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“Il partito che non serve”, di Francesco Cundari

Si dice che le recenti tensioni tra Pdl e governo siano semplicemente la prova che la campagna elettorale per le amministrative è cominciata. Ma a giudicare dall`agitazione che caratterizza partiti vecchi e nuovi, e attorno a loro movimenti, giornali, leadership già affermate o in formazione, non pare una campagna destinata a chiudersi tra pochi mesi. Tanta agitazione e tanto fervore di iniziative non si giustificano, evidentemente, con il rinnovo di qualche consiglio comunale, per quanto importante.

Da questo vortice di legittime aspirazioni politiche e non celate ambizioni personali è bene che la Fiom sia tenuta al riparo. Se la battaglia contro la discriminazione degli operai iscritti alla Fiom negli stabilimenti Fiat è oscurata anche solo per un istante dagli insulti al segretario del Pd pronunciati dal palco della manifestazione di ieri, o dai fischi alla stessa Cgil, o dalle piccole rivalità tra gli esponenti del centrosinistra presenti al corteo, non ne viene un grande aiuto alla battaglia del sindacato.

Battaglia che è già abbastanza difficile.

Di fronte a un attacco di inedita asprezza e radicalità come quello guidato da Sergio Marchionne negli ultimi due anni, è comprensibile che Maurizio Landini si sia preoccupato anzitutto di evitare l`isolamento della sua organizzazione, anche nel dibattito pubblico, che in Italia è quello che è.

Da tempo tira una gran brutta aria, nel nostro Paese, per operai e sindacati. E non sono stati in molti a contrastare per tempo l`offensiva di Marchionne, nemmeno a sinistra.

Un`offensiva cominciata a Pomigliano e culminata nell`uscita di Fiat da Confindustria, con l`esplicito tentativo di imporre la linea della rottura all`intera imprenditoria italiana.

Le note stonate della manifestazione di ieri, ovviamente, non tolgono nulla all`importanza di questa battaglia, in cui il sindacato non può essere lasciato solo, per nessuna ragione. Ma sono la spia di un contesto politico e sociale in fermento, in cui si mescolano istanze diverse e contraddittorie, in una generale ansia di rinnovamento che rischia di tradire molto presto le sue promesse, proprio come vent`anni fa.

Lo dimostra il ritorno in campo di un vecchissimo armamentario di slogan e parole d`ordine contro la politica e contro i partiti che ha avuto grande fortuna all`inizio degli anni Novanta, con la crisi della Prima Repubblica. E lo dimostra anche l`incontenibile attivismo di tanti amministratori locali, già stanchi di un lavoro spesso appena cominciato, ma faticoso e prezioso come quello del sindaco o del presidente di Regione, e impegnatissimi a costruirsi il trampolino verso un impegno nazionale da protagonisti.

Da questo magma indistinto emerge quindi sui mezzi di comunicazione un paradossale miscuglio di sindaci-sceriffi e no tav, decisionismo e assemblearismo, sostenitori del mercato come unico argine alla corruzione dello Stato e sostenitori dello Stato come unico argine alla corruzione del mercato.

Venti anni fa, il più rapido e il più abile a cavalcare una simile onda, con tutte le sue contraddizioni, fu proprio il Cavaliere. Sarebbe bene, pertanto, evitare di ripetere gli stessi errori di allora. Non perché Silvio Berlusconi, ormai, rappresenti ancora una minaccia reale. Ma perché i berlusconiani sono molto più numerosi di quel che possa apparire a prima vista, e non stanno solamente nel Pdl.

L’Unità 10.03.12

Gas Rivara, in settimana il Governo risponde alla Camera

Fissato il “Question time” sull’interrogazione urgente degli on. Ghizzoni e Miglioli. Mentre i cittadini e i rappresentanti delle istituzioni locali partecipano a una nuova manifestazione di protesta contro il progetto di un deposito interrato di gas a Rivara, il caso approda sul tavolo del Governo Monti. A metà settimana, un rappresentante del Governo è chiamato a rispondere nel corso del “Question time” alla Camera ad una interrogazione urgente presentata dai parlamentari Pd Manuela Ghizzoni e Ivano Miglioli.

