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"Pensioni lontane con la Fornero", di Nicola Mondelli

La scadenza del 31 dicembre lascia fuori circa 30 mila prof. E la situazione peggiorerà nei prossimi anni con l’inasprirsi dei requisiti della riforma. Per chiedere di cessare dal servizio e accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato con decorrenza dal 1° settembre 2012 il personale della scuola ha tempo fino al prossimo 30 marzo. Lo ha stabilito il decreto ministeriale n. 22 del 12 marzo 2012.Ma per circa trentamila dipendenti, su una platea di circa 90-100 mila interessati, tra quanti sono in servizio nell’anno scolastico in corso, le porte della pensione resteranno sbarrate. Secondo una indagine condotta da Azienda Scuola, sono 30 mila i docenti, gli ausiliari e gli amministrativi che avrebbero maturato nel corso del 2012, anziché entro il 31 dicembre 2011 (scadenza fissata dalla Fornero), i requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla legge 247/2007 per accedere al trattamento pensionistico di anzianità(quota 96 o 40 anni di anzianità contributiva o se donna 62 anni di età e non meno di 20 anni di contribuzione).A impedirne l’sucta è stata l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2012 delle nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici contenute nell’art. 24 del decreto legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011. La cosiddetta riforma Fornero.Cosa succede il 1/9/2012Per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con effetto dal 1° settembre prossimo, i trentamila dovrebbero, infatti, poter fare valere, alla data del 31 dicembre 2012, 66 anni di età anagrafica unitamente ad una anzianità contributiva non inferiore a 20 anni. Stando all’indagine di Azienda Scuola nessuno di essi li potrà fare valere.Per accedere invece alla pensione anticipata, sempre dal 1° settembre 2012, il personale maschile dovrebbe poter fare valere, entro il 31 dicembre 2012, 42 anni e un mese di anzianità contributiva. Quello femminile invece 41 anni e un mese. Gli uni e le altre con età anagrafica di almeno 62 anni. Se l’età anagrafica fosse inferiore a 62 anni scatterebbero le penalizzazioni previste dall’ art. 24, comma 10 del decreto legge n. 201/2011 come modificato dall’art. 6, comma 2-quater della legge n. 14/2012. Ad eccezione di alcune insegnanti di scuola primaria che compiranno 60 anni di età nel 2012 e 41 anni e un mese di anzianità contributiva, l’indagine condotta da Azienda Scuola non rileva la presenza di altro personale che potrebbe fare valere i nuovi requisiti.La situazione del personale scolastico che non ha potuto fare valere entro il 31 dicembre 2011 i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di anzianità richiesti dalla normativa previgente l’entrata in vigore del citato art. 24, non migliorerà negli anni successivi durante i quali i requisiti richiesti subiranno ulteriori incrementi…. E cosa succede poi Per accedere alla pensione di vecchiaia dal 1/9/2013 il personale della scuola dovrà infatti possedere i requisiti anagrafici e contributivi annualmente indicati nel decreto interministeriale del 6 dicembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 2011, n.289. Ad esempio nel 2013 e nel 2014 uomini e donne dovranno avere maturato 66 anni e tre mesi di età anagrafica. Per accedere invece alla pensione anticipata, nel 2013 gli uomini dovranno avere maturato 42 anni e 5 mesi di contribuzione; le donne a 41 anni e 5 mesi. Nel 2014 gli uomini 42 anni e 6 mesi, le donne 41 anni e 6 mesi.Cessazione e liquidazioneLa cessazione dal servizio continua ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento pensionistico. Il trattamento pensionistico decorrerà invece dalla data di inizio dell’anno scolastico dell’anno successivo a quello di maturazione dei requisiti esclusivamente nei confronti del personale femminile che opti per il sistema di calcolo contributivo e che cessi dal servizio entro il 2015 potendo fare valere non meno di 57 anni di età anagrafica e non meno di 37 anni di anzianità contributiva.La finestra del 1° settembreLe nuove norme previdenziali citate in premessa, entrate in vigore il 1° gennaio 2012, ribadiscono che nei confronti del personale del comparto scuola resta fermo quanto dispone l’art. 59, comma 9 della legge 449/1997 e successive modificazioni. Pertanto, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, la cessazione dal servizio continuerà ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico.L’unica finestra di uscita potrà comportare in molti casi il rinvio fino ad un anno dell’accesso alla pensione qualora i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata non si maturino, anche per un solo giorno, entro il 31 dicembre di ciascun anno.Per tutti i dipendenti pubblici, invece, la finestra di uscita si apre fin dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti e di cessazione dal servizio

