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“Onore ai maestri c’è grande bisogno di loro”, di Alessandro D’Avenia

Un maestro è colui che, nella cornice di un relazione viva, risveglia in un altro essere umano forze e sogni potenziali e ancora latenti. Egli è chiamato a fare della propria unicità e del proprio intimo coltivarsi (la sua cultura) un dono al discepolo, che altrimenti non desidererà coltivare sé stesso, scoprendo chi è e che storia irripetibile è venuto a raccontare. Il maestro in sostanza è un pro-vocatore: uno che chiama l’altro ad assumere la propria vita come compito, come vocazione. Diventa te stesso, dice in ogni suo gesto e parola. Questo hanno fatto Socrate, Confucio, Cristo, Buddha, questo fanno tanti sconosciuti maestri nelle aule. Ma cosa autorizza un uomo o una donna a fare questo con un altro essere umano?

Invece di tirar fuori zanne e artigli, il cucciolo d’uomo è costretto ad un lunghissimo svezzamento senza il quale non è autosufficiente. Il bambino prima (e l’adolescente dopo) ha bisogno di essere accudito ed educato, altrimenti non sopravvive. Dovranno occuparsene la madre che lo ha generato, che instaura una relazione protettiva, come il grembo in cui lo ha custodito per nove mesi, e il padre che invece ha il compito di spingerlo ad affrontare il mondo aiutandolo a resistere e convivere con le proprie paure. Se un papà lancia in aria il bambino, la mamma impaurita chiederà di metterlo giù. La mamma lo ancora alla madre-terra, allo spazio orizzontale, il padre invece con le sue braccia forti lo lancia verso lo spazio verticale, il futuro: il bambino rimane sospeso, senza fiato, ma sa che le braccia lo aspettano di nuovo. Il padre educa il figlio all’assenza, al silenzio, alla distanza. Gli insegna la pazienza e l’attesa, mentre la madre è in contatto fisico diretto e accogliente, lo protegge dall’esterno. Abbiamo imparato ad andare in bicicletta con i nostri padri. Rimanevano distanti e ci dicevano: «Ora vai, non aver paura. Se succede qualcosa io sono qui». La nostra mamma sarebbe invece salita sulla bici al posto nostro e ci avrebbe detto «tu stai seduto là, mangia la merenda e guarda».

Gli insegnanti sono chiamati ad una sintesi dei due ruoli genitoriali, paterno e materno. Proteggere e sfidare, contenere e lanciare, con sapiente gradualità e studente per studente. Non tutti i docenti riescono in questo difficile compito, continuamente da riaffermare; può allora supplire l’equilibrio tra il numero di figure maschili e quello di figure femminili presenti in un consiglio di classe. Ma questo nella scuola italiana di oggi è quasi impossibile. La prevalenza di figure femminili è un dato di fatto che ha radici semplici: quale padre può mantenere oggi una famiglia facendo l’insegnante? L’insegnamento è un mestiere di appoggio, possibile solo per chi può permetterselo in termini di impegno di ore e di stipendio. Dobbiamo forse introdurre delle quote azzurre nella scuola o basterebbe migliorare le condizioni economiche di un docente?

Questa situazione si riflette (o è il riflesso) di una prassi familiare. Sono rari i casi in cui ai colloqui con i docenti si presentano i papà, rarissimi quelli in cui ai colloqui sono presenti entrambi i genitori. Come mai? Forse l’educazione è affare di uno solo? O affare solo delle mamme?

L’assenza o marginalità dello stile maschile nell’educazione familiare e scolare non è privo di conseguenze. Le scorgo nei miei studenti: insicuri e fragili, perché a volte privi o privati della autostima che un adolescente interiorizza grazie soprattutto alla figura paterna. Per una ragazza di 14-15 anni l’uomo più importante è suo padre, non certo il fidanzato. Diventano vittime della loro emotività elevata a sistema di valutazione del reale, poco educati come sono alla tenuta, al dolore, al silenzio, alla frustrazione in vista di un obiettivo ancora lontano.

Freud ha chiarito una volta per tutte che il padre è colui che pone il limite, mentre la madre eliminerebbe ogni ostacolo sul cammino del figlio. Il padre insegna che la vita va resa sacra (sacrificata) per qualcosa o qualcuno, mentre per la madre è la vita stessa del figlio ad essere sacra. La madre dà la vita, il padre invece ricorda che c’è la morte: quindi la vita va spesa per qualcosa. Sono necessari entrambi per l’equilibrio della donna e dell’uomo in formazione.

«Questo è il dovere di un padre: abituare il figlio a comportarsi bene da sé, e non per timore degli altri. La differenza tra un padre e un padrone sta qui. Chi non ne è capace, confessi che non sa farsi obbedire dai figli». Proprio in questi giorni sto lavorando con i miei studenti su I fratelli di Terenzio, da cui sono tratte queste parole e dalle quali (insieme ad una collega) partiremo per un approfondimento sui sistemi educativi antichi e moderni, passando per l’epocale «We don’t need no education» dei Pink Floyd. Dopo più di 30 anni da quell’urlo liberatorio, ci rendiamo conto che abbiamo sempre più bisogno di «education», per primi gli adulti con compiti di guida e di potere, spesso troppo impegnati a perseguire il bene particolare e il profitto, per fare onore ai maestri, che hanno in custodia le donne e gli uomini del futuro, il vero bene comune di un Paese.

La Stampa 16.03.12

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“Salvate gli ultimi prof maschi”, di SARA RICOTTA VOZA

C’ è una «questione maschile» in Italia e, a guardare solo la politica e l’economia, non ce ne eravamo neanche accorti. Infatti riguarda ambiti professionali in cui il potere è poco e il denaro ancora meno: scuola, educazione, cura. La «questione» affiora in due dati che già parlano da sé. Il primo: i bambini delle scuole elementari di oggi hanno 4,6 probabilità su 100 di incrociare sulla loro strada un maestro maschio. Il secondo: i laureati maschi in Scienze della Formazione – ex Magistero – sono costantemente calati nell’ultimo decennio fino a toccare nel 2009 quota 12 per cento (dati Almalaurea). Dodici beati tra 88 donne, e chissà quanti avranno lasciato in corsa per via del sentirsi minoranza.

Dati che hanno fatto scattare all’Università di Milano Bicocca l’allarme «questione maschile» dopo anni di «questione femminile» dominante, una sorta di segregazione (o autosegregazione) formativa al contrario, in cui a perderci non sono solo gli uomini che non vedono più nel mondo della scuola, dell’educazione e della cura un habitat per loro, ma soprattutto le nuove generazioni, che rischiano di avere una formazione tutta al femminile fino all’università.

