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“Ornaghi, perché L’Aquila non viene ricostruita?”, di Tomaso Montanari

Uno spettro non si aggira per l’Aquila. È l’ombra-ministro per i Beni culturali, il professor Lorenzo Ornaghi.

Chissà se questo prudente assenteismo si deve al fatto che uno degli uomini più discussi della ‘ricostruzione’, il vicecommissario Antonio Cicchetti (il gentiluomo di Sua Santità che – come ha raccontato da ultimo Gian Antonio Stella – si è costruito, tra le macerie, un super-resort di lusso) è stato a lungo il direttore amministrativo di quell’Università Cattolica di cui Ornaghi è ancora il rettore, anche se temporaneamente in sonno.

Fosse andato all’Aquila, il ministro avrebbe capito in una frazione di secondo che tutte le ciance sui Leonardi perduti, sulle costituenti della cultura-che-fattura, sul ‘brand Italia’ e sulle sponsorizzazioni del Colosseo sono solo diversivi indecorosi, e che l’unico atto simbolico che in questo momento avrebbe un senso sarebbe trasferire la sede del Ministero all’Aquila, e mettersi a combattere in prima linea per la città martire del patrimonio storico e artistico della nazione italiana.

La situazione dell’Aquila supera, infatti, anche la più catastrofica immaginazione. Il centro storico è una città spettrale, dove nessun cantiere è in funzione, nessuna pietra è stata ricollocata (e anzi molte sono state rubate), e dove le meravigliose e immense chiese monumentali (a cominciare dal Duomo) sono spesso ancora a cielo aperto, o sono protette da ridicoli teli, e dunque in preda alla pioggia e alla neve.

Piero Calamandrei ha scritto che «una parte della nostra Costituzione è una polemica contro il presente»: ecco, camminare per l’Aquila permette di capire che l’articolo più polemico è, oggi, l’articolo 9. All’Aquila, infatti, la Repubblica ha sistematicamente tradito se stessa, rinunciando radicalmente a «tutelare il patrimonio storico e artistico della nazione italiana».

Ma com’è possibile che quasi nessuno denunci più che a pochi chilometri da Roma si entra in un mondo parallelo, dove la Costituzione, la legge e la civiltà semplicemente non esistono? Il vicecommissario con delega ai Beni culturali, Luciano Marchetti, risponde che i conflitti di competenze, la litigiosità degli aquilani (sic) e la mancanza di fondi bloccano la ricostruzione. Ma lo dice con tono svagato, in un ineffabile misto di rassegnazione e cinismo burocratico: e si capisce subito che, di questo passo, tra trent’anni il centro dell’Aquila sarà ancora in queste condizioni. Ha dunque ragione da vendere Italia Nostra, che chiede le dimissioni del commissario (che ci sta a fare, se da tre anni non riesce a far nulla?), il ritorno alle competenze ordinarie delle soprintendenze (a cui Ornaghi dovrebbe fare massicce trasfusioni di personale e mezzi, se solo tutti i suoi predecessori non avessero ridotto il Mibac al lumicino), e l’avvio immediato dei lavori di ricostruzione. Mancano i soldi? Ornaghi dovrebbe battere allora il pugno sul tavolo del Consiglio dei Ministri: uno dei venti capoluoghi di regione italiani è in fin di vita, e non c’è più molto tempo se vogliamo salvarlo.

Ornaghi non è l’unico che dovrebbe andare all’Aquila. Dovrebbero farlo innanzitutto gli storici dell’arte delle università e delle soprintendenze italiane. Perché magari si renderebbero conto che continuare a gettare denaro ed energia nella spensierata industria delle mostre e dei Grandi Eventi è ora doppiamente criminale: proprio come organizzare una festa da ballo mentre il cadavere di un fratello giace nella stanza accanto.

Ma è a tutti gli italiani che farebbe bene vedere l’Aquila. È terribilmente illuminante visitare nelle stesse ore un’intera città monumentale distrutta e abbandonata, e le ‘new town’ imposte da Berlusconi e Bertolaso, cioè gli insediamenti, sorti intorno alla città, che accolgono quindicimila dei quasi trentamila aquilani che vivevano in quel centro. Sono non-luoghi di cemento che sembrano immaginati da Orwell: anonimi, senza servizi, senza negozi, senza piazze. Con i mobili uguali in ogni appartamento, in comodato come tutto il resto. E con giganteschi televisori-alienatori che fanno da piazze e monumenti virtuali per un popolo che si vuole senza memoria, senza identità e senza futuro: e, dunque, senza la rabbia per ribellarsi.

Ma l’Aquila non è solo la metafora dell’Italia, rischia di rappresentarne anche il futuro: quello di un Paese che affianca all’inarrestabile stupro cementizio del territorio la distruzione, l’alienazione, la banalizzazione del patrimonio storico monumentale, condannando così all’abbrutimento morale e civile le prossime generazioni.

Nell’Epopea aquilana del popolo delle carriole (Angelus Novus Edizioni 2011), Antonio Gasbarrini racconta che la notte del 6 aprile 2009 (più o meno all’ora in cui qualcuno, a Roma, sghignazzava pensando alla pioggia di cemento e denaro), sua figlia arrivò sconvolta, dal centro della città, e gli disse solo: «L’Aquila non c’è più». A tre anni esatti, è ancora così.

L’Aquila non c’è più: ma se possiamo continuare a dormire sapendo tutto questo, allora è l’Italia a non esserci più.

da http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/17/ornaghi-trasferiamo-sede-ministero-laquila/198106/

"Tolleranza zero sulla corruzione. Sull’anticorruzione nessuna trattativa per salvare Berlusconi", di Donatella Ferranti e Andrea Orlando

Sono recentemente apparsi sui quotidiani ‘Il Sole 24ore’ e ‘Il Fatto Quotidiano’ articoli di stampa che contengono una rappresentazione distorta e parziale delle scelte politiche compiute dal Partito Democratico in tema di corruzione, in particolare a proposito dell’abrogazione del delitto di concussione. Profetizzando le conseguenze che l’abrogazione del reato avrebbe su uno specifico processo in corso, quello a carico di Berlusconi per il caso Ruby, si denuncia, l’incompetenza dei parlamentari ( Travaglio parla di “boiata “ )proponenti, sino a insinuare che l’intenzione o l’occasione è quella “trattare “ una norma ‘ad personam’ che favorisca un preciso imputato in un preciso processo.
Si tratta di una grave forma di strumentalizzazione delle proposte del Partito Democratico, in cui le più o meno velate accuse di incompetenza e mala fede rivolte agli esponenti del Partito Democratico finiscono purtroppo per ritorcersi contro chi le ha formulate.
Volendo dare un ordine temporale ai fatti ,la prima proposta Pd con cui si abroga il delitto di concussione risale al progetto di legge presentato al Senato in data 11 maggio 2010 (a firma Finocchiaro, Della Monica, D’Ambrosio e altri, A.S. n. 2174), quando cioè il fatto illecito Ruby , non era stato ancora commesso . I contenuti di quella proposta sono trasfusi nel testo presentato alla Camera dei deputati (proposta di legge del 10 novembre 2010, a prima firma Ferranti e Orlando, A.C. n. 3850) e negli emendamenti presentati dal gruppo del Partito Democratico alla Camera in sede di discussione del Disegno di legge sulla corruzione n. 4434 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”).
Non si dovrebbe poi nemmeno ricordare che pronosticare in anticipo gli esiti di processi in corso, a seguito o a prescindere dal sopraggiungere di modifiche legislative, è attività difficile ed incerta anche per il giurista più avvertito. Comunque, non necessariamente all’abrogazione del reato segue l’assoluzione dell’imputato, perlomeno ogni qualvolta possa individuarsi una forma di continuità normativa fra la fattispecie abrogata e le nuove, diverse o più ampie, fattispecie incriminatrici.
Nel merito, le nostre proposte formulate in tema di corruzione sono sintetizzabili con una unica parola d’ordine: “tolleranza zero per la corruzione”. In quest’ottica esse non mirano ad altro che a rafforzare al massimo grado la repressione dei fenomeni corruttivi, dando attuazione alle convenzioni firmate dall’Italia e recependo le sollecitazioni che provengono da anni dagli organismi internazionali. Esse non si limitano ad abrogare il delitto di concussione, come parzialmente si vuol far credere, ma puntano a sostituirlo con previsioni che allarghino l’area della punibilità anche ai soggetti privati, ed introducono o ripristinano nell’ordinamento una serie di reati e di strumenti, al solo ed esclusivo fine di migliorare e rendere più effettiva la lotta alla corruzione.
La priorità indiscussa è l’attuazione della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione del 27 gennaio 1999. In questa direzione, si deve puntare ad armonizzare la legislazione italiana alle indicazioni della convenzioni, non solo nel senso di introdurre quelle fattispecie che ancora non sono presenti nel nostro ordinamento, ma anche nel senso di uniformare i reati già presenti nel codice all’impostazione europea ed internazionale.
E’ in questo contesto che si inserisce l’abrogazione della fattispecie di concussione a favore di un ampliamento delle ipotesi di estorsione e di corruzione.Diversamente dalla corruzione, reato a concorso necessario che prevede la punibilità di entrambi i soggetti dell’accordo corruttivo, nella concussione la punizione è confinata al solo pubblico ufficiale, il quale, avrebbe coartato, in modo più (costrizione) o meno (induzione) vigoroso, la volontà del privato. La dazione del privato dipende dunque dalla percezione del metus publicae potestatis da parte del privato.
La concussione è da anni al centro di critiche vivaci, soprattutto nella più debole forma della concussione per induzione. Uno fra i più autorevoli giuristi ha addirittura descritto la concussione per induzione come una «figura cieca», che «vaga su un confine che le è ignoto» 1). Oltre ad essere una fattispecie sfocata, la concussione per induzione è discutibile nel suo stesso fondamento criminologico. Se il privato viene invitato, blandamente spinto alla dazione da parte del pubblico ufficiale, non si può chiamarlo vittima, sostenendo che nel suo animo si sia materializzato quel metus che anestetizza la volontà colpevole della dazione indebita, che coarta la volontà. In molti casi il privato concusso è in realtà un corruttore, partecipe di quel pactum sceleris. Dietro alla volontà prava del pubblico ufficiale vi è spesso un comportamento connivente dei privati, i quali meritano così di essere qualificati come corruttori. Il messaggio che con le nostre proposte intendiamo mandare ai cittadini è semplice: quando abbiano scelta, ossia quando non siano costretti per violenza o minaccia, non devono mai piegarsi alle suggestioni illecite provenienti da un pubblico ufficiale, cedere alle sue richieste indebite.
D’altronde, non solo il reato di concussione non è previsto dalla Convenzione di Strasburgo, ma addirittura sono già diversi anni ormai che l’OCSE sollecita l’Italia ad abbandonare questa fattispecie, che non ha equivalente nella maggior parte delle legislazioni dei paesi occidentali. A preoccupare l’OCSE è l’effetto potenzialmente criminogeno che connota la concussione, in quanto si presta ad essere strumentalizzata dal corruttore per sfuggire alla responsabilità penale: «The offence of concussione, whereby, for example, the public official has forced a person to make a bribe payment in order to award him/her a contract, could potentially be used as a defence by the briber» (2). La preoccupazione dell’OCSE è che il reato di concussion possa indebolire l’effettiva applicazione della Convenzione contro la corruzione internazionale: «the concept of “concussione” might weaken the effective application of the Convention in cases of international bribery» (3). Nella fase 2 di valutazione le critiche dell’OCSE alla concussione – più spesso appellata come “defence of concussione” invece che come “offence of concussione” – si sono fatte ancor più stringenti. Partono da una nebulosa distinzione nella prassi tra corruzione e concussione (4) e manifestano la preoccupazione di una dilatazione dell’abuso in chiave difensiva dell’incriminazione (5). Il pericolo paventato dall’OCSE è dunque quello che dietro alla concussione si celi il rischio di lasciare impunita una delle forme di corruzione, ma anche quello che la mancanza di un qualsiasi reato equivalente negli altri ordinamenti (6) possa minare la lotta alla corruzione internazionale e persino impedire l’estradizione all’estero di individui colpevoli. La conclusione degli osservatori OCSE è tranchant: il reato di concussione va interamente ristrutturato (7).
E’ in questo contesto che si muove la proposta – tanto aspramente criticata !– di abrogare il delitto di concussione, a favore dell’espansione delle fattispecie di estorsione e di corruzione. (8). Per un verso, essa trasferisce le ipotesi di concussione per costrizione all’interno del reato di estorsione, rispetto a cui è caratterizzata dalla nota ulteriore del provenire la violenza o la minaccia da un pubblico ufficiale. Per altro verso, l’altra metà della concussione, quella per induzione, viene trasferita all’interno del reato di corruzione.
Nell’ottica poi di assicurare una ancora più ampia punizione della corruzione, secondo le indicazioni provenienti dalla convenzione di Strasburgo, si introduce nel codice penale un nuovo articolo, 319-quater, volto proprio a punire tutte le condotte corruttive finalizzate in generale allo «svolgimento della funzione», ossia a prescindere dal collegamento con uno specifico atto d’ufficio. E si è anche prevista la punibilità dell’ “asservimento della funzione”, in cui l’ufficiale si è accordato col privato per essere stabilmente a disposizione di quest’ultimo. Sono previsioni che cercano di riassestare l’intero quadro della corruzione, senza ignorare le maggiori difficoltà della prassi giudiziaria, spesso legate proprio alla difficoltà di provare il collegamento fra la dazione (o la promessa) ed un determinato atto dell’ufficio (contrario o conforme ai doveri del pubblico ufficiale, da compiersi o già compiuto).
La scelta di abrogare il delitto di concussione costituisce dunque una precisa, persino obbligata, scelta di politica criminale, che non avalli comportamenti corruttivi di privati e punti invece ad un pieno rispristino della legalità. Non a caso, molte delle proposte presentate in Parlamento presentano come punto in comune proprio quello dell’abrogazione dell’articolo 317 del codice penale (attuale reato di concussione) in favore della sua riconduzione all’interno di altre fattispecie (v., ad esempio, la proposta di legge a firma Garavini,gli emendamenti all’AC 4434 in discussione alla camera ,della relatrice Napoli , Di Pietro e altri,).
Se poi ci si muove oltre il delitto di concussione, tutti i “buoni consigli” dei Soloni di queste ore non fanno altro che ripetere, colpevolmente ignorandoli, i contenuti degli emendamenti e delle proposte legislative presentati dal gruppo dei deputati del PD. Basterebbe avere letto quei testi per scoprire che si vuole introdurre il reato del traffico di influenze illecite, ampliare l’ambito della corruzione fra privati, aumentare le pene della maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione, introdurre il reato di autoriciclaggio, ripristinare il falso in bilancio, allungare i termini di prescrizione, punire più severamente i reati contro il fisco. In aggiunta vi sono anche forme di riparazione pecuniaria punitiva contro i corruttori, strumenti premiali per incentivare la rottura dell’omertà che spesso caratterizza i patti corruttivi, drastiche previsioni in materia di sanzioni accessorie, in particolare quanto all’interdizione da pubblici uffici e altre attività.
Si tratta di proposte perfettibili sul piano delle scelte lessicali, ma di sicuro fondamento sul piano politico e criminologico. A guardarle senza gli occhi del pregiudizio e della sterile polemica, queste proposte – che traspongono obblighi europei e recepiscono valide proposte dottrinali – sono la direzione obbligata di chi abbia veramente a cuore la lotta alla corruzione, di chi vuole rendere davvero l’Italia un paese civile.

