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Il nuovo art.18. Nella Scuola si, no, anzi vedremo”, di Pippo Frisone

Dopo la mezza retromarcia del Min. della Funzione Pubblica Patroni Griffi, rimane il giallo dell’applicabilità dell’art.18, nella nuova riformulazione voluta dal governo Monti, agli statali e quindi anche al personale della Scuola. In attesa di conoscere il testo definitivo dell’art.18 che varerà il consiglio dei ministri, il fronte dei critici e degli scettici dell’ultima ora s’infoltisce sempre più. La Cgil della Camusso ha proclamato 18 ore di scioperi, assemblee e mobilitazioni , seguite da iniziative spontanee, a volte unitarie delle RSU e dei lavoratori, soprattutto nelle fabbriche del nord.

Forti perplessità, dopo le voci di immediata estensione della nuova normativa dell’art.18 a tutto il pubblico impiego, l’hanno manifestata la CISL di Bonanni e l’UGL, mentre la UIL non si pronuncia in attesa di conoscere il testo finale. Anche la Cei si è detta perplessa contro la mercificazione del lavoro.

Mentre il PD si ricompatta e chiede sostanziali modifiche in Parlamento, il PDL insiste per lasciare il testo così com’è , sollecitando addirittura un decreto legge sull’intera normativa che riguarda il mercato del lavoro. Se il provvedimento assumerà la forma di un decreto legge, seguito dall’ennesima fiducia, o di un disegno di legge ancora non si sa.

E’ certo che su questo provvedimento il governo tecnico e le forze politiche che lo sostengono stanno giocando una partita decisiva. Scontato il no della Lega e Idv.

Le dichiarazioni di alcuni ministri ed in particolare del Min. della F.P. hanno messo in allarme i 3milioni e mezzo di pubblici dipendenti.

Che la legge 300/70 si applichi interamente al pubblico impiego e quindi anche l’art.18 vecchio o nuovo che sia è fuori dubbio. E’ stata recepita prima nel dlgs n.29/93 poi del dlgs.165/01 che regola i rapporti di lavoro nel pubblico impiego.

Come è fuori dubbio la peculiarità del settore statale che contrariamente al settore privato non risponde a mercati, non teme alcuna concorrenza internazionale ma deve fare i conti comunque con l’efficienza e la produttività, con un debito pubblico oramai di 2mila miliardi di euro .

Del resto, pur se con sfumature diverse, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno preso di mira i pubblici dipendenti, o per blandirli (centrosinistra) o per bastonarli (centrodestra ).

Dal 2008 al 2011 il governo Berlusconi ha tagliato 135mila posti di lavoro solo nella scuola.

A rimetterci il posto in questo caso sono stati soprattutto i precari ma anche 10mila docenti di ruolo che attualmente rispetto alle piante organiche risultano privi di cattedra , in esubero.

Questo personale è risultato in eccedenza sicuramente per motivi economici e scelte governative del centro-destra di ristrutturazione, riorganizzazione del sistema scolastico. Meno tempo scuola, più alunni per classe, dimensionamento e razionalizzazione della rete scolastica= meno posti di lavoro.

Quanto invece, in questi casi, è previsto dalle norme a tutt’oggi non è stato mai applicato. Esuberi da riqualificare per ricollocarli dove è possibile anche i altri comparti pubblici, altrimenti liste di mobilità, cassa integrazione e licenziamenti.

Un percorso quello del nuovo art.18 il cui approdo finale potrà risultare identico a quello degli altri lavoratori privati.

Ma sin’ora questo problema dei licenziamenti collettivi o individuali per motivi economici non è mai stato affrontato fino in fondo nella scuola né nel resto del pubblico impiego. Stabilito il principio, sono mancate le norme applicative che sicuramente in fase di gestione saranno diverse da quelle del settore privato ma identiche nella conclusione e a questo punto per chi non si adegua, riqualifica o ricolloca ci sarà alla fine del percorso il licenziamento.

