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"Da Gelmini a Profumo. Il cambiamento tarda ad arrivare", di Mariagrazia Gerina

Doveva essere l’anno del concorsone, l’anno in cui le porte della scuola italiana si riaprivano ai giovani aspiranti insegnanti, perché quelli che sono in cattedra sono troppo vecchi. Parola del ministro Francesco Profumo. Rischia di finire con una conta di nuovi docenti perdenti posto, 10.400 già ad oggi, dopo aver dedicato una vita all’insegnamento. Effetto incrociato delle politiche scolastiche messe in campodal precedente governo e delle nuove politiche pensionistiche introdotte dal governo tecnico. E come se non bastasse, per effetto degli accorpamenti disposti dalla manovra dell’estate scorsa, nelle scuole è scattato un valzer che rischia di far saltare i nervi anche agli insegnanti fino a ieri “blindati” dalla lunga esperienza accumulata.

CAOS ACCORPAMENTI Scuole lontane chilometri costrette a formare un solo grande istituto per raggiungere la fatidica quota di mille alunni e il fatidico taglio di 1300 istituti, corretto a 1050. In teoria, il risparmio dovrebbe essere a scapito solo dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi che conteranno alla fine 1050 posti in meno ciascuno. Ma di fatto, anche tra gli insegnanti è scattato un “gioco della sedia”, visto che tutti, anche quelli che vorrebbero restare lì dove hanno sempre insegnato, devono fare domanda di trasferimento al nuovo istituto. Con effetti distorsivi soprattutto per quelle scuole medie che fino a ieri contavano tre o quattro sedi, ora accorpate a diversi istituti comprensivi. E con un danno certo per la continuità didattica. Si capisce che alcune Regioni, come la Toscana, abbiano chiesto la proroga di un anno. Le questioni da affrontare, anche senza i nuovi dimensionamenti, sono abbastanza pesanti. Altro che nuovi assunti. Anche se ufficialmente non è prevista una ulteriore riduzione degli organici di diritto. Per ora, all’orizzonte ci sono solo nuovi tagli. Nella scuola primaria, per esempio, si perderanno almeno 2.200 posti visto che, per effetto della riforma Gelmini non corretto dal nuovo governo, manman oche spariscono le classi a tempo pieno, i nuovi organici si formano a misura di nuove classi con massimo 27 ore di lezione. Nelle superiori non va certo meglio. Anche se qui la scure si abbatte a macchia di leopardo. Tra le cattedre più colpite dal riordino, quelle di fisica, di filosofia, di diritto. E di scuola dell’arte, tagliata persino negli istituti tecnici per il turismo. «Nella mia scuola, più della metà dei docenti non ha la certezza di continuare a insegnare nel nostro istituto il prossimo anno», avverte Beppe Bagli, preside dell’Istituto tecnico professionale Da Vinci di Firenze – 2100 allievi, 220 insegnanti – e presidente del Cidi. «Il motto di Profumo era l’autonomia, macon organici che consentono a malapena di coprire le ore di lezione, dove le trovi le energie per progettarla? Ognuno si fa il suo progettino di classe e finisce lì», dice con profonda «delusione ». «Sulla scuola ci aspettavamo dal nuovo governo un segnale di discontinuità che ancora non c’è stato», denuncia la stessa Francesca Puglisi, responsabile delle Politiche scolastiche del Pd. Bruciano i tentativi andati a vuoto finora per far cambiare rotta al nuovo esecutivo. E i 10mila posti per la scuola spariti all’ultimo dal decreto sulle Semplificazioni. Dovevano servire per assumere insegnanti che si occupino di sostegno, integrazione e la lotta alla dispersione. «Il ministero non fornisce numeri,ma quello che temiamo è che per il prossimo anno ci saranno pochissime stabilizzazioni e un gran numero di sovrannumerari», spiega Puglisi

. I VECCHI E I GIOVANI Altro che concorso per giovani insegnanti. «Chiacchiere, questo governo si sta muovendo in continuità con il precedente e i tagli che in teoria dovrebbero essere finiti continuano in forma più complessa per effetto della riforma Gelmini», denuncia il segretario della Flc Cgil Domenico Pantaleo. La vera novità alla fine è che almeno 4mila insegnanti già pronti ad andare in pensione, con la riforma Fornero, dovranno restare dietro la cattedra. Il Pd aveva chiesto di introdurre nel Milleproroghe una norma ad hoc, ma non è stato concesso. «E quelli sono quattromila posti chenon si liberano per nuove assunzioni», rivendica Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd in Commissione Cultura. Pronta a tornare alla carica quando si discuterà del destino degli esodati. «Dire comefa Profumo che bisogna abbassare l’età media degli insegnanti – chiosa Puglisi – e prendere poi provvedimenti che vanno in direzione opposta è pura demagogia».
L’Unità 24.03.12

