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“Quanta ideologia dietro il mantra della valutazione”, Benedetto Vertecchi

Nelle settimane passate è stato annunciato con enfasi l’avvio del progetto Vales, il cui scopo, secondo quanto è detto nel documento illustrativo diffuso dal Ministero dell’Istruzione, è di sperimentare un modello di valutazione della scuola e della dirigenza centrato su «criteri condivisi, trasparenti, efficaci e basati su indicatori ricavati da molteplici prospettive di osservazione». Ciò in vista della diffusione di «una cultura della valutazione esterna e della rendicontazione finalizzata al miglioramento del servizio». Mi chiedo se chi ha scritto queste righe sia consapevole del concentrato d’ideologia che contengono. Mi chiedo anche se sia stato considerato che la valutazione non consiste nell’assumere dati, anche se da differenti punti di osservazione, e nell’elaborarli per ricavarne indicatori, ma nell’interpretare i fenomeni e collocarli entro dimensioni interpretative estese che considerino non solo quanto appare al momento, ma ancor più il modo in cui si sono venute a produrre determinate distribuzioni di variabili. In altre parole, la valutazione riassume in un giudizio che contiene un apprezzamento (non importa, da un punto di vista generale, se positivo o negativo) tutti gli elementi di conoscenza di cui si dispone su come si siano prodotti i fenomeni presi in considerazione. Il fatto è che ci sono più modi per affrontare la valutazione. Quello riflesso negli enunciati del progetto Vales (nei quali la condivisione, la trasparenza, eccetera, sono lustrini volti ad acquisire la benevolenza di quella che Bacone avrebbe chiamato la tribù) è un modello di valutazione che fa riferimento in massima parte a variabili dipendenti. È come dire che si costata ciò che appare in un momento determinato e che si esprime un giudizio circa la corrispondenza fra ciò che si attende e ciò che si osserva. È vero che il progetto Vales introduce una linea diacronica per rilevare quello che è stato definito valore aggiunto, ma è anche vero che si tratta pur sempre di variabili dipendenti, anche se considerate per la distribuzione che le caratterizza in momenti diversi. Se rilevo in una scuola una differenza tra la distribuzione di variabili relative all’apprendimento nel tempo t1 e quella nel tempo t2, in entrambi i tempi si tratta di variabili dipendenti, in quanto i valori che assumono devono essere posti in relazione alle condizioni in cui gli allievi hanno vissuto esperienze che in varia misura possono aver concorso a produrre certi effetti. Introdurre il concetto di valore aggiunto è una sorta di calco, che rivela però mancanza di autonomia nei confronti di una concezione totalizzante più o meno propriamente riferibile ad aspetti economici della vita sociale. Ma è proprio questo calco che rivela il significato ideologico del progetto Vales: si assume una logica orientata a interpretazioni di breve periodo (com’è, per lo più, quella che si riferisce alla produzione di beni o servizi) in sostituzione di quella orientata ai tempi lunghi propria delle interpretazioni educative. Non basta ardere i rituali granelli d’incenso nei confronti della cultura della valutazione: occorre consapevolezza della complessità del sistema educativo soprattutto a livello delle variabili indipendenti. Ma da una simile consapevolezza non potrebbero che derivare scelte del tutto difformi da quelle che da una decina d’anni si vanno effettuando. Di fronte a ciò che non soddisfa nel funzionamento del sistema educativo, si procede per eliminazione, senza chiedersi se simili interventi non peggiorino i problemi ai quali (almeno a parole) si vorrebbe dare soluzione. È un fatto che siano espressi giudizi negativi basati su variabili dipendenti (per esempio, i livelli deludenti della competenza raggiunta nella capacità di comprensione della lettura, negli apprendimenti matematici o in quelli scientifici), e s’intervenga modificando la distribuzione delle variabili indipendenti secondo criteri nominalmente di efficienza, ma nei fatti di riduzione della spesa, anche quando da tale riduzione discende un peggioramento delle condizioni in cui la scuola svolge la propria azione (perché diminuire il numero degli insegnanti o comprimere il tempo scolastico dovrebbero costituire la premessa di un competenza degli allievi?). Il progetto Vales, com’è già avvenuto per altre iniziative del Ministero dell’Istruzione, fa riferimento alle procedure e alle rilevazioni dell’Ocse per accreditare il piano delle attività. Sarebbe il caso di ricordare, una volta ancora, che l’Ocse non è un’istituzione rivolta allo sviluppo della ricerca educativa, ma alla crescita dei sistemi economici. L’educazione è considerata uno degli elementi alla base di tale crescita e la comparazione internazionale ha lo scopo di mostrare la relazione che intercorre tra la qualità dell’educazione e lo sviluppo economico. È un’ulteriore conferma che si perseguono intenti di breve periodo, che non concorrono a delineare profili di cultura capaci di sostenere il percorso di vita dei cittadini.