1) T. Padovani, Il confine conteso, cit., loc. cit.
2) Review of implementation of the convention and 1997 recommendation, 1st phase, p. 3.
3) Ibid., p. 33.
4) «The distinction between bribery and concussione is often nebulous in practice», Working group on Bribery in International Financial Transaction, Report on the application of the convention on combating bribery of foreign public officials in international business transactions and the 1997 recommendation on combating bribery in international business transactions (2004), §137.
5) «The scope of the defence of concussione appears to be broad in scope and not clearly limited».
6) «The policy reasons which underpin the defence in domestic bribery do not apply in the same manner in the foreign bribery context».
7) «Accordingly, the lead examiners recommend that Italy amend its legislation to exclude the defence of concussion from the offence of foreign bribery».
8)Nella dottrina penalistica, per la proposta il delitto di concussione per induzione, G. Fiandaca, Esigenze e prospettiva di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, p. 883: «A questo scopo, e al connesso fine di scongiurare una eccessiva dilatazione interpretativa della concussione ai danni della corruzione, basterebbe – com’è noto – un semplice tratto di penna da parte del legislatore: sarebbe cioè sufficiente la eliminazione della “induzione” dal novero delle condotte prese in considerazione dalla fattispecie incriminatrice della concussione».

“Tolleranza zero sulla corruzione. Sull’anticorruzione nessuna trattativa per salvare Berlusconi”, di Donatella Ferranti e Andrea Orlando

Sono recentemente apparsi sui quotidiani ‘Il Sole 24ore’ e ‘Il Fatto Quotidiano’ articoli di stampa che contengono una rappresentazione distorta e parziale delle scelte politiche compiute dal Partito Democratico in tema di corruzione, in particolare a proposito dell’abrogazione del delitto di concussione. Profetizzando le conseguenze che l’abrogazione del reato avrebbe su uno specifico processo in corso, quello a carico di Berlusconi per il caso Ruby, si denuncia, l’incompetenza dei parlamentari ( Travaglio parla di “boiata “ )proponenti, sino a insinuare che l’intenzione o l’occasione è quella “trattare “ una norma ‘ad personam’ che favorisca un preciso imputato in un preciso processo.
Si tratta di una grave forma di strumentalizzazione delle proposte del Partito Democratico, in cui le più o meno velate accuse di incompetenza e mala fede rivolte agli esponenti del Partito Democratico finiscono purtroppo per ritorcersi contro chi le ha formulate.
Volendo dare un ordine temporale ai fatti ,la prima proposta Pd con cui si abroga il delitto di concussione risale al progetto di legge presentato al Senato in data 11 maggio 2010 (a firma Finocchiaro, Della Monica, D’Ambrosio e altri, A.S. n. 2174), quando cioè il fatto illecito Ruby , non era stato ancora commesso . I contenuti di quella proposta sono trasfusi nel testo presentato alla Camera dei deputati (proposta di legge del 10 novembre 2010, a prima firma Ferranti e Orlando, A.C. n. 3850) e negli emendamenti presentati dal gruppo del Partito Democratico alla Camera in sede di discussione del Disegno di legge sulla corruzione n. 4434 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”).
Non si dovrebbe poi nemmeno ricordare che pronosticare in anticipo gli esiti di processi in corso, a seguito o a prescindere dal sopraggiungere di modifiche legislative, è attività difficile ed incerta anche per il giurista più avvertito. Comunque, non necessariamente all’abrogazione del reato segue l’assoluzione dell’imputato, perlomeno ogni qualvolta possa individuarsi una forma di continuità normativa fra la fattispecie abrogata e le nuove, diverse o più ampie, fattispecie incriminatrici.
Nel merito, le nostre proposte formulate in tema di corruzione sono sintetizzabili con una unica parola d’ordine: “tolleranza zero per la corruzione”. In quest’ottica esse non mirano ad altro che a rafforzare al massimo grado la repressione dei fenomeni corruttivi, dando attuazione alle convenzioni firmate dall’Italia e recependo le sollecitazioni che provengono da anni dagli organismi internazionali. Esse non si limitano ad abrogare il delitto di concussione, come parzialmente si vuol far credere, ma puntano a sostituirlo con previsioni che allarghino l’area della punibilità anche ai soggetti privati, ed introducono o ripristinano nell’ordinamento una serie di reati e di strumenti, al solo ed esclusivo fine di migliorare e rendere più effettiva la lotta alla corruzione.
La priorità indiscussa è l’attuazione della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione del 27 gennaio 1999. In questa direzione, si deve puntare ad armonizzare la legislazione italiana alle indicazioni della convenzioni, non solo nel senso di introdurre quelle fattispecie che ancora non sono presenti nel nostro ordinamento, ma anche nel senso di uniformare i reati già presenti nel codice all’impostazione europea ed internazionale.
E’ in questo contesto che si inserisce l’abrogazione della fattispecie di concussione a favore di un ampliamento delle ipotesi di estorsione e di corruzione.Diversamente dalla corruzione, reato a concorso necessario che prevede la punibilità di entrambi i soggetti dell’accordo corruttivo, nella concussione la punizione è confinata al solo pubblico ufficiale, il quale, avrebbe coartato, in modo più (costrizione) o meno (induzione) vigoroso, la volontà del privato. La dazione del privato dipende dunque dalla percezione del metus publicae potestatis da parte del privato.
La concussione è da anni al centro di critiche vivaci, soprattutto nella più debole forma della concussione per induzione. Uno fra i più autorevoli giuristi ha addirittura descritto la concussione per induzione come una «figura cieca», che «vaga su un confine che le è ignoto» 1). Oltre ad essere una fattispecie sfocata, la concussione per induzione è discutibile nel suo stesso fondamento criminologico. Se il privato viene invitato, blandamente spinto alla dazione da parte del pubblico ufficiale, non si può chiamarlo vittima, sostenendo che nel suo animo si sia materializzato quel metus che anestetizza la volontà colpevole della dazione indebita, che coarta la volontà. In molti casi il privato concusso è in realtà un corruttore, partecipe di quel pactum sceleris. Dietro alla volontà prava del pubblico ufficiale vi è spesso un comportamento connivente dei privati, i quali meritano così di essere qualificati come corruttori. Il messaggio che con le nostre proposte intendiamo mandare ai cittadini è semplice: quando abbiano scelta, ossia quando non siano costretti per violenza o minaccia, non devono mai piegarsi alle suggestioni illecite provenienti da un pubblico ufficiale, cedere alle sue richieste indebite.
D’altronde, non solo il reato di concussione non è previsto dalla Convenzione di Strasburgo, ma addirittura sono già diversi anni ormai che l’OCSE sollecita l’Italia ad abbandonare questa fattispecie, che non ha equivalente nella maggior parte delle legislazioni dei paesi occidentali. A preoccupare l’OCSE è l’effetto potenzialmente criminogeno che connota la concussione, in quanto si presta ad essere strumentalizzata dal corruttore per sfuggire alla responsabilità penale: «The offence of concussione, whereby, for example, the public official has forced a person to make a bribe payment in order to award him/her a contract, could potentially be used as a defence by the briber» (2). La preoccupazione dell’OCSE è che il reato di concussion possa indebolire l’effettiva applicazione della Convenzione contro la corruzione internazionale: «the concept of “concussione” might weaken the effective application of the Convention in cases of international bribery» (3). Nella fase 2 di valutazione le critiche dell’OCSE alla concussione – più spesso appellata come “defence of concussione” invece che come “offence of concussione” – si sono fatte ancor più stringenti. Partono da una nebulosa distinzione nella prassi tra corruzione e concussione (4) e manifestano la preoccupazione di una dilatazione dell’abuso in chiave difensiva dell’incriminazione (5). Il pericolo paventato dall’OCSE è dunque quello che dietro alla concussione si celi il rischio di lasciare impunita una delle forme di corruzione, ma anche quello che la mancanza di un qualsiasi reato equivalente negli altri ordinamenti (6) possa minare la lotta alla corruzione internazionale e persino impedire l’estradizione all’estero di individui colpevoli. La conclusione degli osservatori OCSE è tranchant: il reato di concussione va interamente ristrutturato (7).
E’ in questo contesto che si muove la proposta – tanto aspramente criticata !– di abrogare il delitto di concussione, a favore dell’espansione delle fattispecie di estorsione e di corruzione. (8). Per un verso, essa trasferisce le ipotesi di concussione per costrizione all’interno del reato di estorsione, rispetto a cui è caratterizzata dalla nota ulteriore del provenire la violenza o la minaccia da un pubblico ufficiale. Per altro verso, l’altra metà della concussione, quella per induzione, viene trasferita all’interno del reato di corruzione.
Nell’ottica poi di assicurare una ancora più ampia punizione della corruzione, secondo le indicazioni provenienti dalla convenzione di Strasburgo, si introduce nel codice penale un nuovo articolo, 319-quater, volto proprio a punire tutte le condotte corruttive finalizzate in generale allo «svolgimento della funzione», ossia a prescindere dal collegamento con uno specifico atto d’ufficio. E si è anche prevista la punibilità dell’ “asservimento della funzione”, in cui l’ufficiale si è accordato col privato per essere stabilmente a disposizione di quest’ultimo. Sono previsioni che cercano di riassestare l’intero quadro della corruzione, senza ignorare le maggiori difficoltà della prassi giudiziaria, spesso legate proprio alla difficoltà di provare il collegamento fra la dazione (o la promessa) ed un determinato atto dell’ufficio (contrario o conforme ai doveri del pubblico ufficiale, da compiersi o già compiuto).
La scelta di abrogare il delitto di concussione costituisce dunque una precisa, persino obbligata, scelta di politica criminale, che non avalli comportamenti corruttivi di privati e punti invece ad un pieno rispristino della legalità. Non a caso, molte delle proposte presentate in Parlamento presentano come punto in comune proprio quello dell’abrogazione dell’articolo 317 del codice penale (attuale reato di concussione) in favore della sua riconduzione all’interno di altre fattispecie (v., ad esempio, la proposta di legge a firma Garavini,gli emendamenti all’AC 4434 in discussione alla camera ,della relatrice Napoli , Di Pietro e altri,).
Se poi ci si muove oltre il delitto di concussione, tutti i “buoni consigli” dei Soloni di queste ore non fanno altro che ripetere, colpevolmente ignorandoli, i contenuti degli emendamenti e delle proposte legislative presentati dal gruppo dei deputati del PD. Basterebbe avere letto quei testi per scoprire che si vuole introdurre il reato del traffico di influenze illecite, ampliare l’ambito della corruzione fra privati, aumentare le pene della maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione, introdurre il reato di autoriciclaggio, ripristinare il falso in bilancio, allungare i termini di prescrizione, punire più severamente i reati contro il fisco. In aggiunta vi sono anche forme di riparazione pecuniaria punitiva contro i corruttori, strumenti premiali per incentivare la rottura dell’omertà che spesso caratterizza i patti corruttivi, drastiche previsioni in materia di sanzioni accessorie, in particolare quanto all’interdizione da pubblici uffici e altre attività.
Si tratta di proposte perfettibili sul piano delle scelte lessicali, ma di sicuro fondamento sul piano politico e criminologico. A guardarle senza gli occhi del pregiudizio e della sterile polemica, queste proposte – che traspongono obblighi europei e recepiscono valide proposte dottrinali – sono la direzione obbligata di chi abbia veramente a cuore la lotta alla corruzione, di chi vuole rendere davvero l’Italia un paese civile.

