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Reggio Emilia – Presentazione del libro “Storie di normale dislessia” di Rossella Grenci e Daniele Zanoni

Libreria all’Arco, Via Emilia S.Stefano 3/D Reggio E:
L’incontro, promosso e organizzato dal Dipartimento Scuola del PD di Reggio Emilia, vedrà la partecipazione di Manuela Ghizzoni (deputata PD, capogruppo VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione) e Ilenia Malavasi (assessore all’Istruzione della Provincia di Reggio Emilia).

Coordina l’incontro Lucia Spreafico (responsabile Scuola PD Reggio Emilia).

Università, Pd: basta ambiguità su adeguamenti stipendiali ricercatori e professori

Ghizzoni e Vassallo: governo non avalli inaccettabile iniquità. “La risposta resa oggi dal Ministero dell’Economia ad una interpellanza da noi presentata riguardo ai ricercatori e professori universitari è vergognosamente elusiva. Reitera, con l’avallo irresponsabile del Governo, un atteggiamento indegno, tipicamente burocratico, di attiva inerzia degli interna corporis della Ragioneria Generale. Dal giugno 2011 sono state presentate ben quattro interpellanze urgenti, che hanno sempre ricevuto risposte univoche dal Governo, riguardo alla non applicabilità ai ricercatori e professori confermati nel ruolo dopo i tre anni di prova del blocco stipendiale disposto dal decreto legge n. 78 del 2010. Il Governo, nel dicembre 2011, ha anche emanato un DPR in cui questo principio è ulteriormente sancito. Ma alcuni atenei non si adeguano in attesa che l’ufficio Igop della Ragioneria Generale si esprima. Il Governo, che pure per un verso ha oggi nuovamente confermato la validità degli argomenti da noi sempre sostenuti, alla nostra precisa richiesta di sapere se non intenda sollecitare un definitivo chiarimento della Ragioneria non risponde. In questo modo offende il Parlamento, copre ancora una volta il gioco del rimpallo tra atenei e Ragioneria, legittima una iniquità nei confronti dei soggetti interessati, consente che alcuni Atenei approvino bilanci falsati dalla mancata contabilizzazione di oneri dovuti e di cui prima o poi dovranno farsi carico, magari a seguito di onerosi contenziosi legali”. Lo dichiarano i deputati democratici Manuela Ghizzoni e Salvatore Vassallo.

"Bersani: vado ai vertici se non ci sono tabù. Pressing Pd sulla RAI", di Simone Collini

