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“Asse Bersani-Vendola per il centrosinistra del dopo Monti”, di Simone Collini

Insieme a Roma per presentare il libro di Federico Rampini, Bersani e Vendola sembrano ormai d’accordo nell’archiviare la «foto di Vasto» e nell’immaginare il centrosinistra del dopo Monti senza chiusure ai moderati. E se fossero Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola ad archiviare la foto di Vasto? La notizia non è tanto nell’arrivo di una nuova istantanea limitata al leader del Pd e a quello di Sel, che ieri hanno presentato insieme a Roma il libro di Federico Rampini “Alla mia sinistra”.
Il fatto è che i due si stanno vedendo riservatamente con una frequenza che non ha precedenti. Argomento degli incontri, compreso quello della scorsa settimana, non tanto le amministrative di maggio ma le prossime politiche e la necessità di lavorare con un’altra intensità alla definizione di un’alleanza di centrosinistra in grado poi di aprire a forze moderate e di centro. Insomma, la famosa coalizione di progressisti e moderati a cui punta Bersani, il quale da Vendola avrebbe ricevuto la disponibilità a stringere i tempi sul confronto programmatico e l’impegno a non porre veti nei confronti di Pier Ferdinando Casini.
ALFANO IRRESPONSABILE
L’accelerazione non risponde tanto alle ultime mosse del Pdl e al rischio che si vada alle urne in tempi ravvicinati. Bersani ha sì visto che «Alfano solleva molti temi polemici come se fossimo in campagna elettorale».
Ma sebbene denunci che «è da irresponsabili accendere dei fuochi in un momento in cui bisogna comunque mandare avanti il governo», non reputa possibile che qualcuno si assuma la responsabilità di far cadere Monti. Che il presidente del Consiglio abbia convocato per giovedì a Palazzo Chigi i leader di Pd, Pdl e Udc, per un incontro in cui si dovrebbe discutere anche di giustizia e Rai, è per Bersani un buon segnale. Ma ce ne sono altri di segno opposto. Come il fatto che il Pdl, nel momento in cui si è aperta la discussione su una nuova legge elettorale, ha rilanciato con le riforme istituzionali, mettendo tanto materiale davanti alla riforma del Porcellum: «Se dovesse restare questa legge io non accetterò di nominare i parlamentari e il Pd farà primarie di collegio», assicura Bersani. Un’idea che piace anche al leader di Sel.
L’incontro pubblico di ieri al Tempio di Adriano si spiega meglio, alla luce degli ultimi incontri tra Bersani e Vendola. La presentazione del libro di Rampini che parte dall’illusione del liberismo progressista in voga nel decennio scorso e termina sulla necessità di recuperare gli ideali tradizionali della sinistra è l’occasione per mostrare una sintonia tra il leader del Pd e quello di Sel, che può reggere anche di fronte al diverso atteggiamento che i due partiti hanno nei confronti del governo. Sull’articolo 18 concordano che è possibile solo una “manutenzione” riguardante i tempi delle cause processuali, sull’Europa sono entrambi critici col trattato riguardante la disciplina di bilancio (il cosiddetto Fiscal compact) e sottolineano invece la necessità di investimenti e politiche per la crescita, sulla crisi italiana concordano che il pericolo viene non tanto dai dati della finanza (lo spread) quanto da quelli dell’economia, a cominciare dalla perdita di diversi punti percentuali nella produzione industriale. Vendola promette che nei prossimi mesi «non farà sconti» a Monti, ma assicura anche che questo non determinerà «un elemento di crisi nei rapporti col Pd, che ha fatto una scelta dettata dalla generosità». Dice il leader di Sel: «Noi siamo divisi in questa stagione ma speriamo che la stagione sia breve». Perché poi si concretizzerà la foto di Vasto? No: «Quella non può essere la foto dell’alternativa. Era solo la foto dell’incontro tra tre leader di partito che sono peraltro tutti maschi. E non c’è alternativa se non mettiamo in discussione il maschilismo».
L’AGENDA
Bersani e Vendola concordano anche sul fatto che si debba iniziare a lavorare con un ritmo più accelerato alla definizione di un’agenda del centrosinistra. Il primo parla della necessità di una «scossa civica», di una «politica economica di crescita sostenibile», di un’azione di «redistribuzione».
Il leader del Pd chiede però anche patti chiari ai futuri alleati: «Se diciamo centrosinistra di governo, dobbiamo fare un patto esigibile che comprenda il programma, ma anche dei vincoli reciproci di governabilità, di stabilità del sostegno parlamentare. Se abbiamo un dissenso su un punto, si vota in assemblea congiunta dei gruppi e quel che viene deciso si fa». Vendola è d’accordo, ed esplicita anche che da lui non verrà nessun veto nei confronti di Casini: «Discutiamo nel merito dell’agenda, non dividiamoci prima sulle biografie».

l’Unità 13.03.12

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«Alleanza larga e patti chiari per tutti. Di Pietro si decida», di Maria Zegarelli