E’ slittato a metà della prossima settimana, a causa del voto di fiducia, il “Question time” alla Camera nel corso del quale un rappresentante del Governo Monti è stato chiamato dai parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Ivano Miglioli a rendere chiaro il pensiero dell’Esecutivo sul progetto di un deposito di gas interrato a Rivara. I deputati del Pd hanno, infatti, presentato una interrogazione a risposta immediata al ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, un documento che ricorda il lungo e tormentato iter del progetto e, soprattutto, l’assoluta contrarietà espressa dai cittadini e dalle istituzioni locali del territorio interessato dal progetto stesso. La nuova interrogazione (un testo avente il medesimo oggetto era già stato depositato in precedenza dai parlamentari modenesi) si concentra sull’ultimo atto di questa vicenda, la decisione del Ministero dell’ambiente di consentire la fase di accertamento del progetto: “Sembra all’interrogante – si legge nel testo – che la citata pronuncia sia viziata da alcune evidenti anomalie, in particolare, risulta che non siano state tenute in debito conto le forti perplessità avanzate dall’ISPRA in relazione alla adeguatezza della fase di accertamento, rispetto alla quale così si esprime: “si ritiene… che i risultati ottenuti da essa non possano in alcun modo essere presi a sostegno di una decisione tecnico-scientifica motivata circa la prosecuzione del progetto”. Tenendo conto anche di questo nuovo elemento, i deputati Ghizzoni e Miglioli chiedono al Governo se non pensa che sia il caso di “rivedere la propria decisione mettendo così fine ad una vicenda che da ormai un decennio genera preoccupazione nella popolazione interessata e con ogni probabilità non porterà alla realizzazione dello stoccaggio, considerata, giova ribadirlo, la nota e più volte affermata, ostilità della Regione Emilia Romagna”.

