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"Auguri Tina, 85 anni dalla parte della democrazia", di Albertina Soliani

Domenica Tina Anselmi compie 85 anni. Nella sua Castelfranco Veneto, da dove è partita giovanissima per servire l’Italia nel sindacato, nella politica, con le donne. Una donna che testimonia come i valori della democrazia siano nelle mani del popolo, del popolo che resiste contro l’oppressione nazifascista, del popolo che partecipa alla vita democratica, del popolo che vigila perché le istituzioni non siano deviate.
La popolarità di Tina è sempre stata il segno di un’autentica identificazione con il destino democratico dell’Italia. Oggi, nel tempo in cui è in gioco la salvezza del paese, Tina ci richiama al valore essenziale della politica e della democrazia per la nuova Italia e per la nuova Europa, nel confronto globale tra economia e politica, tra il potere dei pochi e la sovranità dei molti.
Non vi è salvezza se non attraverso la politica, se non rafforzando la democrazia.
«La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare – ha detto – che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo». Parole decisive nel tempo della crisi dei partiti e dei sistemi istituzionali ed elettorali a cui il popolo si sente sempre più estraneo.
Se Tina è stata coraggiosamente presente nei mesi in cui la democrazia è stata conquistata, se si è spesa con grande passione per la costruzione sociale dell’Italia dal ministero della salute a quello del lavoro, la sua battaglia più difficile è stata quella per la difesa della democrazia. Dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, toccherà a Tina, dal luogo che è espressione della sovranità popolare, il parlamento, affrontare e smascherare la trama della P2, un’organizzazione segreta, anticostituzionale, un potere parallelo determinato a condizionare dall’esterno e dall’interno le istituzioni democratiche.
Tina ha retto lì, dopo che Nilde Iotti presidente della camera l’ha chiamata a presiedere la commissione parlamentare d’inchiesta, l’urto violento del potere. Una storia, come sappiamo, che continua.
Nell’oscurità della notte della Repubblica, Tina ha cercato con tutte le sue forze la verità, in nome del popolo italiano. Perché senza verità non c’è democrazia.
«Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio». Se la politica si alimenta della verità, se dalla verità deriva la moralità dei comportamenti allora la politica tornerà ad essere credibile. Per questo Tina ha pagato prezzi altissimi. Donne così hanno tenuto l’Italia sulla rotta democratica della storia. Di donne così oggi l’Italia ha bisogno più che mai.
Grazie Tina, siamo con te.

da Europa Quotidiano 24.03.12

“Auguri Tina, 85 anni dalla parte della democrazia”, di Albertina Soliani

Domenica Tina Anselmi compie 85 anni. Nella sua Castelfranco Veneto, da dove è partita giovanissima per servire l’Italia nel sindacato, nella politica, con le donne. Una donna che testimonia come i valori della democrazia siano nelle mani del popolo, del popolo che resiste contro l’oppressione nazifascista, del popolo che partecipa alla vita democratica, del popolo che vigila perché le istituzioni non siano deviate.
La popolarità di Tina è sempre stata il segno di un’autentica identificazione con il destino democratico dell’Italia. Oggi, nel tempo in cui è in gioco la salvezza del paese, Tina ci richiama al valore essenziale della politica e della democrazia per la nuova Italia e per la nuova Europa, nel confronto globale tra economia e politica, tra il potere dei pochi e la sovranità dei molti.
Non vi è salvezza se non attraverso la politica, se non rafforzando la democrazia.
«La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare – ha detto – che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo». Parole decisive nel tempo della crisi dei partiti e dei sistemi istituzionali ed elettorali a cui il popolo si sente sempre più estraneo.
Se Tina è stata coraggiosamente presente nei mesi in cui la democrazia è stata conquistata, se si è spesa con grande passione per la costruzione sociale dell’Italia dal ministero della salute a quello del lavoro, la sua battaglia più difficile è stata quella per la difesa della democrazia. Dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, toccherà a Tina, dal luogo che è espressione della sovranità popolare, il parlamento, affrontare e smascherare la trama della P2, un’organizzazione segreta, anticostituzionale, un potere parallelo determinato a condizionare dall’esterno e dall’interno le istituzioni democratiche.
Tina ha retto lì, dopo che Nilde Iotti presidente della camera l’ha chiamata a presiedere la commissione parlamentare d’inchiesta, l’urto violento del potere. Una storia, come sappiamo, che continua.
Nell’oscurità della notte della Repubblica, Tina ha cercato con tutte le sue forze la verità, in nome del popolo italiano. Perché senza verità non c’è democrazia.
«Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio». Se la politica si alimenta della verità, se dalla verità deriva la moralità dei comportamenti allora la politica tornerà ad essere credibile. Per questo Tina ha pagato prezzi altissimi. Donne così hanno tenuto l’Italia sulla rotta democratica della storia. Di donne così oggi l’Italia ha bisogno più che mai.
Grazie Tina, siamo con te.

