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“La scuola dei licei non va più”, di Alessandra Ricciardi

Preiscrizioni, le proiezioni annunciano il sorpasso a settembre. Crolla il classico, sale l’alberghiero. Sarà la crisi, ma sempre meno giovani decidono di imboccare la strada di un percorso di studi liceale, con la prospettiva quasi certa di dover poi continuare con l’università. Se saranno confermate le proiezioni sulle preiscrizioni fatte dai ragazzi a febbraio scorso, il 52% degli studenti delle prime classi delle superiori a settembre frequenterà le lezioni di un istituto tecnico o professionale.

I licei scedono al 47,90% di nuovi iscritti contro il 49,88% dell’anno precedente. Dalla parità al sorpasso, dunque, nel giro di un anno. I primi dati sulle iscrizioni al primo anno delle scuole secondarie di II grado statali e paritarie per l’anno scolastico 2012/2013 sono stati resi noti ieri dal ministero dell’istruzione. E confermano l’andamento che a livello regionale era stato rilevato nella Lombardia di Roberto Formigoni (si veda ItaliaOggi di martedì scorso), dove da tempo si punta sul rafforzamento della filiera professionalizzante per combattere la disoccupazione. Il dato, che dal ministero sottolineano non essere ancora definitivo (in attesa della chiusura dei termini di iscrizione prorogati al 14 marzo nelle province dove le scuole sono state chiuse per neve), riguarda 494.379 alunni su circa 570.000 frequentanti l’ultimo anno della scuola secondaria di I grado.

Il 31,50% degli studenti ha scelto gli istituti tecnici (l’anno scorso era il 30,39%), il 20,60% gli istituti professionali (l’anno scorso era il 19,73%), mentre i licei scendono al 47,90% rispetto al 49,88% dell’anno precedente.

Tra i tecnici aumentano le preferenze per il settore tecnologico: per l’indirizzo di Meccanica, meccatronica ed energia gli iscritti salgono da 2,18% dell’anno scorso al 2,57%, così come per l’indirizzo Informatica e telecomunicazione (4,59%) e Chimica, materiali e biotecnologie (1,98%).

Tra i professionali si registra un aumento degli iscritti soprattutto nel settore servizi. In particolare l’indirizzo alberghiero sale al 9,51% di preferenze rispetto all’8,52% dell’anno scolastico 2011/2012. Buona performance anche per il settore dei servizi socio-sanitari che sale dall’ 1,47 al 2,39 di preferenze.

Aumentano, tra i licei, le iscrizioni ai linguistici: 7,25% rispetto al 6,86% dell’anno precedente. Calano invece i licei scientifici: 22,38%, rispetto al 23,95%. Un calo che è messo in relazione alla contiguità di studi con i tecnici che farebbe propendere molti giovani per una scelta più decisa a favore degli istituti. Lo stesso motivo per cui avrebbe consensi crescenti per esempio il liceo tecnologico, che passa dal 4% al 4,59%, proprio alla luce delle maggiori ore di laboratorio. In calo sostanziale i licei classici, che dal 7,52% scendono al 6,66% di iscritti. Utile leggere il dato sulle iscrizioni ai licei alla luce dell’XI rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario italiano: si conferma il calo costante registrato negli ultimi sei anni delle matricole, ma soprattutto per la prima volta, dopo tre decenni, nel 2011-2012 il numero degli immatricolati negli atenei italiani è sceso sotto il 60% del totale dei diplomati dell’anno precedente.