Un messaggio al Pdl: «Questo non è un governo a sovranità limitata, non possono essere esclusi temi come la giustizia o la riforma della Rai». E uno a Mario Monti: «Il problema non sono i partiti, in generale. C’è un preciso partito, con nome e cognome, che sta creando difficoltà. Su questo bisogna essere chiari». Il giorno dopo il vertice a Palazzo Chigi saltato per il forfait di Angelino Alfano, l’umore di Pier Luigi Bersani non è dei migliori. Il segretario del Pd spiega ai suoi interlocutori che sarebbe voluto andare all’incontro tra Monti e i leader delle forze che lo sostengono in Parlamento per parlare di lavoro, scuola, riforma fiscale, e anche di due argomenti che reputa strettamente connessi alla mission dei “tecnici”. «Il Pdl dice che questo governo deve occuparsi solo di economia? si sfoga con i suoi Ma quanti investimenti, dall’estero e in Italia, non arrivano perché c’è il problema della corruzione? Anche l’Ocse ha ricordato quanto freni lo sviluppo del Paese. E poi vogliamo parlare o no di Rai? Sarà o no un problema economico e industriale se la principale azienda pubblica italiana è allo sbando?».
Bersani insomma non ha intenzione di lasciar passare il diktat del Pdl e fa sapere al governo che è pronto a partecipare a un vertice a Palazzo Chigi con Monti, Alfano e Casini solo se non ci saranno argomenti preclusi in partenza. «Io vado al prossimo incontro con il premier e parlerò di tutto spiega anche ai cronisti che lo interpellano alla Camera sull’annuncio da parte del presidente del Consiglio di un incontro la prossima settimana ma sia chiaro, non accetto esclusione di temi».
Proprio sulle due questioni su cui il Pdl ha posto il veto, cioè giustizia e nuova governance Rai, il Pd sta lavorando per innescare dal Parlamento un’accelerazione della discussione. Se il disegno di legge anticorruzione è da tempo bloccato in commissione alla Camera e ora si attende un’iniziativa del Guardasigilli Paola Severino, la proposta di legge del Pd sulla riforma della Rai, a prima firma Bersani, è ancora in attesa di assegnazione alle commissioni competenti, Cultura e Telecomunicazioni. Il capogruppo del Pd in quest’ultima, Michele Meta, e il portavoce di Articolo 21 Beppe Giulietti, hanno chiesto di calendarizzare tutte le proposte depositate per avviare una discussione prima della scadenza dell’attuale Cda, il 28 marzo. Dario Franceschini, secondo firmatario del testo presentato dal Pd, potrebbe chiederlo formalmente alla prossima riunione dei capigruppo. Il Terzo polo è d’accordo col Pd su questo tema (così come l’Idv) e Gianfranco Fini non avrebbe difficoltà a dare il via libera. «I tempi per approvare una nuova legge prima del 28 ci sono», dice Bersani. Ma i deputati del Pd che stanno lavorando all’operazione sono convinti che basti anche soltanto l’avvio della discussione, senza necessariamente arrivare ora all’obiettivo, per impedire che a fine mese si proceda al rinnovo del Cda sulla base della legge Gasparri. «Il governo potrebbe commissariarlo in attesa di regolarizzazione o definizione di nuove regole viene spiegato così come è già successo per altre aziende partecipate dal Tesoro».
Il Pd è pronto a giocare questa carta se rimarrà il veto del Pdl sulla Rai, ma allo stato Bersani non dà affatto per scontato che nell’agenda di Monti non ci sia la riforma di viale Mazzini, come pure qualcuno sostiene: «Io non gliel’ho mai sentito dire», risponde il leader del Pd a chi lo avvicina alla Camera, senza nascondere di aver trovato «indelicato Confalonieri» che è andato da Monti proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuto tenere il vertice. «La Rai sta andando in difficoltà strategica, bisogna smetterla con le logiche spartitorie. Io non partecipo al prossimo Cda nominato con la legge Gasparri, neppure se potessi avere la maggioranza del Cda stesso». Bersani racconta di averlo spiegato direttamente anche a Monti: «Gli ho detto che si può mettere al vertice anche Einstein, ma anche Einstein finisce per perdere la faccia in un meccanismo che non può funzionare. Bisogna capire cosa deve essere la Rai: un’azienda o un luogo di scorribande?».
Ma c’è anche un altro messaggio che Bersani fa arrivare a Monti. Se il presidente del Consiglio fa sapere di auspicare che «non si allarghi lo spread tra i partiti politici che sostengono la maggioranza», il leader del Pd non sorride troppo alla battuta: «Il problema non sono i partiti. C’è un solo partito, con nome e cognome precisi, che con il suo comportamento sta creando una situazione pericolosa. Su questo sarebbe bene essere chiari».

l’Unità 09.03.12

“Bersani: vado ai vertici se non ci sono tabù. Pressing Pd sulla RAI”, di Simone Collini

