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“La moral suasion del Quirinale”, di Claudio Tito

«Il testo può essere migliorato in Parlamento». Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla. Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata.
Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione “Porta a Porta”.
Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con la formula “salve intese”. Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già approvata.
Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le “opposte simbologie”.
Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell´articolo 18 in una sorta di totem.
Preoccupazioni già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la “moral suasion” del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl.
L´idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma su ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c´è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione.
Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l´adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di “manutenzione” dell´articolo 18.
Eppure, nello stesso tempo, sul Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell´ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a corso d´Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l´enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile.
Nell´incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni.
Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un valore da difendere – lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica – ma non a costo dell´immobilismo. Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio. Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall´episodio che ha coinvolto l´altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero.
Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. «Voglio unire e non dividere», spiega in queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. E´ addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull´intera riforma.
A Bersani – ma anche a Fini e a Schifani – ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature «nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo». Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.
Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa «non possono essere sottovalutate». E i primi segni di queste conseguenze sono già emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione.
Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto.
Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all´interno dei democratici: con D´Alema e con Fioroni. E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un´ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd.

La Repubblica 23.03.12

“La moral suasion del Quirinale”, di Claudio Tito

«Il testo può essere migliorato in Parlamento». Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla. Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata.
Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione “Porta a Porta”.
Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con la formula “salve intese”. Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già approvata.
Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le “opposte simbologie”.
Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell´articolo 18 in una sorta di totem.
Preoccupazioni già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la “moral suasion” del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl.
L´idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma su ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c´è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione.
Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l´adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di “manutenzione” dell´articolo 18.
Eppure, nello stesso tempo, sul Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell´ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a corso d´Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l´enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile.
Nell´incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni.
Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un valore da difendere – lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica – ma non a costo dell´immobilismo. Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio. Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall´episodio che ha coinvolto l´altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero.
Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. «Voglio unire e non dividere», spiega in queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. E´ addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull´intera riforma.
A Bersani – ma anche a Fini e a Schifani – ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature «nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo». Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.
Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa «non possono essere sottovalutate». E i primi segni di queste conseguenze sono già emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione.
Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto.
Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all´interno dei democratici: con D´Alema e con Fioroni. E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un´ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd.