da Europa Quotidiano 24.03.12

“Auguri Tina, 85 anni dalla parte della democrazia”, di Albertina Soliani

Domenica Tina Anselmi compie 85 anni. Nella sua Castelfranco Veneto, da dove è partita giovanissima per servire l’Italia nel sindacato, nella politica, con le donne. Una donna che testimonia come i valori della democrazia siano nelle mani del popolo, del popolo che resiste contro l’oppressione nazifascista, del popolo che partecipa alla vita democratica, del popolo che vigila perché le istituzioni non siano deviate.
La popolarità di Tina è sempre stata il segno di un’autentica identificazione con il destino democratico dell’Italia. Oggi, nel tempo in cui è in gioco la salvezza del paese, Tina ci richiama al valore essenziale della politica e della democrazia per la nuova Italia e per la nuova Europa, nel confronto globale tra economia e politica, tra il potere dei pochi e la sovranità dei molti.
Non vi è salvezza se non attraverso la politica, se non rafforzando la democrazia.
«La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare – ha detto – che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo». Parole decisive nel tempo della crisi dei partiti e dei sistemi istituzionali ed elettorali a cui il popolo si sente sempre più estraneo.
Se Tina è stata coraggiosamente presente nei mesi in cui la democrazia è stata conquistata, se si è spesa con grande passione per la costruzione sociale dell’Italia dal ministero della salute a quello del lavoro, la sua battaglia più difficile è stata quella per la difesa della democrazia. Dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, toccherà a Tina, dal luogo che è espressione della sovranità popolare, il parlamento, affrontare e smascherare la trama della P2, un’organizzazione segreta, anticostituzionale, un potere parallelo determinato a condizionare dall’esterno e dall’interno le istituzioni democratiche.
Tina ha retto lì, dopo che Nilde Iotti presidente della camera l’ha chiamata a presiedere la commissione parlamentare d’inchiesta, l’urto violento del potere. Una storia, come sappiamo, che continua.
Nell’oscurità della notte della Repubblica, Tina ha cercato con tutte le sue forze la verità, in nome del popolo italiano. Perché senza verità non c’è democrazia.
«Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio». Se la politica si alimenta della verità, se dalla verità deriva la moralità dei comportamenti allora la politica tornerà ad essere credibile. Per questo Tina ha pagato prezzi altissimi. Donne così hanno tenuto l’Italia sulla rotta democratica della storia. Di donne così oggi l’Italia ha bisogno più che mai.
Grazie Tina, siamo con te.

da Europa Quotidiano 24.03.12

Bersani: «Sul lavoro si cambia in Parlamento o tanto vale chiuderlo», di Simone Collini