Oggi l’art.18 rimane un punto di riferimento anche nel settore pubblico nei casi di licenziamenti discriminatori o nei licenziamenti disciplinari, giudicati illegittimi dal tribunale.

Nell’un caso e nell’altro è previsto il reintegro sul posto di lavoro.

Nella nuova versione dell’art.18 della ministra Fornero, il reintegro opera per legge solo nei casi riconosciuti dal tribunale come discriminatori. Nei casi di licenziamenti disciplinari viene demandata al giudice la decisione se reintegrare o risarcire il lavoratore.

Nei licenziamenti cosiddetti economici la norma prevede esclusivamente il risarcimento.

Con piena soddisfazione di Confindustria e PDL.

Un po’ più di America e meno Germania.

E sulle modifiche all’art.18 il Governo Monti e il Parlamento, con la CGIL tornata sulle barricate, si giocheranno la finalissima di una partita che questa volta non potrà più essere rinviata né finire in pareggio.

da ScuolaOggi 24.03.12

Il nuovo art.18. Nella Scuola si, no, anzi vedremo”, di Pippo Frisone

Dopo la mezza retromarcia del Min. della Funzione Pubblica Patroni Griffi, rimane il giallo dell’applicabilità dell’art.18, nella nuova riformulazione voluta dal governo Monti, agli statali e quindi anche al personale della Scuola. In attesa di conoscere il testo definitivo dell’art.18 che varerà il consiglio dei ministri, il fronte dei critici e degli scettici dell’ultima ora s’infoltisce sempre più. La Cgil della Camusso ha proclamato 18 ore di scioperi, assemblee e mobilitazioni , seguite da iniziative spontanee, a volte unitarie delle RSU e dei lavoratori, soprattutto nelle fabbriche del nord.

Forti perplessità, dopo le voci di immediata estensione della nuova normativa dell’art.18 a tutto il pubblico impiego, l’hanno manifestata la CISL di Bonanni e l’UGL, mentre la UIL non si pronuncia in attesa di conoscere il testo finale. Anche la Cei si è detta perplessa contro la mercificazione del lavoro.

Mentre il PD si ricompatta e chiede sostanziali modifiche in Parlamento, il PDL insiste per lasciare il testo così com’è , sollecitando addirittura un decreto legge sull’intera normativa che riguarda il mercato del lavoro. Se il provvedimento assumerà la forma di un decreto legge, seguito dall’ennesima fiducia, o di un disegno di legge ancora non si sa.

E’ certo che su questo provvedimento il governo tecnico e le forze politiche che lo sostengono stanno giocando una partita decisiva. Scontato il no della Lega e Idv.

Le dichiarazioni di alcuni ministri ed in particolare del Min. della F.P. hanno messo in allarme i 3milioni e mezzo di pubblici dipendenti.

Che la legge 300/70 si applichi interamente al pubblico impiego e quindi anche l’art.18 vecchio o nuovo che sia è fuori dubbio. E’ stata recepita prima nel dlgs n.29/93 poi del dlgs.165/01 che regola i rapporti di lavoro nel pubblico impiego.

Come è fuori dubbio la peculiarità del settore statale che contrariamente al settore privato non risponde a mercati, non teme alcuna concorrenza internazionale ma deve fare i conti comunque con l’efficienza e la produttività, con un debito pubblico oramai di 2mila miliardi di euro .

Del resto, pur se con sfumature diverse, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno preso di mira i pubblici dipendenti, o per blandirli (centrosinistra) o per bastonarli (centrodestra ).

Dal 2008 al 2011 il governo Berlusconi ha tagliato 135mila posti di lavoro solo nella scuola.

A rimetterci il posto in questo caso sono stati soprattutto i precari ma anche 10mila docenti di ruolo che attualmente rispetto alle piante organiche risultano privi di cattedra , in esubero.

Questo personale è risultato in eccedenza sicuramente per motivi economici e scelte governative del centro-destra di ristrutturazione, riorganizzazione del sistema scolastico. Meno tempo scuola, più alunni per classe, dimensionamento e razionalizzazione della rete scolastica= meno posti di lavoro.