«Il nostro programma non potrà non partire dalla crisi economica e sociale. Impensabile allearsi e poi fare un referendum su ogni scelta». Sarebbe un errore imperdonabile per il Partito democratico chiudersi in un recinto troppo stretto», dice Andrea Orlando, responsabile Forum Giustizia, mentre lascia Napoli (in qualità di commissario Pd è stato ascoltato dalla procura come persona informata sui fatti dai magistrati che indagano sulle primarie) per raggiungere Ventimiglia.
Orlando, per il Pd le “praterie” sono a sinistra, come ha detto Dario Franceschini all’Unità, o al centro?
«Il Pd deve guardare sia a sinistra sia al centro».
Detta così sembra facile, ma nel suo partito non tutti la pensano allo stesso modo.
«Io starei molto attento a delimitare confini troppo stretti. Noi dobbiamo dialogare con tutte le forze che hanno dichiarato di voler far parte del centrosinistra, ovviamente con paletti precisi, sulla base di un programma di governo che sia chiaro, percepibile. Non si può pensare di allearsi e poi andare al referendum ogni volta che si devono prendere decisioni. Il programma di governo non potrà non occuparsi dei temi che sta mettendo in primo piano questa crisi e che riguardano le fasce più deboli ed esposte della società, dalla questione economico-sociale a quella occupazionale. Si tratta di temi su cui dobbiamo confrontarci con le forze che stanno a sinistra e tutti insieme dobbiamo avere una capacità di critica sul modello di sviluppo che immaginiamo per il Paese. Ma devo aggiungere che alla nostra sinistra io vedo soltanto una forza, Sel».
L’Idv dove la colloca?
«Sicuramente non a sinistra, ho difficoltà a farlo. L’Idv ha caratteristiche parzialmente diverse. Non dico che dobbiamo chiudere al dialogo ma non posso nascondere le distanze che ci sono con una forza che prima vota la fiducia al governo Monti e poi si pone all’opposizione, sempre, e molto spesso sembra opporsi più al Pd che al governo. I prossimi mesi saranno cruciali per dimostrarsi come forze di governo. Ogni giorno in cui l’Idv privilegia l’idea di lucrare qualche voto, smarcandosi dal Pd e non assumendosi la responsabilità di prendere decisioni per il bene del Paese, rende difficile la costruzione di un’alleanza. Non si può pensare di attaccare il Pd e poi sedersi intorno ad un tavolo in vista delle elezioni».
Vendola ha detto che la foto di Vasto non può essere la foto dell’alternativa. Era la foto di tre leader.
«Quella foto è un nucleo di partenza, che resta. Tuttavia si deve lavorare per allargare la panoramica, aprendo alle forze della società e caratterizzarla come proposta di governo. Penso che sia interesse di tutti costruire un’alleanza tra progressisti e moderati rendendola credibile per guidare il prossimo governo».
Eppure c’è chi, anche nel suo partito, accarezza l’idea di un Monti Bis. «Uno dei leit motiv di questi ultimi tempi è che dopo Monti nulla sarà più come prima. È vero, non ci sarà più la contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo, in questo senso non sarà più come prima. Si tornerà a parlare dei problemi del Paese e non di una persona, ci si confronterà sul merito delle proposte rispetto alla crisi. Sono cambiate molte cose, si è tornati ad una sobrietà di cui non c’era più traccia, ma detto questo, pur augurando a Monti tutto il successo possibile, non si può pensare che dopo il governo dei tecnici si possa prescindere dal bipolarismo europeo. Le forze politiche dovranno pronunciarsi sul ruolo dell’Europa, sulle politiche economiche, sulla crescita, rimettendo in circolo una sana competizione, come accade nel resto d’Europa, tra forze conservatrici e forze progressiste. E oltre a questo discrimine ce ne sarà un altro in entrambi gli schieramenti: nel centro sinistra tra una proposta riformista e populismi regressivi. È bene per questo che ognuno dica da che parte sta».
In realtà già adesso i toni sono da campagna elettorale. Alfano cerca di distinguersi da Pd e Terzo Polo e punta i piedi su temi non da poco come per esempio la giustizia e l’informazione.
«Io non penso si tratti soltanto dell’inizio della campagna elettorale. Credo che ci sia anche il rapporto con il governo, per come questo esecutivo sta rimettendo al centro dell’azione politica il bene del Paese, pur non senza qualche contraddizione. Il Pdl è stato e resta un partito diviso tra l’aspirazione di essere un partito liberale di massa e contemporaneamente un partito a tutela degli interessi del suo fondatore e questo governo sta facendo esplodere questa contraddizione».
Orlando, forse neanche il Pd è riuscito a risolvere le proprie. Dopo due anni dalle primarie continuate a discutere della leadership alle prossime elezioni.
«Il Pd ha dimostrato sin dalla sua nascita una certa propensione a complicarsi la vita, ma credo che un leader legittimato da tre milioni di persone sia un punto di forza di partenza sia per noi sia per la coalizione».