“Da Gelmini a Profumo. Il cambiamento tarda ad arrivare”, di Mariagrazia Gerina

Doveva essere l’anno del concorsone, l’anno in cui le porte della scuola italiana si riaprivano ai giovani aspiranti insegnanti, perché quelli che sono in cattedra sono troppo vecchi. Parola del ministro Francesco Profumo. Rischia di finire con una conta di nuovi docenti perdenti posto, 10.400 già ad oggi, dopo aver dedicato una vita all’insegnamento. Effetto incrociato delle politiche scolastiche messe in campodal precedente governo e delle nuove politiche pensionistiche introdotte dal governo tecnico. E come se non bastasse, per effetto degli accorpamenti disposti dalla manovra dell’estate scorsa, nelle scuole è scattato un valzer che rischia di far saltare i nervi anche agli insegnanti fino a ieri “blindati” dalla lunga esperienza accumulata.

CAOS ACCORPAMENTI Scuole lontane chilometri costrette a formare un solo grande istituto per raggiungere la fatidica quota di mille alunni e il fatidico taglio di 1300 istituti, corretto a 1050. In teoria, il risparmio dovrebbe essere a scapito solo dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi che conteranno alla fine 1050 posti in meno ciascuno. Ma di fatto, anche tra gli insegnanti è scattato un “gioco della sedia”, visto che tutti, anche quelli che vorrebbero restare lì dove hanno sempre insegnato, devono fare domanda di trasferimento al nuovo istituto. Con effetti distorsivi soprattutto per quelle scuole medie che fino a ieri contavano tre o quattro sedi, ora accorpate a diversi istituti comprensivi. E con un danno certo per la continuità didattica. Si capisce che alcune Regioni, come la Toscana, abbiano chiesto la proroga di un anno. Le questioni da affrontare, anche senza i nuovi dimensionamenti, sono abbastanza pesanti. Altro che nuovi assunti. Anche se ufficialmente non è prevista una ulteriore riduzione degli organici di diritto. Per ora, all’orizzonte ci sono solo nuovi tagli. Nella scuola primaria, per esempio, si perderanno almeno 2.200 posti visto che, per effetto della riforma Gelmini non corretto dal nuovo governo, manman oche spariscono le classi a tempo pieno, i nuovi organici si formano a misura di nuove classi con massimo 27 ore di lezione. Nelle superiori non va certo meglio. Anche se qui la scure si abbatte a macchia di leopardo. Tra le cattedre più colpite dal riordino, quelle di fisica, di filosofia, di diritto. E di scuola dell’arte, tagliata persino negli istituti tecnici per il turismo. «Nella mia scuola, più della metà dei docenti non ha la certezza di continuare a insegnare nel nostro istituto il prossimo anno», avverte Beppe Bagli, preside dell’Istituto tecnico professionale Da Vinci di Firenze – 2100 allievi, 220 insegnanti – e presidente del Cidi. «Il motto di Profumo era l’autonomia, macon organici che consentono a malapena di coprire le ore di lezione, dove le trovi le energie per progettarla? Ognuno si fa il suo progettino di classe e finisce lì», dice con profonda «delusione ». «Sulla scuola ci aspettavamo dal nuovo governo un segnale di discontinuità che ancora non c’è stato», denuncia la stessa Francesca Puglisi, responsabile delle Politiche scolastiche del Pd. Bruciano i tentativi andati a vuoto finora per far cambiare rotta al nuovo esecutivo. E i 10mila posti per la scuola spariti all’ultimo dal decreto sulle Semplificazioni. Dovevano servire per assumere insegnanti che si occupino di sostegno, integrazione e la lotta alla dispersione. «Il ministero non fornisce numeri,ma quello che temiamo è che per il prossimo anno ci saranno pochissime stabilizzazioni e un gran numero di sovrannumerari», spiega Puglisi