da ItaliaOggi 20.09.12

“Pensioni lontane con la Fornero”, di Nicola Mondelli

La scadenza del 31 dicembre lascia fuori circa 30 mila prof. E la situazione peggiorerà nei prossimi anni con l’inasprirsi dei requisiti della riforma. Per chiedere di cessare dal servizio e accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato con decorrenza dal 1° settembre 2012 il personale della scuola ha tempo fino al prossimo 30 marzo. Lo ha stabilito il decreto ministeriale n. 22 del 12 marzo 2012.Ma per circa trentamila dipendenti, su una platea di circa 90-100 mila interessati, tra quanti sono in servizio nell’anno scolastico in corso, le porte della pensione resteranno sbarrate. Secondo una indagine condotta da Azienda Scuola, sono 30 mila i docenti, gli ausiliari e gli amministrativi che avrebbero maturato nel corso del 2012, anziché entro il 31 dicembre 2011 (scadenza fissata dalla Fornero), i requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla legge 247/2007 per accedere al trattamento pensionistico di anzianità(quota 96 o 40 anni di anzianità contributiva o se donna 62 anni di età e non meno di 20 anni di contribuzione).A impedirne l’sucta è stata l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2012 delle nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici contenute nell’art. 24 del decreto legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011. La cosiddetta riforma Fornero.Cosa succede il 1/9/2012Per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con effetto dal 1° settembre prossimo, i trentamila dovrebbero, infatti, poter fare valere, alla data del 31 dicembre 2012, 66 anni di età anagrafica unitamente ad una anzianità contributiva non inferiore a 20 anni. Stando all’indagine di Azienda Scuola nessuno di essi li potrà fare valere.Per accedere invece alla pensione anticipata, sempre dal 1° settembre 2012, il personale maschile dovrebbe poter fare valere, entro il 31 dicembre 2012, 42 anni e un mese di anzianità contributiva. Quello femminile invece 41 anni e un mese. Gli uni e le altre con età anagrafica di almeno 62 anni. Se l’età anagrafica fosse inferiore a 62 anni scatterebbero le penalizzazioni previste dall’ art. 24, comma 10 del decreto legge n. 201/2011 come modificato dall’art. 6, comma 2-quater della legge n. 14/2012. Ad eccezione di alcune insegnanti di scuola primaria che compiranno 60 anni di età nel 2012 e 41 anni e un mese di anzianità contributiva, l’indagine condotta da Azienda Scuola non rileva la presenza di altro personale che potrebbe fare valere i nuovi requisiti.La situazione del personale scolastico che non ha potuto fare valere entro il 31 dicembre 2011 i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di anzianità richiesti dalla normativa previgente l’entrata in vigore del citato art. 24, non migliorerà negli anni successivi durante i quali i requisiti richiesti subiranno ulteriori incrementi…. E cosa succede poi Per accedere alla pensione di vecchiaia dal 1/9/2013 il personale della scuola dovrà infatti possedere i requisiti anagrafici e contributivi annualmente indicati nel decreto interministeriale del 6 dicembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 2011, n.289. Ad esempio nel 2013 e nel 2014 uomini e donne dovranno avere maturato 66 anni e tre mesi di età anagrafica. Per accedere invece alla pensione anticipata, nel 2013 gli uomini dovranno avere maturato 42 anni e 5 mesi di contribuzione; le donne a 41 anni e 5 mesi. Nel 2014 gli uomini 42 anni e 6 mesi, le donne 41 anni e 6 mesi.Cessazione e liquidazioneLa cessazione dal servizio continua ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento pensionistico. Il trattamento pensionistico decorrerà invece dalla data di inizio dell’anno scolastico dell’anno successivo a quello di maturazione dei requisiti esclusivamente nei confronti del personale femminile che opti per il sistema di calcolo contributivo e che cessi dal servizio entro il 2015 potendo fare valere non meno di 57 anni di età anagrafica e non meno di 37 anni di anzianità contributiva.La finestra del 1° settembreLe nuove norme previdenziali citate in premessa, entrate in vigore il 1° gennaio 2012, ribadiscono che nei confronti del personale del comparto scuola resta fermo quanto dispone l’art. 59, comma 9 della legge 449/1997 e successive modificazioni. Pertanto, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, la cessazione dal servizio continuerà ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico.L’unica finestra di uscita potrà comportare in molti casi il rinvio fino ad un anno dell’accesso alla pensione qualora i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata non si maturino, anche per un solo giorno, entro il 31 dicembre di ciascun anno.Per tutti i dipendenti pubblici, invece, la finestra di uscita si apre fin dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti e di cessazione dal servizio