1) T. Padovani, Il confine conteso, cit., loc. cit.
2) Review of implementation of the convention and 1997 recommendation, 1st phase, p. 3.
3) Ibid., p. 33.
4) «The distinction between bribery and concussione is often nebulous in practice», Working group on Bribery in International Financial Transaction, Report on the application of the convention on combating bribery of foreign public officials in international business transactions and the 1997 recommendation on combating bribery in international business transactions (2004), §137.
5) «The scope of the defence of concussione appears to be broad in scope and not clearly limited».
6) «The policy reasons which underpin the defence in domestic bribery do not apply in the same manner in the foreign bribery context».
7) «Accordingly, the lead examiners recommend that Italy amend its legislation to exclude the defence of concussion from the offence of foreign bribery».
8)Nella dottrina penalistica, per la proposta il delitto di concussione per induzione, G. Fiandaca, Esigenze e prospettiva di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, p. 883: «A questo scopo, e al connesso fine di scongiurare una eccessiva dilatazione interpretativa della concussione ai danni della corruzione, basterebbe – com’è noto – un semplice tratto di penna da parte del legislatore: sarebbe cioè sufficiente la eliminazione della “induzione” dal novero delle condotte prese in considerazione dalla fattispecie incriminatrice della concussione».

“Tolleranza zero sulla corruzione. Sull’anticorruzione nessuna trattativa per salvare Berlusconi”, di Donatella Ferranti e Andrea Orlando

Sono recentemente apparsi sui quotidiani ‘Il Sole 24ore’ e ‘Il Fatto Quotidiano’ articoli di stampa che contengono una rappresentazione distorta e parziale delle scelte politiche compiute dal Partito Democratico in tema di corruzione, in particolare a proposito dell’abrogazione del delitto di concussione. Profetizzando le conseguenze che l’abrogazione del reato avrebbe su uno specifico processo in corso, quello a carico di Berlusconi per il caso Ruby, si denuncia, l’incompetenza dei parlamentari ( Travaglio parla di “boiata “ )proponenti, sino a insinuare che l’intenzione o l’occasione è quella “trattare “ una norma ‘ad personam’ che favorisca un preciso imputato in un preciso processo.
Si tratta di una grave forma di strumentalizzazione delle proposte del Partito Democratico, in cui le più o meno velate accuse di incompetenza e mala fede rivolte agli esponenti del Partito Democratico finiscono purtroppo per ritorcersi contro chi le ha formulate.
Volendo dare un ordine temporale ai fatti ,la prima proposta Pd con cui si abroga il delitto di concussione risale al progetto di legge presentato al Senato in data 11 maggio 2010 (a firma Finocchiaro, Della Monica, D’Ambrosio e altri, A.S. n. 2174), quando cioè il fatto illecito Ruby , non era stato ancora commesso . I contenuti di quella proposta sono trasfusi nel testo presentato alla Camera dei deputati (proposta di legge del 10 novembre 2010, a prima firma Ferranti e Orlando, A.C. n. 3850) e negli emendamenti presentati dal gruppo del Partito Democratico alla Camera in sede di discussione del Disegno di legge sulla corruzione n. 4434 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”).
Non si dovrebbe poi nemmeno ricordare che pronosticare in anticipo gli esiti di processi in corso, a seguito o a prescindere dal sopraggiungere di modifiche legislative, è attività difficile ed incerta anche per il giurista più avvertito. Comunque, non necessariamente all’abrogazione del reato segue l’assoluzione dell’imputato, perlomeno ogni qualvolta possa individuarsi una forma di continuità normativa fra la fattispecie abrogata e le nuove, diverse o più ampie, fattispecie incriminatrici.
Nel merito, le nostre proposte formulate in tema di corruzione sono sintetizzabili con una unica parola d’ordine: “tolleranza zero per la corruzione”. In quest’ottica esse non mirano ad altro che a rafforzare al massimo grado la repressione dei fenomeni corruttivi, dando attuazione alle convenzioni firmate dall’Italia e recependo le sollecitazioni che provengono da anni dagli organismi internazionali. Esse non si limitano ad abrogare il delitto di concussione, come parzialmente si vuol far credere, ma puntano a sostituirlo con previsioni che allarghino l’area della punibilità anche ai soggetti privati, ed introducono o ripristinano nell’ordinamento una serie di reati e di strumenti, al solo ed esclusivo fine di migliorare e rendere più effettiva la lotta alla corruzione.
La priorità indiscussa è l’attuazione della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione del 27 gennaio 1999. In questa direzione, si deve puntare ad armonizzare la legislazione italiana alle indicazioni della convenzioni, non solo nel senso di introdurre quelle fattispecie che ancora non sono presenti nel nostro ordinamento, ma anche nel senso di uniformare i reati già presenti nel codice all’impostazione europea ed internazionale.
E’ in questo contesto che si inserisce l’abrogazione della fattispecie di concussione a favore di un ampliamento delle ipotesi di estorsione e di corruzione.Diversamente dalla corruzione, reato a concorso necessario che prevede la punibilità di entrambi i soggetti dell’accordo corruttivo, nella concussione la punizione è confinata al solo pubblico ufficiale, il quale, avrebbe coartato, in modo più (costrizione) o meno (induzione) vigoroso, la volontà del privato. La dazione del privato dipende dunque dalla percezione del metus publicae potestatis da parte del privato.
La concussione è da anni al centro di critiche vivaci, soprattutto nella più debole forma della concussione per induzione. Uno fra i più autorevoli giuristi ha addirittura descritto la concussione per induzione come una «figura cieca», che «vaga su un confine che le è ignoto» 1). Oltre ad essere una fattispecie sfocata, la concussione per induzione è discutibile nel suo stesso fondamento criminologico. Se il privato viene invitato, blandamente spinto alla dazione da parte del pubblico ufficiale, non si può chiamarlo vittima, sostenendo che nel suo animo si sia materializzato quel metus che anestetizza la volontà colpevole della dazione indebita, che coarta la volontà. In molti casi il privato concusso è in realtà un corruttore, partecipe di quel pactum sceleris. Dietro alla volontà prava del pubblico ufficiale vi è spesso un comportamento connivente dei privati, i quali meritano così di essere qualificati come corruttori. Il messaggio che con le nostre proposte intendiamo mandare ai cittadini è semplice: quando abbiano scelta, ossia quando non siano costretti per violenza o minaccia, non devono mai piegarsi alle suggestioni illecite provenienti da un pubblico ufficiale, cedere alle sue richieste indebite.
D’altronde, non solo il reato di concussione non è previsto dalla Convenzione di Strasburgo, ma addirittura sono già diversi anni ormai che l’OCSE sollecita l’Italia ad abbandonare questa fattispecie, che non ha equivalente nella maggior parte delle legislazioni dei paesi occidentali. A preoccupare l’OCSE è l’effetto potenzialmente criminogeno che connota la concussione, in quanto si presta ad essere strumentalizzata dal corruttore per sfuggire alla responsabilità penale: «The offence of concussione, whereby, for example, the public official has forced a person to make a bribe payment in order to award him/her a contract, could potentially be used as a defence by the briber» (2). La preoccupazione dell’OCSE è che il reato di concussion possa indebolire l’effettiva applicazione della Convenzione contro la corruzione internazionale: «the concept of “concussione” might weaken the effective application of the Convention in cases of international bribery» (3). Nella fase 2 di valutazione le critiche dell’OCSE alla concussione – più spesso appellata come “defence of concussione” invece che come “offence of concussione” – si sono fatte ancor più stringenti. Partono da una nebulosa distinzione nella prassi tra corruzione e concussione (4) e manifestano la preoccupazione di una dilatazione dell’abuso in chiave difensiva dell’incriminazione (5). Il pericolo paventato dall’OCSE è dunque quello che dietro alla concussione si celi il rischio di lasciare impunita una delle forme di corruzione, ma anche quello che la mancanza di un qualsiasi reato equivalente negli altri ordinamenti (6) possa minare la lotta alla corruzione internazionale e persino impedire l’estradizione all’estero di individui colpevoli. La conclusione degli osservatori OCSE è tranchant: il reato di concussione va interamente ristrutturato (7).
E’ in questo contesto che si muove la proposta – tanto aspramente criticata !– di abrogare il delitto di concussione, a favore dell’espansione delle fattispecie di estorsione e di corruzione. (8). Per un verso, essa trasferisce le ipotesi di concussione per costrizione all’interno del reato di estorsione, rispetto a cui è caratterizzata dalla nota ulteriore del provenire la violenza o la minaccia da un pubblico ufficiale. Per altro verso, l’altra metà della concussione, quella per induzione, viene trasferita all’interno del reato di corruzione.
Nell’ottica poi di assicurare una ancora più ampia punizione della corruzione, secondo le indicazioni provenienti dalla convenzione di Strasburgo, si introduce nel codice penale un nuovo articolo, 319-quater, volto proprio a punire tutte le condotte corruttive finalizzate in generale allo «svolgimento della funzione», ossia a prescindere dal collegamento con uno specifico atto d’ufficio. E si è anche prevista la punibilità dell’ “asservimento della funzione”, in cui l’ufficiale si è accordato col privato per essere stabilmente a disposizione di quest’ultimo. Sono previsioni che cercano di riassestare l’intero quadro della corruzione, senza ignorare le maggiori difficoltà della prassi giudiziaria, spesso legate proprio alla difficoltà di provare il collegamento fra la dazione (o la promessa) ed un determinato atto dell’ufficio (contrario o conforme ai doveri del pubblico ufficiale, da compiersi o già compiuto).
La scelta di abrogare il delitto di concussione costituisce dunque una precisa, persino obbligata, scelta di politica criminale, che non avalli comportamenti corruttivi di privati e punti invece ad un pieno rispristino della legalità. Non a caso, molte delle proposte presentate in Parlamento presentano come punto in comune proprio quello dell’abrogazione dell’articolo 317 del codice penale (attuale reato di concussione) in favore della sua riconduzione all’interno di altre fattispecie (v., ad esempio, la proposta di legge a firma Garavini,gli emendamenti all’AC 4434 in discussione alla camera ,della relatrice Napoli , Di Pietro e altri,).
Se poi ci si muove oltre il delitto di concussione, tutti i “buoni consigli” dei Soloni di queste ore non fanno altro che ripetere, colpevolmente ignorandoli, i contenuti degli emendamenti e delle proposte legislative presentati dal gruppo dei deputati del PD. Basterebbe avere letto quei testi per scoprire che si vuole introdurre il reato del traffico di influenze illecite, ampliare l’ambito della corruzione fra privati, aumentare le pene della maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione, introdurre il reato di autoriciclaggio, ripristinare il falso in bilancio, allungare i termini di prescrizione, punire più severamente i reati contro il fisco. In aggiunta vi sono anche forme di riparazione pecuniaria punitiva contro i corruttori, strumenti premiali per incentivare la rottura dell’omertà che spesso caratterizza i patti corruttivi, drastiche previsioni in materia di sanzioni accessorie, in particolare quanto all’interdizione da pubblici uffici e altre attività.
Si tratta di proposte perfettibili sul piano delle scelte lessicali, ma di sicuro fondamento sul piano politico e criminologico. A guardarle senza gli occhi del pregiudizio e della sterile polemica, queste proposte – che traspongono obblighi europei e recepiscono valide proposte dottrinali – sono la direzione obbligata di chi abbia veramente a cuore la lotta alla corruzione, di chi vuole rendere davvero l’Italia un paese civile.