Ne è nata una giornata di studio a cui hanno partecipato in qualificata moltitudine pedagogisti, sociologi, storici, insegnanti e operatori del mondo del sociale. Un primo brainstorming su un fenomeno di cui non sono ancora chiare le motivazioni né le conseguenze. La premessa è che la presenza maschile non è «uniformemente scarsa» in tutti i gradi dell’insegnamento. «Fra i professori ordinari in università è anzi preponderante, cala via via che i livelli educativi vanno verso la scuola primaria», rileva Carmen Leccardi, docente di sociologia.

Nella primaria, infatti, l’estinzione del maestro maschio è quasi completa (per non parlare della materna), mentre nelle medie e in alcune materie al liceo sta avanzando inesorabilmente. Con quali conseguenze, si è iniziato ora a discuterne. «Si manifesterà nella difficoltà a costruire modelli di genere soprattutto per i piccoli maschi e i giovani maschi, e in seguito nelle relazioni fra i due generi» sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle Differenze di genere.

Al contrario, «la presenza di figure educative di entrambi i generi in tutti i livelli di educazione scolastica e prescolastica offrirebbe a bambini e bambine la possibilità di acquisire una maggiore complessità di visione del mondo, per stili di vita, emotività, fisicità, comunicazione»: questa l’analisi di Stefania Ulivieri Stiozzi, docente di Teorie e modelli della consulenza pedagogica e organizzatrice del seminario alla Bicocca.

Ma quali sono le ragioni storiche e sociali di questo allontanamento dei maschi dall’educazione? C’è chi ha parlato quasi di un ritorno all’800, quando è nata la figura della «maestra» per consentire alla donna che non poteva o voleva essere solo madre di istruirsi e svolgere una professione lontano dagli studi e dalle posizioni elevate riservate agli uomini. C’è chi ha parlato di ritorno, anzi di persistenza del «virilismo» che ritiene antitetico alla virilità tutto ciò che ha a che fare con l’infanzia – regno dell’indeterminatezza, dell’insicurezza e della fragilità per antonomasia – , e questo in controtendenza con ciò che succede in famiglia, dove invece l’uomo non considera svilente occuparsi dei bambini.

Quali che siano le ragioni, per il professor Duccio Demetrio, ordinario di Filosofia dell’Educazione, si tratta di una «deriva inevitabile e irreversibile». Non resta che da chiedergli perché proprio lui, uno dei pochi maschi in facoltà, sia così tranchant. «La deriva è irreversibile perché si tratta di professioni che subiscono un calo progressivo di prestigio sociale. è un problema di immagine personale, prima di tutto davanti ai genitori. Ricordo la faccia di mio padre quando a 20 anni dissi che volevo fare l’alfabetizzatore di strada».

Per il professor Demetrio nonsi può far finta che non ci sia «il problema del denaro, del successo, della carriera». E conclude: «Educare, ex-ducere, vuol dire anche portare altrove, farti vedere lontano. Scontiamo una società in cui c’è una crisi del maschile intrinseca, perché gli uomini non riescono a dare mete in cui investire. Per fortuna i giovani le cercano, al di là dei padri».

La Stampa 16.03.12

"Anche la FLC all’attacco contro le nuove regole di pensionamento sulla scuola", da La Tecnica della Scuola

Con un comunicato aggressivo la Flc-Cgil mette a disposizione del personale della scuola i propri uffici legali territoriali per ricorrere contro la legge Fornero sui pensionamenti e contestualmente dichiara di impugnare davanti al Tar del Lazio la Circolare ministeriale della Funzione Pubblica dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo che applicano al settore pubblico e alla scuola la riforma Fornero. La Flc-Cgil scende dunque in campo contro la legge di riforma delle pensioni a firma della ministra Elsa Fornero e dichiara di impugnare davanti al TAR del Lazio la Circolare ministeriale dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo con cui viene applicato al settore pubblico e alla scuola la riforma che stabilisce come termine ultimo per godere dei benefici della riforma Damiano (Governo Prodi) il 31/12/2011.
In base alle nuove regole imposte dalla ministra infatti solo chi raggiunge quota 96 entro il 31/12/2011 può godere delle vecchie regole e cioè: 60 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi utili oppure 61 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi utili; la quota 96 può essere raggiunta anche sommando le eventuali “porzioni” di anno, quindi ad esempio sommando 60 anni e 2 mesi di età con 35 anni e 10 mesi di contributi utili; oppure 40 anni di contributi utili.
Esclusi quindi coloro che raggiungono quota 96 anche un giorno dopo e in modo particolare i lavoratori della scuola che, godendo da sempre di una sola finestra di uscita, quella di fine anno scolastico, si sono visti negare un diritto.
E’ nato anche da questa “ingiustizia” la costituzione di un comitato “Quota 96”, composto da un nutrito gruppo di docenti e Ata che si stanno organizzando per adire le vie legali al fine di avere spostato i benefici al 31 agosto 2012, in conformità appunto alla specificità della scuola.
La Flc-Cgil dice inoltre che “le novità introdotte da questa riforma sono tutte peggiorative e stanno penalizzando migliaia di lavoratori, in particolare nel comparto scuola e per questo la FLC CGIL sta studiando tutte le possibili azioni per contrastarne l’applicazione.”
“Queste nuove regole hanno effetti diversi anche sui singoli pensionandi e sui requisiti che derivano dalla storia personale di ciascuno. Questo significa che per attivare la tutela individuale e proporre eventuali ricorsi, da valutare caso per caso, è necessario prima di tutto presentare la domanda e attendere un atto di diniego da parte dell’amministrazione a una richiesta di pensionamento o al misconoscimento di uno o più requisiti. Va quindi impugnato un atto amministrativo ben preciso davanti al giudice del lavoro: per l’impugnazione non c’è scadenza. I lavoratori interessati”, conclude il comunicato Flc, “possono sottoporre l’atto da impugnare agli uffici legali delle FLC CGIL territoriali che li assisteranno nell’azione giudiziaria”.