da ItaliaOggi 13.03.12

"Il taglio dei parlamentari", di Andrea Manzella

Nella “proposta” di revisione costituzionale che ha visto, per ora, concordare i maggiori partiti, le cose giuste sono forse più di quelle sbagliate. Eppure questa rilevanza positiva non basta a farne un buon progetto. Perché? Per due ragioni.
La prima è che ogni innovazione positiva contenuta nella bozza, ha come un freno dentro che le impedisce di completarsi. Certo, si capisce che nell´attuale situazione di assideramento parlamentare, certe cose non si possono neppure tentare. Ma la proiezione nel futuro, l´indicazione di una linea evolutiva non potrebbero essere rifiutate neppure dal più conservatore dei deputati o senatori.
Nel concreto: va bene la riduzione del numero totale dei membri delle Camere. Ma siamo sicuri che abbia una sua logica un taglio così semplicemente lineare? O questo non sarebbe più comprensibile, se legato ad un´idea di equilibrio istituzionale: già, fin d´ora, connesso ad un progetto di Camera territoriale, eletta con una cifra magari minore (come in Germania e perfino in Usa) ma con un riferimento significativo a forme di rappresentanza politica locale?
E ancora su questo punto. Benissimo che finalmente (dopo 11 anni) si sia riconosciuta la necessità di attuare l´inserimento in Parlamento di una rappresentanza delle autonomie territoriali, attraverso una Commissione mista con i Senatori. Ma, anche qui: perché non ribadire, sia pure in disposizione transitoria, che questa inserzione è solo un prologo valevole “sino alla revisione delle norme” sul Parlamento (come è scritto nella legge costituzionale che nel 2011 delineò quella Commissione)?
E leggendo oltre: possibile che per la futura configurazione delle Camere, nessuno se la sia sentita di confessare che la cosiddetta “circoscrizione Estero” si è rivelata un clamoroso abbaglio giuridico, fonte di imbrogli e divisioni a danno dei nostri concittadini che vivono fuori dai confini nazionali? E che il loro sacrosanto diritto a partecipare alle elezioni dovrebbe invece essere garantito nei modi più ragionevoli ed efficaci in uso presso molti altri Paesi (la Spagna, con la sua cittadinanza sparsa largamente in America Latina, è il primo degli esempi che vengono in mente)?
Così proseguendo: è senz´altro da approvare la “sfiducia costruttiva”. Chi fa cadere un governo ha il dovere di indicare la persona che possa concretamente ricostruirlo. Ed è logico anche che questo tipo di sfiducia – che è nello stesso tempo “fiducia ad un altro” – sia approvata con una maggioranza assoluta, non casuale quindi. Ma perché non prevedere che questo effetto fiduciario possa propagarsi anche all´altra Camera, evitando pericolose ripetizioni? Sarebbe una maniera per intaccare, in un sensibilissimo punto, il tabù di un bicameralismo che, nella “proposta”, rimane invece (quasi) perfetto. D´altra parte, un effetto sostanzialmente simile vi è previsto quando sia invece il governo a prendere l´iniziativa della resa dei conti con le Camere e a porre la questione di fiducia. Una conseguenza coerente con una investitura parlamentare che non va più al governo nel suo complesso ma alla “persona politica” del Presidente del Consiglio (che ha esplicito potere di revoca dei ministri).
Questa dunque la ragione per cui, con tanti interrogativi aperti, sono attenuate le note positive della “proposta”. Ma vi è una seconda ragione per cui il progetto risulta sostanzialmente stonato.