"Quella piazza, una cosa seria", di Giuseppe Civati

Va detto subito, a scanso di ulteriori equivoci: la questione della Tav e dell’opposizione al tunnel tra Torino e Lione che ha indotto il Pd a non partecipare non è certo il tema dominante di una manifestazione che punta soprattutto, negli interventi dal palco e negli slogan del corteo, alla questione della democrazia e dei diritti del lavoro.
E chi prende la parola a nome dei No Tav, per esprimere il proprio dissenso nei confronti dell’opera, lo fa con un discorso molto articolato e ragionevole. Ed è un iscritto al Pd. È una manifestazione operaia, che si rivolge al lavoro in tutte le sue forme, e che richiama la politica, prima di tutto, al rispetto della Costituzione italiana. I toni sono seri, non esasperati, il conflitto si manifesta attraverso un punto di vista che va prima di tutto rispettato, in questa fase così delicata per la vita economica del nostro paese. Poi dopo ci si divide, certo, ma va detto questa manifestazione della Fiom è stata una cosa molta seria.
E poi la famosa questione del «vengo o non vengo», in cui caschiamo ogni volta che la piazza si riempie, dal NoB Day in poi, è risolta mirabilmente da un altro democratico che espone la bandiera del Pd, quando il corteo gira dietro Santa Maria degli Angeli.
Viene da Vignola, in provincia di Modena, e mi spiega che sul suo pullman la metà hanno la tessera del Pd in tasca. E così tanti altri, che si manifestano durante il corteo, raccontandomi la propria storia di militanti del Pd e di iscritti al sindacato.
Forse vivere le cose con un minore tasso di politicismo, potrebbe essere salutare: perché poi le manifestazioni si fanno, le piazze si riempiono e il Pd passa più tempo a chiedersi se fare il biglietto del treno (a proposito di Tav) che a interrogarsi circa le richieste dei manifestanti e delle modalità con cui si organizzano e si rappresentano.
Anche perché il motivo per esserci non era quello di aderire alla piattaforma della Fiom o di sposare la linea dell’opposizione al governo Monti, ma di cercare quella rappresentanza che manca, quella relazione da ricostruire, che in Italia riguarda la Fiom e molti altri cittadini.
La preoccupazione per la distanza tra le persone e la politica istituzionale è richiamata da Maurizio Landini nelle battute conclusive del suo discorso in piazza San Giovanni. Landini ricorda che quella distanza va colmata e non chiede alle forze politiche di aderire alle richieste della Fiom, ma di porre attenzione ad esse. E non solo: di considerare il disagio del mondo del lavoro, così come Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati e reintegrati dalla Fiat di Melfi, cita Enrico Berlinguer e la necessità di prendersi cura del popolo che lavora.
In piazza sventolano bandiere di altri tempi, è vero, ma l’attualità di questa manifestazione c’è tutta e ruota intorno a quello che è il tema del momento, per molti motivi: che poi non è nient’altro che la questione democratica, in cui si incrociano diritti civili e possibilità materiali. E di un conflitto che si possa manifestare in forme responsabili, e come tale deve essere preso in considerazione.
Soltanto il 4% della popolazione dice di avere qualche fiducia nei confronti dei partiti. Ogni settimana si rincorrono notizie di malaffare, distrazione di risorse, privilegi del mondo della politica. Da Milano in giù.
Il governo Monti è, comunque lo si giudichi, e personalmente non lo giudico affatto male, frutto di una operazione di vertice. E, anche in relazione a questa stagione di governo, non dimentichiamolo, il fallimento della politica, espressione imprecisa e però popolarissima, è ormai un luogo comune per tutti: espresso da molti con rabbia, da alcuni con rammarico, arriva nel momento in cui di politica ci sarebbe più bisogno.
La vita è fatta di priorità e la vita politica non fa difetto. Questa volta non era il posizionamento all’interno del centrosinistra o del partito quello che contava, ma la capacità di mantenere un rapporto con il mondo del lavoro. Per questo aveva senso manifestare con semplicità la propria attenzione, e il proprio impegno perché le cose cambino, con le iniziative di Monti, ma con il concorso dei molti. E non è un gioco di parole.