. I VECCHI E I GIOVANI Altro che concorso per giovani insegnanti. «Chiacchiere, questo governo si sta muovendo in continuità con il precedente e i tagli che in teoria dovrebbero essere finiti continuano in forma più complessa per effetto della riforma Gelmini», denuncia il segretario della Flc Cgil Domenico Pantaleo. La vera novità alla fine è che almeno 4mila insegnanti già pronti ad andare in pensione, con la riforma Fornero, dovranno restare dietro la cattedra. Il Pd aveva chiesto di introdurre nel Milleproroghe una norma ad hoc, ma non è stato concesso. «E quelli sono quattromila posti chenon si liberano per nuove assunzioni», rivendica Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd in Commissione Cultura. Pronta a tornare alla carica quando si discuterà del destino degli esodati. «Dire comefa Profumo che bisogna abbassare l’età media degli insegnanti – chiosa Puglisi – e prendere poi provvedimenti che vanno in direzione opposta è pura demagogia».
L’Unità 24.03.12

“Da Gelmini a Profumo. Il cambiamento tarda ad arrivare”, di Mariagrazia Gerina

Doveva essere l’anno del concorsone, l’anno in cui le porte della scuola italiana si riaprivano ai giovani aspiranti insegnanti, perché quelli che sono in cattedra sono troppo vecchi. Parola del ministro Francesco Profumo. Rischia di finire con una conta di nuovi docenti perdenti posto, 10.400 già ad oggi, dopo aver dedicato una vita all’insegnamento. Effetto incrociato delle politiche scolastiche messe in campodal precedente governo e delle nuove politiche pensionistiche introdotte dal governo tecnico. E come se non bastasse, per effetto degli accorpamenti disposti dalla manovra dell’estate scorsa, nelle scuole è scattato un valzer che rischia di far saltare i nervi anche agli insegnanti fino a ieri “blindati” dalla lunga esperienza accumulata.

CAOS ACCORPAMENTI Scuole lontane chilometri costrette a formare un solo grande istituto per raggiungere la fatidica quota di mille alunni e il fatidico taglio di 1300 istituti, corretto a 1050. In teoria, il risparmio dovrebbe essere a scapito solo dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi che conteranno alla fine 1050 posti in meno ciascuno. Ma di fatto, anche tra gli insegnanti è scattato un “gioco della sedia”, visto che tutti, anche quelli che vorrebbero restare lì dove hanno sempre insegnato, devono fare domanda di trasferimento al nuovo istituto. Con effetti distorsivi soprattutto per quelle scuole medie che fino a ieri contavano tre o quattro sedi, ora accorpate a diversi istituti comprensivi. E con un danno certo per la continuità didattica. Si capisce che alcune Regioni, come la Toscana, abbiano chiesto la proroga di un anno. Le questioni da affrontare, anche senza i nuovi dimensionamenti, sono abbastanza pesanti. Altro che nuovi assunti. Anche se ufficialmente non è prevista una ulteriore riduzione degli organici di diritto. Per ora, all’orizzonte ci sono solo nuovi tagli. Nella scuola primaria, per esempio, si perderanno almeno 2.200 posti visto che, per effetto della riforma Gelmini non corretto dal nuovo governo, manman oche spariscono le classi a tempo pieno, i nuovi organici si formano a misura di nuove classi con massimo 27 ore di lezione. Nelle superiori non va certo meglio. Anche se qui la scure si abbatte a macchia di leopardo. Tra le cattedre più colpite dal riordino, quelle di fisica, di filosofia, di diritto. E di scuola dell’arte, tagliata persino negli istituti tecnici per il turismo. «Nella mia scuola, più della metà dei docenti non ha la certezza di continuare a insegnare nel nostro istituto il prossimo anno», avverte Beppe Bagli, preside dell’Istituto tecnico professionale Da Vinci di Firenze – 2100 allievi, 220 insegnanti – e presidente del Cidi. «Il motto di Profumo era l’autonomia, macon organici che consentono a malapena di coprire le ore di lezione, dove le trovi le energie per progettarla? Ognuno si fa il suo progettino di classe e finisce lì», dice con profonda «delusione ». «Sulla scuola ci aspettavamo dal nuovo governo un segnale di discontinuità che ancora non c’è stato», denuncia la stessa Francesca Puglisi, responsabile delle Politiche scolastiche del Pd. Bruciano i tentativi andati a vuoto finora per far cambiare rotta al nuovo esecutivo. E i 10mila posti per la scuola spariti all’ultimo dal decreto sulle Semplificazioni. Dovevano servire per assumere insegnanti che si occupino di sostegno, integrazione e la lotta alla dispersione. «Il ministero non fornisce numeri,ma quello che temiamo è che per il prossimo anno ci saranno pochissime stabilizzazioni e un gran numero di sovrannumerari», spiega Puglisi