Un messaggio al Pdl: «Questo non è un governo a sovranità limitata, non possono essere esclusi temi come la giustizia o la riforma della Rai». E uno a Mario Monti: «Il problema non sono i partiti, in generale. C’è un preciso partito, con nome e cognome, che sta creando difficoltà. Su questo bisogna essere chiari». Il giorno dopo il vertice a Palazzo Chigi saltato per il forfait di Angelino Alfano, l’umore di Pier Luigi Bersani non è dei migliori. Il segretario del Pd spiega ai suoi interlocutori che sarebbe voluto andare all’incontro tra Monti e i leader delle forze che lo sostengono in Parlamento per parlare di lavoro, scuola, riforma fiscale, e anche di due argomenti che reputa strettamente connessi alla mission dei “tecnici”. «Il Pdl dice che questo governo deve occuparsi solo di economia? si sfoga con i suoi Ma quanti investimenti, dall’estero e in Italia, non arrivano perché c’è il problema della corruzione? Anche l’Ocse ha ricordato quanto freni lo sviluppo del Paese. E poi vogliamo parlare o no di Rai? Sarà o no un problema economico e industriale se la principale azienda pubblica italiana è allo sbando?».
Bersani insomma non ha intenzione di lasciar passare il diktat del Pdl e fa sapere al governo che è pronto a partecipare a un vertice a Palazzo Chigi con Monti, Alfano e Casini solo se non ci saranno argomenti preclusi in partenza. «Io vado al prossimo incontro con il premier e parlerò di tutto spiega anche ai cronisti che lo interpellano alla Camera sull’annuncio da parte del presidente del Consiglio di un incontro la prossima settimana ma sia chiaro, non accetto esclusione di temi».
Proprio sulle due questioni su cui il Pdl ha posto il veto, cioè giustizia e nuova governance Rai, il Pd sta lavorando per innescare dal Parlamento un’accelerazione della discussione. Se il disegno di legge anticorruzione è da tempo bloccato in commissione alla Camera e ora si attende un’iniziativa del Guardasigilli Paola Severino, la proposta di legge del Pd sulla riforma della Rai, a prima firma Bersani, è ancora in attesa di assegnazione alle commissioni competenti, Cultura e Telecomunicazioni. Il capogruppo del Pd in quest’ultima, Michele Meta, e il portavoce di Articolo 21 Beppe Giulietti, hanno chiesto di calendarizzare tutte le proposte depositate per avviare una discussione prima della scadenza dell’attuale Cda, il 28 marzo. Dario Franceschini, secondo firmatario del testo presentato dal Pd, potrebbe chiederlo formalmente alla prossima riunione dei capigruppo. Il Terzo polo è d’accordo col Pd su questo tema (così come l’Idv) e Gianfranco Fini non avrebbe difficoltà a dare il via libera. «I tempi per approvare una nuova legge prima del 28 ci sono», dice Bersani. Ma i deputati del Pd che stanno lavorando all’operazione sono convinti che basti anche soltanto l’avvio della discussione, senza necessariamente arrivare ora all’obiettivo, per impedire che a fine mese si proceda al rinnovo del Cda sulla base della legge Gasparri. «Il governo potrebbe commissariarlo in attesa di regolarizzazione o definizione di nuove regole viene spiegato così come è già successo per altre aziende partecipate dal Tesoro».
Il Pd è pronto a giocare questa carta se rimarrà il veto del Pdl sulla Rai, ma allo stato Bersani non dà affatto per scontato che nell’agenda di Monti non ci sia la riforma di viale Mazzini, come pure qualcuno sostiene: «Io non gliel’ho mai sentito dire», risponde il leader del Pd a chi lo avvicina alla Camera, senza nascondere di aver trovato «indelicato Confalonieri» che è andato da Monti proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuto tenere il vertice. «La Rai sta andando in difficoltà strategica, bisogna smetterla con le logiche spartitorie. Io non partecipo al prossimo Cda nominato con la legge Gasparri, neppure se potessi avere la maggioranza del Cda stesso». Bersani racconta di averlo spiegato direttamente anche a Monti: «Gli ho detto che si può mettere al vertice anche Einstein, ma anche Einstein finisce per perdere la faccia in un meccanismo che non può funzionare. Bisogna capire cosa deve essere la Rai: un’azienda o un luogo di scorribande?».
Ma c’è anche un altro messaggio che Bersani fa arrivare a Monti. Se il presidente del Consiglio fa sapere di auspicare che «non si allarghi lo spread tra i partiti politici che sostengono la maggioranza», il leader del Pd non sorride troppo alla battuta: «Il problema non sono i partiti. C’è un solo partito, con nome e cognome precisi, che con il suo comportamento sta creando una situazione pericolosa. Su questo sarebbe bene essere chiari».

l’Unità 09.03.12

"Valorizzare le donne conviene", di Daniela Del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua

Le principali “rivoluzioni silenziose” che la società deve fare perché ci sia una parità reale tra donne e uomini: quella dell’istruzione -in Italia quasi compiuta- quella del lavoro femminile -ancora ampiamente irrealizzata- quella dei carichi familiari -“tradita” dagli uomini”- e quella della presenza nella politica -timidamente incominciata. Il nostro paese, dunque, è indietro, soprattutto se raffrontato agli altri paesi europei. Ecco che cosa deve fare la politica per aiutare a colmare la differenza.