La Tecnica della Scuola 16.03.12

“Anche la FLC all’attacco contro le nuove regole di pensionamento sulla scuola”, da La Tecnica della Scuola

Con un comunicato aggressivo la Flc-Cgil mette a disposizione del personale della scuola i propri uffici legali territoriali per ricorrere contro la legge Fornero sui pensionamenti e contestualmente dichiara di impugnare davanti al Tar del Lazio la Circolare ministeriale della Funzione Pubblica dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo che applicano al settore pubblico e alla scuola la riforma Fornero. La Flc-Cgil scende dunque in campo contro la legge di riforma delle pensioni a firma della ministra Elsa Fornero e dichiara di impugnare davanti al TAR del Lazio la Circolare ministeriale dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo con cui viene applicato al settore pubblico e alla scuola la riforma che stabilisce come termine ultimo per godere dei benefici della riforma Damiano (Governo Prodi) il 31/12/2011.
In base alle nuove regole imposte dalla ministra infatti solo chi raggiunge quota 96 entro il 31/12/2011 può godere delle vecchie regole e cioè: 60 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi utili oppure 61 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi utili; la quota 96 può essere raggiunta anche sommando le eventuali “porzioni” di anno, quindi ad esempio sommando 60 anni e 2 mesi di età con 35 anni e 10 mesi di contributi utili; oppure 40 anni di contributi utili.
Esclusi quindi coloro che raggiungono quota 96 anche un giorno dopo e in modo particolare i lavoratori della scuola che, godendo da sempre di una sola finestra di uscita, quella di fine anno scolastico, si sono visti negare un diritto.
E’ nato anche da questa “ingiustizia” la costituzione di un comitato “Quota 96”, composto da un nutrito gruppo di docenti e Ata che si stanno organizzando per adire le vie legali al fine di avere spostato i benefici al 31 agosto 2012, in conformità appunto alla specificità della scuola.
La Flc-Cgil dice inoltre che “le novità introdotte da questa riforma sono tutte peggiorative e stanno penalizzando migliaia di lavoratori, in particolare nel comparto scuola e per questo la FLC CGIL sta studiando tutte le possibili azioni per contrastarne l’applicazione.”
“Queste nuove regole hanno effetti diversi anche sui singoli pensionandi e sui requisiti che derivano dalla storia personale di ciascuno. Questo significa che per attivare la tutela individuale e proporre eventuali ricorsi, da valutare caso per caso, è necessario prima di tutto presentare la domanda e attendere un atto di diniego da parte dell’amministrazione a una richiesta di pensionamento o al misconoscimento di uno o più requisiti. Va quindi impugnato un atto amministrativo ben preciso davanti al giudice del lavoro: per l’impugnazione non c’è scadenza. I lavoratori interessati”, conclude il comunicato Flc, “possono sottoporre l’atto da impugnare agli uffici legali delle FLC CGIL territoriali che li assisteranno nell’azione giudiziaria”.

La Tecnica della Scuola 16.03.12

“Anche la FLC all’attacco contro le nuove regole di pensionamento sulla scuola”, da La Tecnica della Scuola

Con un comunicato aggressivo la Flc-Cgil mette a disposizione del personale della scuola i propri uffici legali territoriali per ricorrere contro la legge Fornero sui pensionamenti e contestualmente dichiara di impugnare davanti al Tar del Lazio la Circolare ministeriale della Funzione Pubblica dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo che applicano al settore pubblico e alla scuola la riforma Fornero. La Flc-Cgil scende dunque in campo contro la legge di riforma delle pensioni a firma della ministra Elsa Fornero e dichiara di impugnare davanti al TAR del Lazio la Circolare ministeriale dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto nr. 22 del Miur del 12 marzo con cui viene applicato al settore pubblico e alla scuola la riforma che stabilisce come termine ultimo per godere dei benefici della riforma Damiano (Governo Prodi) il 31/12/2011.
In base alle nuove regole imposte dalla ministra infatti solo chi raggiunge quota 96 entro il 31/12/2011 può godere delle vecchie regole e cioè: 60 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi utili oppure 61 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi utili; la quota 96 può essere raggiunta anche sommando le eventuali “porzioni” di anno, quindi ad esempio sommando 60 anni e 2 mesi di età con 35 anni e 10 mesi di contributi utili; oppure 40 anni di contributi utili.
Esclusi quindi coloro che raggiungono quota 96 anche un giorno dopo e in modo particolare i lavoratori della scuola che, godendo da sempre di una sola finestra di uscita, quella di fine anno scolastico, si sono visti negare un diritto.
E’ nato anche da questa “ingiustizia” la costituzione di un comitato “Quota 96”, composto da un nutrito gruppo di docenti e Ata che si stanno organizzando per adire le vie legali al fine di avere spostato i benefici al 31 agosto 2012, in conformità appunto alla specificità della scuola.
La Flc-Cgil dice inoltre che “le novità introdotte da questa riforma sono tutte peggiorative e stanno penalizzando migliaia di lavoratori, in particolare nel comparto scuola e per questo la FLC CGIL sta studiando tutte le possibili azioni per contrastarne l’applicazione.”
“Queste nuove regole hanno effetti diversi anche sui singoli pensionandi e sui requisiti che derivano dalla storia personale di ciascuno. Questo significa che per attivare la tutela individuale e proporre eventuali ricorsi, da valutare caso per caso, è necessario prima di tutto presentare la domanda e attendere un atto di diniego da parte dell’amministrazione a una richiesta di pensionamento o al misconoscimento di uno o più requisiti. Va quindi impugnato un atto amministrativo ben preciso davanti al giudice del lavoro: per l’impugnazione non c’è scadenza. I lavoratori interessati”, conclude il comunicato Flc, “possono sottoporre l’atto da impugnare agli uffici legali delle FLC CGIL territoriali che li assisteranno nell’azione giudiziaria”.

La Tecnica della Scuola 16.03.12

La capitale degli euro falsi così gli artisti di Giugliano beffano banchieri e poliziotti", di Fabio Tonacci

C´è un piccolo stato invisibile in Europa, che non ha governo, non ha confini definiti, non ha banche, eppure stampa gli euro. Falsi, naturalmente, ma riprodotti così bene da spaventare la Banca centrale europea e tutte le forze di polizia internazionali. Nel raggio di venti chilometri attorno al comune di Giugliano, a nord di Napoli, in un quadrilatero tra Afragola, Marano, Castel Volturno e Aversa, si trova la più alta concentrazione di falsari e stamperie clandestine del continente. Più della metà del denaro contraffatto che circola nei 17 paesi dell´Eurozona viene prodotta lì, in quella terra malmessa aggredita dall´abusivismo edilizio e asfissiata dai clan.
Dal 2002 sono stati ritirati in Europa 5 milioni e mezzo di biglietti riconosciuti falsi, per un controvalore di circa 300 milioni di euro. Può sembrare una cifra residuale, se paragonata ai 14 miliardi di pezzi autentici attualmente in circolazione. «Ma il sequestrato è solo la punta dell´iceberg – spiega una fonte qualificata dell´Europol all´Aja – quello che sfugge ai controlli è molto di più». Almeno 4-5 volte di più, secondo alcune stime. Salirebbero così a 25 milioni i falsi prodotti da quando esiste l´euro. E non tutti rimangono nell´Eurozona. «Le grandi commesse, quintali di euro falsi divisi in mazzette da 50 e da 100, finiscono in Nord Africa, in Colombia, in Medio oriente». Mazzette che portano quasi sempre il marchio “made in Giugliano”, l´enclave europea della contraffazione. Tanto piccola e protetta quanto pericolosa e professionale. Perché a minacciare l´integrità della moneta unica, più della quantità prodotta, è la qualità raggiunta dai falsari campani.