. I VECCHI E I GIOVANI Altro che concorso per giovani insegnanti. «Chiacchiere, questo governo si sta muovendo in continuità con il precedente e i tagli che in teoria dovrebbero essere finiti continuano in forma più complessa per effetto della riforma Gelmini», denuncia il segretario della Flc Cgil Domenico Pantaleo. La vera novità alla fine è che almeno 4mila insegnanti già pronti ad andare in pensione, con la riforma Fornero, dovranno restare dietro la cattedra. Il Pd aveva chiesto di introdurre nel Milleproroghe una norma ad hoc, ma non è stato concesso. «E quelli sono quattromila posti chenon si liberano per nuove assunzioni», rivendica Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd in Commissione Cultura. Pronta a tornare alla carica quando si discuterà del destino degli esodati. «Dire comefa Profumo che bisogna abbassare l’età media degli insegnanti – chiosa Puglisi – e prendere poi provvedimenti che vanno in direzione opposta è pura demagogia».
L’Unità 24.03.12

"E i ministri dissidenti attaccano la Fornero", di Francesco Bei

Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la “sala professori” si è animata di una discussione tutt´altro che accademica. E nemmeno la E proprio Barca è il primo a sollevare obiezioni a Fornero, per non aver ancora preparato «un vero articolato» da sottoporre all´esame del Consiglio limitandosi a consegnare quella «bozza generica» già letta alle parti sociali. Un rilievo condiviso anche da Piero Giarda. Ma il problema è anche di merito, in particolare sull´articolo 18. Del resto era stato proprio Barca l´unico ministro a esternare in pubblico, qualche giorno fa, il suo dissenso: «Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale». Barca apre un varco e ci si infilano anche altri. Andrea Riccardi, poi Renato Balduzzi. Il ministro della Salute è l´unico costituzionalista della compagnia e sono due giorni che si arrovella sulla riforma Fornero. Tra le altre cose fa notare che la riscrittura così radicale dell´articolo 18 potrebbe anche confliggere con l´articolo uno della Costituzione, quello che proclama la Repubblica «fondata sul lavoro». «Andiamoci piano», suggerisce Balduzzi.
Il botta e risposta con Fornero si accende, deve intervenire Monti a difendere l´opera «equilibrata» del ministro del lavoro. Il Consiglio si divide tra falchi e colombe, qualcuno reclama ancora il decreto legge. Ma il premier spiega che no, «il decreto sarebbe politicamente una forzatura, anche il capo dello Stato ritiene migliore la strada del disegno di legge». A questo punto, vista la spaccatura, sarebbe stato Corrado Passera a suggerire un rinvio dell´approvazione della riforma a un´altra seduta, «per dare a tutti il tempo di approfondire e arrivare all´unanimità». Una versione smentita dall´interessato. E tuttavia la notizia filtra così. Tanto che Monti avrebbe dovuto agire d´imperio per superare l´impasse. «Se non riusciamo a chiudere oggi la discussione allora