L’Unità 06.05.12

"Arriva la stangata di marzo scattano le addizionali Irpef. Alleggerita la busta paga", di Roberto Petrini

E´ la stangata di marzo. Nelle buste paga di questo mese si dovrà pagare il conguaglio dell´aumento delle addizionali regionali Irpef 2011 (deciso retroattivamente dal governo Monti a dicembre dello scorso anno) e l´acconto del 30 per cento delle addizionali comunali Irpef, sbloccate dal Berlusconi-Tremonti nell´estate scorsa. Grazie al semaforo verde già 300 Municipi hanno approvato gli aumenti, tra cui sette capoluoghi di provincia. La stangata regionale viene valutata dalla Uil servizio politiche territoriali in un aggravio che porterà la famiglia media a pagare fino a 371 euro, mentre per quella comunale si prevede un passaggio nel 2012 dai 129 ai 177 euro medi pro-capite. Si intende che chi guadagna di più sarà sottoposto ad un salasso maggiore. Tutto ciò mentre il decreto fiscale, in discussione in Parlamento, ha sbloccato le aliquote Irap e se le Regioni si avvalessero della nuova opportunità e aumentassero di un punto la tassa sulle attività produttive per le imprese ci sarebbe un aggravio che la Cgia di Mestre calcola in 3,5 miliardi. Tutto ciò in attesa del 16 giugno quando si tornerà, con la prima rata, a pagare l´Imu sulla prima casa: in città come Roma e Milano la famiglia media pagherà 83 euro, ma la media nazionale non dice tutto perché in città come Roma si arriverà a 461 euro e come Milano a 426 euro. Completano il quadro gli aumenti della tassa sui rifiuti, unica esente dal blocco del 2008: in tre anni è cresciuta mediamente in Italia del 7,6 per cento e molti Municipi sono pronti a nuovi rincari. A far da beffa una serie di micro-imposte come l´addizionale che le Province, ente di cui molti vorrebbero la soppressione, impongono sulla Tassa comunale sui rifiuti, si chiama Tefa e dal 2012 può aumentare liberamente.

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Tarsu: Rifiuti, gabella doppia arriva quella provinciale

In attesa della Tares, la nuova imposta sui servizi pubblici comunali e sui rifiuti che entrerà in vigore dal prossimo anno, continua il rincaro della vecchia Tarsu, che non è mai stata sottoposta a blocchi e dunque è stata per molti Comuni l´unica leva fiscale utilizzabile. Dal 2008 al 2010 la Tarsu ha totalizzato mediamente nei Comuni italiani un aumento del 7,6 per cento. Mediamente nel 2010 le famiglie italiane – prendendo come campione un nucleo familiare di 4 persone con una casa di 80 metri quadrati e un reddito imponibile Irpef di 36 mila euro – hanno pagato 210 euro (nel 2009 erano 200 euro). Ma gli aumenti non si fermano qui: nel 2011 sono stati messi a segno altri rincari e la prossima estate si disporrà di un quadro definito delle decisioni che stanno meditando i Comuni. Inoltre la stragrande maggioranza delle Province, 86 amministrazioni, aggiunge alla tassa rifiuti comunale il peso del proprio Tributo provinciale ambientale. L´aliquota più alta è pari al 5 per cento, mentre il minimo è l´1 per cento. Tra le amministrazioni più care Arezzo con il 4,7 per cento; Catania, Messina, Agrigento, Avellino, Lucca e Foggia con il 4 per cento e Udine con il 4,5 per cento.

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Ritocchi 2012 nelle città la media è di 58 euro

Raffica di rincari per l´addizionale comunale dell´Irpef il cui aumento è stato sbloccato dal decreto di agosto firmato dall´allora ministro dell´Economia Tremonti. Con la busta-paga di marzo bisognerà pagare il previsto acconto del 30 per cento. Ad oggi, sebbene la maggior parte dei Comuni non abbia ancora approvato il bilancio del 2012, già 301 Municipi hanno varato gli aumenti. Tra questi sette città capoluogo: Chieti passa dallo 0,7 del 2011 all´attuale 0,8 per cento; Agrigento dallo 0,4 allo 0,6; Brescia dallo 0,2 allo 0,55; Catanzaro dallo 0,5 allo 0,8 per cento; Teramo dallo 0,5 allo 0,8; Viterbo dallo 0,4 allo 0,5; mentre Ferrara ha deliberato tre aliquote per fasce di reddito passando dall´aliquota unica dello 0,5 dello scorso anno ad aliquote comprese dallo 0,6 allo 0,8 per cento. Ma non è finita perché i Comuni hanno tempo fino al 30 giugno, data successiva alle elezioni amministrative, per aumentare l´Irpef e dunque i contribuenti italiani potranno aspettarsi altre sorprese. La Uil politiche territoriali stima che quest´anno l´aggravio medio potrà arrivare a 58 euro pro-capite. In totale i Municipi che lo scorso anno avevano deliberato l´addizionale Irpef erano 6.216 su un totale di circa 8.000.

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É come un punto in più dell´aliquota statale

Stangata in arrivo per le addizionali regionali. Nella busta-paga di marzo tutti i contribuenti italiani, da Nord a Sud, di tutte le Regioni, dovranno pagare il conguaglio 2011 dell´aumento dell´addizionale regionale Irpef deciso con il decreto Salva Italia del governo Monti. L´aumento è pari allo 0,33 per cento dell´aliquota base (cioè quella che non è nella discrezionalità delle Regioni) e porta l´aliquota dallo 0,9 all´1,23 per cento. Già nella busta paga del mese di febbraio, appena alle nostre spalle, c´è stata l´altro piccolo salasso: il previsto acconto del 30 per cento dell´addizionale del 2012 che quest´anno è stato più salato del 2011 perché comprende l´aumento dello 0,33. Secondo i calcoli della Uil servizio politiche territoriali l´aumento in questione vale mediamente 76 euro. Nel biennio si pagheranno 152 euro in più. L´aumento è piuttosto doloroso perché le addizionali Irpef, a differenza dell´Irpef nazionale, non sono protette dalle detrazioni per la produzione di reddito, ovvero si pagano sull´imponibile pieno. Si calcola che l´aggravio dovuto all´imminente rincaro sia confrontabile ad un aumento di un punto dell´aliquota Irpef statale.