IL NAPOLI GROUP
«Guardi questa banconota da venti euro – dice il comandante dei carabinieri dell´Antifalsificazione monetaria, Alessandro Gentili, sollevando il biglietto per osservarne le rifiniture in controluce – sono stati imitati i disegni della filigrana e l´effetto in rilievo della calcografia. C´è pure la striscia olografica. Questa è roba “loro”, del “Napoli Group”». I falsari che gravitano nel giuglianese sono chiamati proprio così, con un termine coniato dai poliziotti dell´Europol. Sono considerati i maestri artigiani della contraffazione monetaria, specialisti nel taglio da 20 euro. Nemmeno i falsari di Plovdiv e Haskovo, nel sud della Bulgaria, fenomeni nell´imitare il biglietto verde da 200 euro, raggiungono il loro livello.
Del resto hanno un “curriculum” lungo dieci anni. Nel 2004 la prima stamperia clandestina di euro in Italia viene scoperta a Parete, a pochi chilometri da Giugliano. Nei tre anni successivi ne vengono trovate altre tre, a Castel Volturno, a Marano e a Lusciano. Il 2009 è l´anno in cui diventa chiaro a tutti che il fronte avanzato della guerra comunitaria ai falsari si posiziona qui, dove si miscelano almeno un paio di “arti”, quella tipografica e quella di arrangiarsi. La maxi-operazione Giotto dei Carabinieri porta in carcere 109 persone, una cinquantina delle quali tra Napoli, Afragola, Casalnuovo, Qualiano, Giugliano. Nello stesso periodo saltano fuori un laboratorio serigrafico a Grumo Nevano, una stamperia a Gricignano d´Aversa e un´altra a Varcaturo, dove vengono sequestrati dinari algerini prodotti addirittura con la filigrana originale della Banca d´Algeria. Nel 2010 l´ultimo caso, a Ponticelli. E tutta la produzione illegale, milioni e milioni di euro, ruota attorno a pochi soggetti.
I tipografi che sanno imitare gli elementi di sicurezza dei soldi, infatti, sono pochissimi. Per la malavita, sono un capitale. Una volta che ne agganciano uno, non lo mollano più. Lo controllano anche in carcere. Giuseppe S., 52 anni, di Calvizzano, e Mario T., 34, di Carinaro ne sanno qualcosa. Sono tra i pochi al mondo in grado di fabbricare in casa gli ologrammi. Sono stati arrestati già due volte. «Chi lo fa, poi ci ricasca – spiega il colonnello Gentili – i tipografi non sono violenti, sono esperti di arti grafiche che vengono assoldati da gruppi criminali, a volte con la minaccia, per fare quello che sanno fare, riprodurre su carta». Viene in mente il clan Mallardo, che controlla l´area. La Camorra tollera questo tipo di attività, e se ne serve solo per scambiare grandi quantitativi con i trafficanti di cocaina colombiani. Ma quanto si guadagna stampando denaro falso? E come entra nel mercato legale?

LA DISTRIBUZIONE
Le carte dell´Operazione Giotto raccontano il modus operandi del Napoli Group. Ci vogliono tre figure e una logica aziendale di rigida divisione dei compiti per mettere su una banda del falso. C´è il finanziatore della stamperia, che poi è anche il committente. È il soggetto, di solito un personaggio minore dei clan della Camorra, che si occupa di trovare una macchina tipografica offset di seconda mano (quelle nuove a quattro colori costano anche 500 mila euro), la carta, gli inchiostri, gli altri strumenti e un locale. C´è poi il tipografo, addetto alla produzione. E c´è il distributore. Quest´ultimo è un uomo di fiducia del committente. Ha il compito di organizzare un deposito, rigorosamente lontano dalla stamperia, e di tenere i contatti con i clienti.
Quando si sparge la notizia che qualcuno «sta fabbricando soldi», al distributore si avvicina una fauna criminale che usa una lingua propria, in codice, per cui i biglietti da 50 e da 20 al telefono diventano «magliette della Roma e del Napoli», i dollari sono «jeans» e «bottiglie verdi», e per definire le quantità da acquistare ricorre a perifrasi del tipo «l´appuntamento è al numero 150, porta le magliette della Roma», comunicando così il bisogno urgente di 150 banconote da 50 euro.
La catena dello smercio segue gli stessi schemi dello spaccio di droga. Il primo passaggio, dal distributore al grossista (può essere un altro malavitoso che acquista euro a quintali o un commerciante colluso), avviene al costo del 10 per cento del valore nominale. Per un milione di euro finti, la banda ne guadagna 100 mila veri. Dal grossista si approvvigiona (pagando un prezzo pari al 20 per cento del valore nominale) una serie di soggetti minori, dal piccolo criminale locale al corriere straniero (di solito lituano o estone) che porta la valuta fasulla in Spagna, Belgio o Lituania. Fino all´extracomunitario in difficoltà che spera di guadagnare qualcosa spacciando banconote alle stazioni centrali di Roma e Napoli. A ogni passaggio della filiera, il ricarico aumenta del 10 per cento. Ma oltre Giugliano esistono altre realtà dove si producono banconote contraffatte: quali sono le altre fabbriche di euro falsi in Italia e all´estero?