È di nuovo l’8 marzo e nonostante le tante pagine scritte, i discorsi, i blog, le manifestazioni di piazza e le dichiarazioni pubbliche, pochissimo è stato fatto per sostenere il lavoro delle donne. Eppure il cammino di quella “rivoluzione silenziosa” che ha trasformato la vita delle donne in molti paesi sviluppati attraverso cambiamenti, rivoluzionari appunto, nell’istruzione, nel mondo del lavoro e nella famiglia, è tutt’altro che completa in Italia.

ISTRUZIONE, UNA RIVOLUZIONE QUASI FATTA

La prima “rivoluzione”, quella dell’istruzione femminile, è quasi pienamente compiuta: le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini, anche se scelgono spesso percorsi di studio meno remunerativi nel mercato del lavoro. Le giovani, infatti, sembrano preferire le discipline dell’area umanistica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più bassi, mentre gli uomini scelgono maggiormente le discipline dell’area scientifica e ingegneristica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più elevati.

Figura 1: Salario medio mensile e quota di donne iscritte alle diverse facoltà in Italia

Fonte: MIUR (2010) e Almalaurea (2010)

LA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA: IL LAVORO

La seconda “rivoluzione”, quella del mercato del lavoro, resta largamente incompiuta. Il tasso di partecipazione lavorativa delle donne italiane è sempre il più basso di Europa, mentre il tempo dedicato al lavoro domestico e di cura è sempre il più alto. Tra le donne tra i 20 e i 34 anni nel 2010 il tasso di occupazione è addirittura sceso (al 48 per cento, contro il 50 per cento del 2000).
Una delle ragioni principali per la bassissima partecipazione delle donne italiane è dovuta al fatto che un quarto delle donne occupate esce dal mercato del lavoro alla nascita del primo figlio. Tra le giovani sono addirittura in crescita le interruzioni imposte dal datore di lavoro (oltre la metà del totale). (1) A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno. Le interruzioni, poi, si trasformano nella maggior parte dei casi in uscite prolungate dal mercato del lavoro: solo il 40 per cento delle donne uscite riprende il lavoro (il 51 per cento al Nord e il 23,5% al Sud).

LA RIVOLUZIONE TRADITA: IN FAMIGLIA

Lontana dal compiersi e “tradita” (dagli uomini) è la rivoluzione all’interno della famiglia, nella ripartizione dei tempi e dei compiti familiari tra uomini e donne, così sbilanciata da creare, vista anche la scarsità di servizi di cura, enormi problemi di conciliazione tra lavoro e maternità e impedendo la crescita dell’occupazione femminile.
La rivoluzione di genere nella politica, poi, non è mai cominciata: ancora oggi, anche per la scarsa presenza di donne in parlamento (59 senatrici su 331 e 134 deputati donna su 630), le istanze e le proposte di legge su parità e politiche sociali a beneficio delle donne hanno un cammino lento e faticoso.
Se negli ultimi anni è mancata la volontà politica di cambiare e rendere più efficiente ed uguale per genere il nostro paese, adesso anche i più forti i vincoli finanziari della crisi economica portano a trascurare le donne nell’agenda politica del paese. Tuttavia ci sono interventi che sarebbero investimenti per il futuro, più che costi, e che potrebbero cominciare a cambiare il contesto in cui le donne (e gli uomini) vivono e lavorano.

