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“Il calderone del malaffare”, di Carlo Galli

Che il presidente della Repubblica Napolitano esorti i partiti a rinnovarsi e a prendere atto dell´indifferibilità della questione morale proprio nel giorno in cui si chiudono le celebrazioni del 150° anniversario dell´Unità d´Italia, ha un significato tristemente simbolico. Un significato che rinvia a una questione che il Paese si porta dietro da quando è nato – già nell´Italietta post-unitaria era ben nota, col nome di “faccenderia”, quella che oggi chiamiamo corruzione – ; una questione che ciclicamente si pone, e che costantemente rinvia.
Che il premier Monti lo stesso giorno affermi che il primo problema sollevato dai leader stranieri non è più la messa in sicurezza dei conti pubblici ma la nostra riluttanza a varare una nuova ed efficace legge anticorruzione, e che anche da questo nostro ritardo sono frenati gli investimenti esteri in Italia, significa che tutto il mondo ci sta mandando il messaggio che la corruzione è ormai oltre il livello di guardia.
E mentre il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio lanciano messaggi che si echeggiano l´uno con l´altro, le cronache registrano sempre nuovi casi di corruzione – o di indagini per corruzione – , quasi a dimostrare che le voci delle istituzioni non rimbalzano nel vuoto, ma registrano una realtà fin troppo piena di scandali, troppo folta di sospetti, straripante di illegalità. Fatta salva la presunzione d´innocenza, e le necessarie distinzioni fra le diverse gravità dei fatti e fra i diversi stili di amministrazione nelle diverse regioni d´Italia, è quasi inevitabile che all´opinione pubblica appaiano omologate le pratiche di governo locale della Lombardia e della Puglia, dell´Emilia e della Liguria (solo per parlare delle realtà locali che in questi ultimi giorni sono giunte a contendere l´onore delle cronache ad altri scandali di livello nazionale, come quello dei fondi della Margherita). E che il pesce e le cozze si confondano, in un unico calderone, con ogni altro, e ben più grave, malaffare.
Un´omologazione fatale, che non può non accrescere – semmai ce ne fosse bisogno – la delegittimazione dei partiti, e della politica in generale; e che dimostra ad abundantiam che la corruzione è un cattivo affare sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista civile. Che, insomma, distrugge capitali d´investimento, ma anche e soprattutto quel capitale sociale e civile di fiducia reciproca fra i cittadini, e fra questi e le istituzioni, che è il patrimonio più prezioso di una democrazia e in generale delle forme politiche moderne. La cui essenza è l´impersonalità e l´imparzialità del comando legislativo e degli atti amministrativi, e il cui fine è sottrarre la vita civile all´arbitrio, all´ingiustizia, alla partigianeria, al favoritismo, e fondarla sulla prevedibilità del potere, frenato dalla legge, e sull´uguaglianza dei cittadini nella sfera pubblica. La corruzione – in quanto è appunto il prevalere delle ragioni private su quelle pubbliche, la vittoria della famiglia sulla polis, della disuguaglianza sull´uguaglianza, del vantaggio di pochi sulla pubblica utilità – di fatto riporta la politica a una logica di scambi personali, di fedeltà private, di lealtà tribali, che sono la negazione del “pubblico”. Che può ben prevedere il compromesso alla luce del sole, la trasparenza delle transazioni tra forze politiche differenti, all´interno del quadro della legalità, ma non certo l´oscuro lavorio di mercificazione della politica, di svendita sottobanco della democrazia, in cui, alla fine, consiste la corruzione.
Il cui esito, se non viene contrastata pubblicamente ed efficacemente, e sanzionata in forza di legge – di una legge che non contenga sotterfugi e regali in extremis a favore di chi ha già goduto di fin troppe leggi ad personam – , non può essere altro che la distruzione della fiducia nella politica. Un “liberi tutti” permanente, una frammentazione privatistica della vita associata, che segnerebbe, in realtà, la fine della fiducia degli italiani in se stessi. E il trionfo di una sorta di legge della giungla, divenuta la costituzione materiale di un popolo, trasformato in un insieme di cricche, che si autogiustifica con un comodo “così fan tutti”, e che, magari, crede di salvarsi l´anima con l´invettiva antipolitica, con lo sdegno a man salva – le reazioni dell´opinione pubblica a Tangentopoli, e il successivo passaggio della maggioranza degli italiani nelle schiere di Berlusconi sono un esempio non fuori luogo di queste dinamiche – .
Chi si pone il problema del dopo-Monti, del ritorno alla fisiologia di una politica che veda come protagonisti i partiti, deve anche porsi – e porre con forza – il problema della loro ri-legittimazione. E dovrà anche fare della legge anti-corruzione il banco di prova di un´autentica volontà di riscossa democratica – non populista né qualunquista – contro il degrado indecente della nostra vita civile. “Qui c´è Rodi, qui salta”: un popolo di donne e di uomini liberi sa che il proprio sviluppo passa attraverso un nuovo costume, e lo esige da se stesso ma anche, e prima di tutto, da chi lo vuole rappresentare e amministrare.