Esso è infatti singolarmente estraneo alla storia politica e istituzionale degli ultimi anni. Certo, siamo in periodo di tregua da conservare: senza cercare abiure né rivincite, ma solo guardando al futuro. Tuttavia non si possono neppure dimenticare le tensioni alle quali sono stati oggettivamente sottoposti appena ieri quasi tutti gli ordinari meccanismi di sicurezza democratica. Solo difese eccezionali hanno contenuto, con il sostegno della pubblica opinione, attacchi ugualmente eccezionali. Con le deformazioni che un po´ tutti lamentano.
Non si può far finta che non sia successo nulla. Il passato prossimo, con i suoi eccessi di potere personale, ha avuto almeno il merito di fare chiarezza sulla debolezza di difese che siano basate soltanto sulla opposizione politico-parlamentare e non rinforzate da meccanismi istituzionali.
Nella “proposta” questo riequilibrio non è neppure accennato. Anzi: si intacca quello che è stato il principale antemurale contro le esondazioni del potere di governo: cioè l´istituto della Presidenza della Repubblica. E lo si vulnera proprio nel suo potere più delicato: quello di scioglimento (o di non-scioglimento) delle Camere nelle crisi politiche.
Si prevede infatti che questa “facoltà” costituzionale possa essere, anche, sollecitata-condizionata dalla proposta del premier (a meno che questi non sia stoppato dalle Camere stesse: con una mozione di autosalvataggio che chiami un altro al posto suo). Naturalmente, non è questa costruzione così complicata che preoccupa. Essa si può sempre semplificare. Quel che stupisce è che di tutta l´affannosa storia degli ultimi anni, la conclusione che se ne trae è che l´unica cosa davvero mancata alla nostra Costituzione, per un magnifico andamento delle cose, sarebbe stata la possibilità per il premier di intromettersi nel potere di scioglimento del Capo dello Stato, intorbitandone la visione super partes.
Una conclusione un po´ paradossale. Anche perché nel testo proposto, non vi è traccia di possibile compensazione con alcune delle più comuni garanzie conosciute dagli ordinamenti statuali dell´Unione europea. Come quella – tanto per restare sulla Presidenza della Repubblica – della necessità di una speciale maggioranza parlamentare per la riapprovazione delle leggi “rinviate” dal Capo dello Stato per difetto di legittimità costituzionale. Né quella della possibilità, altrove indiscussa, per le minoranze parlamentari di ricorrere al tribunale costituzionale prima dell´entrata in vigore di una legge (specie ora che la bozza dà al governo il potere di imporre per i “suoi” testi una data fissa per la decisione parlamentare). E neppure si parla di una maggiore protezione dei regolamenti parlamentari contro colpi di maggioranza (sia pure assoluta). E si potrebbe continuare nella lista dei rimedi possibili per i rischi “emersi” per la Costituzione e per la democrazia. Un lavoro di bilanciamento che potrebbe essere consentito anche nelle attuali condizioni, di tempo e di clima.
Nella “proposta”, invece, silenzio. Come se dopo la Repubblica “dei partiti”, non ci fosse stata una Repubblica “populista” (non ancora estinta): che potrebbe tornare a rifiorire, velenosa, magari sotto altro segno. Possibilità che dovrebbe preoccupare quindi tutti, senza esclusione di parte.
Insomma, vanno benissimo e sono giustificati – non solo in questo momento – i compromessi costituzionali. Né vinti né vincitori. Ma la bilancia finale deve essere in parità oggettiva, nell´interesse generale. A più potere di governo, devono corrispondere più garanzie. Se no, non vale. Ecco perché quella bozza di “proposta” solleva per ora più dubbi che consensi.