L’Unità 13.03.12

“Asse Bersani-Vendola per il centrosinistra del dopo Monti”, di Simone Collini

Insieme a Roma per presentare il libro di Federico Rampini, Bersani e Vendola sembrano ormai d’accordo nell’archiviare la «foto di Vasto» e nell’immaginare il centrosinistra del dopo Monti senza chiusure ai moderati. E se fossero Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola ad archiviare la foto di Vasto? La notizia non è tanto nell’arrivo di una nuova istantanea limitata al leader del Pd e a quello di Sel, che ieri hanno presentato insieme a Roma il libro di Federico Rampini “Alla mia sinistra”.
Il fatto è che i due si stanno vedendo riservatamente con una frequenza che non ha precedenti. Argomento degli incontri, compreso quello della scorsa settimana, non tanto le amministrative di maggio ma le prossime politiche e la necessità di lavorare con un’altra intensità alla definizione di un’alleanza di centrosinistra in grado poi di aprire a forze moderate e di centro. Insomma, la famosa coalizione di progressisti e moderati a cui punta Bersani, il quale da Vendola avrebbe ricevuto la disponibilità a stringere i tempi sul confronto programmatico e l’impegno a non porre veti nei confronti di Pier Ferdinando Casini.
ALFANO IRRESPONSABILE
L’accelerazione non risponde tanto alle ultime mosse del Pdl e al rischio che si vada alle urne in tempi ravvicinati. Bersani ha sì visto che «Alfano solleva molti temi polemici come se fossimo in campagna elettorale».
Ma sebbene denunci che «è da irresponsabili accendere dei fuochi in un momento in cui bisogna comunque mandare avanti il governo», non reputa possibile che qualcuno si assuma la responsabilità di far cadere Monti. Che il presidente del Consiglio abbia convocato per giovedì a Palazzo Chigi i leader di Pd, Pdl e Udc, per un incontro in cui si dovrebbe discutere anche di giustizia e Rai, è per Bersani un buon segnale. Ma ce ne sono altri di segno opposto. Come il fatto che il Pdl, nel momento in cui si è aperta la discussione su una nuova legge elettorale, ha rilanciato con le riforme istituzionali, mettendo tanto materiale davanti alla riforma del Porcellum: «Se dovesse restare questa legge io non accetterò di nominare i parlamentari e il Pd farà primarie di collegio», assicura Bersani. Un’idea che piace anche al leader di Sel.
L’incontro pubblico di ieri al Tempio di Adriano si spiega meglio, alla luce degli ultimi incontri tra Bersani e Vendola. La presentazione del libro di Rampini che parte dall’illusione del liberismo progressista in voga nel decennio scorso e termina sulla necessità di recuperare gli ideali tradizionali della sinistra è l’occasione per mostrare una sintonia tra il leader del Pd e quello di Sel, che può reggere anche di fronte al diverso atteggiamento che i due partiti hanno nei confronti del governo. Sull’articolo 18 concordano che è possibile solo una “manutenzione” riguardante i tempi delle cause processuali, sull’Europa sono entrambi critici col trattato riguardante la disciplina di bilancio (il cosiddetto Fiscal compact) e sottolineano invece la necessità di investimenti e politiche per la crescita, sulla crisi italiana concordano che il pericolo viene non tanto dai dati della finanza (lo spread) quanto da quelli dell’economia, a cominciare dalla perdita di diversi punti percentuali nella produzione industriale. Vendola promette che nei prossimi mesi «non farà sconti» a Monti, ma assicura anche che questo non determinerà «un elemento di crisi nei rapporti col Pd, che ha fatto una scelta dettata dalla generosità». Dice il leader di Sel: «Noi siamo divisi in questa stagione ma speriamo che la stagione sia breve». Perché poi si concretizzerà la foto di Vasto? No: «Quella non può essere la foto dell’alternativa. Era solo la foto dell’incontro tra tre leader di partito che sono peraltro tutti maschi. E non c’è alternativa se non mettiamo in discussione il maschilismo».
L’AGENDA
Bersani e Vendola concordano anche sul fatto che si debba iniziare a lavorare con un ritmo più accelerato alla definizione di un’agenda del centrosinistra. Il primo parla della necessità di una «scossa civica», di una «politica economica di crescita sostenibile», di un’azione di «redistribuzione».
Il leader del Pd chiede però anche patti chiari ai futuri alleati: «Se diciamo centrosinistra di governo, dobbiamo fare un patto esigibile che comprenda il programma, ma anche dei vincoli reciproci di governabilità, di stabilità del sostegno parlamentare. Se abbiamo un dissenso su un punto, si vota in assemblea congiunta dei gruppi e quel che viene deciso si fa». Vendola è d’accordo, ed esplicita anche che da lui non verrà nessun veto nei confronti di Casini: «Discutiamo nel merito dell’agenda, non dividiamoci prima sulle biografie».

l’Unità 13.03.12

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«Alleanza larga e patti chiari per tutti. Di Pietro si decida», di Maria Zegarelli

«Il nostro programma non potrà non partire dalla crisi economica e sociale. Impensabile allearsi e poi fare un referendum su ogni scelta». Sarebbe un errore imperdonabile per il Partito democratico chiudersi in un recinto troppo stretto», dice Andrea Orlando, responsabile Forum Giustizia, mentre lascia Napoli (in qualità di commissario Pd è stato ascoltato dalla procura come persona informata sui fatti dai magistrati che indagano sulle primarie) per raggiungere Ventimiglia.
Orlando, per il Pd le “praterie” sono a sinistra, come ha detto Dario Franceschini all’Unità, o al centro?
«Il Pd deve guardare sia a sinistra sia al centro».
Detta così sembra facile, ma nel suo partito non tutti la pensano allo stesso modo.
«Io starei molto attento a delimitare confini troppo stretti. Noi dobbiamo dialogare con tutte le forze che hanno dichiarato di voler far parte del centrosinistra, ovviamente con paletti precisi, sulla base di un programma di governo che sia chiaro, percepibile. Non si può pensare di allearsi e poi andare al referendum ogni volta che si devono prendere decisioni. Il programma di governo non potrà non occuparsi dei temi che sta mettendo in primo piano questa crisi e che riguardano le fasce più deboli ed esposte della società, dalla questione economico-sociale a quella occupazionale. Si tratta di temi su cui dobbiamo confrontarci con le forze che stanno a sinistra e tutti insieme dobbiamo avere una capacità di critica sul modello di sviluppo che immaginiamo per il Paese. Ma devo aggiungere che alla nostra sinistra io vedo soltanto una forza, Sel».
L’Idv dove la colloca?
«Sicuramente non a sinistra, ho difficoltà a farlo. L’Idv ha caratteristiche parzialmente diverse. Non dico che dobbiamo chiudere al dialogo ma non posso nascondere le distanze che ci sono con una forza che prima vota la fiducia al governo Monti e poi si pone all’opposizione, sempre, e molto spesso sembra opporsi più al Pd che al governo. I prossimi mesi saranno cruciali per dimostrarsi come forze di governo. Ogni giorno in cui l’Idv privilegia l’idea di lucrare qualche voto, smarcandosi dal Pd e non assumendosi la responsabilità di prendere decisioni per il bene del Paese, rende difficile la costruzione di un’alleanza. Non si può pensare di attaccare il Pd e poi sedersi intorno ad un tavolo in vista delle elezioni».
Vendola ha detto che la foto di Vasto non può essere la foto dell’alternativa. Era la foto di tre leader.
«Quella foto è un nucleo di partenza, che resta. Tuttavia si deve lavorare per allargare la panoramica, aprendo alle forze della società e caratterizzarla come proposta di governo. Penso che sia interesse di tutti costruire un’alleanza tra progressisti e moderati rendendola credibile per guidare il prossimo governo».
Eppure c’è chi, anche nel suo partito, accarezza l’idea di un Monti Bis. «Uno dei leit motiv di questi ultimi tempi è che dopo Monti nulla sarà più come prima. È vero, non ci sarà più la contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo, in questo senso non sarà più come prima. Si tornerà a parlare dei problemi del Paese e non di una persona, ci si confronterà sul merito delle proposte rispetto alla crisi. Sono cambiate molte cose, si è tornati ad una sobrietà di cui non c’era più traccia, ma detto questo, pur augurando a Monti tutto il successo possibile, non si può pensare che dopo il governo dei tecnici si possa prescindere dal bipolarismo europeo. Le forze politiche dovranno pronunciarsi sul ruolo dell’Europa, sulle politiche economiche, sulla crescita, rimettendo in circolo una sana competizione, come accade nel resto d’Europa, tra forze conservatrici e forze progressiste. E oltre a questo discrimine ce ne sarà un altro in entrambi gli schieramenti: nel centro sinistra tra una proposta riformista e populismi regressivi. È bene per questo che ognuno dica da che parte sta».
In realtà già adesso i toni sono da campagna elettorale. Alfano cerca di distinguersi da Pd e Terzo Polo e punta i piedi su temi non da poco come per esempio la giustizia e l’informazione.
«Io non penso si tratti soltanto dell’inizio della campagna elettorale. Credo che ci sia anche il rapporto con il governo, per come questo esecutivo sta rimettendo al centro dell’azione politica il bene del Paese, pur non senza qualche contraddizione. Il Pdl è stato e resta un partito diviso tra l’aspirazione di essere un partito liberale di massa e contemporaneamente un partito a tutela degli interessi del suo fondatore e questo governo sta facendo esplodere questa contraddizione».
Orlando, forse neanche il Pd è riuscito a risolvere le proprie. Dopo due anni dalle primarie continuate a discutere della leadership alle prossime elezioni.
«Il Pd ha dimostrato sin dalla sua nascita una certa propensione a complicarsi la vita, ma credo che un leader legittimato da tre milioni di persone sia un punto di forza di partenza sia per noi sia per la coalizione».