da ItaliaOggi 20.09.12

“Pensioni lontane con la Fornero”, di Nicola Mondelli

La scadenza del 31 dicembre lascia fuori circa 30 mila prof. E la situazione peggiorerà nei prossimi anni con l’inasprirsi dei requisiti della riforma. Per chiedere di cessare dal servizio e accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato con decorrenza dal 1° settembre 2012 il personale della scuola ha tempo fino al prossimo 30 marzo. Lo ha stabilito il decreto ministeriale n. 22 del 12 marzo 2012.Ma per circa trentamila dipendenti, su una platea di circa 90-100 mila interessati, tra quanti sono in servizio nell’anno scolastico in corso, le porte della pensione resteranno sbarrate. Secondo una indagine condotta da Azienda Scuola, sono 30 mila i docenti, gli ausiliari e gli amministrativi che avrebbero maturato nel corso del 2012, anziché entro il 31 dicembre 2011 (scadenza fissata dalla Fornero), i requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla legge 247/2007 per accedere al trattamento pensionistico di anzianità(quota 96 o 40 anni di anzianità contributiva o se donna 62 anni di età e non meno di 20 anni di contribuzione).A impedirne l’sucta è stata l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2012 delle nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici contenute nell’art. 24 del decreto legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011. La cosiddetta riforma Fornero.Cosa succede il 1/9/2012Per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con effetto dal 1° settembre prossimo, i trentamila dovrebbero, infatti, poter fare valere, alla data del 31 dicembre 2012, 66 anni di età anagrafica unitamente ad una anzianità contributiva non inferiore a 20 anni. Stando all’indagine di Azienda Scuola nessuno di essi li potrà fare valere.Per accedere invece alla pensione anticipata, sempre dal 1° settembre 2012, il personale maschile dovrebbe poter fare valere, entro il 31 dicembre 2012, 42 anni e un mese di anzianità contributiva. Quello femminile invece 41 anni e un mese. Gli uni e le altre con età anagrafica di almeno 62 anni. Se l’età anagrafica fosse inferiore a 62 anni scatterebbero le penalizzazioni previste dall’ art. 24, comma 10 del decreto legge n. 201/2011 come modificato dall’art. 6, comma 2-quater della legge n. 14/2012. Ad eccezione di alcune insegnanti di scuola primaria che compiranno 60 anni di età nel 2012 e 41 anni e un mese di anzianità contributiva, l’indagine condotta da Azienda Scuola non rileva la presenza di altro personale che potrebbe fare valere i nuovi requisiti.La situazione del personale scolastico che non ha potuto fare valere entro il 31 dicembre 2011 i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di anzianità richiesti dalla normativa previgente l’entrata in vigore del citato art. 24, non migliorerà negli anni successivi durante i quali i requisiti richiesti subiranno ulteriori incrementi…. E cosa succede poi Per accedere alla pensione di vecchiaia dal 1/9/2013 il personale della scuola dovrà infatti possedere i requisiti anagrafici e contributivi annualmente indicati nel decreto interministeriale del 6 dicembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 2011, n.289. Ad esempio nel 2013 e nel 2014 uomini e donne dovranno avere maturato 66 anni e tre mesi di età anagrafica. Per accedere invece alla pensione anticipata, nel 2013 gli uomini dovranno avere maturato 42 anni e 5 mesi di contribuzione; le donne a 41 anni e 5 mesi. Nel 2014 gli uomini 42 anni e 6 mesi, le donne 41 anni e 6 mesi.Cessazione e liquidazioneLa cessazione dal servizio continua ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento pensionistico. Il trattamento pensionistico decorrerà invece dalla data di inizio dell’anno scolastico dell’anno successivo a quello di maturazione dei requisiti esclusivamente nei confronti del personale femminile che opti per il sistema di calcolo contributivo e che cessi dal servizio entro il 2015 potendo fare valere non meno di 57 anni di età anagrafica e non meno di 37 anni di anzianità contributiva.La finestra del 1° settembreLe nuove norme previdenziali citate in premessa, entrate in vigore il 1° gennaio 2012, ribadiscono che nei confronti del personale del comparto scuola resta fermo quanto dispone l’art. 59, comma 9 della legge 449/1997 e successive modificazioni. Pertanto, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, la cessazione dal servizio continuerà ad avere effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico.L’unica finestra di uscita potrà comportare in molti casi il rinvio fino ad un anno dell’accesso alla pensione qualora i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata non si maturino, anche per un solo giorno, entro il 31 dicembre di ciascun anno.Per tutti i dipendenti pubblici, invece, la finestra di uscita si apre fin dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti e di cessazione dal servizio