I CONCORRENTI EUROPEI
La metà della produzione clandestina europea, come detto, è coperta dai giuglianesi. Una percentuale che sale al 62 per cento con i falsari calabresi e pugliesi («ma un napoletano nella banda c´è sempre», sottolinea il colonnello Gentile). Ma i veri concorrenti del Napoli Group si trovano nelle campagne del sud della Bulgaria e nella periferia di Sofia. Qui l´antica tradizione di copiare i dollari con la stampa offset ha reso possibile la riproduzione del biglietto verde da 200 euro in ottima qualità. È nella zona industriale di Varna sul mar Nero, che l´Europol e il Secret Service statunitense (il servizio segreto che si occupa della difesa del dollaro e dell´incolumità dei presidenti) scoprirono il 22 gennaio 2004 una delle prime stamperie al mondo capace di riprodurre la banconota nata appena due anni prima. Otto anni dopo i centri di produzione si sono spostati attorno alle città di Plovdiv e Haskovo, nel sud del paese. A giugno scorso l´ultima operazione della polizia bulgara ha smantellato un sito in questa zona, sequestrando 200 mila euro in pezzi da 500. Due esperti dell´Europol li hanno valutati «tra i migliori mai prodotti».
Francia e Spagna vengono subito dopo l´Italia per quantità di soldi taroccati prodotti, ma là usano nell´80 per cento dei casi le stampanti laser di ultima generazione, tecnologia che ha aperto il mercato del falso anche a esperti di informatica e di computer grafica. In Italia invece la quota delle stampe digitali è al 10 per cento (ma in crescita).
E poi ci sono le nazioni emergenti. La Polonia, dove poche settimane fa è stato sequestrato in un appartamento a Varsavia un milione di euro che doveva essere utilizzato per truffare i tifosi di calcio durante i prossimi Europei di calcio, e la Bosnia, dove a controllare il mercato è un gruppo di falsari di Banka Luka. Turchia, Romania, Albania non producono, ma agiscono da distributori, facendo la spola per approvvigionarsi tra Napoli e Sofia. I più efficienti spacciatori d´Europa però sono i criminali lituani, che hanno avuto l´idea di smerciare le banconote taroccate usando la ben collaudata rete di pusher sul territorio. Quali sono gli effetti sul sistema finanziario europeo? Cosa rischia l´euro?

I DANNI AL SISTEMA ECONOMICO
Il ministro dell´Interno bulgaro, Tsvetan Tsvetanov, lo dice chiaramente. «La contraffazione – ha dichiarato il 3 giugno scorso – sta diventando preoccupante per la sicurezza finanziaria dell´euro perché i falsi inondano il mercato e perché le condanne per i falsari non sono abbastanza severe». A Francoforte invece i dirigenti della Bce sembrano più tranquilli, perché il volume del sequestrato nel 2011 si è ridotto del 19,3 per cento rispetto al 2010 e le 606 mila banconote ritirate (215 mila solo in Italia, un controvalore di una decina di milioni di euro) su un totale di 14,4 miliardi di pezzi del circolante genuino danno una percentuale di falsificazione bassa, lo 0,00043 per cento.
«Eviterei ogni inutile allarme – ci tiene a precisare il colonnello Gentili – abbiamo diverse strutture che sorvegliano l´integrità dell´euro, tra cui l´Europol, l´Olaf a Bruxelles, la Banca d´Italia e tutte le forze di polizia. Con un po´ di accortezza, facendo un piccolo sforzo per conoscere meglio come sono fatte le banconote genuine, i cittadini possono evitare di essere frodati». Anche per questo le rotte del falso fuori dall´Europa portano, passando attraverso la Spagna, in quei paesi che hanno una moneta debole e una scarsa conoscenza degli euro. Medio oriente, Africa del nord, Est Europa soprattutto. In Africa ci sono banche che nemmeno riconoscono quelli finti e li cambiano con la valuta locale. E i cinesi cosa fanno? I maestri della contraffazione mondiale per ora si sono tenuti ai margini. «Ma di recente – raccontano all´Europol – abbiamo scoperto che gli ologrammi usati dai falsari bulgari per le banconote da 200 euro erano stati fatti da alcuni criminali cinesi. Se anche loro si mettono a stampare, sarà un problema per tutti».

La Repubblica 16.03.12

La capitale degli euro falsi così gli artisti di Giugliano beffano banchieri e poliziotti”, di Fabio Tonacci

C´è un piccolo stato invisibile in Europa, che non ha governo, non ha confini definiti, non ha banche, eppure stampa gli euro. Falsi, naturalmente, ma riprodotti così bene da spaventare la Banca centrale europea e tutte le forze di polizia internazionali. Nel raggio di venti chilometri attorno al comune di Giugliano, a nord di Napoli, in un quadrilatero tra Afragola, Marano, Castel Volturno e Aversa, si trova la più alta concentrazione di falsari e stamperie clandestine del continente. Più della metà del denaro contraffatto che circola nei 17 paesi dell´Eurozona viene prodotta lì, in quella terra malmessa aggredita dall´abusivismo edilizio e asfissiata dai clan.
Dal 2002 sono stati ritirati in Europa 5 milioni e mezzo di biglietti riconosciuti falsi, per un controvalore di circa 300 milioni di euro. Può sembrare una cifra residuale, se paragonata ai 14 miliardi di pezzi autentici attualmente in circolazione. «Ma il sequestrato è solo la punta dell´iceberg – spiega una fonte qualificata dell´Europol all´Aja – quello che sfugge ai controlli è molto di più». Almeno 4-5 volte di più, secondo alcune stime. Salirebbero così a 25 milioni i falsi prodotti da quando esiste l´euro. E non tutti rimangono nell´Eurozona. «Le grandi commesse, quintali di euro falsi divisi in mazzette da 50 e da 100, finiscono in Nord Africa, in Colombia, in Medio oriente». Mazzette che portano quasi sempre il marchio “made in Giugliano”, l´enclave europea della contraffazione. Tanto piccola e protetta quanto pericolosa e professionale. Perché a minacciare l´integrità della moneta unica, più della quantità prodotta, è la qualità raggiunta dai falsari campani.