L’Unità 13.03.12

"Rai, una partita per la democrazia", di Giorgio Merlo

Sulla Rai è giunto il momento di mettere le carte in tavola. Il curioso balletto attorno alla partecipazione, o meno, di Berlusconi alla trasmissione di Porta a Porta da un lato e la cancellazione di un incontro con Monti dei segretari che appoggiano il governo dall’altro denotano che attorno al tema Rai continua a circolare troppa superficialità ed approssimazione.
Ora, per evitare la consueta ipocrisia ormai collaudata – e cioè tutti predicano il passo indietro dei partiti dalla gestione concreta e quotidiana di viale Mazzini e quasi tutti, con altrettanta ipocrisia, pretendono e rivendicano spazi, ruoli e presenze nel servizio pubblico – è indispensabile fissare alcuni paletti fermi. Tanto per essere chiari e senza giocare più parti in commedia. Innanzitutto la Rai non va commissariata e non va privatizzata. Una tentazione, questa, presente in quasi tutti i partiti e che punta, neanche tanto nascostamente, a liquidare definitivamente il servizio pubblico per poi appaltarlo a qualche cordata “amica”.
Un disegno vecchio ma che potrebbe trovare qualche chance in più proprio oggi con un governo tecnico poco sensibile alle ragioni del pluralismo sociale, politico e culturale che dovrebbe caratterizzare un servizio pubblico aggiornato e moderno e molto più propenso a far valere motivazioni di carattere puramente contabile e ragionieristico.
Bene, su questo tema è giunto il momento che tutti si debbano pronunciare. Pd compreso. Perché non è sufficiente, né credibile, contrabbandare la privatizzazione della Rai come un disegno di grande modernizzazione del panorama informativo del paese. Molto più semplicemente, si tratta dell’ennesimo tentativo di indebolire il profilo della nostra democrazia a vantaggio e a beneficio dei soliti “amici” di cordata.
In secondo luogo chi vuole una Rai forte, di qualità e messa anche in grado di poter governare un’azienda complessa e articolata come quella di viale Mazzini, lavora per una rapida riforma della sua governance. È inutile continuare a predicare, come fa il Pdl, che l’attuale legge – la cosiddetta legge Gasparri – già contiene al suo interno gli elementi per rinnovare l’azienda e per preservarla da una eventuale ingovernabilità totale che può paralizzarne la funzionalità. No, le attuali regole non permettono al vertice di guidare con efficacia, velocità e la necessaria credibilità un’azienda come la Rai. Le proposte di modifica non mancano.
È sufficiente, a costo zero, la semplice volontà politica del parlamento per mettere mano a una riforma semplicemente indispensabile. Chi la ostacola lavora direttamente contro la Rai e il suo rinnovamento. Infine, va detto con chiarezza che senza un qualificato e rinnovato servizio pubblico, e al di là di come è gestita oggi l’azienda, a pagarne le conseguenze sarebbero solo e sempre i cittadini, cioè coloro che fruiscono di un’informazione pluralista, di una programmazione di qualità e di un approfondimento capace di far maturare un vero spirito critico della pubblica opinione e una forte conoscenza di ciò che ci circonda.
Abbandonare questo enorme patrimonio o rinunciare a questa specificità che ha accompagnato la democrazia italiana sin dal secondo dopoguerra, equivarrebbe ad indebolire un aspetto costitutivo della stessa società italiana. Forse è bene pensarci con la dovuta attenzione prima di procedere con un semplice e banale approccio ragionieristico. Insomma, attorno alla Rai, alla sua riforma, alla sua prospettiva, al suo profilo si gioca, per l’ennesima volta, una vera partita democratica e di contenuti.
Sarebbe curioso, anche da parte di questo governo, se il tutto – sempre in nome della modernizzazione e della efficienza – venisse appaltato nella mani dei soliti tecnocrati o boiardi di stato che hanno già segnato e condizionato varie fasi della politica italiana. Non è il caso di ricorrere a questi “parrucconi” per rilanciare l’immagine e il profilo del servizio pubblico. Forse è sufficiente essere consapevoli che la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo qualificato e pluralista è una garanzia per la stessa conservazione della democrazia nel nostro paese.
Ecco perché è indispensabile che ogni forza politica, responsabile e di governo e che non si limiti al “tanto peggio tanto meglio”, adesso metta sul tavolo le proprie carte. Senza ipocrisia e senza doppiezza.