1) T. Padovani, Il confine conteso, cit., loc. cit.
2) Review of implementation of the convention and 1997 recommendation, 1st phase, p. 3.
3) Ibid., p. 33.
4) «The distinction between bribery and concussione is often nebulous in practice», Working group on Bribery in International Financial Transaction, Report on the application of the convention on combating bribery of foreign public officials in international business transactions and the 1997 recommendation on combating bribery in international business transactions (2004), §137.
5) «The scope of the defence of concussione appears to be broad in scope and not clearly limited».
6) «The policy reasons which underpin the defence in domestic bribery do not apply in the same manner in the foreign bribery context».
7) «Accordingly, the lead examiners recommend that Italy amend its legislation to exclude the defence of concussion from the offence of foreign bribery».
8)Nella dottrina penalistica, per la proposta il delitto di concussione per induzione, G. Fiandaca, Esigenze e prospettiva di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, p. 883: «A questo scopo, e al connesso fine di scongiurare una eccessiva dilatazione interpretativa della concussione ai danni della corruzione, basterebbe – com’è noto – un semplice tratto di penna da parte del legislatore: sarebbe cioè sufficiente la eliminazione della “induzione” dal novero delle condotte prese in considerazione dalla fattispecie incriminatrice della concussione».

"Progressisti, da Parigi parte la sfida: cambiare il volto dell’Unione", di Simone Collini

Inizia oggi a Parigi la convention della Fondazione europea per gli studi progressisti. Democratici italiani, socialisti francesi per Hollande e socialdemocratici tedeschi, un fronte comune contro «Merkozy». Oggi a Parigi, ma la prossima primavera l’appuntamento sarà a Roma e poi in autunno a Berlino. Perché dopo le presidenziali francesi si voterà anche in Italia e in Germania. E, come dice Massimo D’Alema, qui in veste di presidente della Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps), i prossimi 18 mesi possono «cambiare il volto dell’Europa».
Questa sorta di cooperazione rafforzata tra le forze progressiste europee è alla base di un’operazione che prende il via con la firma del documento intitolato «Un nuovo Rinascimento per l’Europa» ma che non si chiude oggi, quando il candidato all’Eliseo François Hollande, il leader del Pd Pier Luigi Bersani e quello della Spd Sigmar Gabriel sigleranno sotto la volta del Cirque d’Hiver una piattaforma programmatica comune sulle politiche comunitarie.
RICREARE FIDUCIA TRA CITTADINI E UE
Socialisti francesi, democratici italiani e socialdemocratici tedeschi (ma l’iniziativa è aperta ad altri e non a caso è arrivato a Parigi anche il britannico David Miliband e il primo ministro belga Elio Di Rupo) hanno deciso di fare fronte comune contro quell’asse «Merkozy» che in questi anni, attraverso politiche puntate essenzialmente sul rigore dei bilanci, le sanzioni, l’austerità, hanno finito per fare dell’Europa più un ente distante e da temere che un’opportunità per affrontare e superare la crisi economica.
«Bisogna ricreare un rapporto di fiducia tra i cittadini che soffrono la crisi e l’Europa», dice D’Alema durante una pausa dei lavori del seminario organizzato alla vigilia dell’iniziativa pubblica di oggi, «servono una strategia per la crescita, il completamento del mercato interno, gli Eurobond». Per questo le fondazioni vicine ai partiti progressisti europei (la nostra Italianieuropei, la francese Jean Jaurès e la tedesca Friedrich Ebert Stiftung, con la Feps a coordinare l’operazione) hanno avviato un percorso che per ora ha portato al documento che verrà sottoscritto oggi, ma che si svilupperà giocando un ruolo tutt’altro che secondario nelle campagne elettorali dei tre paesi, che insieme contano 200 milioni di cittadini europei su un totale di 330 milioni dell’Eurozona.
Inutile dire che se il primo passo dovesse andare in fallo tutto il resto del percorso sarebbe in salita. Insomma una vittoria di Hollande è importante per la Francia come per gli atri singoli paesi comunitari e per la stessa Europa. «Se a Parigi ci sarà Hollande lo scenario europeo cambierà e l’Europa sarà spinta a politiche più favorevoli alla crescita»,
è il ragionamento di D’Alema. «Anche rispetto ai nostri interessi nazionali, sarebbe un cambiamento positivo se si ponesse fine al blocco franco-tedesco verso tutte le proposte in favore della crescita». Soprattutto per un paese come il nostro colpito profondamente dalla crisi economica. «L’Italia è interessata in modo vitale ad un’Europa più attiva in direzione della crescita. Il presidente Monti non ha fatto mistero in diverse occasioni della necessità di una svolta in questo senso».
SOSTEGNO A HOLLANDE
A Parigi arrivano come un’eco lontana le voci critiche di esponenti Pd che giudicano un errore il sostegno ad Hollande e che non vedono di buon occhio la firma di Bersani del documento insieme ai socialisti francesi e ai socialdemocratici tedeschi. Beppe Fioroni, Marco Follini e una dozzina di ex-popolari hanno firmato una sorta di memorandum alternativo che è stato pubblicato dal Foglio. Ma se loro sono favorevoli ad appoggiare il candidato centrista François Bayrou piuttosto che Hollande, D’Alema ha gioco facile nell’ironizzare sul fatto che i candidati all’Eliseo li scelgono i francesi, non il Pd: «Il candidato in corsa per sostituire Sarkozy è Hollande, consiglierei a questi amici una attenta lettura dei giornali stranieri».
Ma al di là delle presidenziali francesi, che pure sono importanti, l’operazione avviata costituisce una novità di non poco conto perché ha come obiettivo, dice D’Alema, «fare della sinistra la forza più europea e più europeista»: «Tradizionalmente non era così sottolinea il presidente della Feps anzi, per certi aspetti la sinistra guardava alla costruzione europea come ad una grande avventura liberale, magari pensando che lo stato nazionale fosse la garanzia per certe conquiste sociali».
Oggi, tra scenografia e interventi, si vedrà il nuovo corso. Al Cirque d’Hiver parleranno i protagonisti dell’operazione e anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Pier Luigi Bersani insisterà sulla necessità di dare all’Europa politiche per la crescita e non solo rigore, dicendo che «da Parigi deve ripartire il sogno di un’Europa libera, pacifica e più giusta». Il leader del Pd è arrivato ieri sera nella capitale francese, dove ha incontrato la portavoce del consiglio nazionale siriano Basma Qadmani. Le ha espresso la solidarietà dei democratici italiani per la dura repressione nel suo Paese e l’ha invitata a Roma per il 19 e 20 aprile, quando si terrà la conferenza internazionale dei leader progressisti e una parte dei lavori sarà dedicata proprio alla primavera araba.

l’Unità 17.3.12

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Il documento alla base dell’incontro di Parigi: «L’Europa è il nostro patrimonio»

Lavoro, solidarietà giustizia fiscale: così l’Europa può rinascere
Il testo alla base dell’incontro dei Progressisti a Parigi: la sfida per rilanciare l’Unione su basi di maggiore democrazia ed equità. Il ruolo delle tecnologie, delle infrastrutture e della ricerca. La scommessa di una nuova governance

Pubblichiamo il testo «Rinascita europea. Crescita, solidarietà, democrazia: un nuovo percorso è possibile» che è alla base dell’incontro di Parigi. Alla stesura hanno partecipato la Fondazione europea di studi progressisti, vicina al Partito Socialista Europeo, la Fondazione Jean Jaurès, vicina al Partito Socialista francese, la Fondazione Italianieuropei, vicina al Pd italiano e la Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla Spd tedesca.
Asettembre 2011, i socialdemocratici danesi sono tornati al governo. Nel novembre 2011 il governo conservatore italiano ha rassegnato le dimissioni. A dicembre 2011 un primo ministro socialista è stato designato in Belgio. Nel 2012 e 2013 le elezioni in Francia, in Italia e in Germania possono rivelarsi decisive per intraprendere un nuovo percorso per l’Europa, sostenuto da una vasta alleanza dell’insieme delle forze socialiste, progressiste e democratiche.