La Repubblica 13.03.12

“Il taglio dei parlamentari”, di Andrea Manzella

Nella “proposta” di revisione costituzionale che ha visto, per ora, concordare i maggiori partiti, le cose giuste sono forse più di quelle sbagliate. Eppure questa rilevanza positiva non basta a farne un buon progetto. Perché? Per due ragioni.
La prima è che ogni innovazione positiva contenuta nella bozza, ha come un freno dentro che le impedisce di completarsi. Certo, si capisce che nell´attuale situazione di assideramento parlamentare, certe cose non si possono neppure tentare. Ma la proiezione nel futuro, l´indicazione di una linea evolutiva non potrebbero essere rifiutate neppure dal più conservatore dei deputati o senatori.
Nel concreto: va bene la riduzione del numero totale dei membri delle Camere. Ma siamo sicuri che abbia una sua logica un taglio così semplicemente lineare? O questo non sarebbe più comprensibile, se legato ad un´idea di equilibrio istituzionale: già, fin d´ora, connesso ad un progetto di Camera territoriale, eletta con una cifra magari minore (come in Germania e perfino in Usa) ma con un riferimento significativo a forme di rappresentanza politica locale?
E ancora su questo punto. Benissimo che finalmente (dopo 11 anni) si sia riconosciuta la necessità di attuare l´inserimento in Parlamento di una rappresentanza delle autonomie territoriali, attraverso una Commissione mista con i Senatori. Ma, anche qui: perché non ribadire, sia pure in disposizione transitoria, che questa inserzione è solo un prologo valevole “sino alla revisione delle norme” sul Parlamento (come è scritto nella legge costituzionale che nel 2011 delineò quella Commissione)?
E leggendo oltre: possibile che per la futura configurazione delle Camere, nessuno se la sia sentita di confessare che la cosiddetta “circoscrizione Estero” si è rivelata un clamoroso abbaglio giuridico, fonte di imbrogli e divisioni a danno dei nostri concittadini che vivono fuori dai confini nazionali? E che il loro sacrosanto diritto a partecipare alle elezioni dovrebbe invece essere garantito nei modi più ragionevoli ed efficaci in uso presso molti altri Paesi (la Spagna, con la sua cittadinanza sparsa largamente in America Latina, è il primo degli esempi che vengono in mente)?
Così proseguendo: è senz´altro da approvare la “sfiducia costruttiva”. Chi fa cadere un governo ha il dovere di indicare la persona che possa concretamente ricostruirlo. Ed è logico anche che questo tipo di sfiducia – che è nello stesso tempo “fiducia ad un altro” – sia approvata con una maggioranza assoluta, non casuale quindi. Ma perché non prevedere che questo effetto fiduciario possa propagarsi anche all´altra Camera, evitando pericolose ripetizioni? Sarebbe una maniera per intaccare, in un sensibilissimo punto, il tabù di un bicameralismo che, nella “proposta”, rimane invece (quasi) perfetto. D´altra parte, un effetto sostanzialmente simile vi è previsto quando sia invece il governo a prendere l´iniziativa della resa dei conti con le Camere e a porre la questione di fiducia. Una conseguenza coerente con una investitura parlamentare che non va più al governo nel suo complesso ma alla “persona politica” del Presidente del Consiglio (che ha esplicito potere di revoca dei ministri).
Questa dunque la ragione per cui, con tanti interrogativi aperti, sono attenuate le note positive della “proposta”. Ma vi è una seconda ragione per cui il progetto risulta sostanzialmente stonato.
Esso è infatti singolarmente estraneo alla storia politica e istituzionale degli ultimi anni. Certo, siamo in periodo di tregua da conservare: senza cercare abiure né rivincite, ma solo guardando al futuro. Tuttavia non si possono neppure dimenticare le tensioni alle quali sono stati oggettivamente sottoposti appena ieri quasi tutti gli ordinari meccanismi di sicurezza democratica. Solo difese eccezionali hanno contenuto, con il sostegno della pubblica opinione, attacchi ugualmente eccezionali. Con le deformazioni che un po´ tutti lamentano.
Non si può far finta che non sia successo nulla. Il passato prossimo, con i suoi eccessi di potere personale, ha avuto almeno il merito di fare chiarezza sulla debolezza di difese che siano basate soltanto sulla opposizione politico-parlamentare e non rinforzate da meccanismi istituzionali.
Nella “proposta” questo riequilibrio non è neppure accennato. Anzi: si intacca quello che è stato il principale antemurale contro le esondazioni del potere di governo: cioè l´istituto della Presidenza della Repubblica. E lo si vulnera proprio nel suo potere più delicato: quello di scioglimento (o di non-scioglimento) delle Camere nelle crisi politiche.
Si prevede infatti che questa “facoltà” costituzionale possa essere, anche, sollecitata-condizionata dalla proposta del premier (a meno che questi non sia stoppato dalle Camere stesse: con una mozione di autosalvataggio che chiami un altro al posto suo). Naturalmente, non è questa costruzione così complicata che preoccupa. Essa si può sempre semplificare. Quel che stupisce è che di tutta l´affannosa storia degli ultimi anni, la conclusione che se ne trae è che l´unica cosa davvero mancata alla nostra Costituzione, per un magnifico andamento delle cose, sarebbe stata la possibilità per il premier di intromettersi nel potere di scioglimento del Capo dello Stato, intorbitandone la visione super partes.
Una conclusione un po´ paradossale. Anche perché nel testo proposto, non vi è traccia di possibile compensazione con alcune delle più comuni garanzie conosciute dagli ordinamenti statuali dell´Unione europea. Come quella – tanto per restare sulla Presidenza della Repubblica – della necessità di una speciale maggioranza parlamentare per la riapprovazione delle leggi “rinviate” dal Capo dello Stato per difetto di legittimità costituzionale. Né quella della possibilità, altrove indiscussa, per le minoranze parlamentari di ricorrere al tribunale costituzionale prima dell´entrata in vigore di una legge (specie ora che la bozza dà al governo il potere di imporre per i “suoi” testi una data fissa per la decisione parlamentare). E neppure si parla di una maggiore protezione dei regolamenti parlamentari contro colpi di maggioranza (sia pure assoluta). E si potrebbe continuare nella lista dei rimedi possibili per i rischi “emersi” per la Costituzione e per la democrazia. Un lavoro di bilanciamento che potrebbe essere consentito anche nelle attuali condizioni, di tempo e di clima.
Nella “proposta”, invece, silenzio. Come se dopo la Repubblica “dei partiti”, non ci fosse stata una Repubblica “populista” (non ancora estinta): che potrebbe tornare a rifiorire, velenosa, magari sotto altro segno. Possibilità che dovrebbe preoccupare quindi tutti, senza esclusione di parte.
Insomma, vanno benissimo e sono giustificati – non solo in questo momento – i compromessi costituzionali. Né vinti né vincitori. Ma la bilancia finale deve essere in parità oggettiva, nell´interesse generale. A più potere di governo, devono corrispondere più garanzie. Se no, non vale. Ecco perché quella bozza di “proposta” solleva per ora più dubbi che consensi.