La Repubblica 23.03.12

"Così esordisce il partito dei tecnici", di Francesco Cundari

Le opinioni sono tutte legittime, ma i fatti, a questo punto, sono chiari. Il primo fatto è che è il governo Monti ad aver scelto di rompere con la Cgil, e non viceversa. Il secondo è che non lo ha fatto per ragioni di merito, ma per ragioni politiche. Sul primo fatto, semmai qualcuno avesse ancora dei dubbi, basta andarsi a rivedere i commenti degli ultimi sette giorni, quando su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive si è descritto fino al dettaglio l’accordo imminente sul cosiddetto modello tedesco. Le rassegne stampa e gli archivi televisivi sono pieni delle espressioni di delusione e delle facce compunte di chi sperava nella rottura. Fino alla sera di martedì, infatti, tutti davano per scontato che la proposta del governo sarebbe stata quella emersa dal vertice della settimana scorsa, su cui si erano già espressi favorevolmente anche i vertici del Pd.
Viene quindi da chiedersi per quale ragione, dunque, martedì il governo abbia deciso improvvisamente di alzare la posta, abbandonando il modello tedesco e virando verso la pura e semplice cancellazione dell’articolo 18. Perché di questo si tratta, come dimostra il titolo scelto ieri dal Sole 24 Ore: «Articolo 18, addio per tutti… La regola generale diventa l’indennizzo». Semplice, chiaro e conciso. Non ci sono molti motivi plausibili che possano spiegare un simile comportamento. Non certo ragioni di merito, giacché non si trattava di importare la normativa dell’Unione Sovietica, ma quella della Germania, la maggiore economia europea, che oggi dà lezioni di rigore e competitività a tutto il Continente.
Di conseguenza, non appare plausibile nemmeno che il governo abbia scartato quella possibilità per timore del giudizio dei mercati finanziari: è evidente che il varo di una simile riforma, per giunta con l’accordo di tutte le maggiori forze politiche e sindacali, sarebbe stato una notizia ben più rassicurante sulle prospettive dell’Italia, per i mercati come per qualunque persona dotata di raziocinio. Non resta quindi che la
spiegazione più semplice: che il governo abbia cercato la rottura per la rottura, perseguendo intenzionalmente l’asse con Cisl e Uil contro la Cgil (con il conseguente colpo al Partito democratico), nonostante tutte le rassicurazioni date in senso contrario.
Difficile dire quanto Mario Monti o Elsa Fornero siano artefici e quanto strumento dell’operazione, ma certo ora tornano alla mente le molte voci circolate in questi mesi sulle grandi manovre dietro le quinte, affinché sulla scheda delle politiche del 2013 gli elettori trovino anche una sorta di partito dei tecnici. Perché l’unica ragione politica che spiega la scelta della rottura è proprio questa: aprire la strada a una nuova formazione che possa collocarsi al centro e spaccare il Pd, così da ottenere domani una maggioranza simile a quella che attualmente sostiene il governo Monti, ma con diversi rapporti di forza.
Lasciando quindi alle forze di centrosinistra la non entusiasmante alternativa tra l’accordo in posizione di totale subalternità e l’opposizione in condizioni di isolamento e delegittimazione. Il coro intonato dai mezzi di informazione in questi mesi, con l’abituale corredo di pseudoretroscena e pseudosondaggi, è un significativo anticipo della musica che ci aspetta in campagna elettorale. Una campagna che per qualcuno, evidentemente, è già cominciata.