è meglio procedere con un voto. Ma io non posso accettare alcuna dilazione: immaginate come titolerebbero domani i giornali internazionali». Dunque la bozza Fornero viene approvata, «salvo intese». E il ministro si può sfogare rivendicando il lavoro svolto, la trattativa estenuante con le parti sociali, le nottate insonni. «Non vi immaginate quello che ho dovuto sopportare», confessa Fornero, che da due settimane è costretta a girare con dieci uomini di scorta. I colleghi applaudono, è l´unico momento in cui la tensione si scioglie. Il ministro dell´Interno, Anna Maria Cancellieri, la proclama «la nostra Giovanna d´Arco». Entrano i commessi con bevande e caffè.
Ma è solo un momento, perché la battaglia si riaccende subito dopo con la delega fiscale. Quando Giarda se la prende con Vittorio Grilli perché il testo ancora non è pronto sembra di rivedere il film degli scontri tra Tremonti e i suoi colleghi, tenuti regolarmente all´oscuro dei provvedimenti fino a un minuto prima della riunione. Il ministro dei rapporti con il Parlamento ce l´ha con Grilli anche per un´altra vicenda. La Ragioneria generale, che dipende dal Tesoro, aveva infatti segnalato la mancanza di coperture per il decreto liberalizzazioni. Ma nessuno dell´Economia, tanto meno Grilli, era andato a spiegare la cosa a Montecitorio, lasciando Giarda a prendersi da solo gli insulti e i pesanti sarcasmi di mezzo Parlamento. Giarda è furibondo e arriva persino a minacciare le dimissioni. Quando Monti lascia prima del tempo la riunione, per andare a cena con Schifani a Milano, dovrebbe essere Giarda a presiedere al suo posto. Ma il ministro se ne va sbattendo la porta e tocca a Piero Gnudi impugnare la campanella del premier. L´elettricità è tanta. Scorre anche sulla linea Catricalà-Patroni Griffi. I due, solitamente tra i più compassati, litigano alzando la voce.
Alla fine, con un rinvio sulla delega fiscale e un´approvazione «salvo intese», il Consiglio più lungo termina. Monti vola a Milano con Fornero per cenare, nella sua abitazione privata, con Renato Schifani e Ferruccio de Bortoli. E al presidente del Senato chiede «una corsia preferenziale» per avere la certezza che la riforma del lavoro sia legge «entro l´estate». Il decreto, reclamato dal Pdl, è stato infatti scartato su pressione di Napolitano. Ma anche Gianfranco Fini, a pranzo giovedì con il premier, aveva sconsigliato a Monti di servirsene per evitare l´accusa di un uso eccessivo della decretazione d´urgenza. «A questo punto – ragiona con i suoi il presidente della Camera – chi ancora oggi chiede il decreto lo fa solo per mettere in difficoltà il governo». chiusura delle porte, imposta da Monti, è servita a evitare che qualche urlo arrivasse all´esterno del Consiglio dei ministri. La riforma del lavoro accende anche gli algidi professori di Monti specie se, come nel caso di Fabrizio Barca, hanno alle spalle una storia familiare di sinistra che parte dalla Resistenza.