da Europa Quotidiano 13.03.12

“Rai, una partita per la democrazia”, di Giorgio Merlo

Sulla Rai è giunto il momento di mettere le carte in tavola. Il curioso balletto attorno alla partecipazione, o meno, di Berlusconi alla trasmissione di Porta a Porta da un lato e la cancellazione di un incontro con Monti dei segretari che appoggiano il governo dall’altro denotano che attorno al tema Rai continua a circolare troppa superficialità ed approssimazione.
Ora, per evitare la consueta ipocrisia ormai collaudata – e cioè tutti predicano il passo indietro dei partiti dalla gestione concreta e quotidiana di viale Mazzini e quasi tutti, con altrettanta ipocrisia, pretendono e rivendicano spazi, ruoli e presenze nel servizio pubblico – è indispensabile fissare alcuni paletti fermi. Tanto per essere chiari e senza giocare più parti in commedia. Innanzitutto la Rai non va commissariata e non va privatizzata. Una tentazione, questa, presente in quasi tutti i partiti e che punta, neanche tanto nascostamente, a liquidare definitivamente il servizio pubblico per poi appaltarlo a qualche cordata “amica”.
Un disegno vecchio ma che potrebbe trovare qualche chance in più proprio oggi con un governo tecnico poco sensibile alle ragioni del pluralismo sociale, politico e culturale che dovrebbe caratterizzare un servizio pubblico aggiornato e moderno e molto più propenso a far valere motivazioni di carattere puramente contabile e ragionieristico.
Bene, su questo tema è giunto il momento che tutti si debbano pronunciare. Pd compreso. Perché non è sufficiente, né credibile, contrabbandare la privatizzazione della Rai come un disegno di grande modernizzazione del panorama informativo del paese. Molto più semplicemente, si tratta dell’ennesimo tentativo di indebolire il profilo della nostra democrazia a vantaggio e a beneficio dei soliti “amici” di cordata.
In secondo luogo chi vuole una Rai forte, di qualità e messa anche in grado di poter governare un’azienda complessa e articolata come quella di viale Mazzini, lavora per una rapida riforma della sua governance. È inutile continuare a predicare, come fa il Pdl, che l’attuale legge – la cosiddetta legge Gasparri – già contiene al suo interno gli elementi per rinnovare l’azienda e per preservarla da una eventuale ingovernabilità totale che può paralizzarne la funzionalità. No, le attuali regole non permettono al vertice di guidare con efficacia, velocità e la necessaria credibilità un’azienda come la Rai. Le proposte di modifica non mancano.
È sufficiente, a costo zero, la semplice volontà politica del parlamento per mettere mano a una riforma semplicemente indispensabile. Chi la ostacola lavora direttamente contro la Rai e il suo rinnovamento. Infine, va detto con chiarezza che senza un qualificato e rinnovato servizio pubblico, e al di là di come è gestita oggi l’azienda, a pagarne le conseguenze sarebbero solo e sempre i cittadini, cioè coloro che fruiscono di un’informazione pluralista, di una programmazione di qualità e di un approfondimento capace di far maturare un vero spirito critico della pubblica opinione e una forte conoscenza di ciò che ci circonda.
Abbandonare questo enorme patrimonio o rinunciare a questa specificità che ha accompagnato la democrazia italiana sin dal secondo dopoguerra, equivarrebbe ad indebolire un aspetto costitutivo della stessa società italiana. Forse è bene pensarci con la dovuta attenzione prima di procedere con un semplice e banale approccio ragionieristico. Insomma, attorno alla Rai, alla sua riforma, alla sua prospettiva, al suo profilo si gioca, per l’ennesima volta, una vera partita democratica e di contenuti.
Sarebbe curioso, anche da parte di questo governo, se il tutto – sempre in nome della modernizzazione e della efficienza – venisse appaltato nella mani dei soliti tecnocrati o boiardi di stato che hanno già segnato e condizionato varie fasi della politica italiana. Non è il caso di ricorrere a questi “parrucconi” per rilanciare l’immagine e il profilo del servizio pubblico. Forse è sufficiente essere consapevoli che la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo qualificato e pluralista è una garanzia per la stessa conservazione della democrazia nel nostro paese.
Ecco perché è indispensabile che ogni forza politica, responsabile e di governo e che non si limiti al “tanto peggio tanto meglio”, adesso metta sul tavolo le proprie carte. Senza ipocrisia e senza doppiezza.