La Repubblica 06.03.12

“Arriva la stangata di marzo scattano le addizionali Irpef. Alleggerita la busta paga”, di Roberto Petrini

E´ la stangata di marzo. Nelle buste paga di questo mese si dovrà pagare il conguaglio dell´aumento delle addizionali regionali Irpef 2011 (deciso retroattivamente dal governo Monti a dicembre dello scorso anno) e l´acconto del 30 per cento delle addizionali comunali Irpef, sbloccate dal Berlusconi-Tremonti nell´estate scorsa. Grazie al semaforo verde già 300 Municipi hanno approvato gli aumenti, tra cui sette capoluoghi di provincia. La stangata regionale viene valutata dalla Uil servizio politiche territoriali in un aggravio che porterà la famiglia media a pagare fino a 371 euro, mentre per quella comunale si prevede un passaggio nel 2012 dai 129 ai 177 euro medi pro-capite. Si intende che chi guadagna di più sarà sottoposto ad un salasso maggiore. Tutto ciò mentre il decreto fiscale, in discussione in Parlamento, ha sbloccato le aliquote Irap e se le Regioni si avvalessero della nuova opportunità e aumentassero di un punto la tassa sulle attività produttive per le imprese ci sarebbe un aggravio che la Cgia di Mestre calcola in 3,5 miliardi. Tutto ciò in attesa del 16 giugno quando si tornerà, con la prima rata, a pagare l´Imu sulla prima casa: in città come Roma e Milano la famiglia media pagherà 83 euro, ma la media nazionale non dice tutto perché in città come Roma si arriverà a 461 euro e come Milano a 426 euro. Completano il quadro gli aumenti della tassa sui rifiuti, unica esente dal blocco del 2008: in tre anni è cresciuta mediamente in Italia del 7,6 per cento e molti Municipi sono pronti a nuovi rincari. A far da beffa una serie di micro-imposte come l´addizionale che le Province, ente di cui molti vorrebbero la soppressione, impongono sulla Tassa comunale sui rifiuti, si chiama Tefa e dal 2012 può aumentare liberamente.

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Tarsu: Rifiuti, gabella doppia arriva quella provinciale

In attesa della Tares, la nuova imposta sui servizi pubblici comunali e sui rifiuti che entrerà in vigore dal prossimo anno, continua il rincaro della vecchia Tarsu, che non è mai stata sottoposta a blocchi e dunque è stata per molti Comuni l´unica leva fiscale utilizzabile. Dal 2008 al 2010 la Tarsu ha totalizzato mediamente nei Comuni italiani un aumento del 7,6 per cento. Mediamente nel 2010 le famiglie italiane – prendendo come campione un nucleo familiare di 4 persone con una casa di 80 metri quadrati e un reddito imponibile Irpef di 36 mila euro – hanno pagato 210 euro (nel 2009 erano 200 euro). Ma gli aumenti non si fermano qui: nel 2011 sono stati messi a segno altri rincari e la prossima estate si disporrà di un quadro definito delle decisioni che stanno meditando i Comuni. Inoltre la stragrande maggioranza delle Province, 86 amministrazioni, aggiunge alla tassa rifiuti comunale il peso del proprio Tributo provinciale ambientale. L´aliquota più alta è pari al 5 per cento, mentre il minimo è l´1 per cento. Tra le amministrazioni più care Arezzo con il 4,7 per cento; Catania, Messina, Agrigento, Avellino, Lucca e Foggia con il 4 per cento e Udine con il 4,5 per cento.

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Ritocchi 2012 nelle città la media è di 58 euro

Raffica di rincari per l´addizionale comunale dell´Irpef il cui aumento è stato sbloccato dal decreto di agosto firmato dall´allora ministro dell´Economia Tremonti. Con la busta-paga di marzo bisognerà pagare il previsto acconto del 30 per cento. Ad oggi, sebbene la maggior parte dei Comuni non abbia ancora approvato il bilancio del 2012, già 301 Municipi hanno varato gli aumenti. Tra questi sette città capoluogo: Chieti passa dallo 0,7 del 2011 all´attuale 0,8 per cento; Agrigento dallo 0,4 allo 0,6; Brescia dallo 0,2 allo 0,55; Catanzaro dallo 0,5 allo 0,8 per cento; Teramo dallo 0,5 allo 0,8; Viterbo dallo 0,4 allo 0,5; mentre Ferrara ha deliberato tre aliquote per fasce di reddito passando dall´aliquota unica dello 0,5 dello scorso anno ad aliquote comprese dallo 0,6 allo 0,8 per cento. Ma non è finita perché i Comuni hanno tempo fino al 30 giugno, data successiva alle elezioni amministrative, per aumentare l´Irpef e dunque i contribuenti italiani potranno aspettarsi altre sorprese. La Uil politiche territoriali stima che quest´anno l´aggravio medio potrà arrivare a 58 euro pro-capite. In totale i Municipi che lo scorso anno avevano deliberato l´addizionale Irpef erano 6.216 su un totale di circa 8.000.