Quanto invece, in questi casi, è previsto dalle norme a tutt’oggi non è stato mai applicato. Esuberi da riqualificare per ricollocarli dove è possibile anche i altri comparti pubblici, altrimenti liste di mobilità, cassa integrazione e licenziamenti.

Un percorso quello del nuovo art.18 il cui approdo finale potrà risultare identico a quello degli altri lavoratori privati.

Ma sin’ora questo problema dei licenziamenti collettivi o individuali per motivi economici non è mai stato affrontato fino in fondo nella scuola né nel resto del pubblico impiego. Stabilito il principio, sono mancate le norme applicative che sicuramente in fase di gestione saranno diverse da quelle del settore privato ma identiche nella conclusione e a questo punto per chi non si adegua, riqualifica o ricolloca ci sarà alla fine del percorso il licenziamento.

Oggi l’art.18 rimane un punto di riferimento anche nel settore pubblico nei casi di licenziamenti discriminatori o nei licenziamenti disciplinari, giudicati illegittimi dal tribunale.

Nell’un caso e nell’altro è previsto il reintegro sul posto di lavoro.

Nella nuova versione dell’art.18 della ministra Fornero, il reintegro opera per legge solo nei casi riconosciuti dal tribunale come discriminatori. Nei casi di licenziamenti disciplinari viene demandata al giudice la decisione se reintegrare o risarcire il lavoratore.

Nei licenziamenti cosiddetti economici la norma prevede esclusivamente il risarcimento.

Con piena soddisfazione di Confindustria e PDL.

Un po’ più di America e meno Germania.

E sulle modifiche all’art.18 il Governo Monti e il Parlamento, con la CGIL tornata sulle barricate, si giocheranno la finalissima di una partita che questa volta non potrà più essere rinviata né finire in pareggio.

da ScuolaOggi 24.03.12

"Senza crescita, quale lavoro?", di Patrizio Bianchi

Il difficile e faticoso tavolo della riforma del lavoro ha dimostrato, ancora una volta, la contraddizione in cui il Paese continua a muoversi. Si vuole regolare il lavoro, ma non vi è lavoro, perché non vi è crescita. Per tutto il 2012 infatti si protrarrà questa situazione di stagnazione. O meglio di recessione «tecnica», come dicono gli economisti, a cui non è certo estranea la massiccia manovra finanziaria, che per risanare in tempi rapidi il debito pubblico, di fatto rischia di bloccare quell’attività economica che dovrebbe sostenere questo risanamento nel tempo. Rinviando al Parlamento la soluzione definitiva del difficile problema delle nuove regole per assumere e licenziare, il governo dovrebbe aprire immediatamente un tavolo «sviluppo», in cui ascoltare tutte le parti almeno per comunicare le linee di un piano di crescita, che sia «intelligente, inclusivo, e sostenibile», come si dice oggi in Europa, ricomponendo in una unica visione tutti i diversi e non sempre comunicanti temi di discussione aperti in questi mesi. In particolare appare necessario che il governo dia il quadro completo dei diversi investimenti pubblici che intende avviare, perché è evidente che bisogna ridare prospettiva ad un’economia che non può certo avere come orizzonte temporale la durata dello stesso governo. Bisogna capire come sostenere gli investimenti privati e quindi come spingere le banche ad erogare quel credito che le imprese oggi sostengono essere dato con il contagocce ed a caro prezzo. Sappiamo bene che la liquidità immessa nel sistema dalla Banca centrale europea è servita largamente per consolidare lo stesso capitale delle banche e quindi riallineare i rapporti tra mezzi propri e credito erogato ai parametri richiesti dai vecchi e nuovi accordi di Basilea. Ma è altrettanto certo che la capacità di indirizzare il credito verso il riavvio degli investimenti sia oggi uno dei punti cruciali per superare la crisi e rilanciare l’economia. Il governo deve inoltre delineare una ragionevole strategia per il rilancio dei consumi, segnati sia dal prolungarsi della crisi, ma anche dalle stesse azioni di risanamento del debito. Permettere alle famiglie di disporre di più capacità di spesa, diviene parte essenziale di questo piano di sviluppo. Questo piano può comunque funzionare solo se contestualmente sia gli investimenti pubblici, che quelli privati, sia i consumi delle pubbliche amministrazioni che quelli delle famiglie vengono rapidamente riqualificati, divenendo traino per innovazione e sostenibilità. Così come viene predicato in quella stessa Europa che per un verso sembra orientata a sostenere crescite intelligenti e per altro sembra invece il cieco esattore, tutto rivolto a rastrellare oggi, indifferente al domani. Un piano condiviso per lo sviluppo richiede quindi un quadro di riferimento sulle regole per il lavoro, ma anche un piano altrettanto chiaro sulle regole per la crescita del sistema, delineando una strategia per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Le parole chiave sono certamente sottoscritte da tutti, essendo innovazione, internazionalizzazione, qualità. Ma non è stato ancora chiarito a sufficienza che le imprese che oggi stanno crescendo, e che stanno seguendo questa semplice e nel contempo difficile ricetta, sono ancora troppo poche nel panorama nazionale e che il primo obiettivo di politica industriale è aumentare il numero dei giocatori capaci di fare goal nel mercato globale. Un piano di questa natura e di queste ambizioni deve essere comunque condiviso con tutti gli attori che vogliono e debbono giocare insieme per lo sviluppo del Paese, altrimenti la fiducia sulle liberalizzazioni, lo scontro sul lavoro, gli interventi sul debito sembrano essere rese dei conti con il passato, piuttosto che un investimento collettivo sul futuro.