da Europa Quotidiano 13.03.12

“Rai, una partita per la democrazia”, di Giorgio Merlo

Sulla Rai è giunto il momento di mettere le carte in tavola. Il curioso balletto attorno alla partecipazione, o meno, di Berlusconi alla trasmissione di Porta a Porta da un lato e la cancellazione di un incontro con Monti dei segretari che appoggiano il governo dall’altro denotano che attorno al tema Rai continua a circolare troppa superficialità ed approssimazione.
Ora, per evitare la consueta ipocrisia ormai collaudata – e cioè tutti predicano il passo indietro dei partiti dalla gestione concreta e quotidiana di viale Mazzini e quasi tutti, con altrettanta ipocrisia, pretendono e rivendicano spazi, ruoli e presenze nel servizio pubblico – è indispensabile fissare alcuni paletti fermi. Tanto per essere chiari e senza giocare più parti in commedia. Innanzitutto la Rai non va commissariata e non va privatizzata. Una tentazione, questa, presente in quasi tutti i partiti e che punta, neanche tanto nascostamente, a liquidare definitivamente il servizio pubblico per poi appaltarlo a qualche cordata “amica”.
Un disegno vecchio ma che potrebbe trovare qualche chance in più proprio oggi con un governo tecnico poco sensibile alle ragioni del pluralismo sociale, politico e culturale che dovrebbe caratterizzare un servizio pubblico aggiornato e moderno e molto più propenso a far valere motivazioni di carattere puramente contabile e ragionieristico.
Bene, su questo tema è giunto il momento che tutti si debbano pronunciare. Pd compreso. Perché non è sufficiente, né credibile, contrabbandare la privatizzazione della Rai come un disegno di grande modernizzazione del panorama informativo del paese. Molto più semplicemente, si tratta dell’ennesimo tentativo di indebolire il profilo della nostra democrazia a vantaggio e a beneficio dei soliti “amici” di cordata.
In secondo luogo chi vuole una Rai forte, di qualità e messa anche in grado di poter governare un’azienda complessa e articolata come quella di viale Mazzini, lavora per una rapida riforma della sua governance. È inutile continuare a predicare, come fa il Pdl, che l’attuale legge – la cosiddetta legge Gasparri – già contiene al suo interno gli elementi per rinnovare l’azienda e per preservarla da una eventuale ingovernabilità totale che può paralizzarne la funzionalità. No, le attuali regole non permettono al vertice di guidare con efficacia, velocità e la necessaria credibilità un’azienda come la Rai. Le proposte di modifica non mancano.
È sufficiente, a costo zero, la semplice volontà politica del parlamento per mettere mano a una riforma semplicemente indispensabile. Chi la ostacola lavora direttamente contro la Rai e il suo rinnovamento. Infine, va detto con chiarezza che senza un qualificato e rinnovato servizio pubblico, e al di là di come è gestita oggi l’azienda, a pagarne le conseguenze sarebbero solo e sempre i cittadini, cioè coloro che fruiscono di un’informazione pluralista, di una programmazione di qualità e di un approfondimento capace di far maturare un vero spirito critico della pubblica opinione e una forte conoscenza di ciò che ci circonda.
Abbandonare questo enorme patrimonio o rinunciare a questa specificità che ha accompagnato la democrazia italiana sin dal secondo dopoguerra, equivarrebbe ad indebolire un aspetto costitutivo della stessa società italiana. Forse è bene pensarci con la dovuta attenzione prima di procedere con un semplice e banale approccio ragionieristico. Insomma, attorno alla Rai, alla sua riforma, alla sua prospettiva, al suo profilo si gioca, per l’ennesima volta, una vera partita democratica e di contenuti.
Sarebbe curioso, anche da parte di questo governo, se il tutto – sempre in nome della modernizzazione e della efficienza – venisse appaltato nella mani dei soliti tecnocrati o boiardi di stato che hanno già segnato e condizionato varie fasi della politica italiana. Non è il caso di ricorrere a questi “parrucconi” per rilanciare l’immagine e il profilo del servizio pubblico. Forse è sufficiente essere consapevoli che la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo qualificato e pluralista è una garanzia per la stessa conservazione della democrazia nel nostro paese.
Ecco perché è indispensabile che ogni forza politica, responsabile e di governo e che non si limiti al “tanto peggio tanto meglio”, adesso metta sul tavolo le proprie carte. Senza ipocrisia e senza doppiezza.

da Europa Quotidiano 13.03.12

Bersani resta ottimista “L’accordo è possibile”, di Carlo Bertini

Sembrerà paradossale, ma anche dopo la gelata nel Pd prevale l’ottimismo, le tensioni che scuotono il tavolo di trattative non fanno tremare un partito dove prevale la cauta fiducia che alla fine si arriverà comunque ad un accordo.
Sulla riforma del lavoro, Bersani è più tranquillo perché una modifica «light» dell’articolo 18 potrebbe anche essere rivendicata come un successo politico: se passasse infatti l’opzione alla tedesca di consentire la mobilità per ragioni economiche dando l’ultima parola a un giudice che fissi un indennizzo per il lavoratore, al Pd non andrebbe poi così male. Altra cosa è la posizione della Cgil che non dovrebbe condizionare più di tanto l’atteggiamento in Parlamento, perché il segretario del Pd è intenzionato a non far mancare il sostegno al governo Monti. Tra i leader che contano, c’è infatti chi non esclude a bassa voce l’ipotesi di «disaccordi concordati tra i sindacati»: e cioé che le parti sociali dopo una strenua battaglia, firmino insieme i capitoli di una complessa riforma (che porterà novità storiche come il reddito di disoccupazione) ; senza però una benedizione della Cgil alla parte che modifica l’articolo 18. In un quadro del genere, anche se nel Pd c’è chi in caso di strappo della Camusso vorrebbe contrapporre un veto sul lavoro ai veti del Pdl su Rai e Giustizia, alla fine prevarrà la linea soft per non sfasciare tutto. Governo e partito compreso. Perché si può star certi che i deputati più vicini a Letta, Veltroni, Gentiloni, Fioroni, e forse anche a Franceschini, non farebbero mancare il proprio sì al momento clou: e la conta dei favorevoli e contrari potrebbe minare le fondamenta del Pd.
Il segretario non solo ne è consapevole, ma confida che Monti non metterà a rischio la tenuta del governo e per questo ha deciso di trovare le risorse da mettere sul tavolo. Non a caso i messaggi che lancia Bersani sono più da moral suasion che da ultimatum. Presentando insieme a Vendola il libro di Federico Rampini sulla sinistra, il leader Pd mostra di essere in piena competizione elettorale con alleati che crescono nei sondaggi: «Non c’è cittadinanza piena senza dignità del lavoro», comincia volando alto. Per poi planare sul cuore del problema: «e sull’articolo 18? », gli chiede una voce dalla platea. «Pensi che lo voglia tradire? E’ un concetto anti-discriminazione e mi fermo qui», replica Bersani. «Chi lo vuole mettere al centro vuole lanciare un solo messaggio: risolviamo i problemi del lavoro con la deregolamentazione. No, la strada è una nuova regolazione che eviti l’eccesso di precarizzazione, sistemi di ammortizzatori universalistici, per cui servono le risorse, perché le nozze coi fichi secchi non si fanno».
Ecco, casomai il cruccio di Bersani sta soprattutto lì, sull’entità delle risorse che scarseggiano rispetto alla bisogna. Ma poi per tenersi stretto l’alleato al suo fianco, Bersani precisa che «come dice Nichi, questa recessione è pesante, pesante: cinque punti in meno di produzione industriale non sono noccioline». E riprendendo un termine usato dalla Camusso, prima chiarisce di volere un accordo condiviso da tutti e poi ammonisce: «E non scherziamo nel voler dare uno scalpo ai mercati per tranquillizzarli».
Insomma, l’affiatamento con Vendola è voluto; e palpabile quando il leader di Sel spiega che «non sono entrati in crisi i rapporti col Pd, anche se sostiene il governo Monti, perché si è capito che ha fatto una scelta dettata da generosità. Siamo divisi in questa stagione cheio spero breve». Ma dopo aver detto che una manutenzione all’articolo 18 si può fare solo sul taglio dei tempi delle cause per lavoro, Vendola lancia un’anatema che desta interrogativi sulla tenuta dell’alleanza di Vasto se la riforma del lavoro prendesse una brutta piega: «Un accordo senza la Cgil sarebbe gravissimo».