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É come un punto in più dell´aliquota statale

Stangata in arrivo per le addizionali regionali. Nella busta-paga di marzo tutti i contribuenti italiani, da Nord a Sud, di tutte le Regioni, dovranno pagare il conguaglio 2011 dell´aumento dell´addizionale regionale Irpef deciso con il decreto Salva Italia del governo Monti. L´aumento è pari allo 0,33 per cento dell´aliquota base (cioè quella che non è nella discrezionalità delle Regioni) e porta l´aliquota dallo 0,9 all´1,23 per cento. Già nella busta paga del mese di febbraio, appena alle nostre spalle, c´è stata l´altro piccolo salasso: il previsto acconto del 30 per cento dell´addizionale del 2012 che quest´anno è stato più salato del 2011 perché comprende l´aumento dello 0,33. Secondo i calcoli della Uil servizio politiche territoriali l´aumento in questione vale mediamente 76 euro. Nel biennio si pagheranno 152 euro in più. L´aumento è piuttosto doloroso perché le addizionali Irpef, a differenza dell´Irpef nazionale, non sono protette dalle detrazioni per la produzione di reddito, ovvero si pagano sull´imponibile pieno. Si calcola che l´aggravio dovuto all´imminente rincaro sia confrontabile ad un aumento di un punto dell´aliquota Irpef statale.