COSA DEVE FARE LA POLITICA

Un primo intervento importante sarebbe quello di fornire alle donne incentivi nei settori della formazione tecnico-scientifica (obiettivo strategico già dell’Unione Europea). In Italia questi strumenti sono praticamente assenti.
Un secondo importante intervento sarebbe il ripristino della legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco. Si tratta di una norma approvata da una maggioranza trasversale dal secondo Governo Prodi e cancellata dall’ex ministro Sacconi, che prevedeva l’uso di moduli numerati validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie. Un intervento davvero a costo zero, che consentirebbe di combattere questa pratica discriminatoria ottenendo maggiore occupazione femminile e favorendo la fecondità.
Occorre poi introdurre incentivi ad una più equa divisione del lavoro domestico tra uomini e donne. Interventi cruciali in questa direzione riguardano i congedi parentali. Nell’ottobre del 2010 il Parlamento Europeo ha approvato una legge per proteggere le donne dal licenziamento a causa della maternità e garantire anche ai padri almeno due settimane di congedo obbligatorio (remunerato). Si possono anche estendere i congedi ai padri e pensare a congedi part-time per ambedue i genitori (sull’esempio della Svezia) in modo da ridurre l’impatto negativo sulla carriera e sui salari delle madri. Si tratta, di fatto, di ridistribuire su ambedue i genitori i costi dei congedi parentali. Questo tipo di iniziativa dovrebbe essere sostenuta da campagne di sensibilizzazione per i padri e le imprese. Il congedo ai padri aiuterebbe inoltre a promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli, delle responsabilità e anche dei diritti tra madri e padri.
Per le donne che lavorano è poi necessario un maggior sviluppo e monitoraggio delle politiche di conciliazione sul posto di lavoro, anche in applicazione dell’art 9 della legge 53/2000, che promuove e finanzia la messa in atto di buone prassi di conciliazione da parte le imprese. (2)
Infine è necessario aumentare la disponibilità e ridurre il costo per le famiglie dei servizi di cura per i bambini piccoli. Dopo l’intervento “Piano per i nidi 2007” del ministro Bindi, ben poco è stato fatto. In Italia, l’investimento pubblico nei bambini nella prima fase del ciclo di vita è limitato sia rispetto gli altri paesi europei, sia se si confrontano le spese pubbliche destinate a bambini di altre classi di età. La spesa media per i bambini in età 0-2 è infatti del 25 per cento inferiore a quella media dei paesi Ocse e pari alla metà della spesa media destinata alle classi di età 6-11 e 12-16.

Figura 2: Spesa pubblica per tipologia di scuola nei paesi OCSE

Fonte: OCSE 2009

Di conseguenza, l’offerta nidi pubblici in Italia oggi è tra le più basse d’Europa e solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha un posto al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei paesi nordici. Il legame tra offerta di nidi, lavoro delle madri e risultati scolastici dei bambini è fondamentale. Non solo avere la madre che lavora non pregiudica lo sviluppo della capacità cognitive e comportamentali, come invece erroneamente spesso ritenuto, specie se il minor tempo che la madre trascorre con il figlio è compensato dal tempo di personale qualificato in strutture di elevata qualità, i nidi pubblici appunto. Anzi, quanto minore è il livello di istruzione e di reddito dei genitori, quanto più l’asilo nido assume il ruolo di investimento precoce nei bambini.(3)
Se si riconosce il ruolo dei nidi nel processo di accumulazione di capitale, allora la proposta è quella di inserire il nido nel sistema dell’istruzione scolastica pubblica. Costruire nuovi nidi pubblici è indubbiamente costoso, ma essi sono meritevoli di spesa pubblica come il resto dell’istruzione scolastica. E poi, un maggior numero di asili nido significherebbe una maggiore occupazione (femminile) sia per gli effetti diretti (le educatrici assunte) sia per gli effetti indiretti (più donne con figli potrebbero lavorare). è credibile quindi che, almeno in parte, il costo dei nuovi nidi potrebbe essere sostenuto dagli introiti derivanti dalle imposte sui redditi delle nuove assunte.

(*) Del Boca D., Mencarini L. e Pasqua S. (2012), “Valorizzare le donne conviene. Ruoli di genere nell’economia italiana”, Il Mulino.
Questo artico è pubblicato anche su neodemos.it

(1) Dati dell’Indagine Multiscopo sull’Uso del Tempo dell’ISTAT (2008-2009).

(2) Visentini A. (2012), Sulla parità non bastano i buoni propositi, lavoce.info, 26.01.2012.

(3) Del Boca D., Pasqua S., Pronzato C. (2011) Il nido fa bene ai genitori e ai figli, LaVoce.info, 15.12.2011.

da lavoce.info

“Valorizzare le donne conviene”, di Daniela Del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua

Le principali “rivoluzioni silenziose” che la società deve fare perché ci sia una parità reale tra donne e uomini: quella dell’istruzione -in Italia quasi compiuta- quella del lavoro femminile -ancora ampiamente irrealizzata- quella dei carichi familiari -“tradita” dagli uomini”- e quella della presenza nella politica -timidamente incominciata. Il nostro paese, dunque, è indietro, soprattutto se raffrontato agli altri paesi europei. Ecco che cosa deve fare la politica per aiutare a colmare la differenza.