da La Repubblica

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Napolitano richiama i politici: “Più moralità”, di Umberto Rosso
E il premier cita la Merkel: senza malaffare crescerebbero gli investimenti in Italia. La corruzione

ROMA – Striglia i partiti, dopo la nuova ondata di scandali e mazzette, e chiede loro di garantire in futuro «comportamenti trasparenti sul piano della moralità». Giorgio Napolitano chiude al Quirinale un anno intero di celebrazioni sotto il segno dei 150 anni dell´Unità, e non manca di far sapere come la pensa sulla slavina giudiziaria che da nord a sud si abbatte sul paese. Invocando, anche, attenzione nelle scelte degli uomini, con «più alti livelli di qualità nelle rappresentanze istituzionali e di governo». In nome dell´interesse generale. E´ lo «spirito» emerso dalla lunga festa del tricolore che ha attraversato l´Italia, il senso di una ritrovata consapevolezza e unità nazionale, e che ha fatto da «lievito» alla stessa operazione Monti spiega il presidente della Repubblica. Una «missione» che può tornare ad essere riconosciuta alla politica, a condizione appunto di dar battaglia alla corruzione (e qui il Colle evidentemente spinge per stringere i tempi sulla legge in discussione) e a patto che «le forze più rappresentative dimostrino in questa fase di varare riforme istituzionali condivise, già per troppo tempo eluse». Da quella elettorale alla riforma del bicameralismo, in stand-by al Senato. E sul fronte politico, fra tensioni e vertici a corrente alternata, Napolitano sollecita i partiti a sostenere l´azione di risanamento finanziario dell´esecutivo «senza cadute e senza regressioni».
Mario Monti, in tempo reale, dalla platea del convegno della Confindustria, fa proprio e rilancia l´appello anti-tangenti del capo dello Stato, svelando un “retroscena” del suo incontro con la Merkel: «La cancelliera ci ha detto con molto garbo, in un discorso costruttivo, di fare passi avanti sul terreno della lotta alla corruzione». Perché così gli investitori, e non solo quelli tedeschi, evitano di fuggire a gambe levate dall´Italia. Poi il premier ringrazia Alfano, che ha accettato di accogliere nel suo ddl le nuove nome in discussione. Per la Marcegaglia, «ciò che leggiamo sui giornali e che riguarda sia il centrodestra che il centro-sinistra, non è una bella cosa».
Il capo dello Stato, nel salone dei Corazzieri, ripercorre il film dell´Unità d´Italia davanti ai vertici istituzionali e a mezzo governo, ma anche a guest star come Roberto Benigni. Una grande «esplosione» di partecipazione, e l´operazione recupero dell´identità nazionale non si fermerà, perché sta per mettersi in moto il cantiere per ricordare i cinquanta anni della Prima guerra mondiale. Napolitano poi plana sull´attualità. Grandi riconoscimenti al governo («superiori a pure possibili previsioni positive») ma i risultati «sono tutti da consolidare e integrare». In che modo? Definendo e applicando «rigorosamente» i provvedimenti ancora all´esame del Parlamento. Napolitano dettaglia. Spingere fino in fondo revisione e contenimento della spesa pubblica. Stabilizzare la prassi del pareggio di bilancio. Sostanziale riduzione, «attraverso tutte le vie percorribili», dello stock del debito pubblico. Un percorso di risanamento che non va messo in discussione ma, avverte il capo dello Stato, «integrato» con misure per il rilancio della crescita «al momento solo avviate in sede nazionale e annunciate in sede europea». Ed è sicuro che questa necessità, di andare avanti nel cammino del governo senza né cadute né regressioni, «sia ben presente alle forze politiche più responsabili». Non fa riferimenti ai temi più spinosi sul tavolo, in primo luogo alla riforma del mercato del lavoro e all´articolo 18, ma il ragionamento complessivo del capo dello Stato spinge in direzione di un accordo col governo. Il garantire la «continuità» di scelte di governo e parlamentari che stanno «palesamente giovando» alla salvezza e al prestigio dell´Italia, spiega infatti il presidente della Repubblica, «non mortifica la politica ma contribuisce a rivalutarla». Parole rivolte a chi, nel sostegno al governo tecnico, vede e teme la “fine” dei partiti. Non è così. E´ invece l´unica strada, spiega Napolitano, per riaccreditare la politica nella sua missione più autentica: espressione dell´interesse generale e del rafforzamento della compagine nazionale.