La Repubblica 24.03.12

“E i ministri dissidenti attaccano la Fornero”, di Francesco Bei

Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la “sala professori” si è animata di una discussione tutt´altro che accademica. E nemmeno la E proprio Barca è il primo a sollevare obiezioni a Fornero, per non aver ancora preparato «un vero articolato» da sottoporre all´esame del Consiglio limitandosi a consegnare quella «bozza generica» già letta alle parti sociali. Un rilievo condiviso anche da Piero Giarda. Ma il problema è anche di merito, in particolare sull´articolo 18. Del resto era stato proprio Barca l´unico ministro a esternare in pubblico, qualche giorno fa, il suo dissenso: «Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale». Barca apre un varco e ci si infilano anche altri. Andrea Riccardi, poi Renato Balduzzi. Il ministro della Salute è l´unico costituzionalista della compagnia e sono due giorni che si arrovella sulla riforma Fornero. Tra le altre cose fa notare che la riscrittura così radicale dell´articolo 18 potrebbe anche confliggere con l´articolo uno della Costituzione, quello che proclama la Repubblica «fondata sul lavoro». «Andiamoci piano», suggerisce Balduzzi.
Il botta e risposta con Fornero si accende, deve intervenire Monti a difendere l´opera «equilibrata» del ministro del lavoro. Il Consiglio si divide tra falchi e colombe, qualcuno reclama ancora il decreto legge. Ma il premier spiega che no, «il decreto sarebbe politicamente una forzatura, anche il capo dello Stato ritiene migliore la strada del disegno di legge». A questo punto, vista la spaccatura, sarebbe stato Corrado Passera a suggerire un rinvio dell´approvazione della riforma a un´altra seduta, «per dare a tutti il tempo di approfondire e arrivare all´unanimità». Una versione smentita dall´interessato. E tuttavia la notizia filtra così. Tanto che Monti avrebbe dovuto agire d´imperio per superare l´impasse. «Se non riusciamo a chiudere oggi la discussione allora è meglio procedere con un voto. Ma io non posso accettare alcuna dilazione: immaginate come titolerebbero domani i giornali internazionali». Dunque la bozza Fornero viene approvata, «salvo intese». E il ministro si può sfogare rivendicando il lavoro svolto, la trattativa estenuante con le parti sociali, le nottate insonni. «Non vi immaginate quello che ho dovuto sopportare», confessa Fornero, che da due settimane è costretta a girare con dieci uomini di scorta. I colleghi applaudono, è l´unico momento in cui la tensione si scioglie. Il ministro dell´Interno, Anna Maria Cancellieri, la proclama «la nostra Giovanna d´Arco». Entrano i commessi con bevande e caffè.
Ma è solo un momento, perché la battaglia si riaccende subito dopo con la delega fiscale. Quando Giarda se la prende con Vittorio Grilli perché il testo ancora non è pronto sembra di rivedere il film degli scontri tra Tremonti e i suoi colleghi, tenuti regolarmente all´oscuro dei provvedimenti fino a un minuto prima della riunione. Il ministro dei rapporti con il Parlamento ce l´ha con Grilli anche per un´altra vicenda. La Ragioneria generale, che dipende dal Tesoro, aveva infatti segnalato la mancanza di coperture per il decreto liberalizzazioni. Ma nessuno dell´Economia, tanto meno Grilli, era andato a spiegare la cosa a Montecitorio, lasciando Giarda a prendersi da solo gli insulti e i pesanti sarcasmi di mezzo Parlamento. Giarda è furibondo e arriva persino a minacciare le dimissioni. Quando Monti lascia prima del tempo la riunione, per andare a cena con Schifani a Milano, dovrebbe essere Giarda a presiedere al suo posto. Ma il ministro se ne va sbattendo la porta e tocca a Piero Gnudi impugnare la campanella del premier. L´elettricità è tanta. Scorre anche sulla linea Catricalà-Patroni Griffi. I due, solitamente tra i più compassati, litigano alzando la voce.
Alla fine, con un rinvio sulla delega fiscale e un´approvazione «salvo intese», il Consiglio più lungo termina. Monti vola a Milano con Fornero per cenare, nella sua abitazione privata, con Renato Schifani e Ferruccio de Bortoli. E al presidente del Senato chiede «una corsia preferenziale» per avere la certezza che la riforma del lavoro sia legge «entro l´estate». Il decreto, reclamato dal Pdl, è stato infatti scartato su pressione di Napolitano. Ma anche Gianfranco Fini, a pranzo giovedì con il premier, aveva sconsigliato a Monti di servirsene per evitare l´accusa di un uso eccessivo della decretazione d´urgenza. «A questo punto – ragiona con i suoi il presidente della Camera – chi ancora oggi chiede il decreto lo fa solo per mettere in difficoltà il governo». chiusura delle porte, imposta da Monti, è servita a evitare che qualche urlo arrivasse all´esterno del Consiglio dei ministri. La riforma del lavoro accende anche gli algidi professori di Monti specie se, come nel caso di Fabrizio Barca, hanno alle spalle una storia familiare di sinistra che parte dalla Resistenza.