Il telefonino squilla ma Pier Luigi Bersani non risponde. Continua invece a seguire gli interventi di sindaci e presidenti di Provincia del Pd riuniti a Genova in vista delle prossime amministrative, anche se sa che a Roma sta per cominciare il Consiglio dei ministri che deve varare la riforma sul lavoro. Passa ancora qualche minuto e il leader del Pd viene avvicinato da un membro del suo staff: «Ti sta cercando Monti». Uguale, niente.
Al presidente del Consiglio Bersani ha già spiegato in diversi colloqui che per il Pd è inaccettabile la sola «monetizzazione» per i licenziamenti per motivi economici, che se il testo uscirà da Palazzo Chigi come annunciato alle parti sociali, in Parlamento il suo partito presenterà un emendamento che garantisca il reintegro per chi è stato licenziato senza giusta causa, che ben più importante dell’intenzione di lanciare un messaggio ai mercati è l’esigenza di tener conto del disagio tra i ceti popolari, che bisogna fare attenzione a non introdurre elementi di «destabilizzazione» e che proprio perché siamo in una fase di recessione bisogna salvaguardare la coesione sociale. Tutto questo Bersani a Monti lo ha già detto.
CON I LAVORATORI
Fuori dal padiglione fieristico di piazzale Kennedy si forma un gruppetto di operai della Fincantieri e delle riparazioni navali. Vedono il simbolo del Pd all’entrata, chiedono di incontrare Bersani. Che questa volta si alza dalla sedia, abbandona i lavori ed esce all’aperto. Il copione è quello già visto, con le richieste di «staccare la spina» al governo e le minacce di non votare più Pd se venisse avallata l’operazione sui licenziamenti. «State tranquilli che quando si arriva al dunque, noi stiamo con i lavoratori, e ci siamo capiti».
E l’articolo 18?, urla uno. «Sono sicuro che si vorrà ragionare su questo, sennò chiudiamolo il Parlamento… non so se poi i mercati si tranquillizzano… comunque il Parlamento c’è e noi discuteremo».
E Napolitano che dice non ci sarà «una valanga di licenziamenti facili»? «Voglio ben credere che non ci sia, e credo che il Presidente Napolitano abbia detto una cosa saggia. Tuttavia, bisogna che noi le norme le sorvegliamo. Se si va verso il modello tedesco va bene, se entriamo in un film all’americana no. Stiamo in Europa e non intendo spostarmi da qui». Prima di salutarli e rientrare, li rassicura: «Noi teniamo botta».
«CON GLI ITALIANI»
Intanto a Roma è cominciato il Consiglio dei ministri. Dopo oltre cinque ore di riunione a Palazzo Chigi il testo sulla riforma del lavoro esce sotto forma di disegno di legge e non di decreto, e questo viene giudicato da Bersani un dato positivo («ora si può discutere»), quanto a suo giudizio, checché ne dica il Pdl, scontato («la materia è delicata e ci sono norme che scattano dal 2017, sono difficili da trovare i requisiti di emergenza»). Ma esce anche con la norma sui licenziamenti per motivi economici, che prevede per il datore di lavoro la sola condanna al pagamento di un’indennità, senza possibilità di reintegro. È quello che Bersani non voleva, è quello che sapeva Monti avrebbe fatto. Però va sul palco, ripete che sarebbe «una curiosa soluzione chiudere il Parlamento per rassicurare i mercati» («il governo rifletterà, nessun decreto è uscito dalle Camere uguale a come era entrato») e chiude l’assemblea degli amministratori locali del Pd dicendosi tranquillo: «Leggo sui giornali di un Bersani isolato, desolato, tribolato. No, sono tranquillissimo perché sono con gli italiani, noi siamo con gli italiani». Una frase di quelle che strappano l’applauso (e infatti) ma anche una frase dettata dall’osservazione dei sondaggi che circolano in questi giorni, dalla consapevolezza che anche tra l’elettorato degli altri partiti le modifiche all’articolo 18 vengono guardate con preoccupazione. «Non vogliamo farne una questione di bandierine del Pd, dico a tutte le forze politiche che riguarda anche loro, riguarda anche le persone che rappresentano loro. Non può esistere a nessun titolo, neanche per i licenziamenti economici, una soluzione unicamente di monetizzazione».
Agli altri dice però anche che il Pd è «un partito di governo» («non siamo agit prop né facciamo le cose in nome di un sindacato») e che se qualche «finto amico o avversario un po’ nascosto» punta ad «azzoppare chi tiene unito il Paese» deve fare attenzione a «giocare col fuoco», a «inventarsi un’altra eccezionalità italiana», perché in questa situazione «può venire fuori qualcosa che assomiglia più al populismo che alla tecnocrazia». Più esplicito e diretto il messaggio a Pdl e Lega: «Se l’Italia è finita sul ciglio del baratro è per colpa di chi diceva che i conti erano a posto e i ristoranti pieni. E ora non consentiremo di accorciare la memoria. Se c’è qualcosa da criticare a Monti noi possiamo farlo. Pdl e Lega no».