da ItaliaOggi 20.09.12

"Coppie gay, il silenzio del legislatore", di Cesare Rimini

Le sentenze che entrano nella storia di un Paese sono rare, ma quella della Corte di Cassazione che ha affermato, con una lunga, drastica e rigorosa motivazione il diritto delle coppie omosessuali ad avere una famiglia, a essere una famiglia, è una di queste. Il discorso del matrimonio fra omosessuali è lasciato in un angolo. La Corte si è limitata a ribadire il rifiuto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, in quanto non consentito dalla nostra legge. Ma l’attenzione dei giudici della Suprema Corte è concentrata sulla mancanza di regole che consentano agli omosessuali di avere un nucleo familiare regolamentato dalla legge, sia nelle fasi di serenità della vita insieme, sia nei casi di crisi quando la coppia entra in conflitto, perché è evidente che anche le coppie omosessuali possono avere un percorso litigioso, che la legge deve regolamentare. Si tratta in concreto della fissazione di un assegno di mantenimento, dell’assegnazione della casa, dei diritti successori, della reversibilità della pensione.
La sentenza della Cassazione non si presta a interpretazioni ideologiche o preconcette. La sentenza non è un lenzuolo troppo corto che ciascuno può tirare dalla sua parte, a seconda delle proprie tendenze di pensiero. Nessuno può dire che i giudici hanno fatto una legge, perché non è il loro mestiere. Nessuno può dire che i giudici di merito potranno, caso per caso, disporre assegni di mantenimento, disporre diritti successori, disporre pensioni di reversibilità.
I giudici della Suprema Corte non hanno modificato la legge, hanno fatto una diagnosi sociale, hanno guardato i fatti e, come si sa, i fatti sono argomenti testardi. Le coppie omosessuali sono una realtà sociale estesa, regolamentata nella maggior parte dei Paesi della nostra civiltà, e in quanto tali occorre una legge che dia le regole. Altrimenti le norme del nostro ordinamento che si occupano solo dei rapporti giuridici tra le coppie sposate, in Chiesa o in Comune, finiscono sugli scogli della incostituzionalità. Una incostituzionalità che non nasce, come per solito, da una legge esistente che viola le norme costituzionali, ma da una legge che tace, da una legge che resta in silenzio di fronte ad un fenomeno che riguarda cittadini che sono contribuenti come gli altri, che sono un nucleo della società che va tutelato come gli altri.
Questa corretta lettura della sentenza emerge proprio dai commenti positivi e negativi nel mondo laico e politico e nel mondo della Chiesa. Insomma è la legge che deve venire e questo è tanto vero che alla Commissione Giustizia della Camera ripartono le proposte per una normativa che scaturisce dall’insegnamento della Suprema Corte e che a quell’insegnamento dovrà ispirarsi con chiarezza dopo la serie senza fine e inutile dei tentativi non riusciti: Pacs, Dico e così via. Le sigle sono venute a noia, ci vogliono delle norme e un accordo bipartisan di uomini e donne dei vari schieramenti, forse si profila. Sarebbe ora.