IL NAPOLI GROUP
«Guardi questa banconota da venti euro – dice il comandante dei carabinieri dell´Antifalsificazione monetaria, Alessandro Gentili, sollevando il biglietto per osservarne le rifiniture in controluce – sono stati imitati i disegni della filigrana e l´effetto in rilievo della calcografia. C´è pure la striscia olografica. Questa è roba “loro”, del “Napoli Group”». I falsari che gravitano nel giuglianese sono chiamati proprio così, con un termine coniato dai poliziotti dell´Europol. Sono considerati i maestri artigiani della contraffazione monetaria, specialisti nel taglio da 20 euro. Nemmeno i falsari di Plovdiv e Haskovo, nel sud della Bulgaria, fenomeni nell´imitare il biglietto verde da 200 euro, raggiungono il loro livello.
Del resto hanno un “curriculum” lungo dieci anni. Nel 2004 la prima stamperia clandestina di euro in Italia viene scoperta a Parete, a pochi chilometri da Giugliano. Nei tre anni successivi ne vengono trovate altre tre, a Castel Volturno, a Marano e a Lusciano. Il 2009 è l´anno in cui diventa chiaro a tutti che il fronte avanzato della guerra comunitaria ai falsari si posiziona qui, dove si miscelano almeno un paio di “arti”, quella tipografica e quella di arrangiarsi. La maxi-operazione Giotto dei Carabinieri porta in carcere 109 persone, una cinquantina delle quali tra Napoli, Afragola, Casalnuovo, Qualiano, Giugliano. Nello stesso periodo saltano fuori un laboratorio serigrafico a Grumo Nevano, una stamperia a Gricignano d´Aversa e un´altra a Varcaturo, dove vengono sequestrati dinari algerini prodotti addirittura con la filigrana originale della Banca d´Algeria. Nel 2010 l´ultimo caso, a Ponticelli. E tutta la produzione illegale, milioni e milioni di euro, ruota attorno a pochi soggetti.
I tipografi che sanno imitare gli elementi di sicurezza dei soldi, infatti, sono pochissimi. Per la malavita, sono un capitale. Una volta che ne agganciano uno, non lo mollano più. Lo controllano anche in carcere. Giuseppe S., 52 anni, di Calvizzano, e Mario T., 34, di Carinaro ne sanno qualcosa. Sono tra i pochi al mondo in grado di fabbricare in casa gli ologrammi. Sono stati arrestati già due volte. «Chi lo fa, poi ci ricasca – spiega il colonnello Gentili – i tipografi non sono violenti, sono esperti di arti grafiche che vengono assoldati da gruppi criminali, a volte con la minaccia, per fare quello che sanno fare, riprodurre su carta». Viene in mente il clan Mallardo, che controlla l´area. La Camorra tollera questo tipo di attività, e se ne serve solo per scambiare grandi quantitativi con i trafficanti di cocaina colombiani. Ma quanto si guadagna stampando denaro falso? E come entra nel mercato legale?

LA DISTRIBUZIONE
Le carte dell´Operazione Giotto raccontano il modus operandi del Napoli Group. Ci vogliono tre figure e una logica aziendale di rigida divisione dei compiti per mettere su una banda del falso. C´è il finanziatore della stamperia, che poi è anche il committente. È il soggetto, di solito un personaggio minore dei clan della Camorra, che si occupa di trovare una macchina tipografica offset di seconda mano (quelle nuove a quattro colori costano anche 500 mila euro), la carta, gli inchiostri, gli altri strumenti e un locale. C´è poi il tipografo, addetto alla produzione. E c´è il distributore. Quest´ultimo è un uomo di fiducia del committente. Ha il compito di organizzare un deposito, rigorosamente lontano dalla stamperia, e di tenere i contatti con i clienti.
Quando si sparge la notizia che qualcuno «sta fabbricando soldi», al distributore si avvicina una fauna criminale che usa una lingua propria, in codice, per cui i biglietti da 50 e da 20 al telefono diventano «magliette della Roma e del Napoli», i dollari sono «jeans» e «bottiglie verdi», e per definire le quantità da acquistare ricorre a perifrasi del tipo «l´appuntamento è al numero 150, porta le magliette della Roma», comunicando così il bisogno urgente di 150 banconote da 50 euro.
La catena dello smercio segue gli stessi schemi dello spaccio di droga. Il primo passaggio, dal distributore al grossista (può essere un altro malavitoso che acquista euro a quintali o un commerciante colluso), avviene al costo del 10 per cento del valore nominale. Per un milione di euro finti, la banda ne guadagna 100 mila veri. Dal grossista si approvvigiona (pagando un prezzo pari al 20 per cento del valore nominale) una serie di soggetti minori, dal piccolo criminale locale al corriere straniero (di solito lituano o estone) che porta la valuta fasulla in Spagna, Belgio o Lituania. Fino all´extracomunitario in difficoltà che spera di guadagnare qualcosa spacciando banconote alle stazioni centrali di Roma e Napoli. A ogni passaggio della filiera, il ricarico aumenta del 10 per cento. Ma oltre Giugliano esistono altre realtà dove si producono banconote contraffatte: quali sono le altre fabbriche di euro falsi in Italia e all´estero?

I CONCORRENTI EUROPEI
La metà della produzione clandestina europea, come detto, è coperta dai giuglianesi. Una percentuale che sale al 62 per cento con i falsari calabresi e pugliesi («ma un napoletano nella banda c´è sempre», sottolinea il colonnello Gentile). Ma i veri concorrenti del Napoli Group si trovano nelle campagne del sud della Bulgaria e nella periferia di Sofia. Qui l´antica tradizione di copiare i dollari con la stampa offset ha reso possibile la riproduzione del biglietto verde da 200 euro in ottima qualità. È nella zona industriale di Varna sul mar Nero, che l´Europol e il Secret Service statunitense (il servizio segreto che si occupa della difesa del dollaro e dell´incolumità dei presidenti) scoprirono il 22 gennaio 2004 una delle prime stamperie al mondo capace di riprodurre la banconota nata appena due anni prima. Otto anni dopo i centri di produzione si sono spostati attorno alle città di Plovdiv e Haskovo, nel sud del paese. A giugno scorso l´ultima operazione della polizia bulgara ha smantellato un sito in questa zona, sequestrando 200 mila euro in pezzi da 500. Due esperti dell´Europol li hanno valutati «tra i migliori mai prodotti».
Francia e Spagna vengono subito dopo l´Italia per quantità di soldi taroccati prodotti, ma là usano nell´80 per cento dei casi le stampanti laser di ultima generazione, tecnologia che ha aperto il mercato del falso anche a esperti di informatica e di computer grafica. In Italia invece la quota delle stampe digitali è al 10 per cento (ma in crescita).
E poi ci sono le nazioni emergenti. La Polonia, dove poche settimane fa è stato sequestrato in un appartamento a Varsavia un milione di euro che doveva essere utilizzato per truffare i tifosi di calcio durante i prossimi Europei di calcio, e la Bosnia, dove a controllare il mercato è un gruppo di falsari di Banka Luka. Turchia, Romania, Albania non producono, ma agiscono da distributori, facendo la spola per approvvigionarsi tra Napoli e Sofia. I più efficienti spacciatori d´Europa però sono i criminali lituani, che hanno avuto l´idea di smerciare le banconote taroccate usando la ben collaudata rete di pusher sul territorio. Quali sono gli effetti sul sistema finanziario europeo? Cosa rischia l´euro?