L’Europa è il nostro patrimonio
comune. Il nostro compito è di perseguire la costruzione di un’Europa più unita e democratica. Prendiamo atto che l’assenza di una governance economica europea democratica ed efficace minaccia di trascinare l’Europa in recessione. Privilegiando la deflazione salariale, omettendo di condurre politiche per la crescita e l’occupazione, trascurando la solidarietà e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e di sanzioni, trascurando il dialogo sociale e la democrazia, si voltano le spalle sia alla necessità di lottare contro la crisi che allo stesso progetto europeo.
Adesso spetta all’Unione europea fornire risposte appropriate. La responsabilità di bilancio e la disciplina fiscale sono degli imperativi per la stabilità nella zona euro e per rilanciare il modello sociale europeo. In ogni Stato dovrebbe essere istituito un percorso che garantisca la riduzione del deficit e dell’indebitamento. È indispensabile ridurre l’indebitamento sovrano in Europa. Ciò andrebbe fatto in modo responsabile, nel rispetto delle regole democratiche di una nuova sovranità europea condivisa e in accordo con i principi di uguaglianza e giustizia sociale. Dovrebbero essere adottate quanto prima iniziative, a livello di Unione europea, per stimolare una crescita sostenuta e sostenibile. Andrebbero rafforzati in questa direzione gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti (Bei). Nella fattispecie, le priorità dovrebbero essere la creazione di posti di lavoro e la lotta contro la segmentazione del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei giovani e delle donne.
La politica industriale deve essere reinventata. Essa deve essere messa al servizio dello sviluppo dei grandi progetti industriali, tecnologici, infrastrutturali, di ricerca di innovazione, che favoriscano la conversione ecologica dell’Europa. La politica industriale dovrà favorire un’industria sostenibile («sobria in carbone») basata sulle tecnologie verdi, che assicuri impieghi duraturi e qualificati . Ci sembra inoltre fondamentale appoggiare la diffusione generale e l’armonizzazione dei «certificati verdi» già esistenti in alcuni Paesi dell’Unione europea, per contribuire alla lotta contro il riscaldamento climatico.
Devono essere create nuove risorse. Dovrebbe essere subito adottata dal Consiglio la proposta difesa da tempo dai progressisti europei e presentata recentemente dal gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo che punta a istituire una tassa sulle transazioni finanziarie.
Questa consentirà un rincaro del costo delle operazioni speculative, il riequilibrio della tassazione del capitale e del lavoro e faciliterà la lotta contro l’ingiustizia fiscale. Questa tassa assicurerà inoltre che al rilancio dell’economia contribuiscano gli stessi soggetti che hanno provocato la crisi finanziaria. L’Unione Europea dovrebbe assumere iniziative sulle relazioni con i «paradisi fiscali», con l’obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale e contribuire a sanare le finanze pubbliche.
Al tempo stesso, sarebbe opportuno affrontare seriamente i profondi squilibri macroeconomici e sociali all’origine della crisi nella zona euro.
Il miglioramento della competitività dei Paesi in situazione di deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi reciproci da parte dei Paesi che invece hanno eccedenze, stimolando la loro domanda interna. Ciò contribuirebbe ad invertire la tendenza alla distribuzione impari della ricchezza di questi ultimi decenni. Sarebbe necessario inoltre distinguere le spese per gli investimenti dalle spese di funzionamento.
La solidarietà deve essere posta al centro delle politiche europee. In questo modo sarà garantita la stabilità della nostra moneta. Proponiamo di prendere in considerazione il rafforzamento di una responsabilità comune europea per una parte del debito sovrano. Le euro-obbligazioni contribuirebbero a un nuovo fondo per il riassorbimento del debito e permetterebbero un riequilibrio delle finanze pubbliche. Il fallimento dei tentativi di rispondere alla crisi nella zona euro da parte dei governi conservatori in Europa, ha portato la Banca centrale europea a svolgere un ruolo attivo nei mercati finanziari. Se questo deficit di leadership politica persistesse, la Bce sarebbe, alla fine, obbligata a svolgere un ruolo ancora più forte per combattere la crisi finanziaria. Questo riorientamento delle politiche economiche in Europa non può comunque essere concepito senza un vero regolamento finanziario, che rimetta i mercati finanziari al servizio dell’economia reale e ristabilisca gli opportuni legami tra finanza ed economia.
Tutto ciò richiede il rafforzamento di una vera democrazia su scala europea. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe rafforzare le proprie competenze e dotarsi di una vera governance. I cittadini europei dovrebbe essere messi nelle condizioni di poter decidere chiaramente gli orientamenti politici dell’Unione. Il metodo intergovernativo perseguito dai governi conservatori non aiuta. Converrebbe invece estendere la codecisione alle scelte fondamentali di politica economica e sociale. Ciò implica una democrazia europea basata sul metodo comunitario e su un ruolo più decisivo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali fondata sulla sussidiarietà e la partecipazione dei cittadini e accompagnata dal rafforzamento dell’influenza di veri partiti politici europei. A questo proposito, i partiti progressisti europei dovrebbero proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione europea.
In questo modo, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali, un’altro cammino per l’Europa diventa possibile.

l’Unità 17.3.12

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“Gli ingredienti di un programma alternativo”, di Massimo D’Antoni

Guardando all’iniziativa di Parigi non può sfuggire innanzitutto il quadro di insieme, per così dire la foto di gruppo: il tentativo di realizzare quell’azione coordinata dei partiti progressisti europei che è la sola possibilità di segnare un cambio di direzione rispetto alla strada senza uscita imboccata negli ultimi anni. Per le sue conseguenze sul piano sociale e democratico, la ricetta dei conservatori europei sta creando tutte le condizioni per un ripiegamento nazionalistico e, se perseguita ulteriormente, porterebbe allo sfaldamento dell’euro prima e di ogni progetto di integrazione poi.
Rispetto alle difficoltà del nostro paese sarebbe certo ingenuo pensare all’Europa come al classico deus ex machina, ma lo sarebbe altrettanto scambiare l’attuale fase per la fine della fase acuta della crisi. L’abbiamo detto più volte: il recupero della credibilità nella conduzione della politica nazionale, e quindi il ripristino di condizioni di reciproca fiducia tra paesi, è un passo necessario, ma in nessun modo sufficiente. Né il nostro paese né gli altri paesi colpiti più duramente dalla crisi reggerebbe sul piano sociale la prospettiva di cinque o dieci anni di stagnazione cui ci sta condannando la linea dell’austerità. La finestra temporale concessaci dalla politica monetaria espansiva della Bce sotto la guida del presidente Draghi non durerà a lungo, e non ci si può illudere che la crescita riparta per effetto delle sole liberalizzazioni o magari di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, come qualcuno si ostina a suggerire.
Per superare le difficoltà del nostro paese, che vengono da lontano, servono interventi strutturali, ma questi richiedono risorse. Penso agli ammortizzatori sociali, a
investimenti infrastrutturali, alla crescita del capitale umano, alla ricerca, al ripristino della funzionalità della macchina pubblica, per garantire legalità e servizi pubblici; penso infine ad un piano per l’occupazione giovanile e femminile. È per questo che è vitale l’avvio urgente di una fase espansiva, mediante politiche di riattivazione della domanda che in questo momento le condizioni debitorie non consentono ai singoli stati ma che sono ancora possibili a livello europeo.
Nel documento di Parigi gli ingredienti per un programma alternativo rispetto all’attuale linea dell’Europa conservatrice ci sono tutti. Innanzitutto la denuncia dei rischi della ricetta deflazionistica che punta a colmare i divari di competitività tra le economie puntando su una riduzione dei salari nei paesi in difficoltà, e quindi scarica ancora una volta sul lavoro le tensioni macroeconomiche. A questo proposito, è di estrema importanza il riconoscimento che “il miglioramento della competitività dei paesi in deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi complementari nei paesi in surplus attraverso un ruolo di stimolo alla domanda interna”, nonché attraverso politiche di riduzione della diseguaglianza.
L’attenzione alle compatibilità di bilancio e alla disciplina di bilancio non è elusa, la necessità di puntare ad una riduzione dell’entità del debito sovrano è anzi affermata con chiarezza. Tale attenzione è tuttavia coniugata con l’esigenza di rilanciare il modello sociale europeo con i suoi ideali di solidarietà uguaglianza e sostegno all’occupazione; ciò in chiara antitesi con la tesi del pensiero conservatore, che considera tale modello esaurito e lo addita come responsabile dell’attuale difficoltà del continente. Il risanamento dei conti pubblici deve essere ottenuto con responsabilità, secondo principi di giustizia sociale e nel rispetto delle regole democratiche. Non è difficile cogliere qui un chiaro riferimento critico alla gestione della crisi greca, anche nella richiesta di mettere al centro dell’azione europea la solidarietà e il “rafforzamento della responsabilità comune” nella gestione dei debiti, mediante il ricorso agli eurobond.
E ancora: l’importanza di una politica industriale, che tra le altre cose sviluppi tecnologie per la sostenibilità ambientale; di reperire risorse (tramite la tassazione delle transazioni finanziarie, il coordinamento nella lotta all’evasione e l’emissione di project bond) per finanziare progetti europei di investimento; di progetti di sostegno dell’occupazione.
Infine: l’affermazione del metodo comunitario e del rafforzamento delle istituzioni rappresentative, al fine di costruire una democrazia su scala europea che segni la fine della prevalenza del metodo intergovernativo praticato dai governi di destra.
In poche pagine, una direzione indicata in modo tutt’altro che generico o inadeguato alla sfida del momento. Un progetto che, senza chiedere ai partiti che lo sostengono di rinunciare alla propria specificità culturale, alle proprie storie, ai tratti caratterizzanti la propria esperienza nazionale, individuando chiaramente quale propri riferimenti l’Europa, la giustizia sociale, il lavoro, la democrazia, si presta a definire l’identità di una forza progressista europea.