L’Unià 22.03.12

“Così esordisce il partito dei tecnici”, di Francesco Cundari

Le opinioni sono tutte legittime, ma i fatti, a questo punto, sono chiari. Il primo fatto è che è il governo Monti ad aver scelto di rompere con la Cgil, e non viceversa. Il secondo è che non lo ha fatto per ragioni di merito, ma per ragioni politiche. Sul primo fatto, semmai qualcuno avesse ancora dei dubbi, basta andarsi a rivedere i commenti degli ultimi sette giorni, quando su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive si è descritto fino al dettaglio l’accordo imminente sul cosiddetto modello tedesco. Le rassegne stampa e gli archivi televisivi sono pieni delle espressioni di delusione e delle facce compunte di chi sperava nella rottura. Fino alla sera di martedì, infatti, tutti davano per scontato che la proposta del governo sarebbe stata quella emersa dal vertice della settimana scorsa, su cui si erano già espressi favorevolmente anche i vertici del Pd.
Viene quindi da chiedersi per quale ragione, dunque, martedì il governo abbia deciso improvvisamente di alzare la posta, abbandonando il modello tedesco e virando verso la pura e semplice cancellazione dell’articolo 18. Perché di questo si tratta, come dimostra il titolo scelto ieri dal Sole 24 Ore: «Articolo 18, addio per tutti… La regola generale diventa l’indennizzo». Semplice, chiaro e conciso. Non ci sono molti motivi plausibili che possano spiegare un simile comportamento. Non certo ragioni di merito, giacché non si trattava di importare la normativa dell’Unione Sovietica, ma quella della Germania, la maggiore economia europea, che oggi dà lezioni di rigore e competitività a tutto il Continente.
Di conseguenza, non appare plausibile nemmeno che il governo abbia scartato quella possibilità per timore del giudizio dei mercati finanziari: è evidente che il varo di una simile riforma, per giunta con l’accordo di tutte le maggiori forze politiche e sindacali, sarebbe stato una notizia ben più rassicurante sulle prospettive dell’Italia, per i mercati come per qualunque persona dotata di raziocinio. Non resta quindi che la
spiegazione più semplice: che il governo abbia cercato la rottura per la rottura, perseguendo intenzionalmente l’asse con Cisl e Uil contro la Cgil (con il conseguente colpo al Partito democratico), nonostante tutte le rassicurazioni date in senso contrario.
Difficile dire quanto Mario Monti o Elsa Fornero siano artefici e quanto strumento dell’operazione, ma certo ora tornano alla mente le molte voci circolate in questi mesi sulle grandi manovre dietro le quinte, affinché sulla scheda delle politiche del 2013 gli elettori trovino anche una sorta di partito dei tecnici. Perché l’unica ragione politica che spiega la scelta della rottura è proprio questa: aprire la strada a una nuova formazione che possa collocarsi al centro e spaccare il Pd, così da ottenere domani una maggioranza simile a quella che attualmente sostiene il governo Monti, ma con diversi rapporti di forza.
Lasciando quindi alle forze di centrosinistra la non entusiasmante alternativa tra l’accordo in posizione di totale subalternità e l’opposizione in condizioni di isolamento e delegittimazione. Il coro intonato dai mezzi di informazione in questi mesi, con l’abituale corredo di pseudoretroscena e pseudosondaggi, è un significativo anticipo della musica che ci aspetta in campagna elettorale. Una campagna che per qualcuno, evidentemente, è già cominciata.