L’Unità 24.03.12

“Senza crescita, quale lavoro?”, di Patrizio Bianchi

Il difficile e faticoso tavolo della riforma del lavoro ha dimostrato, ancora una volta, la contraddizione in cui il Paese continua a muoversi. Si vuole regolare il lavoro, ma non vi è lavoro, perché non vi è crescita. Per tutto il 2012 infatti si protrarrà questa situazione di stagnazione. O meglio di recessione «tecnica», come dicono gli economisti, a cui non è certo estranea la massiccia manovra finanziaria, che per risanare in tempi rapidi il debito pubblico, di fatto rischia di bloccare quell’attività economica che dovrebbe sostenere questo risanamento nel tempo. Rinviando al Parlamento la soluzione definitiva del difficile problema delle nuove regole per assumere e licenziare, il governo dovrebbe aprire immediatamente un tavolo «sviluppo», in cui ascoltare tutte le parti almeno per comunicare le linee di un piano di crescita, che sia «intelligente, inclusivo, e sostenibile», come si dice oggi in Europa, ricomponendo in una unica visione tutti i diversi e non sempre comunicanti temi di discussione aperti in questi mesi. In particolare appare necessario che il governo dia il quadro completo dei diversi investimenti pubblici che intende avviare, perché è evidente che bisogna ridare prospettiva ad un’economia che non può certo avere come orizzonte temporale la durata dello stesso governo. Bisogna capire come sostenere gli investimenti privati e quindi come spingere le banche ad erogare quel credito che le imprese oggi sostengono essere dato con il contagocce ed a caro prezzo. Sappiamo bene che la liquidità immessa nel sistema dalla Banca centrale europea è servita largamente per consolidare lo stesso capitale delle banche e quindi riallineare i rapporti tra mezzi propri e credito erogato ai parametri richiesti dai vecchi e nuovi accordi di Basilea. Ma è altrettanto certo che la capacità di indirizzare il credito verso il riavvio degli investimenti sia oggi uno dei punti cruciali per superare la crisi e rilanciare l’economia. Il governo deve inoltre delineare una ragionevole strategia per il rilancio dei consumi, segnati sia dal prolungarsi della crisi, ma anche dalle stesse azioni di risanamento del debito. Permettere alle famiglie di disporre di più capacità di spesa, diviene parte essenziale di questo piano di sviluppo. Questo piano può comunque funzionare solo se contestualmente sia gli investimenti pubblici, che quelli privati, sia i consumi delle pubbliche amministrazioni che quelli delle famiglie vengono rapidamente riqualificati, divenendo traino per innovazione e sostenibilità. Così come viene predicato in quella stessa Europa che per un verso sembra orientata a sostenere crescite intelligenti e per altro sembra invece il cieco esattore, tutto rivolto a rastrellare oggi, indifferente al domani. Un piano condiviso per lo sviluppo richiede quindi un quadro di riferimento sulle regole per il lavoro, ma anche un piano altrettanto chiaro sulle regole per la crescita del sistema, delineando una strategia per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Le parole chiave sono certamente sottoscritte da tutti, essendo innovazione, internazionalizzazione, qualità. Ma non è stato ancora chiarito a sufficienza che le imprese che oggi stanno crescendo, e che stanno seguendo questa semplice e nel contempo difficile ricetta, sono ancora troppo poche nel panorama nazionale e che il primo obiettivo di politica industriale è aumentare il numero dei giocatori capaci di fare goal nel mercato globale. Un piano di questa natura e di queste ambizioni deve essere comunque condiviso con tutti gli attori che vogliono e debbono giocare insieme per lo sviluppo del Paese, altrimenti la fiducia sulle liberalizzazioni, lo scontro sul lavoro, gli interventi sul debito sembrano essere rese dei conti con il passato, piuttosto che un investimento collettivo sul futuro.