da La Repubblica

"I conti alla rinfusa e opachi dei partiti", di Sergio Rizzo

Trasparenza e controlli: zero. La lezione che impartisce la penosa vicenda dei rimborsi elettorali assegnati alla Margherita e finiti ancora non si sa esattamente dove, eccola. Per troppo tempo si è fatto finta di non vedere che i bilanci dei nostri partiti non rispondono a nessuno dei requisiti cui dovrebbe sottostare chiunque maneggi denaro pubblico. Verifiche esclusivamente formali, ipocrisie procedurali, opacità spesso garantita. Con l’aggravante che tutto questo è consentito da una legge dello Stato, approvata alla fine degli anni 90, alla quale è allegato persino un modello contenente le voci da compilare. Entrate, uscite, debiti, crediti, proprietà…
C’è proprio tutto. Ma i controlli? Il solo Partito democratico, dai tempi della segreteria di Walter Veltroni, affida volontariamente l’esame dei propri conti a una primaria società di revisione. Mentre il Fli di Gianfranco Fini ha recentemente introdotto questa disposizione nel suo statuto.
Nessun altro partito fa certificare il bilancio: semplicemente perché la legge non li obbliga a farlo.
Ai controlli ci pensa un collegio sindacale interno. Il quale è composto normalmente da fedelissimi della segreteria politica e dal tesoriere, che è il vero dominus delle finanze del partito. Tutto in famiglia, insomma, al riparo da occhi indiscreti. Dissociarsi da questa linea, come aveva fatto il Pd ai tempi di Veltroni coinvolgendo qualche controllore esterno, è un atto anch’esso volontario. La legge non prescrive assolutamente nulla circa l’indipendenza dei sindaci.
Vero è che i bilanci devono essere presentati al Parlamento, dove c’è un apposito comitato che ha l’incarico di esaminarli. Si tratta però di una presa d’atto squisitamente formale. Il comitato si limita a verificare che il documento contabile sia stato compilato correttamente, secondo il famoso modulo allegato a quella legge approvata alla fine degli anni 90. Altro non può fare.
Di più. Nonostante i partiti siano finanziati con una valanga di contributi pubblici, la Corte dei conti non ha alcuna possibilità di metterci il becco. L’unico compito che le è affidato è quello di esaminare i rendiconti delle spese elettorali. Senza però alcun potere sanzionatorio: i magistrati si devono limitare a segnalare al Parlamento eventuali irregolarità. La legge impone poi che i bilanci siano resi pubblici. E ci mancherebbe altro. Finiscono sulla Gazzetta Ufficiale e su qualche giornale. Nessuna norma, però, stabilisce che i conti dei partiti debbano essere accessibili pure su Internet. Con il risultato che talvolta si è costretti a una specie di caccia al tesoro per rintracciarli. La forma, come sempre, è salva. La sostanza molto meno.
Si potrebbe continuare ricordando che con un decreto «mille proroghe», varato poche settimane prima delle elezioni politiche del 2006, è stata portata a 50.000 euro la soglia al di sotto della quale un contributo privato a un partito può restare comodamente anonimo. Ma già ce ne sarebbe abbastanza per pretendere che la legge sui bilanci delle organizzazioni politiche venga cambiata con la velocità del fulmine, introducendo controlli reali su come i nostri soldi vengono spesi. In Parlamento ci sono già delle proposte in tal senso. Perché non si tolgono dai cassetti e non vengono immediatamente discusse? La fiducia nei partiti da parte dei cittadini è già ai minimi storici: la maleodorante storia dei soldi della Margherita può essere una mazzata letale.