La Repubblica 24.03.12

“E i ministri dissidenti attaccano la Fornero”, di Francesco Bei

Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la “sala professori” si è animata di una discussione tutt´altro che accademica. E nemmeno la E proprio Barca è il primo a sollevare obiezioni a Fornero, per non aver ancora preparato «un vero articolato» da sottoporre all´esame del Consiglio limitandosi a consegnare quella «bozza generica» già letta alle parti sociali. Un rilievo condiviso anche da Piero Giarda. Ma il problema è anche di merito, in particolare sull´articolo 18. Del resto era stato proprio Barca l´unico ministro a esternare in pubblico, qualche giorno fa, il suo dissenso: «Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale». Barca apre un varco e ci si infilano anche altri. Andrea Riccardi, poi Renato Balduzzi. Il ministro della Salute è l´unico costituzionalista della compagnia e sono due giorni che si arrovella sulla riforma Fornero. Tra le altre cose fa notare che la riscrittura così radicale dell´articolo 18 potrebbe anche confliggere con l´articolo uno della Costituzione, quello che proclama la Repubblica «fondata sul lavoro». «Andiamoci piano», suggerisce Balduzzi.
Il botta e risposta con Fornero si accende, deve intervenire Monti a difendere l´opera «equilibrata» del ministro del lavoro. Il Consiglio si divide tra falchi e colombe, qualcuno reclama ancora il decreto legge. Ma il premier spiega che no, «il decreto sarebbe politicamente una forzatura, anche il capo dello Stato ritiene migliore la strada del disegno di legge». A questo punto, vista la spaccatura, sarebbe stato Corrado Passera a suggerire un rinvio dell´approvazione della riforma a un´altra seduta, «per dare a tutti il tempo di approfondire e arrivare all´unanimità». Una versione smentita dall´interessato. E tuttavia la notizia filtra così. Tanto che Monti avrebbe dovuto agire d´imperio per superare l´impasse. «Se non riusciamo a chiudere oggi la discussione allora è meglio procedere con un voto. Ma io non posso accettare alcuna dilazione: immaginate come titolerebbero domani i giornali internazionali». Dunque la bozza Fornero viene approvata, «salvo intese». E il ministro si può sfogare rivendicando il lavoro svolto, la trattativa estenuante con le parti sociali, le nottate insonni. «Non vi immaginate quello che ho dovuto sopportare», confessa Fornero, che da due settimane è costretta a girare con dieci uomini di scorta. I colleghi applaudono, è l´unico momento in cui la tensione si scioglie. Il ministro dell´Interno, Anna Maria Cancellieri, la proclama «la nostra Giovanna d´Arco». Entrano i commessi con bevande e caffè.
Ma è solo un momento, perché la battaglia si riaccende subito dopo con la delega fiscale. Quando Giarda se la prende con Vittorio Grilli perché il testo ancora non è pronto sembra di rivedere il film degli scontri tra Tremonti e i suoi colleghi, tenuti regolarmente all´oscuro dei provvedimenti fino a un minuto prima della riunione. Il ministro dei rapporti con il Parlamento ce l´ha con Grilli anche per un´altra vicenda. La Ragioneria generale, che dipende dal Tesoro, aveva infatti segnalato la mancanza di coperture per il decreto liberalizzazioni. Ma nessuno dell´Economia, tanto meno Grilli, era andato a spiegare la cosa a Montecitorio, lasciando Giarda a prendersi da solo gli insulti e i pesanti sarcasmi di mezzo Parlamento. Giarda è furibondo e arriva persino a minacciare le dimissioni. Quando Monti lascia prima del tempo la riunione, per andare a cena con Schifani a Milano, dovrebbe essere Giarda a presiedere al suo posto. Ma il ministro se ne va sbattendo la porta e tocca a Piero Gnudi impugnare la campanella del premier. L´elettricità è tanta. Scorre anche sulla linea Catricalà-Patroni Griffi. I due, solitamente tra i più compassati, litigano alzando la voce.
Alla fine, con un rinvio sulla delega fiscale e un´approvazione «salvo intese», il Consiglio più lungo termina. Monti vola a Milano con Fornero per cenare, nella sua abitazione privata, con Renato Schifani e Ferruccio de Bortoli. E al presidente del Senato chiede «una corsia preferenziale» per avere la certezza che la riforma del lavoro sia legge «entro l´estate». Il decreto, reclamato dal Pdl, è stato infatti scartato su pressione di Napolitano. Ma anche Gianfranco Fini, a pranzo giovedì con il premier, aveva sconsigliato a Monti di servirsene per evitare l´accusa di un uso eccessivo della decretazione d´urgenza. «A questo punto – ragiona con i suoi il presidente della Camera – chi ancora oggi chiede il decreto lo fa solo per mettere in difficoltà il governo». chiusura delle porte, imposta da Monti, è servita a evitare che qualche urlo arrivasse all´esterno del Consiglio dei ministri. La riforma del lavoro accende anche gli algidi professori di Monti specie se, come nel caso di Fabrizio Barca, hanno alle spalle una storia familiare di sinistra che parte dalla Resistenza.

La Repubblica 24.03.12

Il nuovo art.18. Nella Scuola si, no, anzi vedremo", di Pippo Frisone

Dopo la mezza retromarcia del Min. della Funzione Pubblica Patroni Griffi, rimane il giallo dell’applicabilità dell’art.18, nella nuova riformulazione voluta dal governo Monti, agli statali e quindi anche al personale della Scuola. In attesa di conoscere il testo definitivo dell’art.18 che varerà il consiglio dei ministri, il fronte dei critici e degli scettici dell’ultima ora s’infoltisce sempre più. La Cgil della Camusso ha proclamato 18 ore di scioperi, assemblee e mobilitazioni , seguite da iniziative spontanee, a volte unitarie delle RSU e dei lavoratori, soprattutto nelle fabbriche del nord.