L’Unità 23.03.12

"Parlamento inutile se non cambia l´articolo 18", di Silvo Buzzanca

Bersani: sui diritti non sto zitto. D´Alema: Monti è lì solo per un po´. Gelo tra Pd e Colle. «Io isolato, desolato, tribolato, come scrivono i giornali? No, io sono tranquillo, sono tranquillissimo perché noi siamo con gli italiani». Pier Luigi Bersani attacca ancora sull´articolo 18 e la proposta varata dal governo Monti. Attacca fino alle estreme conseguenze, arriva a dire di essere «sereno che in Parlamento si vorrà ragionare altrimenti chiudiamo le Camere e così i mercati si rassicurano». Ma, avverte il segretario del Pd, «il Parlamento c´è e quindi discuteremo». Perché, ricorda il leader del Pd, «in tutti i decreti arrivati, ovviamente il Parlamento è intervenuto e su tutti ha sempre modificato qualcosa». Quindi si può, anzi si deve cambiare, anche la proposta del ministro Fornero sui licenziamenti.
Grande fiducia allora nel lavoro che faranno i gruppi parlamentari. Ma Bersani ha una grande preoccupazione: ha l´impressione che Monti e i suoi ministri non riescano a cogliere bene il disagio che c´è nel paese. Anche per questo, dopo avere detto di stare dalla parte degli italiani, ricorda alle altre forze politiche che il Pd non vuole fare dell´articolo 18 «una bandierina», ma che «al dunque, quando si arriva alla stretta, noi siamo con i lavoratori».
Il segretario, inoltre guarda alle manovre sul dopo Monti, vi intravede cose che non gli piacciono. «Sotto la pelle di questo paese – dice – c´è della roba pesante. Può venire fuori una cosa che assomiglierà più al populismo che alla tecnocrazia. Una cosa che manda a casa sia i politici sia i tecnici».
Un ammonimento sul futuro che in qualche maniera tradisce anche una certa irritazione verso il Quirinale e le continue prese di posizioni di Giorgio Napolitano a favore della riforma del lavoro. Bersani si è già visto costretto dal presidente della Repubblica a “optare” per il governo tecnico a scapito di elezioni anticipate forse vincenti. Quanto basta per un certo gelo tra i due. Così ieri non ha gradito l´assicurazione del capo dello Stato che non ci saranno licenziamenti di massa. «Il presidente Napolitano ha detto una cosa saggia; tuttavia bisogna che noi le norme le sorvegliamo», ha chiosato il segretario del Pd.
Il paese, insiste comunque Bersani, lo sta tenendo in piedi anche il Pd. Dopo deve tornare la politica. Una cosa che pensa anche Massimo D´Alema. «Monti starà qui per un po´, poi verranno altri governi», dice l´ex premier. E nel merito dell´articolo 18, D´Alema sta con il segretario. «Il Parlamento fa le leggi. Il governo dovrà adeguarsi alla volontà del Parlamento», dice il presidente del Copasir. Quella del governo è appunto – aggiunge Anna Finocchiaro – una proposta, e mi auguro che abbia la forza di correggere alcuni aspetti di questo provvedimento che noi non condividiamo».
Nel Pd dunque tutti, o quasi tutti, sono d´accordo con la linea del segretario. Anche Giuseppe Fioroni, responsabile Welfare del Pd, chiede al governo il reintegro per i licenziamenti di natura economica. Ma Paolo Gentiloni, invece non trova «scandaloso ricevere un risarcimento economico in caso di licenziamento». L´ex ministro non vuole neanche il partito «cinghia di trasmissione della Cgil e «vedrebbe molto bene la Fornero nel Pd». Vannino Chiti, invece, annuncia un voto contrario se le proposte non lo convinceranno.