Corriere della Sera 18.3.12

“I conti alla rinfusa e opachi dei partiti”, di Sergio Rizzo

Trasparenza e controlli: zero. La lezione che impartisce la penosa vicenda dei rimborsi elettorali assegnati alla Margherita e finiti ancora non si sa esattamente dove, eccola. Per troppo tempo si è fatto finta di non vedere che i bilanci dei nostri partiti non rispondono a nessuno dei requisiti cui dovrebbe sottostare chiunque maneggi denaro pubblico. Verifiche esclusivamente formali, ipocrisie procedurali, opacità spesso garantita. Con l’aggravante che tutto questo è consentito da una legge dello Stato, approvata alla fine degli anni 90, alla quale è allegato persino un modello contenente le voci da compilare. Entrate, uscite, debiti, crediti, proprietà…
C’è proprio tutto. Ma i controlli? Il solo Partito democratico, dai tempi della segreteria di Walter Veltroni, affida volontariamente l’esame dei propri conti a una primaria società di revisione. Mentre il Fli di Gianfranco Fini ha recentemente introdotto questa disposizione nel suo statuto.
Nessun altro partito fa certificare il bilancio: semplicemente perché la legge non li obbliga a farlo.
Ai controlli ci pensa un collegio sindacale interno. Il quale è composto normalmente da fedelissimi della segreteria politica e dal tesoriere, che è il vero dominus delle finanze del partito. Tutto in famiglia, insomma, al riparo da occhi indiscreti. Dissociarsi da questa linea, come aveva fatto il Pd ai tempi di Veltroni coinvolgendo qualche controllore esterno, è un atto anch’esso volontario. La legge non prescrive assolutamente nulla circa l’indipendenza dei sindaci.
Vero è che i bilanci devono essere presentati al Parlamento, dove c’è un apposito comitato che ha l’incarico di esaminarli. Si tratta però di una presa d’atto squisitamente formale. Il comitato si limita a verificare che il documento contabile sia stato compilato correttamente, secondo il famoso modulo allegato a quella legge approvata alla fine degli anni 90. Altro non può fare.
Di più. Nonostante i partiti siano finanziati con una valanga di contributi pubblici, la Corte dei conti non ha alcuna possibilità di metterci il becco. L’unico compito che le è affidato è quello di esaminare i rendiconti delle spese elettorali. Senza però alcun potere sanzionatorio: i magistrati si devono limitare a segnalare al Parlamento eventuali irregolarità. La legge impone poi che i bilanci siano resi pubblici. E ci mancherebbe altro. Finiscono sulla Gazzetta Ufficiale e su qualche giornale. Nessuna norma, però, stabilisce che i conti dei partiti debbano essere accessibili pure su Internet. Con il risultato che talvolta si è costretti a una specie di caccia al tesoro per rintracciarli. La forma, come sempre, è salva. La sostanza molto meno.
Si potrebbe continuare ricordando che con un decreto «mille proroghe», varato poche settimane prima delle elezioni politiche del 2006, è stata portata a 50.000 euro la soglia al di sotto della quale un contributo privato a un partito può restare comodamente anonimo. Ma già ce ne sarebbe abbastanza per pretendere che la legge sui bilanci delle organizzazioni politiche venga cambiata con la velocità del fulmine, introducendo controlli reali su come i nostri soldi vengono spesi. In Parlamento ci sono già delle proposte in tal senso. Perché non si tolgono dai cassetti e non vengono immediatamente discusse? La fiducia nei partiti da parte dei cittadini è già ai minimi storici: la maleodorante storia dei soldi della Margherita può essere una mazzata letale.