da Europa Quotidiano 10.03.12

“Quella piazza, una cosa seria”, di Giuseppe Civati

Va detto subito, a scanso di ulteriori equivoci: la questione della Tav e dell’opposizione al tunnel tra Torino e Lione che ha indotto il Pd a non partecipare non è certo il tema dominante di una manifestazione che punta soprattutto, negli interventi dal palco e negli slogan del corteo, alla questione della democrazia e dei diritti del lavoro.
E chi prende la parola a nome dei No Tav, per esprimere il proprio dissenso nei confronti dell’opera, lo fa con un discorso molto articolato e ragionevole. Ed è un iscritto al Pd. È una manifestazione operaia, che si rivolge al lavoro in tutte le sue forme, e che richiama la politica, prima di tutto, al rispetto della Costituzione italiana. I toni sono seri, non esasperati, il conflitto si manifesta attraverso un punto di vista che va prima di tutto rispettato, in questa fase così delicata per la vita economica del nostro paese. Poi dopo ci si divide, certo, ma va detto questa manifestazione della Fiom è stata una cosa molta seria.
E poi la famosa questione del «vengo o non vengo», in cui caschiamo ogni volta che la piazza si riempie, dal NoB Day in poi, è risolta mirabilmente da un altro democratico che espone la bandiera del Pd, quando il corteo gira dietro Santa Maria degli Angeli.
Viene da Vignola, in provincia di Modena, e mi spiega che sul suo pullman la metà hanno la tessera del Pd in tasca. E così tanti altri, che si manifestano durante il corteo, raccontandomi la propria storia di militanti del Pd e di iscritti al sindacato.
Forse vivere le cose con un minore tasso di politicismo, potrebbe essere salutare: perché poi le manifestazioni si fanno, le piazze si riempiono e il Pd passa più tempo a chiedersi se fare il biglietto del treno (a proposito di Tav) che a interrogarsi circa le richieste dei manifestanti e delle modalità con cui si organizzano e si rappresentano.
Anche perché il motivo per esserci non era quello di aderire alla piattaforma della Fiom o di sposare la linea dell’opposizione al governo Monti, ma di cercare quella rappresentanza che manca, quella relazione da ricostruire, che in Italia riguarda la Fiom e molti altri cittadini.
La preoccupazione per la distanza tra le persone e la politica istituzionale è richiamata da Maurizio Landini nelle battute conclusive del suo discorso in piazza San Giovanni. Landini ricorda che quella distanza va colmata e non chiede alle forze politiche di aderire alle richieste della Fiom, ma di porre attenzione ad esse. E non solo: di considerare il disagio del mondo del lavoro, così come Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati e reintegrati dalla Fiat di Melfi, cita Enrico Berlinguer e la necessità di prendersi cura del popolo che lavora.
In piazza sventolano bandiere di altri tempi, è vero, ma l’attualità di questa manifestazione c’è tutta e ruota intorno a quello che è il tema del momento, per molti motivi: che poi non è nient’altro che la questione democratica, in cui si incrociano diritti civili e possibilità materiali. E di un conflitto che si possa manifestare in forme responsabili, e come tale deve essere preso in considerazione.
Soltanto il 4% della popolazione dice di avere qualche fiducia nei confronti dei partiti. Ogni settimana si rincorrono notizie di malaffare, distrazione di risorse, privilegi del mondo della politica. Da Milano in giù.
Il governo Monti è, comunque lo si giudichi, e personalmente non lo giudico affatto male, frutto di una operazione di vertice. E, anche in relazione a questa stagione di governo, non dimentichiamolo, il fallimento della politica, espressione imprecisa e però popolarissima, è ormai un luogo comune per tutti: espresso da molti con rabbia, da alcuni con rammarico, arriva nel momento in cui di politica ci sarebbe più bisogno.
La vita è fatta di priorità e la vita politica non fa difetto. Questa volta non era il posizionamento all’interno del centrosinistra o del partito quello che contava, ma la capacità di mantenere un rapporto con il mondo del lavoro. Per questo aveva senso manifestare con semplicità la propria attenzione, e il proprio impegno perché le cose cambino, con le iniziative di Monti, ma con il concorso dei molti. E non è un gioco di parole.

da Europa Quotidiano 10.03.12

Dl Semplificazioni: come lo abbiamo migliorato

I 16 punti dove il decreto è migliorato alla Camera grazie agli emendamenti del PD
PROGRAMMA TRIENNALE TAGLIA-COSTI P.A. Per far fronte ai costi gonfiati del settore pubblico abbiamo previsto un programma triennale di taglio dei costi della pubblica amministrazione (P.a) attraverso la riduzione degli «adempimenti ridondanti» o «eccessivi» rispetto alle «esigenze di tutela degli interessi pubblici». Il testo dell’emendamento prevede che entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento la presidenza del Consiglio dei ministri emani un decreto con il «Programma 2012-2015 per la riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle amministrazioni pubbliche nelle materie di competenza statale».

Programma che viene poi verificato dal parlamento visto che «entro il 31 gennaio di ogni anno il ministro della Pubblica amministrazione rende comunicazioni alle Camere sullo sviluppo e sui risultati delle politiche di semplificazione nell’anno precedente».

MARCA DA BOLLO TELEMATICA. Prevista la marca da bollo per via telematica. «Al fine di consentire ai cittadini e imprese di assolvere per via telematica a tutti gli obblighi connessi all’invio di un’istanza a una pubblica amministrazione o a un qualsivoglia ente», si legge nell’emendamento, «sono stabilite le modalità per il calcolo e il pagamento dell’imposta di bollo per via telematica anche attraverso l’utilizzo di carte di credito, di debito o prepagate». Una misura che consente di evitare che, come accade in molti casi, la documentazione debba essere inviata non solo on line ma anche per via cartacea per adempiere al pagamento della marca da bollo.