L’Unità 24.03.12

“Senza crescita, quale lavoro?”, di Patrizio Bianchi

Il difficile e faticoso tavolo della riforma del lavoro ha dimostrato, ancora una volta, la contraddizione in cui il Paese continua a muoversi. Si vuole regolare il lavoro, ma non vi è lavoro, perché non vi è crescita. Per tutto il 2012 infatti si protrarrà questa situazione di stagnazione. O meglio di recessione «tecnica», come dicono gli economisti, a cui non è certo estranea la massiccia manovra finanziaria, che per risanare in tempi rapidi il debito pubblico, di fatto rischia di bloccare quell’attività economica che dovrebbe sostenere questo risanamento nel tempo. Rinviando al Parlamento la soluzione definitiva del difficile problema delle nuove regole per assumere e licenziare, il governo dovrebbe aprire immediatamente un tavolo «sviluppo», in cui ascoltare tutte le parti almeno per comunicare le linee di un piano di crescita, che sia «intelligente, inclusivo, e sostenibile», come si dice oggi in Europa, ricomponendo in una unica visione tutti i diversi e non sempre comunicanti temi di discussione aperti in questi mesi. In particolare appare necessario che il governo dia il quadro completo dei diversi investimenti pubblici che intende avviare, perché è evidente che bisogna ridare prospettiva ad un’economia che non può certo avere come orizzonte temporale la durata dello stesso governo. Bisogna capire come sostenere gli investimenti privati e quindi come spingere le banche ad erogare quel credito che le imprese oggi sostengono essere dato con il contagocce ed a caro prezzo. Sappiamo bene che la liquidità immessa nel sistema dalla Banca centrale europea è servita largamente per consolidare lo stesso capitale delle banche e quindi riallineare i rapporti tra mezzi propri e credito erogato ai parametri richiesti dai vecchi e nuovi accordi di Basilea. Ma è altrettanto certo che la capacità di indirizzare il credito verso il riavvio degli investimenti sia oggi uno dei punti cruciali per superare la crisi e rilanciare l’economia. Il governo deve inoltre delineare una ragionevole strategia per il rilancio dei consumi, segnati sia dal prolungarsi della crisi, ma anche dalle stesse azioni di risanamento del debito. Permettere alle famiglie di disporre di più capacità di spesa, diviene parte essenziale di questo piano di sviluppo. Questo piano può comunque funzionare solo se contestualmente sia gli investimenti pubblici, che quelli privati, sia i consumi delle pubbliche amministrazioni che quelli delle famiglie vengono rapidamente riqualificati, divenendo traino per innovazione e sostenibilità. Così come viene predicato in quella stessa Europa che per un verso sembra orientata a sostenere crescite intelligenti e per altro sembra invece il cieco esattore, tutto rivolto a rastrellare oggi, indifferente al domani. Un piano condiviso per lo sviluppo richiede quindi un quadro di riferimento sulle regole per il lavoro, ma anche un piano altrettanto chiaro sulle regole per la crescita del sistema, delineando una strategia per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Le parole chiave sono certamente sottoscritte da tutti, essendo innovazione, internazionalizzazione, qualità. Ma non è stato ancora chiarito a sufficienza che le imprese che oggi stanno crescendo, e che stanno seguendo questa semplice e nel contempo difficile ricetta, sono ancora troppo poche nel panorama nazionale e che il primo obiettivo di politica industriale è aumentare il numero dei giocatori capaci di fare goal nel mercato globale. Un piano di questa natura e di queste ambizioni deve essere comunque condiviso con tutti gli attori che vogliono e debbono giocare insieme per lo sviluppo del Paese, altrimenti la fiducia sulle liberalizzazioni, lo scontro sul lavoro, gli interventi sul debito sembrano essere rese dei conti con il passato, piuttosto che un investimento collettivo sul futuro.