È di nuovo l’8 marzo e nonostante le tante pagine scritte, i discorsi, i blog, le manifestazioni di piazza e le dichiarazioni pubbliche, pochissimo è stato fatto per sostenere il lavoro delle donne. Eppure il cammino di quella “rivoluzione silenziosa” che ha trasformato la vita delle donne in molti paesi sviluppati attraverso cambiamenti, rivoluzionari appunto, nell’istruzione, nel mondo del lavoro e nella famiglia, è tutt’altro che completa in Italia.

ISTRUZIONE, UNA RIVOLUZIONE QUASI FATTA

La prima “rivoluzione”, quella dell’istruzione femminile, è quasi pienamente compiuta: le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini, anche se scelgono spesso percorsi di studio meno remunerativi nel mercato del lavoro. Le giovani, infatti, sembrano preferire le discipline dell’area umanistica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più bassi, mentre gli uomini scelgono maggiormente le discipline dell’area scientifica e ingegneristica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più elevati.

Figura 1: Salario medio mensile e quota di donne iscritte alle diverse facoltà in Italia

Fonte: MIUR (2010) e Almalaurea (2010)

LA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA: IL LAVORO

La seconda “rivoluzione”, quella del mercato del lavoro, resta largamente incompiuta. Il tasso di partecipazione lavorativa delle donne italiane è sempre il più basso di Europa, mentre il tempo dedicato al lavoro domestico e di cura è sempre il più alto. Tra le donne tra i 20 e i 34 anni nel 2010 il tasso di occupazione è addirittura sceso (al 48 per cento, contro il 50 per cento del 2000).
Una delle ragioni principali per la bassissima partecipazione delle donne italiane è dovuta al fatto che un quarto delle donne occupate esce dal mercato del lavoro alla nascita del primo figlio. Tra le giovani sono addirittura in crescita le interruzioni imposte dal datore di lavoro (oltre la metà del totale). (1) A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno. Le interruzioni, poi, si trasformano nella maggior parte dei casi in uscite prolungate dal mercato del lavoro: solo il 40 per cento delle donne uscite riprende il lavoro (il 51 per cento al Nord e il 23,5% al Sud).

LA RIVOLUZIONE TRADITA: IN FAMIGLIA

Lontana dal compiersi e “tradita” (dagli uomini) è la rivoluzione all’interno della famiglia, nella ripartizione dei tempi e dei compiti familiari tra uomini e donne, così sbilanciata da creare, vista anche la scarsità di servizi di cura, enormi problemi di conciliazione tra lavoro e maternità e impedendo la crescita dell’occupazione femminile.
La rivoluzione di genere nella politica, poi, non è mai cominciata: ancora oggi, anche per la scarsa presenza di donne in parlamento (59 senatrici su 331 e 134 deputati donna su 630), le istanze e le proposte di legge su parità e politiche sociali a beneficio delle donne hanno un cammino lento e faticoso.
Se negli ultimi anni è mancata la volontà politica di cambiare e rendere più efficiente ed uguale per genere il nostro paese, adesso anche i più forti i vincoli finanziari della crisi economica portano a trascurare le donne nell’agenda politica del paese. Tuttavia ci sono interventi che sarebbero investimenti per il futuro, più che costi, e che potrebbero cominciare a cambiare il contesto in cui le donne (e gli uomini) vivono e lavorano.