PAGAMENTO MULTE ONLINE. Si prevede l’obbligo per le amministrazioni di pubblicare sul proprio sito i codici Iban sui quali il cittadino può fare il versamento per sanzioni per via telematica.. La norma scatta entro un mese e mezzo dall’entrata in vigore del dl semplificazioni.

OK A USO PERMESSI INVALIDI IN TUTTA ITALIA. I permessi di parcheggio per gli invalidi varranno anche fuori dal comune di residenza. L’emendamento stabilisce che con un decreto del ministro dei Trasporti, previo parere della conferenza unificata, sono disciplinate le modalità per il riconoscimento della validità su tutto il territorio nazionale del contrassegno invalidi.2

DURATA DELLE ESENZIONI DEI MALATI CRONICI. L’emendamento in materia di “durata” delle esenzioni dal pagamento delle prestazioni sanitarie per i malati cronici è di grande impatto per la vita di molti cittadini. Ad oggi, sono stabilite a livello nazionale le tipologie di patologie croniche o malattie rare cui è associata l’esenzione dal pagamento di tutte (o di parte) delle prestazioni sanitarie. Tuttavia non è fissata, per ciascuna esenzione, la relativa durata. Questo viene successivamente fatto in alcune Regioni, ma non in tutte, con la conseguenza per i cittadini di dover ripetere ogni anno gli adempimenti necessari per ottenere l’esenzione; anche in presenza di cronicità che non sono, purtroppo, suscettibili di miglioramento clinico o di risoluzione. Con la disposizione introdotta invece, la durata delle esenzioni verrà definita a livello nazionale.

ACQUSIZIONE D’UFFICIO DEL DOCUMENTO UNICO DI REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA. La novità consiste nel fatto, non poco rilevante per le imprese, che “nell’ambito dei lavori pubblici e privati dell’edilizia, le amministrazioni pubbliche acquisiscono d’ufficio il documento unico di regolarità contributiva”.

SANITÀ DIGITALE. Abbiamo approvato un emendamento che prevede, nei piani sanitari nazionale e regionali, l’utilizzo e l’implementazione delle risorse, delle soluzioni e delle tecnologie informatiche di rete, come nello specifico l’uso della cartella clinica elettronica e dei sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture da parte dei cittadini che possono essere un eccellente contributo per migliorare la qualità dell’assistenza medica, ridurre i costi e favorire l’autonomia delle persone.

TELECOMUNICAZIONI. LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI ACCESSORI SULL’ULTIMO MIGLIO. In Italia, Telecom Italia detiene oltre il 97% delle linee fisiche di accesso ai clienti finali, dopo oltre 10 anni dall’avvio del processo di liberalizzazione. Ciò impone agli operatori alternativi di poter accedere a tale infrastruttura essenziale in modo condizionato ed a costi molto alti. Vi è, dunque, un vincolo per gli operatori concorrenti di acquistare tali servizi unitamente al servizio di affitto della risorsa fisica, nonostante Telecom Italia affidi poi normalmente la gestione di tali attività accessorie ad aziende esterne. L’accoglimento della nostra proposta favorisce l’avvio di un processo di liberalizzazione di tali servizi accessori a beneficio dei consumatori, che potrebbero avere vantaggi sia in termini economici che qualitativi, ma anche per le aziende fornitrici di tali servizi che potrebbero ricevere commesse non solo da Telecom Italia ma anche dagli operatori alternativi.

CERTIFICATO ANTIMAFIA. In base alle nuove regole introdotte dal gruppo Pd le amministrazioni, anziché aspettare la documentazione dell’impresa, dovranno sempre acquisire d’ufficio i certificati antimafia.