Corriere della Sera 18.3.12

“I conti alla rinfusa e opachi dei partiti”, di Sergio Rizzo

Trasparenza e controlli: zero. La lezione che impartisce la penosa vicenda dei rimborsi elettorali assegnati alla Margherita e finiti ancora non si sa esattamente dove, eccola. Per troppo tempo si è fatto finta di non vedere che i bilanci dei nostri partiti non rispondono a nessuno dei requisiti cui dovrebbe sottostare chiunque maneggi denaro pubblico. Verifiche esclusivamente formali, ipocrisie procedurali, opacità spesso garantita. Con l’aggravante che tutto questo è consentito da una legge dello Stato, approvata alla fine degli anni 90, alla quale è allegato persino un modello contenente le voci da compilare. Entrate, uscite, debiti, crediti, proprietà…
C’è proprio tutto. Ma i controlli? Il solo Partito democratico, dai tempi della segreteria di Walter Veltroni, affida volontariamente l’esame dei propri conti a una primaria società di revisione. Mentre il Fli di Gianfranco Fini ha recentemente introdotto questa disposizione nel suo statuto.
Nessun altro partito fa certificare il bilancio: semplicemente perché la legge non li obbliga a farlo.
Ai controlli ci pensa un collegio sindacale interno. Il quale è composto normalmente da fedelissimi della segreteria politica e dal tesoriere, che è il vero dominus delle finanze del partito. Tutto in famiglia, insomma, al riparo da occhi indiscreti. Dissociarsi da questa linea, come aveva fatto il Pd ai tempi di Veltroni coinvolgendo qualche controllore esterno, è un atto anch’esso volontario. La legge non prescrive assolutamente nulla circa l’indipendenza dei sindaci.
Vero è che i bilanci devono essere presentati al Parlamento, dove c’è un apposito comitato che ha l’incarico di esaminarli. Si tratta però di una presa d’atto squisitamente formale. Il comitato si limita a verificare che il documento contabile sia stato compilato correttamente, secondo il famoso modulo allegato a quella legge approvata alla fine degli anni 90. Altro non può fare.
Di più. Nonostante i partiti siano finanziati con una valanga di contributi pubblici, la Corte dei conti non ha alcuna possibilità di metterci il becco. L’unico compito che le è affidato è quello di esaminare i rendiconti delle spese elettorali. Senza però alcun potere sanzionatorio: i magistrati si devono limitare a segnalare al Parlamento eventuali irregolarità. La legge impone poi che i bilanci siano resi pubblici. E ci mancherebbe altro. Finiscono sulla Gazzetta Ufficiale e su qualche giornale. Nessuna norma, però, stabilisce che i conti dei partiti debbano essere accessibili pure su Internet. Con il risultato che talvolta si è costretti a una specie di caccia al tesoro per rintracciarli. La forma, come sempre, è salva. La sostanza molto meno.
Si potrebbe continuare ricordando che con un decreto «mille proroghe», varato poche settimane prima delle elezioni politiche del 2006, è stata portata a 50.000 euro la soglia al di sotto della quale un contributo privato a un partito può restare comodamente anonimo. Ma già ce ne sarebbe abbastanza per pretendere che la legge sui bilanci delle organizzazioni politiche venga cambiata con la velocità del fulmine, introducendo controlli reali su come i nostri soldi vengono spesi. In Parlamento ci sono già delle proposte in tal senso. Perché non si tolgono dai cassetti e non vengono immediatamente discusse? La fiducia nei partiti da parte dei cittadini è già ai minimi storici: la maleodorante storia dei soldi della Margherita può essere una mazzata letale.