La Stampa 13.03.12

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“Nuovo welfare, Fornero accelera. Ma Camusso: un passo indietro”, di Massimo Franchi

Una brusca accelerata, ma ancora con l’incognita risorse. Dopo più di un mese di vera e propria melina, Elsa Fornero dà un vero aut aut alle parti sociali sui tempi (“entro il 23 marzo dobbiamo chiudere per gli impegni di Monti in Asia”) e sul merito, svelando finalmente le sue carte sui nuovi ammortizzatori sociali e anticipandone l’applicazione (partenza già nel 2013, a regime nel 2015 e non nel 2017).

DUEMILIARDI Il tutto però ammettendo candidamente che i due miliardi promessi non ci sono ancora: «Non sono in grado di dirvi dove saranno trovate le risorse, il governo (il viceministro Grilli, ndr) è impegnato a ricercarle».E a poco vale anche la rassicurazione seguente: «Sicuramente le risorse non saranno sottratte ai capitoli che riguardano il welfare». Il coniglio fatto uscire dal cappello a cilindro dalla ministra del Welfare ha un nome accattivante: Assicurazione sociale per l’impiego. Per Fornero la già ribattezzata Aspi «sarà la base per la riforma degli ammortizzatori, sarà una forma di tutela e di sostegno al reimpiego del lavoratore». Andrà a sostituire tutte le form eattuali di assistenza ai lavoratori che esulano la cassa integrazione: mobilità, incentivi alla mobilità, indennità di disoccupazione, contributo per i cocopro. Si applicherà a tutti i lavoratori dipendenti (privati e pubblici) con contratto non a tempo indeterminato. Avrà durata di 12 mesi, allungati a 15 per gli over 55enni. Per Pierluigi Bersani «servono ammortizzatori sociali più universalistici »,ma la rete dei giovani Cgil «Non più disposti a tutto» boccia i requisiti per poter usufruire dell’Aspi: «Due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro nell’ultimo biennio? Alla faccia dell’inclusione! ».

L’ASSEGNO Anche sull’entità dell’assegno è difficile dare giudizi. Fornero ha parlato di un massimo di 1.118 euro con un abbattimento del 15 per cento per i primi sei mesi e di un ulteriore 15%dopo altri sei mesi. Fornero ha invece confermato la Cassa integrazione straordinaria, ma eliminando la causale per «cessazione attività », oggi utilizzata da migliaia e migliaia di lavoratori per aziende che stanno chiudendo senza che esistano possibilità di re-industrializzazione. Sul capitolo contratti in ingresso, Fornero ha confermato l’intenzione di ridurre il numero delle 46 tipologie contrattuali, aumentando il costo dei contratti a termine e combattendo l’uso distorto delle partite Iva per lavoratori limpidamente subordinati. Ma ha fatto marcia indietro sulla cancellazione di molte forme, prima fra tutte il contratto in compartecipazione. Cisl e Uil hanno ribadito che non sono disposte a firmare un accordo che escluda la Cgil, ma le differenze di posizione ieri sono emerse. Ad eccezione della critica, comune a Confindustria, alla sparizione della mobilità e all’accelerazione eccessiva della transizione, gli accenti sono stati diversi. Per Emma Marcegaglia «il giudizio è positivo, ma sugli ammortizzatori la riduzione del periodo di transizione pone un problema e noi abbiamo chiesto che torni indietro». Per Susannna Camusso c’è stato «un passo indietro perché con questo schema ci sarà una riduzione delle coperture dal punto di vista della durata. In più l’obiettivo dell’universalità non è perseguito: non ci sarà nessun lavoratore in più, partite Iva e collaborativi in primis, chi è scoperto oggi lo sarà anche domani. Non vorremmo essere perfidi ma temiamo che si stiano solamente rimodulando le coperture attuali. Bisogna poi che la transizione tenga conto della crisi». Sulla stessa posizione Giovanni Centrella (Ugl): «Pronti allo sforzo, manon si possono ridurre tutele lavoratori in crisi, in molte cose siamo arretrati».

PREOCCUPAZIONE CISL Raffaele Bonanni giudica «interessante la forma di ingresso al mondo del lavoro basato sull’apprendistato, siamo invece preoccupati per la sparizione della mobilità che in periodi di crisi rischia di produrre una vera ecatombe sociale». Per il leader Uil Luigi Angeletti «la maggiore velocità del periodo di transizione questo produce problemi di costi, ma la possibilità di chiudere l’accordo entro la prossima settimana c’è». L’accelerazione imposta dalla ministra Fornero produrrà una settimana fitta di incontri bilaterali per arrivare al nuovo appuntamento fissato probabilmente per lunedì a palazzo Chigi, alla presenza del premier Mario Monti. Per quella data Fornero avrà già incontrato singolarmente tutti i leader politici e sindacali a partire da oggi. L’argomento è quello più difficile: la flessibilità in uscita, articolo 18 compreso. ❖

L’Unità 13.03.12

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“Mille euro al mese per un anno a chi ha perso il posto ma Cgil dice no: passo indietro”, di Luisa Grion