La Repubblica 13.03.12

“Il taglio dei parlamentari”, di Andrea Manzella

Nella “proposta” di revisione costituzionale che ha visto, per ora, concordare i maggiori partiti, le cose giuste sono forse più di quelle sbagliate. Eppure questa rilevanza positiva non basta a farne un buon progetto. Perché? Per due ragioni.
La prima è che ogni innovazione positiva contenuta nella bozza, ha come un freno dentro che le impedisce di completarsi. Certo, si capisce che nell´attuale situazione di assideramento parlamentare, certe cose non si possono neppure tentare. Ma la proiezione nel futuro, l´indicazione di una linea evolutiva non potrebbero essere rifiutate neppure dal più conservatore dei deputati o senatori.
Nel concreto: va bene la riduzione del numero totale dei membri delle Camere. Ma siamo sicuri che abbia una sua logica un taglio così semplicemente lineare? O questo non sarebbe più comprensibile, se legato ad un´idea di equilibrio istituzionale: già, fin d´ora, connesso ad un progetto di Camera territoriale, eletta con una cifra magari minore (come in Germania e perfino in Usa) ma con un riferimento significativo a forme di rappresentanza politica locale?
E ancora su questo punto. Benissimo che finalmente (dopo 11 anni) si sia riconosciuta la necessità di attuare l´inserimento in Parlamento di una rappresentanza delle autonomie territoriali, attraverso una Commissione mista con i Senatori. Ma, anche qui: perché non ribadire, sia pure in disposizione transitoria, che questa inserzione è solo un prologo valevole “sino alla revisione delle norme” sul Parlamento (come è scritto nella legge costituzionale che nel 2011 delineò quella Commissione)?
E leggendo oltre: possibile che per la futura configurazione delle Camere, nessuno se la sia sentita di confessare che la cosiddetta “circoscrizione Estero” si è rivelata un clamoroso abbaglio giuridico, fonte di imbrogli e divisioni a danno dei nostri concittadini che vivono fuori dai confini nazionali? E che il loro sacrosanto diritto a partecipare alle elezioni dovrebbe invece essere garantito nei modi più ragionevoli ed efficaci in uso presso molti altri Paesi (la Spagna, con la sua cittadinanza sparsa largamente in America Latina, è il primo degli esempi che vengono in mente)?
Così proseguendo: è senz´altro da approvare la “sfiducia costruttiva”. Chi fa cadere un governo ha il dovere di indicare la persona che possa concretamente ricostruirlo. Ed è logico anche che questo tipo di sfiducia – che è nello stesso tempo “fiducia ad un altro” – sia approvata con una maggioranza assoluta, non casuale quindi. Ma perché non prevedere che questo effetto fiduciario possa propagarsi anche all´altra Camera, evitando pericolose ripetizioni? Sarebbe una maniera per intaccare, in un sensibilissimo punto, il tabù di un bicameralismo che, nella “proposta”, rimane invece (quasi) perfetto. D´altra parte, un effetto sostanzialmente simile vi è previsto quando sia invece il governo a prendere l´iniziativa della resa dei conti con le Camere e a porre la questione di fiducia. Una conseguenza coerente con una investitura parlamentare che non va più al governo nel suo complesso ma alla “persona politica” del Presidente del Consiglio (che ha esplicito potere di revoca dei ministri).
Questa dunque la ragione per cui, con tanti interrogativi aperti, sono attenuate le note positive della “proposta”. Ma vi è una seconda ragione per cui il progetto risulta sostanzialmente stonato.