Forti perplessità, dopo le voci di immediata estensione della nuova normativa dell’art.18 a tutto il pubblico impiego, l’hanno manifestata la CISL di Bonanni e l’UGL, mentre la UIL non si pronuncia in attesa di conoscere il testo finale. Anche la Cei si è detta perplessa contro la mercificazione del lavoro.

Mentre il PD si ricompatta e chiede sostanziali modifiche in Parlamento, il PDL insiste per lasciare il testo così com’è , sollecitando addirittura un decreto legge sull’intera normativa che riguarda il mercato del lavoro. Se il provvedimento assumerà la forma di un decreto legge, seguito dall’ennesima fiducia, o di un disegno di legge ancora non si sa.

E’ certo che su questo provvedimento il governo tecnico e le forze politiche che lo sostengono stanno giocando una partita decisiva. Scontato il no della Lega e Idv.

Le dichiarazioni di alcuni ministri ed in particolare del Min. della F.P. hanno messo in allarme i 3milioni e mezzo di pubblici dipendenti.

Che la legge 300/70 si applichi interamente al pubblico impiego e quindi anche l’art.18 vecchio o nuovo che sia è fuori dubbio. E’ stata recepita prima nel dlgs n.29/93 poi del dlgs.165/01 che regola i rapporti di lavoro nel pubblico impiego.

Come è fuori dubbio la peculiarità del settore statale che contrariamente al settore privato non risponde a mercati, non teme alcuna concorrenza internazionale ma deve fare i conti comunque con l’efficienza e la produttività, con un debito pubblico oramai di 2mila miliardi di euro .

Del resto, pur se con sfumature diverse, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno preso di mira i pubblici dipendenti, o per blandirli (centrosinistra) o per bastonarli (centrodestra ).

Dal 2008 al 2011 il governo Berlusconi ha tagliato 135mila posti di lavoro solo nella scuola.

A rimetterci il posto in questo caso sono stati soprattutto i precari ma anche 10mila docenti di ruolo che attualmente rispetto alle piante organiche risultano privi di cattedra , in esubero.

Questo personale è risultato in eccedenza sicuramente per motivi economici e scelte governative del centro-destra di ristrutturazione, riorganizzazione del sistema scolastico. Meno tempo scuola, più alunni per classe, dimensionamento e razionalizzazione della rete scolastica= meno posti di lavoro.

Quanto invece, in questi casi, è previsto dalle norme a tutt’oggi non è stato mai applicato. Esuberi da riqualificare per ricollocarli dove è possibile anche i altri comparti pubblici, altrimenti liste di mobilità, cassa integrazione e licenziamenti.

Un percorso quello del nuovo art.18 il cui approdo finale potrà risultare identico a quello degli altri lavoratori privati.

Ma sin’ora questo problema dei licenziamenti collettivi o individuali per motivi economici non è mai stato affrontato fino in fondo nella scuola né nel resto del pubblico impiego. Stabilito il principio, sono mancate le norme applicative che sicuramente in fase di gestione saranno diverse da quelle del settore privato ma identiche nella conclusione e a questo punto per chi non si adegua, riqualifica o ricolloca ci sarà alla fine del percorso il licenziamento.

Oggi l’art.18 rimane un punto di riferimento anche nel settore pubblico nei casi di licenziamenti discriminatori o nei licenziamenti disciplinari, giudicati illegittimi dal tribunale.

Nell’un caso e nell’altro è previsto il reintegro sul posto di lavoro.

Nella nuova versione dell’art.18 della ministra Fornero, il reintegro opera per legge solo nei casi riconosciuti dal tribunale come discriminatori. Nei casi di licenziamenti disciplinari viene demandata al giudice la decisione se reintegrare o risarcire il lavoratore.

Nei licenziamenti cosiddetti economici la norma prevede esclusivamente il risarcimento.

Con piena soddisfazione di Confindustria e PDL.

Un po’ più di America e meno Germania.

E sulle modifiche all’art.18 il Governo Monti e il Parlamento, con la CGIL tornata sulle barricate, si giocheranno la finalissima di una partita che questa volta non potrà più essere rinviata né finire in pareggio.

da ScuolaOggi 24.03.12