Corriere della Sera 18.3.12

"Crisi, anti Merkel 6 italiani su 10", di Renato Mannheimer

La cancelliera e l’Ue percepite come poco attive per la crescita

Negli ultimi giorni, e anche nel suo intervento al convegno di Confindustria, il presidente del Consiglio ha rassicurato gli italiani, affermando che il Paese ha ormai superato i momenti più drammatici della crisi. Effettivamente, l’azione del governo negli ultimi mesi ha migliorato lo stato dell’Italia. I tassi dei Bot sono tornati a livelli accettabili, lo spread con i titoli tedeschi è diminuito e anche l’immagine del nostro Paese all’estero è significativamente mutata in positivo.
Ciononostante, il «sentiment» della popolazione e delle imprese del nostro Paese permane pessimista e non pare riflettere questa situazione più rosea. Beninteso, la maggioranza attribuisce all’esecutivo il merito delle iniziative per aiutare il Paese a superare la crisi. Ma metà della popolazione ritiene che «nessuna istituzione sta facendo veramente qualcosa», giudicando quindi negativamente la situazione attuale.
Come mostrano gli ultimi dati dell’Eurobarometro, grandi responsabilità vengono attribuite alle politiche attuate dall’Ue e dalla Germania in particolare, ritenute troppo restrittive. Non a caso quasi il 60% degli italiani giudica l’azione della Cancelliera «troppo legata agli interessi della Germania».
Anche a causa di questi motivi, dunque, l’atteggiamento degli italiani riguardo alla situazione economica e alle sue prospettive resta fortemente negativo. Ad esempio, dall’Osservatorio Ispo-Confesercenti si rileva come solo il 5% (con una accentuazione tra gli elettori di centro, vale a dire i più convinti sostenitori dell’esecutivo guidato da Monti) ritiene che «il peggio della crisi sembra davvero passato». Secondo tutti gli altri siamo ancora nel mezzo di un periodo drammatico. Di qui, una forte preoccupazione verso l’attuale situazione economica, manifestata anch’essa da più del 90% dei cittadini, con una accentuazione al Sud, specie per ciò che concerne l’economia della propria regione. Anche se, malgrado continui a collocarsi a livelli molto elevati, il grado di preoccupazione ha subito negli ultimi tre mesi un calo relativo, frutto probabilmente degli interventi del governo.
Resta il fatto che la crisi «morde» tutt’ora una fetta consistente di popolazione. Quasi il 20% dichiara che qualcuno nella propria famiglia ha perso il lavoro di recente e un altro 14% sottolinea (per se stesso o per un famigliare) il coinvolgimento nella cassa integrazione. Il confronto con il passato mostra che il numero di famiglie toccate dalla crisi si è accentuato proprio nell’ultimo periodo. Di qui un’insicurezza diffusa (70%) per il proprio posto di lavoro, specie al Sud e tra i dipendenti con qualifiche meno elevate. Ancora maggiore è la quota (81%) di chi dichiara in generale di temere per la propria situazione economica famigliare.
Sin qui i severi giudizi sulla condizione attuale. Ma cosa immaginano gli italiani per il futuro? Pur non essendo, ovviamente, accurate come lo sono (talvolta) quelle degli economisti, le previsioni della popolazione sono di grande rilievo perché un ottimismo diffuso può stimolare la tanto auspicata ripresa dei consumi e il pessimismo invece accentua la contrazione di questi ultimi e, di conseguenza, la stagnazione. Si registra al riguardo un mix di sentimenti, ove il perdurare della visione negativa viene in qualche misura controbilanciato da qualche cauta speranza.
Le ultime rilevazioni per Intesa Sanpaolo mostrano come ancora oggi più di un italiano su quattro (29%) preveda un ulteriore peggioramento della condizione economica del Paese e che un altro 32% reputi comunque che essa sarà «negativa come ora». Ma d’altra parte più di un terzo (37%) ipotizza invece una qualche forma di ripresa.
Questa percentuale di «ottimisti» si è andata accrescendo da novembre (quando eravamo, come affermò Monti, «sull’orlo del baratro») a oggi. Come sempre, le previsioni per la propria situazione personale sono relativamente migliori di quelle concernenti il complesso dell’economia del Paese. Il 20% ipotizza un peggioramento del proprio status economico attuale e un altro 30% afferma che la propria condizione resterà invariata, «negativa come ora». Ma una percentuale superiore (24%) si azzarda invece a prevedere un miglioramento.
In definitiva, gli italiani sentono ancora di vivere un periodo assai poco felice. Ma, forse grazie anche al loro carattere (e a qualche timido segnale di ripresa), vedono nei prossimi mesi qualche possibilità di parziale uscita dalla crisi.