L’Unità 17.03.12

“Progressisti, da Parigi parte la sfida: cambiare il volto dell’Unione”, di Simone Collini

Inizia oggi a Parigi la convention della Fondazione europea per gli studi progressisti. Democratici italiani, socialisti francesi per Hollande e socialdemocratici tedeschi, un fronte comune contro «Merkozy». Oggi a Parigi, ma la prossima primavera l’appuntamento sarà a Roma e poi in autunno a Berlino. Perché dopo le presidenziali francesi si voterà anche in Italia e in Germania. E, come dice Massimo D’Alema, qui in veste di presidente della Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps), i prossimi 18 mesi possono «cambiare il volto dell’Europa».
Questa sorta di cooperazione rafforzata tra le forze progressiste europee è alla base di un’operazione che prende il via con la firma del documento intitolato «Un nuovo Rinascimento per l’Europa» ma che non si chiude oggi, quando il candidato all’Eliseo François Hollande, il leader del Pd Pier Luigi Bersani e quello della Spd Sigmar Gabriel sigleranno sotto la volta del Cirque d’Hiver una piattaforma programmatica comune sulle politiche comunitarie.
RICREARE FIDUCIA TRA CITTADINI E UE
Socialisti francesi, democratici italiani e socialdemocratici tedeschi (ma l’iniziativa è aperta ad altri e non a caso è arrivato a Parigi anche il britannico David Miliband e il primo ministro belga Elio Di Rupo) hanno deciso di fare fronte comune contro quell’asse «Merkozy» che in questi anni, attraverso politiche puntate essenzialmente sul rigore dei bilanci, le sanzioni, l’austerità, hanno finito per fare dell’Europa più un ente distante e da temere che un’opportunità per affrontare e superare la crisi economica.
«Bisogna ricreare un rapporto di fiducia tra i cittadini che soffrono la crisi e l’Europa», dice D’Alema durante una pausa dei lavori del seminario organizzato alla vigilia dell’iniziativa pubblica di oggi, «servono una strategia per la crescita, il completamento del mercato interno, gli Eurobond». Per questo le fondazioni vicine ai partiti progressisti europei (la nostra Italianieuropei, la francese Jean Jaurès e la tedesca Friedrich Ebert Stiftung, con la Feps a coordinare l’operazione) hanno avviato un percorso che per ora ha portato al documento che verrà sottoscritto oggi, ma che si svilupperà giocando un ruolo tutt’altro che secondario nelle campagne elettorali dei tre paesi, che insieme contano 200 milioni di cittadini europei su un totale di 330 milioni dell’Eurozona.
Inutile dire che se il primo passo dovesse andare in fallo tutto il resto del percorso sarebbe in salita. Insomma una vittoria di Hollande è importante per la Francia come per gli atri singoli paesi comunitari e per la stessa Europa. «Se a Parigi ci sarà Hollande lo scenario europeo cambierà e l’Europa sarà spinta a politiche più favorevoli alla crescita»,
è il ragionamento di D’Alema. «Anche rispetto ai nostri interessi nazionali, sarebbe un cambiamento positivo se si ponesse fine al blocco franco-tedesco verso tutte le proposte in favore della crescita». Soprattutto per un paese come il nostro colpito profondamente dalla crisi economica. «L’Italia è interessata in modo vitale ad un’Europa più attiva in direzione della crescita. Il presidente Monti non ha fatto mistero in diverse occasioni della necessità di una svolta in questo senso».
SOSTEGNO A HOLLANDE
A Parigi arrivano come un’eco lontana le voci critiche di esponenti Pd che giudicano un errore il sostegno ad Hollande e che non vedono di buon occhio la firma di Bersani del documento insieme ai socialisti francesi e ai socialdemocratici tedeschi. Beppe Fioroni, Marco Follini e una dozzina di ex-popolari hanno firmato una sorta di memorandum alternativo che è stato pubblicato dal Foglio. Ma se loro sono favorevoli ad appoggiare il candidato centrista François Bayrou piuttosto che Hollande, D’Alema ha gioco facile nell’ironizzare sul fatto che i candidati all’Eliseo li scelgono i francesi, non il Pd: «Il candidato in corsa per sostituire Sarkozy è Hollande, consiglierei a questi amici una attenta lettura dei giornali stranieri».
Ma al di là delle presidenziali francesi, che pure sono importanti, l’operazione avviata costituisce una novità di non poco conto perché ha come obiettivo, dice D’Alema, «fare della sinistra la forza più europea e più europeista»: «Tradizionalmente non era così sottolinea il presidente della Feps anzi, per certi aspetti la sinistra guardava alla costruzione europea come ad una grande avventura liberale, magari pensando che lo stato nazionale fosse la garanzia per certe conquiste sociali».
Oggi, tra scenografia e interventi, si vedrà il nuovo corso. Al Cirque d’Hiver parleranno i protagonisti dell’operazione e anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Pier Luigi Bersani insisterà sulla necessità di dare all’Europa politiche per la crescita e non solo rigore, dicendo che «da Parigi deve ripartire il sogno di un’Europa libera, pacifica e più giusta». Il leader del Pd è arrivato ieri sera nella capitale francese, dove ha incontrato la portavoce del consiglio nazionale siriano Basma Qadmani. Le ha espresso la solidarietà dei democratici italiani per la dura repressione nel suo Paese e l’ha invitata a Roma per il 19 e 20 aprile, quando si terrà la conferenza internazionale dei leader progressisti e una parte dei lavori sarà dedicata proprio alla primavera araba.

l’Unità 17.3.12

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Il documento alla base dell’incontro di Parigi: «L’Europa è il nostro patrimonio»

Lavoro, solidarietà giustizia fiscale: così l’Europa può rinascere
Il testo alla base dell’incontro dei Progressisti a Parigi: la sfida per rilanciare l’Unione su basi di maggiore democrazia ed equità. Il ruolo delle tecnologie, delle infrastrutture e della ricerca. La scommessa di una nuova governance

Pubblichiamo il testo «Rinascita europea. Crescita, solidarietà, democrazia: un nuovo percorso è possibile» che è alla base dell’incontro di Parigi. Alla stesura hanno partecipato la Fondazione europea di studi progressisti, vicina al Partito Socialista Europeo, la Fondazione Jean Jaurès, vicina al Partito Socialista francese, la Fondazione Italianieuropei, vicina al Pd italiano e la Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla Spd tedesca.
Asettembre 2011, i socialdemocratici danesi sono tornati al governo. Nel novembre 2011 il governo conservatore italiano ha rassegnato le dimissioni. A dicembre 2011 un primo ministro socialista è stato designato in Belgio. Nel 2012 e 2013 le elezioni in Francia, in Italia e in Germania possono rivelarsi decisive per intraprendere un nuovo percorso per l’Europa, sostenuto da una vasta alleanza dell’insieme delle forze socialiste, progressiste e democratiche.

L’Europa è il nostro patrimonio
comune. Il nostro compito è di perseguire la costruzione di un’Europa più unita e democratica. Prendiamo atto che l’assenza di una governance economica europea democratica ed efficace minaccia di trascinare l’Europa in recessione. Privilegiando la deflazione salariale, omettendo di condurre politiche per la crescita e l’occupazione, trascurando la solidarietà e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e di sanzioni, trascurando il dialogo sociale e la democrazia, si voltano le spalle sia alla necessità di lottare contro la crisi che allo stesso progetto europeo.
Adesso spetta all’Unione europea fornire risposte appropriate. La responsabilità di bilancio e la disciplina fiscale sono degli imperativi per la stabilità nella zona euro e per rilanciare il modello sociale europeo. In ogni Stato dovrebbe essere istituito un percorso che garantisca la riduzione del deficit e dell’indebitamento. È indispensabile ridurre l’indebitamento sovrano in Europa. Ciò andrebbe fatto in modo responsabile, nel rispetto delle regole democratiche di una nuova sovranità europea condivisa e in accordo con i principi di uguaglianza e giustizia sociale. Dovrebbero essere adottate quanto prima iniziative, a livello di Unione europea, per stimolare una crescita sostenuta e sostenibile. Andrebbero rafforzati in questa direzione gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti (Bei). Nella fattispecie, le priorità dovrebbero essere la creazione di posti di lavoro e la lotta contro la segmentazione del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei giovani e delle donne.
La politica industriale deve essere reinventata. Essa deve essere messa al servizio dello sviluppo dei grandi progetti industriali, tecnologici, infrastrutturali, di ricerca di innovazione, che favoriscano la conversione ecologica dell’Europa. La politica industriale dovrà favorire un’industria sostenibile («sobria in carbone») basata sulle tecnologie verdi, che assicuri impieghi duraturi e qualificati . Ci sembra inoltre fondamentale appoggiare la diffusione generale e l’armonizzazione dei «certificati verdi» già esistenti in alcuni Paesi dell’Unione europea, per contribuire alla lotta contro il riscaldamento climatico.
Devono essere create nuove risorse. Dovrebbe essere subito adottata dal Consiglio la proposta difesa da tempo dai progressisti europei e presentata recentemente dal gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo che punta a istituire una tassa sulle transazioni finanziarie.
Questa consentirà un rincaro del costo delle operazioni speculative, il riequilibrio della tassazione del capitale e del lavoro e faciliterà la lotta contro l’ingiustizia fiscale. Questa tassa assicurerà inoltre che al rilancio dell’economia contribuiscano gli stessi soggetti che hanno provocato la crisi finanziaria. L’Unione Europea dovrebbe assumere iniziative sulle relazioni con i «paradisi fiscali», con l’obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale e contribuire a sanare le finanze pubbliche.
Al tempo stesso, sarebbe opportuno affrontare seriamente i profondi squilibri macroeconomici e sociali all’origine della crisi nella zona euro.
Il miglioramento della competitività dei Paesi in situazione di deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi reciproci da parte dei Paesi che invece hanno eccedenze, stimolando la loro domanda interna. Ciò contribuirebbe ad invertire la tendenza alla distribuzione impari della ricchezza di questi ultimi decenni. Sarebbe necessario inoltre distinguere le spese per gli investimenti dalle spese di funzionamento.
La solidarietà deve essere posta al centro delle politiche europee. In questo modo sarà garantita la stabilità della nostra moneta. Proponiamo di prendere in considerazione il rafforzamento di una responsabilità comune europea per una parte del debito sovrano. Le euro-obbligazioni contribuirebbero a un nuovo fondo per il riassorbimento del debito e permetterebbero un riequilibrio delle finanze pubbliche. Il fallimento dei tentativi di rispondere alla crisi nella zona euro da parte dei governi conservatori in Europa, ha portato la Banca centrale europea a svolgere un ruolo attivo nei mercati finanziari. Se questo deficit di leadership politica persistesse, la Bce sarebbe, alla fine, obbligata a svolgere un ruolo ancora più forte per combattere la crisi finanziaria. Questo riorientamento delle politiche economiche in Europa non può comunque essere concepito senza un vero regolamento finanziario, che rimetta i mercati finanziari al servizio dell’economia reale e ristabilisca gli opportuni legami tra finanza ed economia.
Tutto ciò richiede il rafforzamento di una vera democrazia su scala europea. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe rafforzare le proprie competenze e dotarsi di una vera governance. I cittadini europei dovrebbe essere messi nelle condizioni di poter decidere chiaramente gli orientamenti politici dell’Unione. Il metodo intergovernativo perseguito dai governi conservatori non aiuta. Converrebbe invece estendere la codecisione alle scelte fondamentali di politica economica e sociale. Ciò implica una democrazia europea basata sul metodo comunitario e su un ruolo più decisivo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali fondata sulla sussidiarietà e la partecipazione dei cittadini e accompagnata dal rafforzamento dell’influenza di veri partiti politici europei. A questo proposito, i partiti progressisti europei dovrebbero proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione europea.
In questo modo, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali, un’altro cammino per l’Europa diventa possibile.