La Repubblica 23.03.12

“Parlamento inutile se non cambia l´articolo 18”, di Silvo Buzzanca

Bersani: sui diritti non sto zitto. D´Alema: Monti è lì solo per un po´. Gelo tra Pd e Colle. «Io isolato, desolato, tribolato, come scrivono i giornali? No, io sono tranquillo, sono tranquillissimo perché noi siamo con gli italiani». Pier Luigi Bersani attacca ancora sull´articolo 18 e la proposta varata dal governo Monti. Attacca fino alle estreme conseguenze, arriva a dire di essere «sereno che in Parlamento si vorrà ragionare altrimenti chiudiamo le Camere e così i mercati si rassicurano». Ma, avverte il segretario del Pd, «il Parlamento c´è e quindi discuteremo». Perché, ricorda il leader del Pd, «in tutti i decreti arrivati, ovviamente il Parlamento è intervenuto e su tutti ha sempre modificato qualcosa». Quindi si può, anzi si deve cambiare, anche la proposta del ministro Fornero sui licenziamenti.
Grande fiducia allora nel lavoro che faranno i gruppi parlamentari. Ma Bersani ha una grande preoccupazione: ha l´impressione che Monti e i suoi ministri non riescano a cogliere bene il disagio che c´è nel paese. Anche per questo, dopo avere detto di stare dalla parte degli italiani, ricorda alle altre forze politiche che il Pd non vuole fare dell´articolo 18 «una bandierina», ma che «al dunque, quando si arriva alla stretta, noi siamo con i lavoratori».
Il segretario, inoltre guarda alle manovre sul dopo Monti, vi intravede cose che non gli piacciono. «Sotto la pelle di questo paese – dice – c´è della roba pesante. Può venire fuori una cosa che assomiglierà più al populismo che alla tecnocrazia. Una cosa che manda a casa sia i politici sia i tecnici».
Un ammonimento sul futuro che in qualche maniera tradisce anche una certa irritazione verso il Quirinale e le continue prese di posizioni di Giorgio Napolitano a favore della riforma del lavoro. Bersani si è già visto costretto dal presidente della Repubblica a “optare” per il governo tecnico a scapito di elezioni anticipate forse vincenti. Quanto basta per un certo gelo tra i due. Così ieri non ha gradito l´assicurazione del capo dello Stato che non ci saranno licenziamenti di massa. «Il presidente Napolitano ha detto una cosa saggia; tuttavia bisogna che noi le norme le sorvegliamo», ha chiosato il segretario del Pd.
Il paese, insiste comunque Bersani, lo sta tenendo in piedi anche il Pd. Dopo deve tornare la politica. Una cosa che pensa anche Massimo D´Alema. «Monti starà qui per un po´, poi verranno altri governi», dice l´ex premier. E nel merito dell´articolo 18, D´Alema sta con il segretario. «Il Parlamento fa le leggi. Il governo dovrà adeguarsi alla volontà del Parlamento», dice il presidente del Copasir. Quella del governo è appunto – aggiunge Anna Finocchiaro – una proposta, e mi auguro che abbia la forza di correggere alcuni aspetti di questo provvedimento che noi non condividiamo».
Nel Pd dunque tutti, o quasi tutti, sono d´accordo con la linea del segretario. Anche Giuseppe Fioroni, responsabile Welfare del Pd, chiede al governo il reintegro per i licenziamenti di natura economica. Ma Paolo Gentiloni, invece non trova «scandaloso ricevere un risarcimento economico in caso di licenziamento». L´ex ministro non vuole neanche il partito «cinghia di trasmissione della Cgil e «vedrebbe molto bene la Fornero nel Pd». Vannino Chiti, invece, annuncia un voto contrario se le proposte non lo convinceranno.

