso Gentiloni.

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