l’Unità 17.3.12

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“Gli ingredienti di un programma alternativo”, di Massimo D’Antoni

Guardando all’iniziativa di Parigi non può sfuggire innanzitutto il quadro di insieme, per così dire la foto di gruppo: il tentativo di realizzare quell’azione coordinata dei partiti progressisti europei che è la sola possibilità di segnare un cambio di direzione rispetto alla strada senza uscita imboccata negli ultimi anni. Per le sue conseguenze sul piano sociale e democratico, la ricetta dei conservatori europei sta creando tutte le condizioni per un ripiegamento nazionalistico e, se perseguita ulteriormente, porterebbe allo sfaldamento dell’euro prima e di ogni progetto di integrazione poi.
Rispetto alle difficoltà del nostro paese sarebbe certo ingenuo pensare all’Europa come al classico deus ex machina, ma lo sarebbe altrettanto scambiare l’attuale fase per la fine della fase acuta della crisi. L’abbiamo detto più volte: il recupero della credibilità nella conduzione della politica nazionale, e quindi il ripristino di condizioni di reciproca fiducia tra paesi, è un passo necessario, ma in nessun modo sufficiente. Né il nostro paese né gli altri paesi colpiti più duramente dalla crisi reggerebbe sul piano sociale la prospettiva di cinque o dieci anni di stagnazione cui ci sta condannando la linea dell’austerità. La finestra temporale concessaci dalla politica monetaria espansiva della Bce sotto la guida del presidente Draghi non durerà a lungo, e non ci si può illudere che la crescita riparta per effetto delle sole liberalizzazioni o magari di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, come qualcuno si ostina a suggerire.
Per superare le difficoltà del nostro paese, che vengono da lontano, servono interventi strutturali, ma questi richiedono risorse. Penso agli ammortizzatori sociali, a
investimenti infrastrutturali, alla crescita del capitale umano, alla ricerca, al ripristino della funzionalità della macchina pubblica, per garantire legalità e servizi pubblici; penso infine ad un piano per l’occupazione giovanile e femminile. È per questo che è vitale l’avvio urgente di una fase espansiva, mediante politiche di riattivazione della domanda che in questo momento le condizioni debitorie non consentono ai singoli stati ma che sono ancora possibili a livello europeo.
Nel documento di Parigi gli ingredienti per un programma alternativo rispetto all’attuale linea dell’Europa conservatrice ci sono tutti. Innanzitutto la denuncia dei rischi della ricetta deflazionistica che punta a colmare i divari di competitività tra le economie puntando su una riduzione dei salari nei paesi in difficoltà, e quindi scarica ancora una volta sul lavoro le tensioni macroeconomiche. A questo proposito, è di estrema importanza il riconoscimento che “il miglioramento della competitività dei paesi in deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi complementari nei paesi in surplus attraverso un ruolo di stimolo alla domanda interna”, nonché attraverso politiche di riduzione della diseguaglianza.
L’attenzione alle compatibilità di bilancio e alla disciplina di bilancio non è elusa, la necessità di puntare ad una riduzione dell’entità del debito sovrano è anzi affermata con chiarezza. Tale attenzione è tuttavia coniugata con l’esigenza di rilanciare il modello sociale europeo con i suoi ideali di solidarietà uguaglianza e sostegno all’occupazione; ciò in chiara antitesi con la tesi del pensiero conservatore, che considera tale modello esaurito e lo addita come responsabile dell’attuale difficoltà del continente. Il risanamento dei conti pubblici deve essere ottenuto con responsabilità, secondo principi di giustizia sociale e nel rispetto delle regole democratiche. Non è difficile cogliere qui un chiaro riferimento critico alla gestione della crisi greca, anche nella richiesta di mettere al centro dell’azione europea la solidarietà e il “rafforzamento della responsabilità comune” nella gestione dei debiti, mediante il ricorso agli eurobond.
E ancora: l’importanza di una politica industriale, che tra le altre cose sviluppi tecnologie per la sostenibilità ambientale; di reperire risorse (tramite la tassazione delle transazioni finanziarie, il coordinamento nella lotta all’evasione e l’emissione di project bond) per finanziare progetti europei di investimento; di progetti di sostegno dell’occupazione.
Infine: l’affermazione del metodo comunitario e del rafforzamento delle istituzioni rappresentative, al fine di costruire una democrazia su scala europea che segni la fine della prevalenza del metodo intergovernativo praticato dai governi di destra.
In poche pagine, una direzione indicata in modo tutt’altro che generico o inadeguato alla sfida del momento. Un progetto che, senza chiedere ai partiti che lo sostengono di rinunciare alla propria specificità culturale, alle proprie storie, ai tratti caratterizzanti la propria esperienza nazionale, individuando chiaramente quale propri riferimenti l’Europa, la giustizia sociale, il lavoro, la democrazia, si presta a definire l’identità di una forza progressista europea.

L’Unità 17.03.12

“Progressisti, da Parigi parte la sfida: cambiare il volto dell’Unione”, di Simone Collini

Inizia oggi a Parigi la convention della Fondazione europea per gli studi progressisti. Democratici italiani, socialisti francesi per Hollande e socialdemocratici tedeschi, un fronte comune contro «Merkozy». Oggi a Parigi, ma la prossima primavera l’appuntamento sarà a Roma e poi in autunno a Berlino. Perché dopo le presidenziali francesi si voterà anche in Italia e in Germania. E, come dice Massimo D’Alema, qui in veste di presidente della Fondazione europea per gli studi progressisti (Feps), i prossimi 18 mesi possono «cambiare il volto dell’Europa».
Questa sorta di cooperazione rafforzata tra le forze progressiste europee è alla base di un’operazione che prende il via con la firma del documento intitolato «Un nuovo Rinascimento per l’Europa» ma che non si chiude oggi, quando il candidato all’Eliseo François Hollande, il leader del Pd Pier Luigi Bersani e quello della Spd Sigmar Gabriel sigleranno sotto la volta del Cirque d’Hiver una piattaforma programmatica comune sulle politiche comunitarie.
RICREARE FIDUCIA TRA CITTADINI E UE
Socialisti francesi, democratici italiani e socialdemocratici tedeschi (ma l’iniziativa è aperta ad altri e non a caso è arrivato a Parigi anche il britannico David Miliband e il primo ministro belga Elio Di Rupo) hanno deciso di fare fronte comune contro quell’asse «Merkozy» che in questi anni, attraverso politiche puntate essenzialmente sul rigore dei bilanci, le sanzioni, l’austerità, hanno finito per fare dell’Europa più un ente distante e da temere che un’opportunità per affrontare e superare la crisi economica.
«Bisogna ricreare un rapporto di fiducia tra i cittadini che soffrono la crisi e l’Europa», dice D’Alema durante una pausa dei lavori del seminario organizzato alla vigilia dell’iniziativa pubblica di oggi, «servono una strategia per la crescita, il completamento del mercato interno, gli Eurobond». Per questo le fondazioni vicine ai partiti progressisti europei (la nostra Italianieuropei, la francese Jean Jaurès e la tedesca Friedrich Ebert Stiftung, con la Feps a coordinare l’operazione) hanno avviato un percorso che per ora ha portato al documento che verrà sottoscritto oggi, ma che si svilupperà giocando un ruolo tutt’altro che secondario nelle campagne elettorali dei tre paesi, che insieme contano 200 milioni di cittadini europei su un totale di 330 milioni dell’Eurozona.
Inutile dire che se il primo passo dovesse andare in fallo tutto il resto del percorso sarebbe in salita. Insomma una vittoria di Hollande è importante per la Francia come per gli atri singoli paesi comunitari e per la stessa Europa. «Se a Parigi ci sarà Hollande lo scenario europeo cambierà e l’Europa sarà spinta a politiche più favorevoli alla crescita»,
è il ragionamento di D’Alema. «Anche rispetto ai nostri interessi nazionali, sarebbe un cambiamento positivo se si ponesse fine al blocco franco-tedesco verso tutte le proposte in favore della crescita». Soprattutto per un paese come il nostro colpito profondamente dalla crisi economica. «L’Italia è interessata in modo vitale ad un’Europa più attiva in direzione della crescita. Il presidente Monti non ha fatto mistero in diverse occasioni della necessità di una svolta in questo senso».
SOSTEGNO A HOLLANDE
A Parigi arrivano come un’eco lontana le voci critiche di esponenti Pd che giudicano un errore il sostegno ad Hollande e che non vedono di buon occhio la firma di Bersani del documento insieme ai socialisti francesi e ai socialdemocratici tedeschi. Beppe Fioroni, Marco Follini e una dozzina di ex-popolari hanno firmato una sorta di memorandum alternativo che è stato pubblicato dal Foglio. Ma se loro sono favorevoli ad appoggiare il candidato centrista François Bayrou piuttosto che Hollande, D’Alema ha gioco facile nell’ironizzare sul fatto che i candidati all’Eliseo li scelgono i francesi, non il Pd: «Il candidato in corsa per sostituire Sarkozy è Hollande, consiglierei a questi amici una attenta lettura dei giornali stranieri».
Ma al di là delle presidenziali francesi, che pure sono importanti, l’operazione avviata costituisce una novità di non poco conto perché ha come obiettivo, dice D’Alema, «fare della sinistra la forza più europea e più europeista»: «Tradizionalmente non era così sottolinea il presidente della Feps anzi, per certi aspetti la sinistra guardava alla costruzione europea come ad una grande avventura liberale, magari pensando che lo stato nazionale fosse la garanzia per certe conquiste sociali».
Oggi, tra scenografia e interventi, si vedrà il nuovo corso. Al Cirque d’Hiver parleranno i protagonisti dell’operazione e anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
Pier Luigi Bersani insisterà sulla necessità di dare all’Europa politiche per la crescita e non solo rigore, dicendo che «da Parigi deve ripartire il sogno di un’Europa libera, pacifica e più giusta». Il leader del Pd è arrivato ieri sera nella capitale francese, dove ha incontrato la portavoce del consiglio nazionale siriano Basma Qadmani. Le ha espresso la solidarietà dei democratici italiani per la dura repressione nel suo Paese e l’ha invitata a Roma per il 19 e 20 aprile, quando si terrà la conferenza internazionale dei leader progressisti e una parte dei lavori sarà dedicata proprio alla primavera araba.

l’Unità 17.3.12

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Il documento alla base dell’incontro di Parigi: «L’Europa è il nostro patrimonio»

Lavoro, solidarietà giustizia fiscale: così l’Europa può rinascere
Il testo alla base dell’incontro dei Progressisti a Parigi: la sfida per rilanciare l’Unione su basi di maggiore democrazia ed equità. Il ruolo delle tecnologie, delle infrastrutture e della ricerca. La scommessa di una nuova governance

Pubblichiamo il testo «Rinascita europea. Crescita, solidarietà, democrazia: un nuovo percorso è possibile» che è alla base dell’incontro di Parigi. Alla stesura hanno partecipato la Fondazione europea di studi progressisti, vicina al Partito Socialista Europeo, la Fondazione Jean Jaurès, vicina al Partito Socialista francese, la Fondazione Italianieuropei, vicina al Pd italiano e la Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla Spd tedesca.
Asettembre 2011, i socialdemocratici danesi sono tornati al governo. Nel novembre 2011 il governo conservatore italiano ha rassegnato le dimissioni. A dicembre 2011 un primo ministro socialista è stato designato in Belgio. Nel 2012 e 2013 le elezioni in Francia, in Italia e in Germania possono rivelarsi decisive per intraprendere un nuovo percorso per l’Europa, sostenuto da una vasta alleanza dell’insieme delle forze socialiste, progressiste e democratiche.