L’Unià 22.03.12

“Così esordisce il partito dei tecnici”, di Francesco Cundari

Le opinioni sono tutte legittime, ma i fatti, a questo punto, sono chiari. Il primo fatto è che è il governo Monti ad aver scelto di rompere con la Cgil, e non viceversa. Il secondo è che non lo ha fatto per ragioni di merito, ma per ragioni politiche. Sul primo fatto, semmai qualcuno avesse ancora dei dubbi, basta andarsi a rivedere i commenti degli ultimi sette giorni, quando su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive si è descritto fino al dettaglio l’accordo imminente sul cosiddetto modello tedesco. Le rassegne stampa e gli archivi televisivi sono pieni delle espressioni di delusione e delle facce compunte di chi sperava nella rottura. Fino alla sera di martedì, infatti, tutti davano per scontato che la proposta del governo sarebbe stata quella emersa dal vertice della settimana scorsa, su cui si erano già espressi favorevolmente anche i vertici del Pd.
Viene quindi da chiedersi per quale ragione, dunque, martedì il governo abbia deciso improvvisamente di alzare la posta, abbandonando il modello tedesco e virando verso la pura e semplice cancellazione dell’articolo 18. Perché di questo si tratta, come dimostra il titolo scelto ieri dal Sole 24 Ore: «Articolo 18, addio per tutti… La regola generale diventa l’indennizzo». Semplice, chiaro e conciso. Non ci sono molti motivi plausibili che possano spiegare un simile comportamento. Non certo ragioni di merito, giacché non si trattava di importare la normativa dell’Unione Sovietica, ma quella della Germania, la maggiore economia europea, che oggi dà lezioni di rigore e competitività a tutto il Continente.
Di conseguenza, non appare plausibile nemmeno che il governo abbia scartato quella possibilità per timore del giudizio dei mercati finanziari: è evidente che il varo di una simile riforma, per giunta con l’accordo di tutte le maggiori forze politiche e sindacali, sarebbe stato una notizia ben più rassicurante sulle prospettive dell’Italia, per i mercati come per qualunque persona dotata di raziocinio. Non resta quindi che la
spiegazione più semplice: che il governo abbia cercato la rottura per la rottura, perseguendo intenzionalmente l’asse con Cisl e Uil contro la Cgil (con il conseguente colpo al Partito democratico), nonostante tutte le rassicurazioni date in senso contrario.
Difficile dire quanto Mario Monti o Elsa Fornero siano artefici e quanto strumento dell’operazione, ma certo ora tornano alla mente le molte voci circolate in questi mesi sulle grandi manovre dietro le quinte, affinché sulla scheda delle politiche del 2013 gli elettori trovino anche una sorta di partito dei tecnici. Perché l’unica ragione politica che spiega la scelta della rottura è proprio questa: aprire la strada a una nuova formazione che possa collocarsi al centro e spaccare il Pd, così da ottenere domani una maggioranza simile a quella che attualmente sostiene il governo Monti, ma con diversi rapporti di forza.
Lasciando quindi alle forze di centrosinistra la non entusiasmante alternativa tra l’accordo in posizione di totale subalternità e l’opposizione in condizioni di isolamento e delegittimazione. Il coro intonato dai mezzi di informazione in questi mesi, con l’abituale corredo di pseudoretroscena e pseudosondaggi, è un significativo anticipo della musica che ci aspetta in campagna elettorale. Una campagna che per qualcuno, evidentemente, è già cominciata.