dal Corriere della Sera 18.3.12

“Crisi, anti Merkel 6 italiani su 10”, di Renato Mannheimer

La cancelliera e l’Ue percepite come poco attive per la crescita

Negli ultimi giorni, e anche nel suo intervento al convegno di Confindustria, il presidente del Consiglio ha rassicurato gli italiani, affermando che il Paese ha ormai superato i momenti più drammatici della crisi. Effettivamente, l’azione del governo negli ultimi mesi ha migliorato lo stato dell’Italia. I tassi dei Bot sono tornati a livelli accettabili, lo spread con i titoli tedeschi è diminuito e anche l’immagine del nostro Paese all’estero è significativamente mutata in positivo.
Ciononostante, il «sentiment» della popolazione e delle imprese del nostro Paese permane pessimista e non pare riflettere questa situazione più rosea. Beninteso, la maggioranza attribuisce all’esecutivo il merito delle iniziative per aiutare il Paese a superare la crisi. Ma metà della popolazione ritiene che «nessuna istituzione sta facendo veramente qualcosa», giudicando quindi negativamente la situazione attuale.
Come mostrano gli ultimi dati dell’Eurobarometro, grandi responsabilità vengono attribuite alle politiche attuate dall’Ue e dalla Germania in particolare, ritenute troppo restrittive. Non a caso quasi il 60% degli italiani giudica l’azione della Cancelliera «troppo legata agli interessi della Germania».
Anche a causa di questi motivi, dunque, l’atteggiamento degli italiani riguardo alla situazione economica e alle sue prospettive resta fortemente negativo. Ad esempio, dall’Osservatorio Ispo-Confesercenti si rileva come solo il 5% (con una accentuazione tra gli elettori di centro, vale a dire i più convinti sostenitori dell’esecutivo guidato da Monti) ritiene che «il peggio della crisi sembra davvero passato». Secondo tutti gli altri siamo ancora nel mezzo di un periodo drammatico. Di qui, una forte preoccupazione verso l’attuale situazione economica, manifestata anch’essa da più del 90% dei cittadini, con una accentuazione al Sud, specie per ciò che concerne l’economia della propria regione. Anche se, malgrado continui a collocarsi a livelli molto elevati, il grado di preoccupazione ha subito negli ultimi tre mesi un calo relativo, frutto probabilmente degli interventi del governo.
Resta il fatto che la crisi «morde» tutt’ora una fetta consistente di popolazione. Quasi il 20% dichiara che qualcuno nella propria famiglia ha perso il lavoro di recente e un altro 14% sottolinea (per se stesso o per un famigliare) il coinvolgimento nella cassa integrazione. Il confronto con il passato mostra che il numero di famiglie toccate dalla crisi si è accentuato proprio nell’ultimo periodo. Di qui un’insicurezza diffusa (70%) per il proprio posto di lavoro, specie al Sud e tra i dipendenti con qualifiche meno elevate. Ancora maggiore è la quota (81%) di chi dichiara in generale di temere per la propria situazione economica famigliare.
Sin qui i severi giudizi sulla condizione attuale. Ma cosa immaginano gli italiani per il futuro? Pur non essendo, ovviamente, accurate come lo sono (talvolta) quelle degli economisti, le previsioni della popolazione sono di grande rilievo perché un ottimismo diffuso può stimolare la tanto auspicata ripresa dei consumi e il pessimismo invece accentua la contrazione di questi ultimi e, di conseguenza, la stagnazione. Si registra al riguardo un mix di sentimenti, ove il perdurare della visione negativa viene in qualche misura controbilanciato da qualche cauta speranza.
Le ultime rilevazioni per Intesa Sanpaolo mostrano come ancora oggi più di un italiano su quattro (29%) preveda un ulteriore peggioramento della condizione economica del Paese e che un altro 32% reputi comunque che essa sarà «negativa come ora». Ma d’altra parte più di un terzo (37%) ipotizza invece una qualche forma di ripresa.
Questa percentuale di «ottimisti» si è andata accrescendo da novembre (quando eravamo, come affermò Monti, «sull’orlo del baratro») a oggi. Come sempre, le previsioni per la propria situazione personale sono relativamente migliori di quelle concernenti il complesso dell’economia del Paese. Il 20% ipotizza un peggioramento del proprio status economico attuale e un altro 30% afferma che la propria condizione resterà invariata, «negativa come ora». Ma una percentuale superiore (24%) si azzarda invece a prevedere un miglioramento.
In definitiva, gli italiani sentono ancora di vivere un periodo assai poco felice. Ma, forse grazie anche al loro carattere (e a qualche timido segnale di ripresa), vedono nei prossimi mesi qualche possibilità di parziale uscita dalla crisi.