AUTOCERTIFICAZIONE IMMIGRATI. Dal 1 gennaio 2013 anche gli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese potranno usufruire a pieno titolo della possibilità di autocertificazione e questo inciderà molto positivamente sui tempi di rinnovo dei permessi di soggiorno.3

SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO. La semplificazione dei controlli sulle imprese non si applicherà in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il rischio sarebbe stato quello di diminuire i controlli e la loro efficacia in un momento nel quale gli incidenti mortali si susseguono.

PREMIALITÀ PER LE PMI. Tra i criteri di selezione dei progetti di ricerca da finanziare sono previste misure premiali per quelli presentati da piccole e medie imprese.

BENI DI INTERESSE TURISTICO CONFISCATI ALLA MAFIA. Abbiamo corretto il decreto legge, nel rispetto del codice antimafia, prevedendo che anche questi beni siano affidati agli enti e alle associazioni a titolo gratuito e non oneroso come previsto dal decreto.

SCUOLA. Il Pd rivendica di aver sollevato come l’articolo 50 del decreto semplificazioni fosse totalmente insufficiente a dare risposte all’offerta formativa delle scuole. La proposta approvata, che il Pd giudica solo un primo timido inizio, introduce due elementi di novità: la prima riguarda la possibilità di mettere a disposizione del ministero dell’Istruzione una parte dei risparmi derivati dai tagli di organico della Gelmini e la seconda l’impegno del governo a ricontrattare con i concessionari dei giochi la destinazione di una parte delle risorse ricavate per la scuola in analogia a quanto già avviene per i beni culturali.

DIGITALIZZAZIONE E RIORGANIZZAZIONE. Le funzioni legate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, “funzioni ICT”, nei comuni saranno obbligatoriamente ed esclusivamente esercitate in forma associata da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti. Il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni, che sono tenuti ad esercitare le funzioni ICT in forma associata, deve raggiungere è fissato in 30.000 abitanti.

AGENDA DIGITALE. Abbiamo approvato gli obiettivi che la cabina di regia per l’agenda digitale, istituita ne decreto, deve perseguire tra cui si ricordano, in particolare, la promozione del paradigma dei dati aperti (open data) quale modello di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, al fine di creare strumenti e servizi innovativi, il potenziamento delle applicazioni di amministrazione digitale (e-government) per il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese, per favorire la partecipazione attiva degli stessi alla vita pubblica e per realizzare un’amministrazione aperta e trasparente nonché la promozione della diffusione e del controllo di architetture di cloud computing per le attività e i servizi delle pubbliche amministrazioni.