Camusso: trattativa difficile Marcegaglia: niente accelerazioni Bonanni: rischio ecatombe sociale. Round governo-parti sociali. Da oggi bilaterali sui licenziamenti, lunedì vertice da Monti
Angeletti: sul tavolo esiste un problema di costi. Bersani: non tradisco l´articolo 18
C´È UNA GRANDE novità riguardo agli ammortizzatori sociali, ma nulla è stato ancora detto sulle risorse. Il vertice sulla riforma del lavoro, convocato dal governo ieri pomeriggio, ha definito i tempi e gli obiettivi del varo e dell´entrata in vigore delle nuove regole. Ha approfondito discussioni già considerate a buon punto (quella sull´apprendistato e sulla riduzione del numero dei contratti), ma ha tralasciato del tutto la questione più spinosa: quella che riguarda la “manutenzione” dell´articolo 18. I tempi non sono pronti per parlarne collegialmente, si procederà già da oggi con incontri bilaterali.
Eppure il calendario si fa stretto. Il ministro Fornero ha precisato di voler chiudere l´accordo entro il 21-23 marzo. E da lunedì prossimo, con la convocazione di un nuovo tavolo a Palazzo Chigi al quale parteciperà anche il premier Monti, partirà un vero e proprio rush finale. «Voglio tutti dentro un buon accordo», ha detto a imprese e sindacati Elsa Fornero, ma senza fornire alle parti l´indicazione che più si aspettavano: quella sul come trovare le risorse per coprire i nuovi ammortizzatori. Ha assicurato che il governo «si impegna a trovare le risorse al di fuori dei capitoli di spesa sociali».
Indicazione che non ha soddisfatto per niente i sindacati. «Sul tavolo esiste un problema di costi, non sono stati nemmeno quantificati», ha detto il leader della Uil Angeletti. Ma i malumori vanno oltre. La definizione di quella che sarà la nuova rete di ammortizzatori suscita perplessità nella Cisl e non convince per niente la Cgil. Fornero ha infatti lanciato l´Aspi, la nuova assicurazione sociale per l´impiego destinata a sostituire tutto quanto non rientra nella attuale cassa integrazione ordinaria e in quello che resterà nella straordinaria. In media il lavoratore privato (e quello pubblico privo di contratto a tempo indeterminato) quando perderanno il posto potranno contare su un assegno massimo di mille euro per un anno (15 mesi per gli over 58). Ma il nuovo ammortizzatore varrà un anno mentre oggi la mobilità ne copre due. Non solo, il ministro intende anticipare i tempi e mettere a regime la riforma dal 2015. Per Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ciò porterà «all´ecatombe sociale». Per Susanna Camusso, leader della Cgil: «E´ stato fatto un passo indietro». L´anticipo non sta bene nemmeno a Confindustria: «Fornero ci ripensi» ha detto la presidente Emma Marcegaglia.

La Repubblica 13.03.12

"Omsa, dalle calze ai divani. Speranza solo per 120 operaie", di Giulia Gentile

È una bella notizia per chi “entra” nei 120. Questa rischia di diventare una guerra fra poveri: e speriamo che chi ha urlato e lottato, per arrivare al risultato, non venga punito e fatto passare in coda nella selezione ». Nadia, 47 anni di cui 27 passati fra i macchinari per collant della Omsa, nel Ravennate, reagisce con stanchezza alle novità arrivate dalla Regione sul destino dello storico stabilimento di calze di proprietà del gruppo Golden lady. DUE ANNI DI LOTTE Il patron veneto del marchio, Nerino Grassi, a marzo 2010 aveva annunciato la decisione di chiudere in Romagna per investire – “grazie” a circa 200 euro di stipendio per ogni operaia, e a contratti di qualche mese – in Serbia. E dopo più di due anni di cassa integrazione per i 239lavoratori (solo 40 dei quali uomini), di battaglie, voci su possibili acquirenti, e trattative, ieri finalmente davanti al presidente della Regione, Vasco Errani, la ditta forlivese di divani Atl group ha formalizzato la volontà di acquistare da Golden lady lo stabilimento Omsa«per la cifra già pattuita» con Grassi (che dovrebbe aggirarsi intorno ai 13milioni di euro).Ma soprattutto, Atl group ha sottoscritto l’impegno ad assumere «non meno di 120» ex dipendenti del marchio di collant, che si andranno a sommare ai 300 già in forze ad Atl, una parte dei quali verranno trasferiti a Faenza. È qui che, per le operaie di calze – ma anche per Samuela Meci, sindacalista della Filctem-Cgil che ha seguito la vertenza fin dall’inizio, cominciano le preoccupazioni. Perché se è vero che, nei precedenti incontri fra proprietà, sindacati e rappresentanti istituzionali, le istituzioni locali si erano fatte garanti a che, anche le 119 lavoratrici in esubero, avessero un destino sicuro, per Meci è dal tavolo di ieri che «inizia un percorso » ancora tutto da fissare. Il contratto d’acquisto e il conseguente passaggio di lavoratori da una ditta all’altra dovrà avvenire «presumibilmente entro fine marzo 2012», recita l’accordo raggiunto ieri. Ciò significa, sottolinea Meci, che nel giro di un paio di settimane occorrerà «stabilire i criteri giusti con cui scegliere quei 120» lavoratori da formare per la produzione di divani, numero che i sindacati cercheranno di far salire di qualche unità. Inoltre, bisognerà «trovare percorsi, e ammortizzatori sociali, per chi resta fuori dal passaggio». E, fra sei mesi, vedrà scadere anche la proroga della cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione, ottenuta a febbraio. Presupposto essenziale – si legge ancora nel verbale d’accordo – è la copertura finanziaria dell’investimento, pari a circa 20 milioni, da parte di un gruppo di banche. Nei piani della nuova azienda, poi, il trasloco potrebbe avvenire già in estate, e la produzione di divani partire addirittura in autunno. Altra novità dell’accordo, la Golden Lady manterrà la proprietà di un’area limitata dentro allo stabilimento di Faenza, dove aprirà un negozio “Golden Point” in cui verranno assunte 10-15 lavoratrici. Nei mesi scorsi si era parlato dell’ipotesi che i lavoratori in esubero venissero riassorbiti in un outlet in costruzione in zona, e in altre società di servizi. Il centro commerciale dovrebbe aprire anch’esso in autunno: «Ma ha come presupposto che siano stati venduti almeno il 70% dei negozi – dice Meci – e a fine 2011 eravamo ancora al 10%». Resta da vedere, poi, «con che tempi e come si muoverà il proprietario dell’outlet». È «il lavoro il nostro primo obiettivo – ha ribadito, ieri, Errani – ci sarà una risposta a tutti i lavoratori e lavoratrici della Golden Lady in forme diverse».❖

L’Unità 13.03.12