COSA DEVE FARE LA POLITICA

Un primo intervento importante sarebbe quello di fornire alle donne incentivi nei settori della formazione tecnico-scientifica (obiettivo strategico già dell’Unione Europea). In Italia questi strumenti sono praticamente assenti.
Un secondo importante intervento sarebbe il ripristino della legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco. Si tratta di una norma approvata da una maggioranza trasversale dal secondo Governo Prodi e cancellata dall’ex ministro Sacconi, che prevedeva l’uso di moduli numerati validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie. Un intervento davvero a costo zero, che consentirebbe di combattere questa pratica discriminatoria ottenendo maggiore occupazione femminile e favorendo la fecondità.
Occorre poi introdurre incentivi ad una più equa divisione del lavoro domestico tra uomini e donne. Interventi cruciali in questa direzione riguardano i congedi parentali. Nell’ottobre del 2010 il Parlamento Europeo ha approvato una legge per proteggere le donne dal licenziamento a causa della maternità e garantire anche ai padri almeno due settimane di congedo obbligatorio (remunerato). Si possono anche estendere i congedi ai padri e pensare a congedi part-time per ambedue i genitori (sull’esempio della Svezia) in modo da ridurre l’impatto negativo sulla carriera e sui salari delle madri. Si tratta, di fatto, di ridistribuire su ambedue i genitori i costi dei congedi parentali. Questo tipo di iniziativa dovrebbe essere sostenuta da campagne di sensibilizzazione per i padri e le imprese. Il congedo ai padri aiuterebbe inoltre a promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli, delle responsabilità e anche dei diritti tra madri e padri.
Per le donne che lavorano è poi necessario un maggior sviluppo e monitoraggio delle politiche di conciliazione sul posto di lavoro, anche in applicazione dell’art 9 della legge 53/2000, che promuove e finanzia la messa in atto di buone prassi di conciliazione da parte le imprese. (2)
Infine è necessario aumentare la disponibilità e ridurre il costo per le famiglie dei servizi di cura per i bambini piccoli. Dopo l’intervento “Piano per i nidi 2007” del ministro Bindi, ben poco è stato fatto. In Italia, l’investimento pubblico nei bambini nella prima fase del ciclo di vita è limitato sia rispetto gli altri paesi europei, sia se si confrontano le spese pubbliche destinate a bambini di altre classi di età. La spesa media per i bambini in età 0-2 è infatti del 25 per cento inferiore a quella media dei paesi Ocse e pari alla metà della spesa media destinata alle classi di età 6-11 e 12-16.

Figura 2: Spesa pubblica per tipologia di scuola nei paesi OCSE

Fonte: OCSE 2009

Di conseguenza, l’offerta nidi pubblici in Italia oggi è tra le più basse d’Europa e solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha un posto al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei paesi nordici. Il legame tra offerta di nidi, lavoro delle madri e risultati scolastici dei bambini è fondamentale. Non solo avere la madre che lavora non pregiudica lo sviluppo della capacità cognitive e comportamentali, come invece erroneamente spesso ritenuto, specie se il minor tempo che la madre trascorre con il figlio è compensato dal tempo di personale qualificato in strutture di elevata qualità, i nidi pubblici appunto. Anzi, quanto minore è il livello di istruzione e di reddito dei genitori, quanto più l’asilo nido assume il ruolo di investimento precoce nei bambini.(3)
Se si riconosce il ruolo dei nidi nel processo di accumulazione di capitale, allora la proposta è quella di inserire il nido nel sistema dell’istruzione scolastica pubblica. Costruire nuovi nidi pubblici è indubbiamente costoso, ma essi sono meritevoli di spesa pubblica come il resto dell’istruzione scolastica. E poi, un maggior numero di asili nido significherebbe una maggiore occupazione (femminile) sia per gli effetti diretti (le educatrici assunte) sia per gli effetti indiretti (più donne con figli potrebbero lavorare). è credibile quindi che, almeno in parte, il costo dei nuovi nidi potrebbe essere sostenuto dagli introiti derivanti dalle imposte sui redditi delle nuove assunte.

(*) Del Boca D., Mencarini L. e Pasqua S. (2012), “Valorizzare le donne conviene. Ruoli di genere nell’economia italiana”, Il Mulino.
Questo artico è pubblicato anche su neodemos.it

(1) Dati dell’Indagine Multiscopo sull’Uso del Tempo dell’ISTAT (2008-2009).

(2) Visentini A. (2012), Sulla parità non bastano i buoni propositi, lavoce.info, 26.01.2012.

(3) Del Boca D., Pasqua S., Pronzato C. (2011) Il nido fa bene ai genitori e ai figli, LaVoce.info, 15.12.2011.

da lavoce.info