L’Unià 22.03.12

Gas Rivara, Pd “Insoddisfatti della risposta del Governo”

Il Governo ha risposto alle interrogazioni dei parlamentari sia alla Camera che in Senato. I parlamentari del Pd Barbolini, Bastico, Ghizzoni e Miglioli, dopo aver ascoltato la risposta del Governo alle loro interrogazioni, si dichiarano “insoddisfatti e delusi”: il parere negativo, a più riprese, espresso dai cittadini e dalle istituzioni dei territori interessati e dalla Regione Emilia-Romagna non sono stati tenuti in considerazione, nonostante il parere positivo della Regione sia necessario per legge. “Insoddisfatti della risposta del Governo e delusi del fatto che il Ministero dell’ambiente abbia ritenuto di andare avanti con la fase del procedimento di compatibilità ambientale del progetto nonostante il parere negativo, a più riprese ribadito, degli enti territoriali interessati e della Regione Emilia-Romagna, la cui intesa, tra l’altro, è indispensabile per legge per la concreta realizzazione del progetto”: è quanto hanno sostenuto, in momenti diversi, i parlamentari modenesi del Pd Giuliano Barbolini, Mariangela Bastico, Manuela Ghizzoni e Ivano Miglioli, commentando la risposta del Governo alle loro interrogazioni. Com’è noto, in momenti diversi, i parlamentari modenesi del Pd, sollecitati dai cittadini e dagli enti locali dell’Area Nord, hanno presentato interrogazioni, nei due rami del Parlamento, sul progetto di stoccaggio sotterraneo di gas che la società IGM vorrebbe realizzare a Rivara. Il sottosegretario Tullio Fanelli ha risposto alle domande presentate dai deputati Ghizzoni e Miglioli nel corso del Question Time della Camera tenutosi la sera di mercoledì 21 marzo. Analoga risposta hanno ottenuto i senatori Barbolini e Bastico, in aula, nel tardo pomeriggio di giovedì 22 marzo. Unica differenza che in Senato la risposta ha cumulato sia le interrogazioni contro il progetto che quelle pro presentate dal senatore modenese del Pdl Giovanardi. Dal Governo, quindi, non solo non è arrivato l’atteso impegno politico sulla inopportunità della scelta di realizzare il deposito di gas di Rivara, ma non viene neppure presa in considerazione la disponibilità della Regione Emilia-Romagna alla realizzazione di impianti di stoccaggio di gas naturale in siti diversi da quello di Rivara e, a differenza di questo, sicuri dal punto di vista sia geologico che ambientale. In Senato, tra l’altro, Carlo Giovanardi del Pdl ha applaudito alla posizione del Governo tacciando i parlamentari del Pd da una parte di oscurantismo (contro la scienza e la ricerca) e dall’altra di dire dei “no” pregiudiziali. “E’ proprio il contrario – rispondono Barbolini e Bastico – proprio perché siamo attenti alla ricerca e alla scienza che abbiamo presente come ben due Commissioni di Via hanno avuto dubbi sull’affidabilità del progetto. Sono gli “apprendisti stregoni” che maneggiano con faciloneria cose complesse e delicate. Il no di un intero territorio è basato su evidenze tecnico-scientifiche che definiscono quel sito non sicuro. La Regione Emilia-Romagna non è la patria dei “no” a tutti i costi: la riprova è che sono stati offerti ben cinque diverse alternative, tutte non pericolose, semplicemente non sono state prese in considerazione”