Il Corriere della Sera 20.03.12

“Coppie gay, il silenzio del legislatore”, di Cesare Rimini

Le sentenze che entrano nella storia di un Paese sono rare, ma quella della Corte di Cassazione che ha affermato, con una lunga, drastica e rigorosa motivazione il diritto delle coppie omosessuali ad avere una famiglia, a essere una famiglia, è una di queste. Il discorso del matrimonio fra omosessuali è lasciato in un angolo. La Corte si è limitata a ribadire il rifiuto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, in quanto non consentito dalla nostra legge. Ma l’attenzione dei giudici della Suprema Corte è concentrata sulla mancanza di regole che consentano agli omosessuali di avere un nucleo familiare regolamentato dalla legge, sia nelle fasi di serenità della vita insieme, sia nei casi di crisi quando la coppia entra in conflitto, perché è evidente che anche le coppie omosessuali possono avere un percorso litigioso, che la legge deve regolamentare. Si tratta in concreto della fissazione di un assegno di mantenimento, dell’assegnazione della casa, dei diritti successori, della reversibilità della pensione.
La sentenza della Cassazione non si presta a interpretazioni ideologiche o preconcette. La sentenza non è un lenzuolo troppo corto che ciascuno può tirare dalla sua parte, a seconda delle proprie tendenze di pensiero. Nessuno può dire che i giudici hanno fatto una legge, perché non è il loro mestiere. Nessuno può dire che i giudici di merito potranno, caso per caso, disporre assegni di mantenimento, disporre diritti successori, disporre pensioni di reversibilità.
I giudici della Suprema Corte non hanno modificato la legge, hanno fatto una diagnosi sociale, hanno guardato i fatti e, come si sa, i fatti sono argomenti testardi. Le coppie omosessuali sono una realtà sociale estesa, regolamentata nella maggior parte dei Paesi della nostra civiltà, e in quanto tali occorre una legge che dia le regole. Altrimenti le norme del nostro ordinamento che si occupano solo dei rapporti giuridici tra le coppie sposate, in Chiesa o in Comune, finiscono sugli scogli della incostituzionalità. Una incostituzionalità che non nasce, come per solito, da una legge esistente che viola le norme costituzionali, ma da una legge che tace, da una legge che resta in silenzio di fronte ad un fenomeno che riguarda cittadini che sono contribuenti come gli altri, che sono un nucleo della società che va tutelato come gli altri.
Questa corretta lettura della sentenza emerge proprio dai commenti positivi e negativi nel mondo laico e politico e nel mondo della Chiesa. Insomma è la legge che deve venire e questo è tanto vero che alla Commissione Giustizia della Camera ripartono le proposte per una normativa che scaturisce dall’insegnamento della Suprema Corte e che a quell’insegnamento dovrà ispirarsi con chiarezza dopo la serie senza fine e inutile dei tentativi non riusciti: Pacs, Dico e così via. Le sigle sono venute a noia, ci vogliono delle norme e un accordo bipartisan di uomini e donne dei vari schieramenti, forse si profila. Sarebbe ora.