La Repubblica 06.03.12

"Le mani della mafia sui cantieri", di Roberto Saviano

Tutti parlano di Tav, ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto: negli ultimi trent´anni l´Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell´Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia. Questa è una certezza giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi sulla necessità o sull´inutilità di quest´opera. In questo momento ci si divide tra chi considera la Tav in Val di Susa come un balzo in avanti per l´economia, come un ponte per l´Europa, e chi invece un´aberrazione dello spreco e una violenza sulla natura. Su un punto però ci si deve trovare uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l´Italia al momento non è in grado di garantire che questo cantiere non diventi la più grande miniera per le mafie. Il governo Monti deve comprendere che nascondere il problema è pericoloso. Prima dei veleni, delle polveri, della fine del turismo, della spesa esorbitante, prima di tutte le analisi che in questi giorni vengono discusse bisognerebbe porsi un problema di sicurezza del sistema economico. Che è un problema di democrazia.
Ci si può difendere dall´infiltrazione mafiosa solo fiaccando le imprese prima che entrino nel mercato, quando cioè è ancora possibile farlo. Ma ormai l´economia mafiosa è assai aggressiva e l´Italia, invece, è disarmata. Il Paese non può permettersi di tenere in vita con i fiumi di danaro della Tav le imprese illegali. Se non vuole arrendersi alle cosche, e bloccare ogni grande opera, deve dotarsi di armi nuove, efficaci e appropriate. La priorità non può che essere la “messa in sicurezza dell´economia”, per sottrarla all´infiltrazione e al dominio mafioso, dotandola di anticorpi che individuino e premino la liceità degli attori coinvolti e creino le condizioni per una concorrenzialità, vera, non inquinata dai fondi neri. Oggi questa messa in sicurezza non è ancora stata fatta e il Paese, per ora, non ha gli strumenti preventivi per sorvegliare l´enorme giro degli appalti e subappalti, i cantieri, la manodopera, le materie prime, i trasporti, e lo smaltimento dei rifiuti, settori tradizionali in cui le mafie lavorano (inutile negarlo o usare toni prudenti) in regime di quasi monopolio. Quando i cantieri sono giganti con fabbriche di movimenti umani e di pale non ci sono controlli che tengano.
IL BUSINESS CRIMINALE
Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico. Non vincono puntando il fucile. Vincono perché grazie ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore e veloce. Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d´appalto in virtù della presunta urgenza dell´opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d´opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell´alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell´edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni.
Esagerazioni? La Direzione nazionale Antimafia nella sua relazione annuale (2011) ha dato al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese: «In Piemonte la ‘ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia». Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente «un´emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia». L´infiltrazione a Bardonecchia (che arrivò a portare lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa nel 1995 primo caso nel Nord-Italia) è avvenuta nel periodo in cui si stava costruendo una nuova autostrada e il traforo del Frejus verso la Francia. Gli appalti del traforo portarono le imprese mafiose a vincere per la prima volta in Piemonte.
I LEGAMI CON IL NORD
Credere che basti mettere sotto osservazione le imprese edili del sud per evitare l´infiltrazione è una ingenuità colpevole. Le aziende criminali non vengono dalle terre di mafie. Nascono, crescono e vivono al Nord, si presentano in regola e tutte con perfetto certificato antimafia (di cui è imperativa una modifica dei parametri). È sempre dopo anni dall´appalto che le indagini si accorgono che il loro Dna era mafioso. Qualche esempio. La Guardia di Finanza individuò sui cantieri della Torino-Milano la Edilcostruzioni di Milano che era legata a Santo Maviglia narcotrafficante di Africo. La sua ditta lavorava in subappalto alla Tav. La Ls Strade, azienda milanese leader assoluta nel movimento terre era di Maurizio Luraghi imprenditore lombardo. Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Luraghi era il prestanome dei Barbaro e dei Papalia, famiglie ‘ndranghetiste. Nel marzo 2009 l´indagine, denominata “Isola”, dimostrò la presenza a Cologno Monzese delle famiglie Nicoscia e Arena della ‘ndrangheta calabrese che riciclavano capitali e aggiravano la normativa antimafia usando il sistema della chiamata diretta per entrare nei cantieri Tav di Cassano d´Adda. Partivano dagli appalti poi arrivavano ai subappalti e successivamente – e in netta violazione delle leggi – ad ulteriori subappalti gestendo tutto in nero.
Dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente – e in contrasto con le norme antimafia – ad ulteriori subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero. Nell´ottobre 2009 l´Operazione Pioneer arrestò 14 affiliati del clan di Antonio Spagnolo di Ciminà (Reggio Calabria), proprietario della Ediltava sas di Rivoli, con la quale si aggiudicò subappalti sulla linea Tav. Dalla Lombardia al Piemonte il meccanismo è sempre lo stesso: «Le proiezioni della criminalità calabrese, attraverso prestanome, – scrive l´Antimafia – hanno orientato i propri interessi nel settore edile e del movimento terra, finanziando, con i proventi del traffico di droga e dell´usura, iniziative anche di rilevante entità. In tale settore le imprese mafiose sono clamorosamente favorite dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal poter fare dell´assenza delle regole il punto di forza per accaparrarsi commesse».
A Reggio Emilia l´alta velocità è stata il volano per far arrivare una sessantina di cosche che hanno iniziato a egemonizzare i subappalti nell´edilizia in Emilia Romagna. Sulla Tav Torino-Milano si creò un business mafioso inusuale che generò molti profitti e che fu scoperto nel 2008. Fu scoperta una montagna di rifiuti sotterrati illegalmente nei cantieri dell´Alta Velocità: centinaia di tonnellate di materiale non bonificato, cemento armato, plastica, mattoni, asfalto, gomme, ferro, intombato nel cuore del Parco lombardo del Ticino. La Tav diventa ricchezza non solo per gli appalti ma anche perché puoi nascondere sottoterra quel che vuoi. Una buca di trenta metri di larghezza e dieci di profondità è in grado accogliere 20mila metri cubi dì materiale. Ci si arricchisce scavando e si arricchisce riempiendo: il business è doppio.
IL SISTEMA DEI SUBAPPALTI
I cantieri Tav sulla Napoli-Roma, raccontano bene quello che potrebbe essere il futuro della Tav in Val di Susa. Il clan dei Casalesi partecipa ai lavori con ditte proprie in subappalto e soltanto fino al 1995 la camorra intasca secondo la Criminalpol 10mila miliardi di lire. Fin dall´inizio gli esponenti del clan dei Casalesi esercitarono una costante pressione per conseguire e conservare il controllo camorristico sulla Tav in due modi: o infiltrando le proprie imprese o imponendo tangenti alle ditte che concorrevano nella realizzazione della linea ferroviaria. I cantieri aperti dal 1994 per oltre dieci anni, avevano un costo iniziale previsto di 26.000 miliardi, arrivato nel 2011 a 150.000 miliardi di lire per 204 chilometri di tratta; il costo per chilometro è stato di circa 44 milioni di euro, con punte che superano i 60 milioni. Le indagini della Dda spiegarono alcuni di questi meccanismi scoprendo che molte delle società appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale Zagaria, coinvolto nel processo Spartacus a carico del clan dei Casalesi (e fratello del boss Michele, il quale, ancora latitante, riceveva nella sua villa imprenditori edili dell´alta velocità). Il clan dei Casalesi partecipò ai lavori con ditte proprie, accaparrandosi inizialmente il monopolio del movimento terra attraverso la Edil Moter. Nel novembre del 2008 le indagini della procura di Caltanissetta ruotarono intorno alla Calcestruzzi spa, società bergamasca del Gruppo Italcementi (quinto produttore a livello mondiale), che forniva il cemento per realizzare importanti opere pubbliche tra cui alcune linee della Tav Milano-Bologna e Roma-Napoli (terzo e quarto lotto), metrobus di Brescia, metropolitana di Genova e A4-Passante autostradale di Mestre. Le indagini (che aveva iniziato Paolo Borsellino) mostrarono: “Significativi scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento con quelli effettivamente impiegati nella produzione dei conglomerati forniti all´impresa appaltante». L´indagine voleva accertare se la Calcestruzzi avesse proceduto «a una illecita creazione di fondi neri da destinare in parte ai clan mafiosi dell´isola, nonché l´eventuale esistenza di una strategia aziendale volta a tali fini».
Ecco: questa è l´Italia che si appresta ad aprire i cantieri in Val di Susa. Che la mafia non riguardi solo il sud ormai è accertato. Di più: le organizzazioni criminali non solo in Italia, ma anche in Usa e in tutto il mondo, stanno approfittando enormemente della crisi, che è diventata per loro un´enorme occasione da sfruttare. Bisogna mettere in sicurezza l´economia del paese e siamo, su questo terreno, in grande ritardo. La giurisprudenza antimafia è declinata sulla caccia ai boss mafiosi. Giusto, ma non basta: serve un balzo in avanti, serve una giurisprudenza che dia la caccia agli enormi capitali, alle casseforti criminali che agiscono indisturbate nel mondo della finanza internazionale. O ci si muove in questa direzione o l´alternativa è che ogni forma di ripresa economica sarà a capitale di maggioranza mafioso.