L’Unità 24.03.12

Scuola, Pd a Idv, grazie a noi nessuno smantellamento né privatizzazione

“Quello dell’Idv è un attacco pretestuoso al Pd da parte di chi ha deciso di non partecipare, per soli motivi tattici ed ideologici, alla stesura di una legge attesa sul sistema di governo delle scuole autonome”. Così la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni replica ai due esponenti dell’Idv, Anita Di Giuseppe e Pierfelice Zazzera, che oggi hanno criticato i democratici accusandoli di ‘collaborare allo smantellamento della scuola pubblica’. “Se l’Idv si è chiusa in una riserva – aggiunge Ghizzoni – non è responsabilità del Pd che consegna alla valutazione della comunità scolastica una proposta di legge che vede al centro il personale, le famiglie e gli studenti e che mira a rafforzare la collegialità, la libertà d’insegnamento, il rapporto con le famiglie ed il dialogo con le autonomie territoriali. Una legge necessaria, a 35 anni dai decreti delegati, per aggiornare il sistema di governo delle scuole alla riforma dell’autonomia scolastica e del titolo V della Costituzione. I rilievi sostenuti dall’Idv paiono mossi da chi non frequenta l’ambito scolastico da molto tempo: gli onorevoli Di Giuseppe e Zazzera cercano di confondere le acque al fine di creare panico nella scuola, per questo stravolgono il senso delle norme scritte. Proprio grazie alla nostra azione parlamentare non ci saranno le fondazioni, i privati non entreranno a manomettere il sistema scolastico, la libertà d’insegnamento è rafforzata, il principio di collegialità e la presenza delle famiglie viene garantito, così come non ci sarà la paventata regionalizzazione ma solo l’applicazione della Costituzione. Se Zazzera e la Di Giuseppe volevano con questa operazione mistificatoria strizzare l’occhiolino al popolo che oggi partecipa all’iniziativa “Urlo nella scuola” consigliamo di utilizzare mezzi più adeguati perché chi ama la scuola ama la verità “.

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Scuola, Puglisi a Idv: “Noi impegnati in difesa scuola pubblica, e l’Idv?”

Il Pd ha cancellato la vecchia proposta di legge Aprea, e ha riscritto un testo sulla governance della scuola dove al centro ci sono insegnanti, studenti e genitori. Invitiamo gli onorevoli dell’IdV Anita di Giuseppe e Pierfelice Zazzera , perlomeno a leggere il testo de “L’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” uscito dalla VII commissione Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati.

Essendo noto ai più che i numeri in Parlamento non sono diversi da quelli usciti dalle urne, i parlamentari del PD si sono assunti l’onere di combattere in questi giorni per stravolgere il testo Aprea e farlo diventare una buona proposta di legge.