dal Corriere della Sera 18.3.12

“Crisi, anti Merkel 6 italiani su 10”, di Renato Mannheimer

La cancelliera e l’Ue percepite come poco attive per la crescita

Negli ultimi giorni, e anche nel suo intervento al convegno di Confindustria, il presidente del Consiglio ha rassicurato gli italiani, affermando che il Paese ha ormai superato i momenti più drammatici della crisi. Effettivamente, l’azione del governo negli ultimi mesi ha migliorato lo stato dell’Italia. I tassi dei Bot sono tornati a livelli accettabili, lo spread con i titoli tedeschi è diminuito e anche l’immagine del nostro Paese all’estero è significativamente mutata in positivo.
Ciononostante, il «sentiment» della popolazione e delle imprese del nostro Paese permane pessimista e non pare riflettere questa situazione più rosea. Beninteso, la maggioranza attribuisce all’esecutivo il merito delle iniziative per aiutare il Paese a superare la crisi. Ma metà della popolazione ritiene che «nessuna istituzione sta facendo veramente qualcosa», giudicando quindi negativamente la situazione attuale.
Come mostrano gli ultimi dati dell’Eurobarometro, grandi responsabilità vengono attribuite alle politiche attuate dall’Ue e dalla Germania in particolare, ritenute troppo restrittive. Non a caso quasi il 60% degli italiani giudica l’azione della Cancelliera «troppo legata agli interessi della Germania».
Anche a causa di questi motivi, dunque, l’atteggiamento degli italiani riguardo alla situazione economica e alle sue prospettive resta fortemente negativo. Ad esempio, dall’Osservatorio Ispo-Confesercenti si rileva come solo il 5% (con una accentuazione tra gli elettori di centro, vale a dire i più convinti sostenitori dell’esecutivo guidato da Monti) ritiene che «il peggio della crisi sembra davvero passato». Secondo tutti gli altri siamo ancora nel mezzo di un periodo drammatico. Di qui, una forte preoccupazione verso l’attuale situazione economica, manifestata anch’essa da più del 90% dei cittadini, con una accentuazione al Sud, specie per ciò che concerne l’economia della propria regione. Anche se, malgrado continui a collocarsi a livelli molto elevati, il grado di preoccupazione ha subito negli ultimi tre mesi un calo relativo, frutto probabilmente degli interventi del governo.
Resta il fatto che la crisi «morde» tutt’ora una fetta consistente di popolazione. Quasi il 20% dichiara che qualcuno nella propria famiglia ha perso il lavoro di recente e un altro 14% sottolinea (per se stesso o per un famigliare) il coinvolgimento nella cassa integrazione. Il confronto con il passato mostra che il numero di famiglie toccate dalla crisi si è accentuato proprio nell’ultimo periodo. Di qui un’insicurezza diffusa (70%) per il proprio posto di lavoro, specie al Sud e tra i dipendenti con qualifiche meno elevate. Ancora maggiore è la quota (81%) di chi dichiara in generale di temere per la propria situazione economica famigliare.
Sin qui i severi giudizi sulla condizione attuale. Ma cosa immaginano gli italiani per il futuro? Pur non essendo, ovviamente, accurate come lo sono (talvolta) quelle degli economisti, le previsioni della popolazione sono di grande rilievo perché un ottimismo diffuso può stimolare la tanto auspicata ripresa dei consumi e il pessimismo invece accentua la contrazione di questi ultimi e, di conseguenza, la stagnazione. Si registra al riguardo un mix di sentimenti, ove il perdurare della visione negativa viene in qualche misura controbilanciato da qualche cauta speranza.
Le ultime rilevazioni per Intesa Sanpaolo mostrano come ancora oggi più di un italiano su quattro (29%) preveda un ulteriore peggioramento della condizione economica del Paese e che un altro 32% reputi comunque che essa sarà «negativa come ora». Ma d’altra parte più di un terzo (37%) ipotizza invece una qualche forma di ripresa.
Questa percentuale di «ottimisti» si è andata accrescendo da novembre (quando eravamo, come affermò Monti, «sull’orlo del baratro») a oggi. Come sempre, le previsioni per la propria situazione personale sono relativamente migliori di quelle concernenti il complesso dell’economia del Paese. Il 20% ipotizza un peggioramento del proprio status economico attuale e un altro 30% afferma che la propria condizione resterà invariata, «negativa come ora». Ma una percentuale superiore (24%) si azzarda invece a prevedere un miglioramento.
In definitiva, gli italiani sentono ancora di vivere un periodo assai poco felice. Ma, forse grazie anche al loro carattere (e a qualche timido segnale di ripresa), vedono nei prossimi mesi qualche possibilità di parziale uscita dalla crisi.

dal Corriere della Sera 18.3.12