Esso è infatti singolarmente estraneo alla storia politica e istituzionale degli ultimi anni. Certo, siamo in periodo di tregua da conservare: senza cercare abiure né rivincite, ma solo guardando al futuro. Tuttavia non si possono neppure dimenticare le tensioni alle quali sono stati oggettivamente sottoposti appena ieri quasi tutti gli ordinari meccanismi di sicurezza democratica. Solo difese eccezionali hanno contenuto, con il sostegno della pubblica opinione, attacchi ugualmente eccezionali. Con le deformazioni che un po´ tutti lamentano.
Non si può far finta che non sia successo nulla. Il passato prossimo, con i suoi eccessi di potere personale, ha avuto almeno il merito di fare chiarezza sulla debolezza di difese che siano basate soltanto sulla opposizione politico-parlamentare e non rinforzate da meccanismi istituzionali.
Nella “proposta” questo riequilibrio non è neppure accennato. Anzi: si intacca quello che è stato il principale antemurale contro le esondazioni del potere di governo: cioè l´istituto della Presidenza della Repubblica. E lo si vulnera proprio nel suo potere più delicato: quello di scioglimento (o di non-scioglimento) delle Camere nelle crisi politiche.
Si prevede infatti che questa “facoltà” costituzionale possa essere, anche, sollecitata-condizionata dalla proposta del premier (a meno che questi non sia stoppato dalle Camere stesse: con una mozione di autosalvataggio che chiami un altro al posto suo). Naturalmente, non è questa costruzione così complicata che preoccupa. Essa si può sempre semplificare. Quel che stupisce è che di tutta l´affannosa storia degli ultimi anni, la conclusione che se ne trae è che l´unica cosa davvero mancata alla nostra Costituzione, per un magnifico andamento delle cose, sarebbe stata la possibilità per il premier di intromettersi nel potere di scioglimento del Capo dello Stato, intorbitandone la visione super partes.
Una conclusione un po´ paradossale. Anche perché nel testo proposto, non vi è traccia di possibile compensazione con alcune delle più comuni garanzie conosciute dagli ordinamenti statuali dell´Unione europea. Come quella – tanto per restare sulla Presidenza della Repubblica – della necessità di una speciale maggioranza parlamentare per la riapprovazione delle leggi “rinviate” dal Capo dello Stato per difetto di legittimità costituzionale. Né quella della possibilità, altrove indiscussa, per le minoranze parlamentari di ricorrere al tribunale costituzionale prima dell´entrata in vigore di una legge (specie ora che la bozza dà al governo il potere di imporre per i “suoi” testi una data fissa per la decisione parlamentare). E neppure si parla di una maggiore protezione dei regolamenti parlamentari contro colpi di maggioranza (sia pure assoluta). E si potrebbe continuare nella lista dei rimedi possibili per i rischi “emersi” per la Costituzione e per la democrazia. Un lavoro di bilanciamento che potrebbe essere consentito anche nelle attuali condizioni, di tempo e di clima.
Nella “proposta”, invece, silenzio. Come se dopo la Repubblica “dei partiti”, non ci fosse stata una Repubblica “populista” (non ancora estinta): che potrebbe tornare a rifiorire, velenosa, magari sotto altro segno. Possibilità che dovrebbe preoccupare quindi tutti, senza esclusione di parte.
Insomma, vanno benissimo e sono giustificati – non solo in questo momento – i compromessi costituzionali. Né vinti né vincitori. Ma la bilancia finale deve essere in parità oggettiva, nell´interesse generale. A più potere di governo, devono corrispondere più garanzie. Se no, non vale. Ecco perché quella bozza di “proposta” solleva per ora più dubbi che consensi.