La Repubblica 06.03.12

“Le mani della mafia sui cantieri”, di Roberto Saviano

Tutti parlano di Tav, ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto: negli ultimi trent´anni l´Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell´Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia. Questa è una certezza giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi sulla necessità o sull´inutilità di quest´opera. In questo momento ci si divide tra chi considera la Tav in Val di Susa come un balzo in avanti per l´economia, come un ponte per l´Europa, e chi invece un´aberrazione dello spreco e una violenza sulla natura. Su un punto però ci si deve trovare uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l´Italia al momento non è in grado di garantire che questo cantiere non diventi la più grande miniera per le mafie. Il governo Monti deve comprendere che nascondere il problema è pericoloso. Prima dei veleni, delle polveri, della fine del turismo, della spesa esorbitante, prima di tutte le analisi che in questi giorni vengono discusse bisognerebbe porsi un problema di sicurezza del sistema economico. Che è un problema di democrazia.
Ci si può difendere dall´infiltrazione mafiosa solo fiaccando le imprese prima che entrino nel mercato, quando cioè è ancora possibile farlo. Ma ormai l´economia mafiosa è assai aggressiva e l´Italia, invece, è disarmata. Il Paese non può permettersi di tenere in vita con i fiumi di danaro della Tav le imprese illegali. Se non vuole arrendersi alle cosche, e bloccare ogni grande opera, deve dotarsi di armi nuove, efficaci e appropriate. La priorità non può che essere la “messa in sicurezza dell´economia”, per sottrarla all´infiltrazione e al dominio mafioso, dotandola di anticorpi che individuino e premino la liceità degli attori coinvolti e creino le condizioni per una concorrenzialità, vera, non inquinata dai fondi neri. Oggi questa messa in sicurezza non è ancora stata fatta e il Paese, per ora, non ha gli strumenti preventivi per sorvegliare l´enorme giro degli appalti e subappalti, i cantieri, la manodopera, le materie prime, i trasporti, e lo smaltimento dei rifiuti, settori tradizionali in cui le mafie lavorano (inutile negarlo o usare toni prudenti) in regime di quasi monopolio. Quando i cantieri sono giganti con fabbriche di movimenti umani e di pale non ci sono controlli che tengano.
IL BUSINESS CRIMINALE
Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico. Non vincono puntando il fucile. Vincono perché grazie ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore e veloce. Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d´appalto in virtù della presunta urgenza dell´opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d´opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell´alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell´edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni.
Esagerazioni? La Direzione nazionale Antimafia nella sua relazione annuale (2011) ha dato al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese: «In Piemonte la ‘ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia». Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente «un´emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia». L´infiltrazione a Bardonecchia (che arrivò a portare lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa nel 1995 primo caso nel Nord-Italia) è avvenuta nel periodo in cui si stava costruendo una nuova autostrada e il traforo del Frejus verso la Francia. Gli appalti del traforo portarono le imprese mafiose a vincere per la prima volta in Piemonte.
I LEGAMI CON IL NORD
Credere che basti mettere sotto osservazione le imprese edili del sud per evitare l´infiltrazione è una ingenuità colpevole. Le aziende criminali non vengono dalle terre di mafie. Nascono, crescono e vivono al Nord, si presentano in regola e tutte con perfetto certificato antimafia (di cui è imperativa una modifica dei parametri). È sempre dopo anni dall´appalto che le indagini si accorgono che il loro Dna era mafioso. Qualche esempio. La Guardia di Finanza individuò sui cantieri della Torino-Milano la Edilcostruzioni di Milano che era legata a Santo Maviglia narcotrafficante di Africo. La sua ditta lavorava in subappalto alla Tav. La Ls Strade, azienda milanese leader assoluta nel movimento terre era di Maurizio Luraghi imprenditore lombardo. Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Luraghi era il prestanome dei Barbaro e dei Papalia, famiglie ‘ndranghetiste. Nel marzo 2009 l´indagine, denominata “Isola”, dimostrò la presenza a Cologno Monzese delle famiglie Nicoscia e Arena della ‘ndrangheta calabrese che riciclavano capitali e aggiravano la normativa antimafia usando il sistema della chiamata diretta per entrare nei cantieri Tav di Cassano d´Adda. Partivano dagli appalti poi arrivavano ai subappalti e successivamente – e in netta violazione delle leggi – ad ulteriori subappalti gestendo tutto in nero.
Dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente – e in contrasto con le norme antimafia – ad ulteriori subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero. Nell´ottobre 2009 l´Operazione Pioneer arrestò 14 affiliati del clan di Antonio Spagnolo di Ciminà (Reggio Calabria), proprietario della Ediltava sas di Rivoli, con la quale si aggiudicò subappalti sulla linea Tav. Dalla Lombardia al Piemonte il meccanismo è sempre lo stesso: «Le proiezioni della criminalità calabrese, attraverso prestanome, – scrive l´Antimafia – hanno orientato i propri interessi nel settore edile e del movimento terra, finanziando, con i proventi del traffico di droga e dell´usura, iniziative anche di rilevante entità. In tale settore le imprese mafiose sono clamorosamente favorite dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal poter fare dell´assenza delle regole il punto di forza per accaparrarsi commesse».
A Reggio Emilia l´alta velocità è stata il volano per far arrivare una sessantina di cosche che hanno iniziato a egemonizzare i subappalti nell´edilizia in Emilia Romagna. Sulla Tav Torino-Milano si creò un business mafioso inusuale che generò molti profitti e che fu scoperto nel 2008. Fu scoperta una montagna di rifiuti sotterrati illegalmente nei cantieri dell´Alta Velocità: centinaia di tonnellate di materiale non bonificato, cemento armato, plastica, mattoni, asfalto, gomme, ferro, intombato nel cuore del Parco lombardo del Ticino. La Tav diventa ricchezza non solo per gli appalti ma anche perché puoi nascondere sottoterra quel che vuoi. Una buca di trenta metri di larghezza e dieci di profondità è in grado accogliere 20mila metri cubi dì materiale. Ci si arricchisce scavando e si arricchisce riempiendo: il business è doppio.
IL SISTEMA DEI SUBAPPALTI
I cantieri Tav sulla Napoli-Roma, raccontano bene quello che potrebbe essere il futuro della Tav in Val di Susa. Il clan dei Casalesi partecipa ai lavori con ditte proprie in subappalto e soltanto fino al 1995 la camorra intasca secondo la Criminalpol 10mila miliardi di lire. Fin dall´inizio gli esponenti del clan dei Casalesi esercitarono una costante pressione per conseguire e conservare il controllo camorristico sulla Tav in due modi: o infiltrando le proprie imprese o imponendo tangenti alle ditte che concorrevano nella realizzazione della linea ferroviaria. I cantieri aperti dal 1994 per oltre dieci anni, avevano un costo iniziale previsto di 26.000 miliardi, arrivato nel 2011 a 150.000 miliardi di lire per 204 chilometri di tratta; il costo per chilometro è stato di circa 44 milioni di euro, con punte che superano i 60 milioni. Le indagini della Dda spiegarono alcuni di questi meccanismi scoprendo che molte delle società appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale Zagaria, coinvolto nel processo Spartacus a carico del clan dei Casalesi (e fratello del boss Michele, il quale, ancora latitante, riceveva nella sua villa imprenditori edili dell´alta velocità). Il clan dei Casalesi partecipò ai lavori con ditte proprie, accaparrandosi inizialmente il monopolio del movimento terra attraverso la Edil Moter. Nel novembre del 2008 le indagini della procura di Caltanissetta ruotarono intorno alla Calcestruzzi spa, società bergamasca del Gruppo Italcementi (quinto produttore a livello mondiale), che forniva il cemento per realizzare importanti opere pubbliche tra cui alcune linee della Tav Milano-Bologna e Roma-Napoli (terzo e quarto lotto), metrobus di Brescia, metropolitana di Genova e A4-Passante autostradale di Mestre. Le indagini (che aveva iniziato Paolo Borsellino) mostrarono: “Significativi scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento con quelli effettivamente impiegati nella produzione dei conglomerati forniti all´impresa appaltante». L´indagine voleva accertare se la Calcestruzzi avesse proceduto «a una illecita creazione di fondi neri da destinare in parte ai clan mafiosi dell´isola, nonché l´eventuale esistenza di una strategia aziendale volta a tali fini».
Ecco: questa è l´Italia che si appresta ad aprire i cantieri in Val di Susa. Che la mafia non riguardi solo il sud ormai è accertato. Di più: le organizzazioni criminali non solo in Italia, ma anche in Usa e in tutto il mondo, stanno approfittando enormemente della crisi, che è diventata per loro un´enorme occasione da sfruttare. Bisogna mettere in sicurezza l´economia del paese e siamo, su questo terreno, in grande ritardo. La giurisprudenza antimafia è declinata sulla caccia ai boss mafiosi. Giusto, ma non basta: serve un balzo in avanti, serve una giurisprudenza che dia la caccia agli enormi capitali, alle casseforti criminali che agiscono indisturbate nel mondo della finanza internazionale. O ci si muove in questa direzione o l´alternativa è che ogni forma di ripresa economica sarà a capitale di maggioranza mafioso.