L’Europa è il nostro patrimonio
comune. Il nostro compito è di perseguire la costruzione di un’Europa più unita e democratica. Prendiamo atto che l’assenza di una governance economica europea democratica ed efficace minaccia di trascinare l’Europa in recessione. Privilegiando la deflazione salariale, omettendo di condurre politiche per la crescita e l’occupazione, trascurando la solidarietà e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e di sanzioni, trascurando il dialogo sociale e la democrazia, si voltano le spalle sia alla necessità di lottare contro la crisi che allo stesso progetto europeo.
Adesso spetta all’Unione europea fornire risposte appropriate. La responsabilità di bilancio e la disciplina fiscale sono degli imperativi per la stabilità nella zona euro e per rilanciare il modello sociale europeo. In ogni Stato dovrebbe essere istituito un percorso che garantisca la riduzione del deficit e dell’indebitamento. È indispensabile ridurre l’indebitamento sovrano in Europa. Ciò andrebbe fatto in modo responsabile, nel rispetto delle regole democratiche di una nuova sovranità europea condivisa e in accordo con i principi di uguaglianza e giustizia sociale. Dovrebbero essere adottate quanto prima iniziative, a livello di Unione europea, per stimolare una crescita sostenuta e sostenibile. Andrebbero rafforzati in questa direzione gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti (Bei). Nella fattispecie, le priorità dovrebbero essere la creazione di posti di lavoro e la lotta contro la segmentazione del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei giovani e delle donne.
La politica industriale deve essere reinventata. Essa deve essere messa al servizio dello sviluppo dei grandi progetti industriali, tecnologici, infrastrutturali, di ricerca di innovazione, che favoriscano la conversione ecologica dell’Europa. La politica industriale dovrà favorire un’industria sostenibile («sobria in carbone») basata sulle tecnologie verdi, che assicuri impieghi duraturi e qualificati . Ci sembra inoltre fondamentale appoggiare la diffusione generale e l’armonizzazione dei «certificati verdi» già esistenti in alcuni Paesi dell’Unione europea, per contribuire alla lotta contro il riscaldamento climatico.
Devono essere create nuove risorse. Dovrebbe essere subito adottata dal Consiglio la proposta difesa da tempo dai progressisti europei e presentata recentemente dal gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo che punta a istituire una tassa sulle transazioni finanziarie.
Questa consentirà un rincaro del costo delle operazioni speculative, il riequilibrio della tassazione del capitale e del lavoro e faciliterà la lotta contro l’ingiustizia fiscale. Questa tassa assicurerà inoltre che al rilancio dell’economia contribuiscano gli stessi soggetti che hanno provocato la crisi finanziaria. L’Unione Europea dovrebbe assumere iniziative sulle relazioni con i «paradisi fiscali», con l’obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale e contribuire a sanare le finanze pubbliche.
Al tempo stesso, sarebbe opportuno affrontare seriamente i profondi squilibri macroeconomici e sociali all’origine della crisi nella zona euro.
Il miglioramento della competitività dei Paesi in situazione di deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi reciproci da parte dei Paesi che invece hanno eccedenze, stimolando la loro domanda interna. Ciò contribuirebbe ad invertire la tendenza alla distribuzione impari della ricchezza di questi ultimi decenni. Sarebbe necessario inoltre distinguere le spese per gli investimenti dalle spese di funzionamento.
La solidarietà deve essere posta al centro delle politiche europee. In questo modo sarà garantita la stabilità della nostra moneta. Proponiamo di prendere in considerazione il rafforzamento di una responsabilità comune europea per una parte del debito sovrano. Le euro-obbligazioni contribuirebbero a un nuovo fondo per il riassorbimento del debito e permetterebbero un riequilibrio delle finanze pubbliche. Il fallimento dei tentativi di rispondere alla crisi nella zona euro da parte dei governi conservatori in Europa, ha portato la Banca centrale europea a svolgere un ruolo attivo nei mercati finanziari. Se questo deficit di leadership politica persistesse, la Bce sarebbe, alla fine, obbligata a svolgere un ruolo ancora più forte per combattere la crisi finanziaria. Questo riorientamento delle politiche economiche in Europa non può comunque essere concepito senza un vero regolamento finanziario, che rimetta i mercati finanziari al servizio dell’economia reale e ristabilisca gli opportuni legami tra finanza ed economia.
Tutto ciò richiede il rafforzamento di una vera democrazia su scala europea. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe rafforzare le proprie competenze e dotarsi di una vera governance. I cittadini europei dovrebbe essere messi nelle condizioni di poter decidere chiaramente gli orientamenti politici dell’Unione. Il metodo intergovernativo perseguito dai governi conservatori non aiuta. Converrebbe invece estendere la codecisione alle scelte fondamentali di politica economica e sociale. Ciò implica una democrazia europea basata sul metodo comunitario e su un ruolo più decisivo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali fondata sulla sussidiarietà e la partecipazione dei cittadini e accompagnata dal rafforzamento dell’influenza di veri partiti politici europei. A questo proposito, i partiti progressisti europei dovrebbero proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione europea.
In questo modo, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali, un’altro cammino per l’Europa diventa possibile.

l’Unità 17.3.12

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“Gli ingredienti di un programma alternativo”, di Massimo D’Antoni

Guardando all’iniziativa di Parigi non può sfuggire innanzitutto il quadro di insieme, per così dire la foto di gruppo: il tentativo di realizzare quell’azione coordinata dei partiti progressisti europei che è la sola possibilità di segnare un cambio di direzione rispetto alla strada senza uscita imboccata negli ultimi anni. Per le sue conseguenze sul piano sociale e democratico, la ricetta dei conservatori europei sta creando tutte le condizioni per un ripiegamento nazionalistico e, se perseguita ulteriormente, porterebbe allo sfaldamento dell’euro prima e di ogni progetto di integrazione poi.
Rispetto alle difficoltà del nostro paese sarebbe certo ingenuo pensare all’Europa come al classico deus ex machina, ma lo sarebbe altrettanto scambiare l’attuale fase per la fine della fase acuta della crisi. L’abbiamo detto più volte: il recupero della credibilità nella conduzione della politica nazionale, e quindi il ripristino di condizioni di reciproca fiducia tra paesi, è un passo necessario, ma in nessun modo sufficiente. Né il nostro paese né gli altri paesi colpiti più duramente dalla crisi reggerebbe sul piano sociale la prospettiva di cinque o dieci anni di stagnazione cui ci sta condannando la linea dell’austerità. La finestra temporale concessaci dalla politica monetaria espansiva della Bce sotto la guida del presidente Draghi non durerà a lungo, e non ci si può illudere che la crescita riparta per effetto delle sole liberalizzazioni o magari di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, come qualcuno si ostina a suggerire.
Per superare le difficoltà del nostro paese, che vengono da lontano, servono interventi strutturali, ma questi richiedono risorse. Penso agli ammortizzatori sociali, a
investimenti infrastrutturali, alla crescita del capitale umano, alla ricerca, al ripristino della funzionalità della macchina pubblica, per garantire legalità e servizi pubblici; penso infine ad un piano per l’occupazione giovanile e femminile. È per questo che è vitale l’avvio urgente di una fase espansiva, mediante politiche di riattivazione della domanda che in questo momento le condizioni debitorie non consentono ai singoli stati ma che sono ancora possibili a livello europeo.
Nel documento di Parigi gli ingredienti per un programma alternativo rispetto all’attuale linea dell’Europa conservatrice ci sono tutti. Innanzitutto la denuncia dei rischi della ricetta deflazionistica che punta a colmare i divari di competitività tra le economie puntando su una riduzione dei salari nei paesi in difficoltà, e quindi scarica ancora una volta sul lavoro le tensioni macroeconomiche. A questo proposito, è di estrema importanza il riconoscimento che “il miglioramento della competitività dei paesi in deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi complementari nei paesi in surplus attraverso un ruolo di stimolo alla domanda interna”, nonché attraverso politiche di riduzione della diseguaglianza.
L’attenzione alle compatibilità di bilancio e alla disciplina di bilancio non è elusa, la necessità di puntare ad una riduzione dell’entità del debito sovrano è anzi affermata con chiarezza. Tale attenzione è tuttavia coniugata con l’esigenza di rilanciare il modello sociale europeo con i suoi ideali di solidarietà uguaglianza e sostegno all’occupazione; ciò in chiara antitesi con la tesi del pensiero conservatore, che considera tale modello esaurito e lo addita come responsabile dell’attuale difficoltà del continente. Il risanamento dei conti pubblici deve essere ottenuto con responsabilità, secondo principi di giustizia sociale e nel rispetto delle regole democratiche. Non è difficile cogliere qui un chiaro riferimento critico alla gestione della crisi greca, anche nella richiesta di mettere al centro dell’azione europea la solidarietà e il “rafforzamento della responsabilità comune” nella gestione dei debiti, mediante il ricorso agli eurobond.
E ancora: l’importanza di una politica industriale, che tra le altre cose sviluppi tecnologie per la sostenibilità ambientale; di reperire risorse (tramite la tassazione delle transazioni finanziarie, il coordinamento nella lotta all’evasione e l’emissione di project bond) per finanziare progetti europei di investimento; di progetti di sostegno dell’occupazione.
Infine: l’affermazione del metodo comunitario e del rafforzamento delle istituzioni rappresentative, al fine di costruire una democrazia su scala europea che segni la fine della prevalenza del metodo intergovernativo praticato dai governi di destra.
In poche pagine, una direzione indicata in modo tutt’altro che generico o inadeguato alla sfida del momento. Un progetto che, senza chiedere ai partiti che lo sostengono di rinunciare alla propria specificità culturale, alle proprie storie, ai tratti caratterizzanti la propria esperienza nazionale, individuando chiaramente quale propri riferimenti l’Europa, la giustizia sociale, il lavoro, la democrazia, si presta a definire l’identità di una forza progressista europea.

L’Unità 17.03.12