La Repubblica 23.03.12

“Parlamento inutile se non cambia l´articolo 18”, di Silvo Buzzanca

Bersani: sui diritti non sto zitto. D´Alema: Monti è lì solo per un po´. Gelo tra Pd e Colle. «Io isolato, desolato, tribolato, come scrivono i giornali? No, io sono tranquillo, sono tranquillissimo perché noi siamo con gli italiani». Pier Luigi Bersani attacca ancora sull´articolo 18 e la proposta varata dal governo Monti. Attacca fino alle estreme conseguenze, arriva a dire di essere «sereno che in Parlamento si vorrà ragionare altrimenti chiudiamo le Camere e così i mercati si rassicurano». Ma, avverte il segretario del Pd, «il Parlamento c´è e quindi discuteremo». Perché, ricorda il leader del Pd, «in tutti i decreti arrivati, ovviamente il Parlamento è intervenuto e su tutti ha sempre modificato qualcosa». Quindi si può, anzi si deve cambiare, anche la proposta del ministro Fornero sui licenziamenti.
Grande fiducia allora nel lavoro che faranno i gruppi parlamentari. Ma Bersani ha una grande preoccupazione: ha l´impressione che Monti e i suoi ministri non riescano a cogliere bene il disagio che c´è nel paese. Anche per questo, dopo avere detto di stare dalla parte degli italiani, ricorda alle altre forze politiche che il Pd non vuole fare dell´articolo 18 «una bandierina», ma che «al dunque, quando si arriva alla stretta, noi siamo con i lavoratori».
Il segretario, inoltre guarda alle manovre sul dopo Monti, vi intravede cose che non gli piacciono. «Sotto la pelle di questo paese – dice – c´è della roba pesante. Può venire fuori una cosa che assomiglierà più al populismo che alla tecnocrazia. Una cosa che manda a casa sia i politici sia i tecnici».
Un ammonimento sul futuro che in qualche maniera tradisce anche una certa irritazione verso il Quirinale e le continue prese di posizioni di Giorgio Napolitano a favore della riforma del lavoro. Bersani si è già visto costretto dal presidente della Repubblica a “optare” per il governo tecnico a scapito di elezioni anticipate forse vincenti. Quanto basta per un certo gelo tra i due. Così ieri non ha gradito l´assicurazione del capo dello Stato che non ci saranno licenziamenti di massa. «Il presidente Napolitano ha detto una cosa saggia; tuttavia bisogna che noi le norme le sorvegliamo», ha chiosato il segretario del Pd.
Il paese, insiste comunque Bersani, lo sta tenendo in piedi anche il Pd. Dopo deve tornare la politica. Una cosa che pensa anche Massimo D´Alema. «Monti starà qui per un po´, poi verranno altri governi», dice l´ex premier. E nel merito dell´articolo 18, D´Alema sta con il segretario. «Il Parlamento fa le leggi. Il governo dovrà adeguarsi alla volontà del Parlamento», dice il presidente del Copasir. Quella del governo è appunto – aggiunge Anna Finocchiaro – una proposta, e mi auguro che abbia la forza di correggere alcuni aspetti di questo provvedimento che noi non condividiamo».
Nel Pd dunque tutti, o quasi tutti, sono d´accordo con la linea del segretario. Anche Giuseppe Fioroni, responsabile Welfare del Pd, chiede al governo il reintegro per i licenziamenti di natura economica. Ma Paolo Gentiloni, invece non trova «scandaloso ricevere un risarcimento economico in caso di licenziamento». L´ex ministro non vuole neanche il partito «cinghia di trasmissione della Cgil e «vedrebbe molto bene la Fornero nel Pd». Vannino Chiti, invece, annuncia un voto contrario se le proposte non lo convinceranno.

La Repubblica 23.03.12