I DANNI AL SISTEMA ECONOMICO
Il ministro dell´Interno bulgaro, Tsvetan Tsvetanov, lo dice chiaramente. «La contraffazione – ha dichiarato il 3 giugno scorso – sta diventando preoccupante per la sicurezza finanziaria dell´euro perché i falsi inondano il mercato e perché le condanne per i falsari non sono abbastanza severe». A Francoforte invece i dirigenti della Bce sembrano più tranquilli, perché il volume del sequestrato nel 2011 si è ridotto del 19,3 per cento rispetto al 2010 e le 606 mila banconote ritirate (215 mila solo in Italia, un controvalore di una decina di milioni di euro) su un totale di 14,4 miliardi di pezzi del circolante genuino danno una percentuale di falsificazione bassa, lo 0,00043 per cento.
«Eviterei ogni inutile allarme – ci tiene a precisare il colonnello Gentili – abbiamo diverse strutture che sorvegliano l´integrità dell´euro, tra cui l´Europol, l´Olaf a Bruxelles, la Banca d´Italia e tutte le forze di polizia. Con un po´ di accortezza, facendo un piccolo sforzo per conoscere meglio come sono fatte le banconote genuine, i cittadini possono evitare di essere frodati». Anche per questo le rotte del falso fuori dall´Europa portano, passando attraverso la Spagna, in quei paesi che hanno una moneta debole e una scarsa conoscenza degli euro. Medio oriente, Africa del nord, Est Europa soprattutto. In Africa ci sono banche che nemmeno riconoscono quelli finti e li cambiano con la valuta locale. E i cinesi cosa fanno? I maestri della contraffazione mondiale per ora si sono tenuti ai margini. «Ma di recente – raccontano all´Europol – abbiamo scoperto che gli ologrammi usati dai falsari bulgari per le banconote da 200 euro erano stati fatti da alcuni criminali cinesi. Se anche loro si mettono a stampare, sarà un problema per tutti».

La Repubblica 16.03.12

La capitale degli euro falsi così gli artisti di Giugliano beffano banchieri e poliziotti”, di Fabio Tonacci

C´è un piccolo stato invisibile in Europa, che non ha governo, non ha confini definiti, non ha banche, eppure stampa gli euro. Falsi, naturalmente, ma riprodotti così bene da spaventare la Banca centrale europea e tutte le forze di polizia internazionali. Nel raggio di venti chilometri attorno al comune di Giugliano, a nord di Napoli, in un quadrilatero tra Afragola, Marano, Castel Volturno e Aversa, si trova la più alta concentrazione di falsari e stamperie clandestine del continente. Più della metà del denaro contraffatto che circola nei 17 paesi dell´Eurozona viene prodotta lì, in quella terra malmessa aggredita dall´abusivismo edilizio e asfissiata dai clan.
Dal 2002 sono stati ritirati in Europa 5 milioni e mezzo di biglietti riconosciuti falsi, per un controvalore di circa 300 milioni di euro. Può sembrare una cifra residuale, se paragonata ai 14 miliardi di pezzi autentici attualmente in circolazione. «Ma il sequestrato è solo la punta dell´iceberg – spiega una fonte qualificata dell´Europol all´Aja – quello che sfugge ai controlli è molto di più». Almeno 4-5 volte di più, secondo alcune stime. Salirebbero così a 25 milioni i falsi prodotti da quando esiste l´euro. E non tutti rimangono nell´Eurozona. «Le grandi commesse, quintali di euro falsi divisi in mazzette da 50 e da 100, finiscono in Nord Africa, in Colombia, in Medio oriente». Mazzette che portano quasi sempre il marchio “made in Giugliano”, l´enclave europea della contraffazione. Tanto piccola e protetta quanto pericolosa e professionale. Perché a minacciare l´integrità della moneta unica, più della quantità prodotta, è la qualità raggiunta dai falsari campani.

IL NAPOLI GROUP
«Guardi questa banconota da venti euro – dice il comandante dei carabinieri dell´Antifalsificazione monetaria, Alessandro Gentili, sollevando il biglietto per osservarne le rifiniture in controluce – sono stati imitati i disegni della filigrana e l´effetto in rilievo della calcografia. C´è pure la striscia olografica. Questa è roba “loro”, del “Napoli Group”». I falsari che gravitano nel giuglianese sono chiamati proprio così, con un termine coniato dai poliziotti dell´Europol. Sono considerati i maestri artigiani della contraffazione monetaria, specialisti nel taglio da 20 euro. Nemmeno i falsari di Plovdiv e Haskovo, nel sud della Bulgaria, fenomeni nell´imitare il biglietto verde da 200 euro, raggiungono il loro livello.
Del resto hanno un “curriculum” lungo dieci anni. Nel 2004 la prima stamperia clandestina di euro in Italia viene scoperta a Parete, a pochi chilometri da Giugliano. Nei tre anni successivi ne vengono trovate altre tre, a Castel Volturno, a Marano e a Lusciano. Il 2009 è l´anno in cui diventa chiaro a tutti che il fronte avanzato della guerra comunitaria ai falsari si posiziona qui, dove si miscelano almeno un paio di “arti”, quella tipografica e quella di arrangiarsi. La maxi-operazione Giotto dei Carabinieri porta in carcere 109 persone, una cinquantina delle quali tra Napoli, Afragola, Casalnuovo, Qualiano, Giugliano. Nello stesso periodo saltano fuori un laboratorio serigrafico a Grumo Nevano, una stamperia a Gricignano d´Aversa e un´altra a Varcaturo, dove vengono sequestrati dinari algerini prodotti addirittura con la filigrana originale della Banca d´Algeria. Nel 2010 l´ultimo caso, a Ponticelli. E tutta la produzione illegale, milioni e milioni di euro, ruota attorno a pochi soggetti.
I tipografi che sanno imitare gli elementi di sicurezza dei soldi, infatti, sono pochissimi. Per la malavita, sono un capitale. Una volta che ne agganciano uno, non lo mollano più. Lo controllano anche in carcere. Giuseppe S., 52 anni, di Calvizzano, e Mario T., 34, di Carinaro ne sanno qualcosa. Sono tra i pochi al mondo in grado di fabbricare in casa gli ologrammi. Sono stati arrestati già due volte. «Chi lo fa, poi ci ricasca – spiega il colonnello Gentili – i tipografi non sono violenti, sono esperti di arti grafiche che vengono assoldati da gruppi criminali, a volte con la minaccia, per fare quello che sanno fare, riprodurre su carta». Viene in mente il clan Mallardo, che controlla l´area. La Camorra tollera questo tipo di attività, e se ne serve solo per scambiare grandi quantitativi con i trafficanti di cocaina colombiani. Ma quanto si guadagna stampando denaro falso? E come entra nel mercato legale?