La Repubblica 13.03.12

Quota 96: dibattito sulle questioni aperte del comparto scuola

Il 19 gennaio sul post Milleproroghe: Pd, importanti passi avanti su scuola e università ha preso avvio una partecipata discussione in merito alla proposta di differire al 31 agosto 2012, nel comparto scuola, il termine di applicazione della riforma Fornero.
La discussione è proseguita sul post Quota 96.

Dopo l’avvio della causa legale e la costituzione del Comitato, commenti, proposte e riflessioni in ordine alla causa stessa così come quesiti personali potranno essere indirizzati al nuovo sito Comitato civico Quota 96.

Questa nuova pagina è invece a disposizione per chi voglia proseguire il dibattito sulle pensioni o su altre tematiche del mondo della scuola

Consumi famiglie, l'Italia torna indietro. "Tornati alla situazione di 30 anni fa"

La crisi pesa direttamente sui consumi: prodotti alimentari, bevande e tabacco hanno mostrato un calo dell’1,5% a prezzi costanti. Lo segnala un rapporto Intesa San Paolo. Famiglie italiane in difficoltà con il carrello della spesa: sul mercato nazionale i consumi di prodotti alimentari, bevande e tabacco hanno mostrato un calo dell’1,5% a prezzi costanti. Lo segnala un rapporto Intesa Sanpaolo, affermando che in termini di spesa pro capite il dato 2011 riporta i livelli indietro di quasi 30 anni. Nel rapporto, si legge infatti che “si deve tornare ai primi anni ’80 per scendere al di sotto dei 2.400 euro annui destinati al comparto agro-alimentare.

In particolare, si legge nel rapporto, “si tratta in parte di un trend strutturale legato al minore consumo di alcune voci, come il tabacco, ma che segnala anche le evidenti difficoltà del consumatore italiano che, a fronte delle tensioni sul mercato del lavoro e sul reddito disponibile, riduce ulteriormente gli sprechi e modera gli acquisti anche in un comparto dei bisogni poco comprimibili come l’agroalimentare”.

Nel rapporto, si evidenzia inoltre che “l’incremento della disoccupazione unito agli effetti delle manovre di correzione dei conti pubblici sulle famiglie fanno prevedere una nuova riduzione dei consumi”. Consumi che “continueranno ad essere molto prudenti a fronte di risorse reddituali sempre più scarse”.

DA repubblica.it

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Crisi, Fassina: “Necessario sostegno alla crescita”

“I dati di oggi sulla spesa delle famiglie nel 2011 e sulle retribuzioni, come i dati sulla disoccupazione dei giorni scorsi, non sorprendono. Sono, purtroppo, la conseguenza inevitabile di una linea di politica economica sbagliata che i conservatori tedeschi impongono da tre anni all’area euro”, ha dichiarato Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro della Segreteria del Partito Democratico.