Il Corriere della Sera 20.03.12

“Coppie gay, il silenzio del legislatore”, di Cesare Rimini

Le sentenze che entrano nella storia di un Paese sono rare, ma quella della Corte di Cassazione che ha affermato, con una lunga, drastica e rigorosa motivazione il diritto delle coppie omosessuali ad avere una famiglia, a essere una famiglia, è una di queste. Il discorso del matrimonio fra omosessuali è lasciato in un angolo. La Corte si è limitata a ribadire il rifiuto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, in quanto non consentito dalla nostra legge. Ma l’attenzione dei giudici della Suprema Corte è concentrata sulla mancanza di regole che consentano agli omosessuali di avere un nucleo familiare regolamentato dalla legge, sia nelle fasi di serenità della vita insieme, sia nei casi di crisi quando la coppia entra in conflitto, perché è evidente che anche le coppie omosessuali possono avere un percorso litigioso, che la legge deve regolamentare. Si tratta in concreto della fissazione di un assegno di mantenimento, dell’assegnazione della casa, dei diritti successori, della reversibilità della pensione.
La sentenza della Cassazione non si presta a interpretazioni ideologiche o preconcette. La sentenza non è un lenzuolo troppo corto che ciascuno può tirare dalla sua parte, a seconda delle proprie tendenze di pensiero. Nessuno può dire che i giudici hanno fatto una legge, perché non è il loro mestiere. Nessuno può dire che i giudici di merito potranno, caso per caso, disporre assegni di mantenimento, disporre diritti successori, disporre pensioni di reversibilità.
I giudici della Suprema Corte non hanno modificato la legge, hanno fatto una diagnosi sociale, hanno guardato i fatti e, come si sa, i fatti sono argomenti testardi. Le coppie omosessuali sono una realtà sociale estesa, regolamentata nella maggior parte dei Paesi della nostra civiltà, e in quanto tali occorre una legge che dia le regole. Altrimenti le norme del nostro ordinamento che si occupano solo dei rapporti giuridici tra le coppie sposate, in Chiesa o in Comune, finiscono sugli scogli della incostituzionalità. Una incostituzionalità che non nasce, come per solito, da una legge esistente che viola le norme costituzionali, ma da una legge che tace, da una legge che resta in silenzio di fronte ad un fenomeno che riguarda cittadini che sono contribuenti come gli altri, che sono un nucleo della società che va tutelato come gli altri.
Questa corretta lettura della sentenza emerge proprio dai commenti positivi e negativi nel mondo laico e politico e nel mondo della Chiesa. Insomma è la legge che deve venire e questo è tanto vero che alla Commissione Giustizia della Camera ripartono le proposte per una normativa che scaturisce dall’insegnamento della Suprema Corte e che a quell’insegnamento dovrà ispirarsi con chiarezza dopo la serie senza fine e inutile dei tentativi non riusciti: Pacs, Dico e così via. Le sigle sono venute a noia, ci vogliono delle norme e un accordo bipartisan di uomini e donne dei vari schieramenti, forse si profila. Sarebbe ora.

Il Corriere della Sera 20.03.12

“Tagli, saltano altri 2 mila prof”, di Alessandra Ricciardi

Con la riduzione a 27 ore delle lezioni in quarta elementare
Per ora la questione è stata posta a livello tecnico. Ma è certo che, continuando così, assumerà ben presto una connotazione politica. Al suo primo decreto sulla determinazione degli organici, il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, si appresta a presentare il conto, fatto in base alle ricette decise con la manovra Tremonti e poi messe in pratica con la riforma Gelmini. Un conto salato, o amaro, che dir si voglia, quello contenuto nella bozza di decreto a cui stanno lavorando a viale Trastevere: il prossimo anno gli organici di diritto degli insegnanti, quelli sui quali si possono disporre le assunzioni a tempo indeterminato, caleranno di 2 mila unità, andando sotto la soglia minima dei 600 mila posti. In controtendenza rispetto all’andamento del numero degli alunni. Le stime dello stesso ministero, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, parlano di un aumento nazionale della popolazione studentesca dello 0,13% , che si traduce in un +0,3% alla primaria, un po’ di più alle medie e in un calo dello 0,18% alle superiori. L’andamento parla di un aumento minimo ma costante. La primaria consente di leggere la consistenza e la natura del fenomeno: soprattutto il Sud è in affanno, risente di più della crisi, della migrazione verso altre regioni e anche della minor presenza di famiglie di immigrati: le percentuali demografiche sono negative. Per esempio in Basilicata il numero degli iscritti in prima elementare è a -2,54%, in Puglia a -1,19%. Al Nord in generale il trend è positivo, con regioni come l’Umbria a +2% e l’Emilia Romagna a +1,5%, per fare qualche esempio. E ora veniamo alla manovra Tremonti: il prossimo anno scolastico dovranno entrare in vigore alcune delle riforme introdotte da Mariastella Gelmini per contenere la spesa per l’istruzione: è il caso delle quarte elementari, che dovranno ridurre gli orari a 27 ore di lezioni settimanali. Lo stesso avverrà l’anno successivo, con l’estensione del nuovo orario all’ultima classe, la quinta. La sola contrazione oraria, per un solo anno, vale due mila prof in meno, come aveva stimato, e messo a bilancio, l’art. 64 della Legge n. 133/08, a corredo del riordino del primo e del secondo ciclo. Sindacati e amministratori locali contavano che con il debutto dell’organico funzionale, introdtto da Porfumo, le consistenze del personale della scuola potessero almeno non diminuire. Ma il problema resta sempre lo stesso: convincere il ministero del Tesoro che una riduzione dell’organico non sarebbe sostenibile dalla scuola. Difficile da argomentare soprattutto per le regioni dove c’è un calo deciso di alunni.

ItaliaOggi 20.03.12