LA DISTRIBUZIONE
Le carte dell´Operazione Giotto raccontano il modus operandi del Napoli Group. Ci vogliono tre figure e una logica aziendale di rigida divisione dei compiti per mettere su una banda del falso. C´è il finanziatore della stamperia, che poi è anche il committente. È il soggetto, di solito un personaggio minore dei clan della Camorra, che si occupa di trovare una macchina tipografica offset di seconda mano (quelle nuove a quattro colori costano anche 500 mila euro), la carta, gli inchiostri, gli altri strumenti e un locale. C´è poi il tipografo, addetto alla produzione. E c´è il distributore. Quest´ultimo è un uomo di fiducia del committente. Ha il compito di organizzare un deposito, rigorosamente lontano dalla stamperia, e di tenere i contatti con i clienti.
Quando si sparge la notizia che qualcuno «sta fabbricando soldi», al distributore si avvicina una fauna criminale che usa una lingua propria, in codice, per cui i biglietti da 50 e da 20 al telefono diventano «magliette della Roma e del Napoli», i dollari sono «jeans» e «bottiglie verdi», e per definire le quantità da acquistare ricorre a perifrasi del tipo «l´appuntamento è al numero 150, porta le magliette della Roma», comunicando così il bisogno urgente di 150 banconote da 50 euro.
La catena dello smercio segue gli stessi schemi dello spaccio di droga. Il primo passaggio, dal distributore al grossista (può essere un altro malavitoso che acquista euro a quintali o un commerciante colluso), avviene al costo del 10 per cento del valore nominale. Per un milione di euro finti, la banda ne guadagna 100 mila veri. Dal grossista si approvvigiona (pagando un prezzo pari al 20 per cento del valore nominale) una serie di soggetti minori, dal piccolo criminale locale al corriere straniero (di solito lituano o estone) che porta la valuta fasulla in Spagna, Belgio o Lituania. Fino all´extracomunitario in difficoltà che spera di guadagnare qualcosa spacciando banconote alle stazioni centrali di Roma e Napoli. A ogni passaggio della filiera, il ricarico aumenta del 10 per cento. Ma oltre Giugliano esistono altre realtà dove si producono banconote contraffatte: quali sono le altre fabbriche di euro falsi in Italia e all´estero?

I CONCORRENTI EUROPEI
La metà della produzione clandestina europea, come detto, è coperta dai giuglianesi. Una percentuale che sale al 62 per cento con i falsari calabresi e pugliesi («ma un napoletano nella banda c´è sempre», sottolinea il colonnello Gentile). Ma i veri concorrenti del Napoli Group si trovano nelle campagne del sud della Bulgaria e nella periferia di Sofia. Qui l´antica tradizione di copiare i dollari con la stampa offset ha reso possibile la riproduzione del biglietto verde da 200 euro in ottima qualità. È nella zona industriale di Varna sul mar Nero, che l´Europol e il Secret Service statunitense (il servizio segreto che si occupa della difesa del dollaro e dell´incolumità dei presidenti) scoprirono il 22 gennaio 2004 una delle prime stamperie al mondo capace di riprodurre la banconota nata appena due anni prima. Otto anni dopo i centri di produzione si sono spostati attorno alle città di Plovdiv e Haskovo, nel sud del paese. A giugno scorso l´ultima operazione della polizia bulgara ha smantellato un sito in questa zona, sequestrando 200 mila euro in pezzi da 500. Due esperti dell´Europol li hanno valutati «tra i migliori mai prodotti».
Francia e Spagna vengono subito dopo l´Italia per quantità di soldi taroccati prodotti, ma là usano nell´80 per cento dei casi le stampanti laser di ultima generazione, tecnologia che ha aperto il mercato del falso anche a esperti di informatica e di computer grafica. In Italia invece la quota delle stampe digitali è al 10 per cento (ma in crescita).
E poi ci sono le nazioni emergenti. La Polonia, dove poche settimane fa è stato sequestrato in un appartamento a Varsavia un milione di euro che doveva essere utilizzato per truffare i tifosi di calcio durante i prossimi Europei di calcio, e la Bosnia, dove a controllare il mercato è un gruppo di falsari di Banka Luka. Turchia, Romania, Albania non producono, ma agiscono da distributori, facendo la spola per approvvigionarsi tra Napoli e Sofia. I più efficienti spacciatori d´Europa però sono i criminali lituani, che hanno avuto l´idea di smerciare le banconote taroccate usando la ben collaudata rete di pusher sul territorio. Quali sono gli effetti sul sistema finanziario europeo? Cosa rischia l´euro?

I DANNI AL SISTEMA ECONOMICO
Il ministro dell´Interno bulgaro, Tsvetan Tsvetanov, lo dice chiaramente. «La contraffazione – ha dichiarato il 3 giugno scorso – sta diventando preoccupante per la sicurezza finanziaria dell´euro perché i falsi inondano il mercato e perché le condanne per i falsari non sono abbastanza severe». A Francoforte invece i dirigenti della Bce sembrano più tranquilli, perché il volume del sequestrato nel 2011 si è ridotto del 19,3 per cento rispetto al 2010 e le 606 mila banconote ritirate (215 mila solo in Italia, un controvalore di una decina di milioni di euro) su un totale di 14,4 miliardi di pezzi del circolante genuino danno una percentuale di falsificazione bassa, lo 0,00043 per cento.
«Eviterei ogni inutile allarme – ci tiene a precisare il colonnello Gentili – abbiamo diverse strutture che sorvegliano l´integrità dell´euro, tra cui l´Europol, l´Olaf a Bruxelles, la Banca d´Italia e tutte le forze di polizia. Con un po´ di accortezza, facendo un piccolo sforzo per conoscere meglio come sono fatte le banconote genuine, i cittadini possono evitare di essere frodati». Anche per questo le rotte del falso fuori dall´Europa portano, passando attraverso la Spagna, in quei paesi che hanno una moneta debole e una scarsa conoscenza degli euro. Medio oriente, Africa del nord, Est Europa soprattutto. In Africa ci sono banche che nemmeno riconoscono quelli finti e li cambiano con la valuta locale. E i cinesi cosa fanno? I maestri della contraffazione mondiale per ora si sono tenuti ai margini. «Ma di recente – raccontano all´Europol – abbiamo scoperto che gli ologrammi usati dai falsari bulgari per le banconote da 200 euro erano stati fatti da alcuni criminali cinesi. Se anche loro si mettono a stampare, sarà un problema per tutti».

La Repubblica 16.03.12