In questo momento, quindi, il “no” della Regione sembra essere il solo ostacolo che impedisce la realizzazione dell’impianto. I parlamentari modenesi del Pd, pertanto, si impegnano a vigilare sui prossimi passi della procedura e non abbandoneranno il pressing sul governo affinché si pronunci contro il deposito.

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5-06464 Mariani ed altri: Iniziative relative al progetto di localizzazione di un deposito sottomarino di gas nel comune di Rivara.
TESTO DELLA RISPOSTA

In merito all’interrogazione a risposta immediata presentata dall’onorevole Mariani ed altri, afferente il progetto relativo all’impianto finalizzato allo stoccaggio di gas naturale a Rivara, si rappresenta quanto segue.
Si tratta della prima iniziativa del genere in Italia in quanto, finora, lo stoccaggio di gas è stato operato all’interno di giacimenti di gas esauriti. La normativa in vigore (decreto legislativo n. 164/2000 – cosiddetto decreto «Letta»), prevede che l’attività di stoccaggio del gas naturale possa essere realizzata anche in unità geologiche profonde. La tecnica dello stoccaggio in acquifero è ben nota all’estero e si applica in numerosi paesi, in particolare quelli in cui i giacimenti di gas naturale non sono presenti.
In generale, si sottolinea come le infrastrutture di stoccaggio di gas naturale svolgano una funzione indispensabile per la modulazione dell’offerta di gas nel sistema italiano, vista la rigidità del profilo delle importazioni e la grande differenza tra domanda estiva e quella invernale nel settore civile; le infrastrutture di stoccaggio svolgono inoltre un ruolo strategico nel garantire la sicurezza delle forniture sia nel caso di eventi climatici eccezionali sia nel caso di rischi di interruzioni o riduzioni delle importazioni.
L’attuale sistema nazionale degli stoccaggi dispone di una capacità totale di circa 14 miliardi di metri cubi, di cui 5 miliardi per riserva strategica. Tale capacità, come hanno dimostrato con tutta evidenza le molteplici crisi degli ultimi anni, deve essere incrementata per aumentare la sicurezza del sistema ed a tal fine è stato emanato un apposito decreto-legge, n. 130 del 2010 e sono in corso 10 procedimenti per il rilascio di nuove concessioni, tutte in giacimenti esauriti ad eccezione del progetto RIVARA, per una capacità complessiva di circa 5.800 milioni di metri cubi. La potenzialità del progetto di Rivara è pari, secondo i proponenti, a 3.186 milioni di metri cubi di capacità, ma è necessario verificarne l’effettiva consistenza attraverso una fase di verifica in situ.
Sotto l’aspetto amministrativo e procedurale, l’istanza di rilascio della concessione di stoccaggio RIVARA è stata presentata nell’anno 2002 ed è stata valutata positivamente nel giugno 2005 dal Comitato Tecnico per gli Idrocarburi e la Geotermia, organo tecnico istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, mentre, con decreto del 17 febbraio 2012 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stata conclusa la prima fase del procedimento di compatibilità ambientale.
Tale pronuncia di compatibilità ambientale, favorevole con prescrizioni, è limitata alle sole operazioni previste per la fase di accertamento sulla fattibilità dei programmi di stoccaggio, fase necessaria per la conferma e l’acquisizione di tutti i parametri progettuali indispensabili per poter sancire la fattibilità tecnico-economica e la piena sicurezza relativa all’esercizio dell’impianto di stoccaggio del gas, ed al solo fine dell’eventuale rilascio da parte del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con la regione interessata, dell’autorizzazione ai sensi del Titolo II, Articolo 3, comma 7, del decreto ministeriale del 21 gennaio 2011 e del successivo decreto attuativo n. 50918 del 4 febbraio 2011.
Diversamente da quanto riferito nell’interrogazione, secondo cui l’articolo 3, comma 7, del decreto ministeriale 21 gennaio 2011 farebbe riferimento «all’accertamento della fattibilità del programma di stoccaggio» e non «all’accertamento della fattibilità dello stoccaggio», come sarebbe indicato nel dispositivo del summenzionato decreto di compatibilità ambientale, si ritiene invece che dal dispositivo finale del citato decreto di compatibilità ambientale si evinca chiaramente che la fase di accertamento oggetto di VIA riguarda la fattibilità dei programmi di stoccaggio di cui all’articolo 3, comma 7, del decreto ministeriale 21 gennaio 2011.
Del resto, al successivo punto II del summenzionato dispositivo finale, viene disposto che «nel caso in cui la fase di accertamento dia esito positivo confermando la fattibilità dei proposti programmi di stoccaggio di gas in unità geologiche profonde, la Società, ai fini del rilascio della Concessione di coltivazione (…), dovrà richiedere preventivamente al Ministero dell’Ambiente la riattivazione dell’istanza di VIA aggiornata sulla base degli esiti della citata fase di accertamento, in relazione alle fasi di realizzazione e di esercizio dell’impianto di stoccaggio».
In relazione alle osservazioni che l’ISPRA avrebbe fatto in merito alla fase di accertamento, si evidenzia che lo stesso istituto ha supportato con proprie valutazioni l’istruttoria tecnica condotta dalla Commissione Tecnica VIA-VAS, valutazioni che sono state tenute in debita considerazione dalla Commissione nell’emanazione del proprio parere di compatibilità ambientale alla base del sopracitato decreto VIA.
L’ iter per l’autorizzazione del programma di ricerca potrà quindi proseguire con l’indizione della conferenza di servizi, a cui sono chiamati a partecipare, per l’espressione dei relativi pareri, la regione e le amministrazioni locali interessate (Province e Comuni). L’istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione, anche se limitata alla sola fase di ricerca, sarà completata solo a seguito dell’espressione dell’intesa da parte della regione Emilia Romagna.