www.partitodemocratico.it

"Lo sgarbo di Cameron", di James Waltson

Finché riesci nel tuo intento, non seguire le regole può anche andar bene. Ma quando un’operazione fallisce, specialmente se si tratta di un’operazione militare che mette a repentaglio delle vite, allora la colpa ti ricadrà inevitabilmente addosso. E doppiamente: per il fallimento dell’operazione in sé, e per la violazione delle regole.
Da un punto di vista eminentemente tattico, il tentativo di salvare Lamolinara e McManus – gli ostaggi italiani e britannici nella Nigeria del nord – è chiaramente risultato un fiasco.
Se la ricostruzione di una sparatoria durata sette ore tra rapitori e liberatori verrà confermata, allora c’erano ben poche possibilità che gli ostaggi ne uscissero vivi.
Fosse andato tutto per il meglio, è ipotizzabile che gli italiani avrebbero quanto meno lamentato l’esser stati tenuti all’oscuro del piano, ma il fatto sarebbe passato in secondo piano rispetto alla liberazione degli ostaggi.
Invece, con due uomini morti, la polemica fra i due paesi si fa seria.
E quell’assenza di comunicazioni fra la Farnesina e il Foreign Office nei nove mesi dal loro rapimento pare inconcepibile. Se è così, allora il biasimo ricade su ambo le parti. Ma è anche possibile che i servizi segreti e le forze speciali dei due paesi non stessero cooperando appieno.
C’è da dire che innanzitutto le spie tendono a diffidare dal condividere informazioni con chiunque, anche quando si tratta di alleati stretti.
Allo stesso modo le forze speciali esitano a organizzare operazioni congiunte laddove siano necessari un alto livello di fiducia e di coordinamento.
Sia in Iraq che in Afghanistan si sono verificati casi di rapimento durante i quali le forze speciali e i servizi segreti italiani sono stati accusati di aver pagato il riscatto per gli ostaggi, o di aver stretto qualche tipo di accordo sottobanco con i signori della guerra locali. Che questa sia o no la verità, simili accuse potrebbero facilmente aver dissuaso l’intelligence e le forze speciali britanniche dall’aprirsi alle loro controparti italiane, e questo soprattutto nel contesto nigeriano, dove le diverse fazioni in gioco rendono le operazioni segrete particolarmente ardue.
La distanza politica, invece, è meno facile da spiegare. Nella dichiarazione di Cameron salta agli occhi l’aver ignorato il ruolo dell’Italia.
Al momento del rapimento, infatti, ha detto: «Stiamo lavorando con le autorità nigeriane». Non con le autorità italiane e nigeriane. Ancora: la decisione di organizzare l’operazione è stata presa «in accordo con le autorità nigeriane», non con le autorità italiane e nigeriane.
Era come se il governo italiano fosse irrilevante nel decidere il destino di un cittadino italiano. Vero è che la Gran Bretagna ha legami molto più stretti con la Nigeria che con l’Italia, legami della politica, delle forze di polizia e militari risalenti in parte al passato coloniale, ma soprattutto dovuti all’attuale cooperazione nella lotta al crimine organizzato e nella prevenzione al terrorismo, nonché a legami umani e commerciali tra i due paesi.
Gran Bretagna e Francia tutt’oggi considerano l’Africa occidentale una propria responsabilità, e i loro interventi militari in Sierra Leone e Costa d’Avorio nell’ultimo decennio sono stati considerati un successo, legale e apprezzato. Nulla di tutto ciò, tuttavia, giustifica l’aver ignorato un partner e alleato europeo. Cioè l’aver ignorato l’Italia. Così come è successo con le autorità indiane, che hanno arrestato i due marò italiani in un modo che è probabilmente illegale, dato che quasi certamente non avrebbero l’autorità per investigare un crimine commesso in acque internazionali. Insomma, due schiaffi in faccia nel giro di una settimana.
Cosa che, nell’opinione di chi scrive, evidenzia due punti.
Il primo è la prolungata condizione di debolezza dell’Italia in politica estera. Il suo status e il suo prestigio sono sempre stati inferiori a ciò che la sua mole e le sue risorse dovrebbero garantirle. Tante sono le ragioni per questo suo farsi “peso piuma”. Le intemperanze di Berlusconi, di recente; la debolezza strutturale dei governi Prodi; e ancor prima l’ambiguità italiana, ciò che Sergio Romano ha definito «l’ansia di partecipare e il desiderio di eludere le regole della partecipazione». La ritrovata sicurezza di sé generata da Monti e Napolitano non basta a mutarne la percezione.
Il punto successivo è che, ancora una volta, la speranza di dotarsi di una politica estera comune europea è più lontana che mai dal concretizzarsi.