Non c’e più traccia nel testo della possibilità di trasformare le scuole in Fondazioni, non c’è traccia di norme sul reclutamento degli insegnanti , funzione centrale della scuola continua ad essere svolta dal Consiglio dei docenti (assente nel testo originario) e dalla partecipazione di genitori e studenti nel consiglio d’istituto (presieduto da un genitore) e nei consigli di classe e di interclasse.

Viene disegnato un modello di governo e dialogo tra autonomie locali e autonomie scolastiche , per evitare d’ora in poi alle scuole di dover “subire” il dimensionamento e di partecipare davvero alle scelte. Il testo licenziato dalla VII commissione può, però, essere ulteriormente migliorato e il Partito Democratico continuerà a consultare associazioni e sindacati per raccoglierne le proposte, come sempre fatto.

Invitiamo dunque i parlamentari dell’IDV a collaborare insieme a noi, invece di andar per funghi o di astenersi quando si tratta di votare contro il maestro unico.

Fosse Ardeatine, 68 anni dopo Napolitano: “Onore ai caduti non finirà”

La cerimonia in ricordo dell’eccidio nazista in cui morirono 335 vittime tra civili e militari. La denuncia dell’Anfim: “Senza soldi, chiuderemo”. L’appello raccolto dal capo dello Stato. Mille studenti romani, provenienti da 30 istituti superiori e 16 scuole medie della Capitale, hanno partecipato questa mattina alla cerimonia in ricordo dell’eccidio alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del presidente della Camera, Gianfranco Fini, del vicepresidente del Senato, Emma Bonino, del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, della governatrice del Lazio, Renata Polverini, del presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e del sindaco Gianni Alemanno.

Uno dopo l’altro sono stati letti i nomi delle 335 vittime della strage, poi le autorità hanno visitato le Fosse deponendo corone di fiori. A prendere la parola per prima, Rosina Stame, presidente dell’Anfim (Associazione nazionale familiari dei martiri caduti per la libertà della patria) che ha ricordato che “a causa dei tagli abbiamo dovuto licenziare i nostri due unici dipendenti e probabilmente saremo costretti a chiudere i nostri uffici, ma non chiuderemo i nostri cuori”. A risponderle il capo dello Stato Giorgio Napolitano: “Quello che si è fatto per onorare la memoria dei caduti non è finito e non finirà. Il 23 marzo dell’anno prossimo ci ritroveremo nuovamente qui con lo stesso animo”. Un appello raccolto anche dal primo cittadino Gianni Alemanno: “L’anno scorso siamo intervenuti con 30mila euro proprio per compensare i tagli del governo. Continueremo a sostenere questa operazione perché non possiamo permettere che l’Anfim chiuda.
Ci auguriamo che il governo risponda all’appello del presidente Napolitano e garantiamo che Roma Capitale sarà accanto a questa associazione perché la memoria non si può perdere”.

L’omaggio alle vittime della strage

Era il 24 marzo del 1944 quando le truppe di occupazione naziste massacrarono civili e militari come atto di rappresaglia per l’attacco partigiano ai tedeschi avvenuto il giorno prima in via Rasella. “Una ferita per la storia di Roma, il simbolo della violenza deliberata dell’uomo sull’uomo che va ricordata anche per trasformare gli studenti e i ragazzi in testimoni di speranza” secondo l’assessore capitolino alla Famiglia e alla Scuola Gianluigi De Palo. “Un gesto di assoluta follia umana più che di guerra” ha commentato Renata Polverini, convinta che “ci dobbiamo ritrovare qui ogni anno per segnare la nostra storia e perché queste cose non accadano più”. Riguardo ai tagli del governo ha spiegato: ”Ormai rispetto alle tre manovre del precedente governo e dell’ultima di quello attuale, soprattutto sugli enti locali, ci sono stati tagli talmente importanti che su ogni questione che trattiamo quotidianamente, questo elemento torna fuori. Ci auguriamo che il governo passi ad una fase successiva, a quella dello sviluppo, perché solo così potremo interrompere questo dibattito”.

da www.repubblica.it