“Non è in discussione la “cultura della stabilità” e la riduzione del debito pubblico. E’ in discussione il percorso per raggiungerli. L’area euro e l’Italia sono in un circolo vizioso: economie in recessione, aumento della disoccupazione e continuo aumento dei debiti pubblici. In tale contesto di finanza pubblica – ha concluso l’esponente democratico – è illusorio sperare nelle liberalizzazioni e nell’approfondimento del mercato unico come fattori di sviluppo. E’ come mettere benzina in un motore ingrippato. E’ necessaria un’inversione di rotta nell’area euro da attuare attraverso il sostegno alla spesa per investimenti, misure di correzione delle insostenibili disuguaglianze e l’aumento della domanda interna nei Paesi in attivo di bilancia commerciale. Sono i punti di un’agenda progressista di cui l’Unione europea ha urgente bisogno”.

www.partitodemocratico.it

Consumi famiglie, l’Italia torna indietro. “Tornati alla situazione di 30 anni fa”

La crisi pesa direttamente sui consumi: prodotti alimentari, bevande e tabacco hanno mostrato un calo dell’1,5% a prezzi costanti. Lo segnala un rapporto Intesa San Paolo. Famiglie italiane in difficoltà con il carrello della spesa: sul mercato nazionale i consumi di prodotti alimentari, bevande e tabacco hanno mostrato un calo dell’1,5% a prezzi costanti. Lo segnala un rapporto Intesa Sanpaolo, affermando che in termini di spesa pro capite il dato 2011 riporta i livelli indietro di quasi 30 anni. Nel rapporto, si legge infatti che “si deve tornare ai primi anni ’80 per scendere al di sotto dei 2.400 euro annui destinati al comparto agro-alimentare.

In particolare, si legge nel rapporto, “si tratta in parte di un trend strutturale legato al minore consumo di alcune voci, come il tabacco, ma che segnala anche le evidenti difficoltà del consumatore italiano che, a fronte delle tensioni sul mercato del lavoro e sul reddito disponibile, riduce ulteriormente gli sprechi e modera gli acquisti anche in un comparto dei bisogni poco comprimibili come l’agroalimentare”.

Nel rapporto, si evidenzia inoltre che “l’incremento della disoccupazione unito agli effetti delle manovre di correzione dei conti pubblici sulle famiglie fanno prevedere una nuova riduzione dei consumi”. Consumi che “continueranno ad essere molto prudenti a fronte di risorse reddituali sempre più scarse”.

DA repubblica.it

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Crisi, Fassina: “Necessario sostegno alla crescita”

“I dati di oggi sulla spesa delle famiglie nel 2011 e sulle retribuzioni, come i dati sulla disoccupazione dei giorni scorsi, non sorprendono. Sono, purtroppo, la conseguenza inevitabile di una linea di politica economica sbagliata che i conservatori tedeschi impongono da tre anni all’area euro”, ha dichiarato Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro della Segreteria del Partito Democratico.

“Non è in discussione la “cultura della stabilità” e la riduzione del debito pubblico. E’ in discussione il percorso per raggiungerli. L’area euro e l’Italia sono in un circolo vizioso: economie in recessione, aumento della disoccupazione e continuo aumento dei debiti pubblici. In tale contesto di finanza pubblica – ha concluso l’esponente democratico – è illusorio sperare nelle liberalizzazioni e nell’approfondimento del mercato unico come fattori di sviluppo. E’ come mettere benzina in un motore ingrippato. E’ necessaria un’inversione di rotta nell’area euro da attuare attraverso il sostegno alla spesa per investimenti, misure di correzione delle insostenibili disuguaglianze e l’aumento della domanda interna nei Paesi in attivo di bilancia commerciale. Sono i punti di un’agenda progressista di cui l’Unione europea ha urgente bisogno”.

www.partitodemocratico.it