da Europa Quotidiano 10.03.12

“Lo sgarbo di Cameron”, di James Waltson

Finché riesci nel tuo intento, non seguire le regole può anche andar bene. Ma quando un’operazione fallisce, specialmente se si tratta di un’operazione militare che mette a repentaglio delle vite, allora la colpa ti ricadrà inevitabilmente addosso. E doppiamente: per il fallimento dell’operazione in sé, e per la violazione delle regole.
Da un punto di vista eminentemente tattico, il tentativo di salvare Lamolinara e McManus – gli ostaggi italiani e britannici nella Nigeria del nord – è chiaramente risultato un fiasco.
Se la ricostruzione di una sparatoria durata sette ore tra rapitori e liberatori verrà confermata, allora c’erano ben poche possibilità che gli ostaggi ne uscissero vivi.
Fosse andato tutto per il meglio, è ipotizzabile che gli italiani avrebbero quanto meno lamentato l’esser stati tenuti all’oscuro del piano, ma il fatto sarebbe passato in secondo piano rispetto alla liberazione degli ostaggi.
Invece, con due uomini morti, la polemica fra i due paesi si fa seria.
E quell’assenza di comunicazioni fra la Farnesina e il Foreign Office nei nove mesi dal loro rapimento pare inconcepibile. Se è così, allora il biasimo ricade su ambo le parti. Ma è anche possibile che i servizi segreti e le forze speciali dei due paesi non stessero cooperando appieno.
C’è da dire che innanzitutto le spie tendono a diffidare dal condividere informazioni con chiunque, anche quando si tratta di alleati stretti.
Allo stesso modo le forze speciali esitano a organizzare operazioni congiunte laddove siano necessari un alto livello di fiducia e di coordinamento.
Sia in Iraq che in Afghanistan si sono verificati casi di rapimento durante i quali le forze speciali e i servizi segreti italiani sono stati accusati di aver pagato il riscatto per gli ostaggi, o di aver stretto qualche tipo di accordo sottobanco con i signori della guerra locali. Che questa sia o no la verità, simili accuse potrebbero facilmente aver dissuaso l’intelligence e le forze speciali britanniche dall’aprirsi alle loro controparti italiane, e questo soprattutto nel contesto nigeriano, dove le diverse fazioni in gioco rendono le operazioni segrete particolarmente ardue.
La distanza politica, invece, è meno facile da spiegare. Nella dichiarazione di Cameron salta agli occhi l’aver ignorato il ruolo dell’Italia.
Al momento del rapimento, infatti, ha detto: «Stiamo lavorando con le autorità nigeriane». Non con le autorità italiane e nigeriane. Ancora: la decisione di organizzare l’operazione è stata presa «in accordo con le autorità nigeriane», non con le autorità italiane e nigeriane.
Era come se il governo italiano fosse irrilevante nel decidere il destino di un cittadino italiano. Vero è che la Gran Bretagna ha legami molto più stretti con la Nigeria che con l’Italia, legami della politica, delle forze di polizia e militari risalenti in parte al passato coloniale, ma soprattutto dovuti all’attuale cooperazione nella lotta al crimine organizzato e nella prevenzione al terrorismo, nonché a legami umani e commerciali tra i due paesi.
Gran Bretagna e Francia tutt’oggi considerano l’Africa occidentale una propria responsabilità, e i loro interventi militari in Sierra Leone e Costa d’Avorio nell’ultimo decennio sono stati considerati un successo, legale e apprezzato. Nulla di tutto ciò, tuttavia, giustifica l’aver ignorato un partner e alleato europeo. Cioè l’aver ignorato l’Italia. Così come è successo con le autorità indiane, che hanno arrestato i due marò italiani in un modo che è probabilmente illegale, dato che quasi certamente non avrebbero l’autorità per investigare un crimine commesso in acque internazionali. Insomma, due schiaffi in faccia nel giro di una settimana.
Cosa che, nell’opinione di chi scrive, evidenzia due punti.
Il primo è la prolungata condizione di debolezza dell’Italia in politica estera. Il suo status e il suo prestigio sono sempre stati inferiori a ciò che la sua mole e le sue risorse dovrebbero garantirle. Tante sono le ragioni per questo suo farsi “peso piuma”. Le intemperanze di Berlusconi, di recente; la debolezza strutturale dei governi Prodi; e ancor prima l’ambiguità italiana, ciò che Sergio Romano ha definito «l’ansia di partecipare e il desiderio di eludere le regole della partecipazione». La ritrovata sicurezza di sé generata da Monti e Napolitano non basta a mutarne la percezione.
Il punto successivo è che, ancora una volta, la speranza di dotarsi di una politica estera comune europea è più lontana che mai dal concretizzarsi.

da Europa Quotidiano 10.03.12