La Repubblica 06.03.12

"Un miliardo per i giovani. Da Erasmus all'imprenditoria le azioni per ridurre la disoccupazione" di Francesca Barbieri

Uso più efficiente dei fondi, schemi innovativi per favorire il passaggio tra scuola e lavoro, aiuti alla mobilità tra uno Stato e l’altro. L’Unione europea scende in campo per contrastare la disoccupazione giovanile, “male” che affligge oltre 5 milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni, cui si sommano 7,5 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. In aggiunta all’invito rivolto agli Stati di spendere i fondi strutturali residui – oltre 82 miliardi, di cui 8 in Italia – per sostenere l’occupazione giovanile e le Pmi, le direttrici tracciate da Bruxelles puntano a ridurre la dispersione scolastica, sostenere tirocini e contratti di apprendistato, attraverso programmi collaudati come Erasmus (anche per imprenditori, si veda l’articolo a lato) e Leonardo da Vinci. Quest’ultimo, in particolare, con un budget di 25 milioni destinato all’Italia per il 2012, promuove stage in imprese o istituti di formazione per studenti e disoccupati.

Per ridurre gli abbandoni scolastici la Ue riserva 4 milioni ai giovani che hanno lasciato prima del diploma per aiutarli a riprendere gli studi o un percorso professionale che offra competenze spendibili sul mercato. La richiesta di Bruxelles ai Paesi è di mettere a punto meccanismi per assicurare che i giovani, entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico, abbiano un lavoro, proseguano gli studi o si iscrivano a un altro corso di formazione. Insomma, se l’obiettivo (ambizioso) venisse tradotto in realtà, si sfoltirebbe in modo deciso l’esercito del Neet. Da parte sua la Commissione sta disegnando un quadro per tirocini di alta qualità in modo da rendere più trasparenti le informazioni sulle opportunità disponibili a livello europeo, sulle condizioni di accesso e sugli obiettivi perseguiti. Sui tirocini, del resto, c’è lo stanziamento più ricco: 1,3 miliardi del Fondo sociale europeo per supportare la creazione di almeno 370mila stage nel corso di quest’anno.