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Replica dell’ On Ghizzoni

Manuela GHIZZONI (PD), cofirmataria dell’interrogazione in titolo, si dichiara insoddisfatta della risposta fornita dal Governo, in primo luogo perché nella stessa non si fa alcun cenno, come sarebbe stato, a suo avviso, doveroso, per rispetto del ruolo e delle prerogative parlamentari, all’impegno politico assunto dal Governo in sede di approvazione da parte della VIII Commissione della Camera dei deputati, nella seduta del 25 maggio 2011, di una risoluzione che impegnava il Governo «ad assumere una posizione politica precisa sull’inopportunità della scelta della realizzazione del deposito di gas a Rivara». Sottolinea, inoltre, negativamente, il fatto che nella risposta si omette di riferire che la pronuncia di compatibilità ambientale del progetto adottata dal Ministero dell’ambiente lo scorso 17 febbraio 2012 è stata assunta nonostante due precedenti deliberati della Commissione ministeriale VIA/VAS con i quali si segnalava l’impossibilità di pronunciarsi per mancanza di elementi conoscitivi essenziali e nonostante le forti perplessità avanzate dall’ISPRA in relazione ai risultati e all’adeguatezza degli accertamenti compiuti.
Stigmatizza, altresì, il fatto che la citata pronuncia di compatibilità ambientale sia stata adottata in violazione di quanto disposto dall’articolo 3, comma 7, del decreto ministeriale 21 gennaio 2011 che fa riferimento, non «all’accertamento della fattibilità dello stoccaggio» (come riportato nella citata pronuncia di compatibilità ambientale), ma «all’accertamento della fattibilità del programma dello stoccaggio». In tal modo, di fatto, è stata stravolta la natura stessa degli accertamenti da compiere, i quali, in quanto da riferire al programma di stoccaggio, non avrebbero potuto avere natura diversa da quella di accertamenti tecnico-economici. Nel sottolineare la gravità di questo fatto, denuncia l’illegittimità del citato provvedimento ministeriale, ritenendo che non sia possibile qualificare altrimenti il medesimo provvedimento.
Esprime, infine, la propria delusione per il fatto che il Ministero dell’ambiente abbia ritenuto possibile completare la prima fase del procedimento di compatibilità ambientale del progetto, nonostante fosse formalmente a conoscenza delle ripetute prese di posizioni contrarie di tutti gli enti territoriali interessati e della stessa regione Emilia-Romagna, la cui intesa è per legge indispensabile ai fini della concreta realizzazione del progetto. Dichiara altresì la propria delusione per il fatto che il Ministero dell’ambiente abbia completato la prima fase del procedimento di compatibilità ambientale del progetto, nonostante il fatto che gli enti rappresentativi delle comunità territoriali e la regione Emilia-Romagna abbiano da tempo dato la propria disponibilità alla realizzazione di impianti di stoccaggio di gas naturale in siti diversi da quello di Rivara e, a differenza di questo, sicuri dal punto di vista sia geologico che ambientale. Avviandosi a concludere, giudica quindi incomprensibile l’atteggiamento della società IGM, che pervicacemente persiste nella richiesta di concessione di stoccaggio di gas a Rivara, rifiutandosi di prendere in considerazione ogni ipotesi di realizzare l’impianto in siti diversi da questo. Conclude, richiamando la presentazione di un ulteriore atto di sindacato ispettivo in materia, con cui si chiede al Governo in carica di esprimersi formalmente sull’impegno politico assunto in Parlamento dal precedente Governo il 25 maggio 2011, e sollecitandone quindi la risposta.

Universita': Pd vota contro il governo, manca cambio di passo

Ghizzoni: troppe incertezze su finanziamenti e penalizzazioni per welfare universitario. “Il Pd ha votato contro i due provvedimenti del governo che attuano la riforma Gelmini”. Lo rende noto la capogruppo democratica nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni che sottolinea come “i due ultimi decreti attuativi presentati dal ministro Profumo non contengono quel cambio di passo necessario a rilanciare le università italiane e penalizzano gli studenti. Ancora una volta non si garantisce lo sviluppo degli atenei e si mette a repentaglio il sistema di welfare studentesco. Il provvedimento che riforma il diritto allo studio, ad esempio, non interviene efficacemente per superare quell’assurdità tutta italiana che vede ben il 30% degli studenti dichiarati idonei a ricevere la borsa di studio a vedersela invece negata per carenza di risorse. Uno strappo ad un diritto costituzionale che dovrebbe essere posto al centro dell’azione del governo per lo sviluppo del paese e la mobilità sociale. E invece si continua a fare cassa sulle spalle degli studenti che, non solo, avranno la certezza di vedersi aumentata di circa il 40% la tassa regionale, ma anche, le tasse universitarie. Mentre con il provvedimento sulla programmazione universitaria – prosegue Ghizzoni – il governo, a nostro avviso, ha peccato di eccesso di delega perché non si è limitato a definire un nuovo parametro di compatibilità economica, come avrebbe dovuto fare, ma ha introdotto un nuovo e pesante blocco al turn over che porterà ad un progressivo e veloce depauperamento del sistema universitario e chiuderà le porte a tutti i giovani di talento che aspirano legittimamente alla carriera accademica. Infine, sul tema della stabilità del finanziamento del fondo ordinario non è stata prevista alcuna garanzia. Per tutte queste ragioni abbiamo votato contro i due provvedimenti del governo”.