E almeno 5mila giovani potranno beneficiare dell’iniziativa «Il tuo primo posto di lavoro Eures», pensata per aiutarli a trovare un’occupazione in un altro Paese della Ue attraverso consulenza, aiuto nella ricerca di un posto di lavoro e sostegno finanziario, che passa attraverso l’utilizzo del portale Eures che veicola, secondo la Ue, circa 100mila posti di lavoro l’anno.

L’obiettivo finale del piano è dare slancio alla mobilità internazionale, finora frenata dai ritardi nell’implementazione del Quadro europeo delle qualifiche (Eqf), che da quest’anno avrebbe dovuto assicurare il riconoscimento automatico dei titoli di studio nei diversi sistemi scolastici: solo 10 Paesi sono in regola con il ruolino di marcia (Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia, Olanda, Malta, Portogallo e Regno Unito).

«In Italia – spiegano dall’Isfol, l’agenzia che offre assistenza tecnica al ministero del Lavoro e al Miur per l’attuazione dell’Eqf – la mappatura dei titoli del sistema educativo e formativo, che rappresenta il primo step dell’intero processo, è in fase di definizione e di consultazione istituzionale con le Regioni». Dal rapporto che dovrebbe essere presentato alla Commissione europea entro fine anno ne emergerà un quadro in cui ciascuno dei titoli rilasciati in Italia conterrà l’indicazione di uno degli 8 livelli previsti dalla Ue.

Il Sole 24 Ore 05.03.12

“Un miliardo per i giovani. Da Erasmus all’imprenditoria le azioni per ridurre la disoccupazione” di Francesca Barbieri

Uso più efficiente dei fondi, schemi innovativi per favorire il passaggio tra scuola e lavoro, aiuti alla mobilità tra uno Stato e l’altro. L’Unione europea scende in campo per contrastare la disoccupazione giovanile, “male” che affligge oltre 5 milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni, cui si sommano 7,5 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. In aggiunta all’invito rivolto agli Stati di spendere i fondi strutturali residui – oltre 82 miliardi, di cui 8 in Italia – per sostenere l’occupazione giovanile e le Pmi, le direttrici tracciate da Bruxelles puntano a ridurre la dispersione scolastica, sostenere tirocini e contratti di apprendistato, attraverso programmi collaudati come Erasmus (anche per imprenditori, si veda l’articolo a lato) e Leonardo da Vinci. Quest’ultimo, in particolare, con un budget di 25 milioni destinato all’Italia per il 2012, promuove stage in imprese o istituti di formazione per studenti e disoccupati.

Per ridurre gli abbandoni scolastici la Ue riserva 4 milioni ai giovani che hanno lasciato prima del diploma per aiutarli a riprendere gli studi o un percorso professionale che offra competenze spendibili sul mercato. La richiesta di Bruxelles ai Paesi è di mettere a punto meccanismi per assicurare che i giovani, entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico, abbiano un lavoro, proseguano gli studi o si iscrivano a un altro corso di formazione. Insomma, se l’obiettivo (ambizioso) venisse tradotto in realtà, si sfoltirebbe in modo deciso l’esercito del Neet. Da parte sua la Commissione sta disegnando un quadro per tirocini di alta qualità in modo da rendere più trasparenti le informazioni sulle opportunità disponibili a livello europeo, sulle condizioni di accesso e sugli obiettivi perseguiti. Sui tirocini, del resto, c’è lo stanziamento più ricco: 1,3 miliardi del Fondo sociale europeo per supportare la creazione di almeno 370mila stage nel corso di quest’anno.

E almeno 5mila giovani potranno beneficiare dell’iniziativa «Il tuo primo posto di lavoro Eures», pensata per aiutarli a trovare un’occupazione in un altro Paese della Ue attraverso consulenza, aiuto nella ricerca di un posto di lavoro e sostegno finanziario, che passa attraverso l’utilizzo del portale Eures che veicola, secondo la Ue, circa 100mila posti di lavoro l’anno.

L’obiettivo finale del piano è dare slancio alla mobilità internazionale, finora frenata dai ritardi nell’implementazione del Quadro europeo delle qualifiche (Eqf), che da quest’anno avrebbe dovuto assicurare il riconoscimento automatico dei titoli di studio nei diversi sistemi scolastici: solo 10 Paesi sono in regola con il ruolino di marcia (Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia, Olanda, Malta, Portogallo e Regno Unito).

«In Italia – spiegano dall’Isfol, l’agenzia che offre assistenza tecnica al ministero del Lavoro e al Miur per l’attuazione dell’Eqf – la mappatura dei titoli del sistema educativo e formativo, che rappresenta il primo step dell’intero processo, è in fase di definizione e di consultazione istituzionale con le Regioni». Dal rapporto che dovrebbe essere presentato alla Commissione europea entro fine anno ne emergerà un quadro in cui ciascuno dei titoli rilasciati in Italia conterrà l’indicazione di uno degli 8 livelli previsti dalla Ue.

Il Sole 24 Ore 05.03.12