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Gli uomini e la violenza «Questa è una tragedia che li riguarda tutti», di Daniela Monti

È un fatto privato di «quella» famiglia, di «quella» coppia. E poi solo un folle può compiere un gesto così, quattro persone uccise per un’ossessione, un’idea malata di dominio e di possesso. Chissà che patologia ha: avrebbero dovuto fermarlo prima, avrebbero dovuto curarlo prima. Eppure c’è qualcosa che non torna in un ragionamento come questo. I primi a mettere in guardia sono i numeri: le violenze degli uomini sulle donne sono un fenomeno esteso, quasi quotidiano. Diventa difficile credere che siano tutte e solo relazioni sbagliate, rapporti sfortunati, situazioni al di fuori della «normalità». Lea Melandri, scrittrice, una lunga militanza nel femminismo che l’ha portata ad approfondire le dinamiche del rapporto fra i sessi, dà un’altra lettura della tragedia di Brescia. Macché fatto privato, macché patologia: il vero nocciolo sta in una questione infinitamente più complessa e che riguarda la nostra cultura dei rapporti fra uomini e donne. «Il fatto di considerare la violenza domestica come un fatto privato ostacola quell’assunzione di responsabilità da parte degli uomini, a livello culturale e politico, che sola potrebbe farci fare uno scatto avanti, spingendoci fuori dall’emergenza». Se sgombriamo il campo dalla figura del mostro, di quel mostro, tolto di mezzo il quale ci sentiamo tutti (falsamente) più sicuri, ciò che resta è una cultura, cristallizzata nel tempo, di rapporti fra i sessi fondata su legami di subalternità dell’universo femminile nei confronti di quello maschile di cui la violenza è l’espressione estrema, più bestiale.
I soliti vecchi discorsi? Melandri è convinta di no: «Di fronte a fatti atroci come questo, la reazione degli uomini, di quasi tutti gli uomini, è prenderne subito le distanze. Io non sono così, dicono, non ho nulla da spartire con tutto ciò. Vorrei invece vedere più coraggio, vorrei che gli intellettuali di questo Paese, gli stessi uomini di cui leggo gli scritti e dei quali condivido molto spesso le idee, dicessero finalmente: tutto ciò mi riguarda. Vorrei che qualcuno alzasse la voce e dicesse: la questione del rapporto fra uomini e donne è centrale e non più rinviabile. E cominciasse a interrogarsi sull’idea di mascolinità che abbiamo costruito nei secoli, sul nostro modello di civiltà, portandone allo scoperto punti di forza e nodi critici. Noto una difficoltà, che a volte sembra quasi insormontabile, a portare il tema della violenza sulle donne dentro un vero dibattito pubblico. Il massimo a cui ho assistito è stata la denuncia che alcuni uomini fanno del sessismo, sempre praticato dagli altri s’intende».
Perché tanta fragilità maschile? Perché basta un no o un addio per dare sfogo alla violenza?
«La fragilità maschile è un tema che andrebbe indagato a fondo. Gli uomini hanno costruito nei secoli un legame di dipendenza dalle donne molto forte. Imparano a conoscere il corpo femminile da piccolissimi, quando la dipendenza da quel corpo è totale. Poi il legame si prolunga nella figura della donna vista come madre. Le tante libertà acquisite negli ultimi decenni hanno però cambiato tutto. La dipendenza degli uomini resta, quella delle donne dai loro partner è stata invece messa in crisi da una nuova idea di se stesse».
Le donne troppo spesso non denunciano.
«Spesso è difficile distinguere fra amore e violenza, c’e da parte delle donne una complicità nel profondo con questi loro uomini che alzano le mani, c’è quell’idea dell’io ti salverò che le tiene prigioniere di un clima che diventa via via più pesante e drammatico. Ci sono anche donne che hanno denunciato e sono state uccise per questo. Non credo che sia dunque la soluzione a tutti i problemi. I centri antiviolenza, dove spesso le donne si rifugiano e vengono aiutate, chiudono per mancanza di fondi. È questa l’attenzione che siamo disposti a dare al problema?».
Ripensare al rapporto fra uomini e donne, d’accordo. E intanto?
«Intanto serve una forte e convinta campagna di informazione contro le violenze. Serve lavorare nelle scuole, introducendo un’educazione al rapporto fra i sessi e ai sentimenti che possa gettare basi nuove in questo Paese. Penso ad alcune esperienze positive realizzate all’estero di programmi specifici antiviolenza svolti nelle carceri. Dobbiamo trovare la forza di essere piu combattive su questi argomenti. Ci sarebbe tanto da fare invece di fingere di meravigliarsi, ogni volta, quando una donna viene uccisa da chi diceva d’amarla».

Il Corriere della Sera 05.03.12

Maranello (Mo) – Giornata internazionale della donna

Maranello, “Festa della donna” con l’on. Ghizzoni e Bonaccini

Cena dedicata alle donne la sera di giovedì 8 marzo presso la Sala parrocchiale di Pozza

Buon cibo e buona politica: è così che il Pd di Maranello ha deciso di festeggiare la Giornata internazionale della donna. Per la serata di giovedì 8 marzo è stata organizzata una cena presso la Sala parrocchiale di Pozza, in via Verdi. Parteciperanno la deputata Pd Manuela Ghizzoni e il segretario regionale del Pd Stefano Bonaccini. Costo 18.00 euro a testa. Prenotazioni al 320/93.50.999.

Il Pd di Maranello festeggia, giovedì 8 marzo, la Giornata internazionale della donna con una cena dedicata sia delle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia delle discriminazioni e violenze cui esse sono ancora soggette in molte parti del mondo. “Questa data – spiega il segretario del circolo Pd Fabrizio Zucchi – assume ancora più importanza se collocata nell’ambito di una situazione politica e sociale piena di tensioni e sofferenze come quella che il nostro Paese sta attraversando ormai da mesi. Per questo il PD di Maranello, a un anno dal primo centenario, vuole promuovere un’iniziativa che riesca a far emergere non solo l’importanza di questa festa, ma anche quella dello stare insieme a tutti i nostri iscritti e sostenitori. Con una cena dedicata alle donne e a chi sta al loro fianco sostenendole, vogliamo rinforzare sia le conquiste sociali già acquisite, sia quelle ancora da rivendicare. Per tale ragione – continua Zucchi – abbiamo invitato alla nostra cena l’on. Manuela Ghizzoni e il segretario regionale del Pd Stefano Bonaccini: si parlerà delle posizioni del nostro partito rispetto all’andamento politico ed economico del nostro Paese e delle proposte del PD inoltrate al nuovo Governo tecnico”. La cena si terrà, giovedì 8 marzo alle ore 20:30, presso la sala Parrocchiale di Pozza, Via Verdi. Il costo è fissato in 18,00 € a testa.

Per informazioni e/o prenotazioni ci si può rivolgere al 320 9350999

"Monito di Prodi al governo:l’auto decisiva per il Paese", di Luigina Venturelli

Al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera – che solo pochi giorni fa, all’ennesima domanda sulle minacce di un possibile abbandono Fiat dell’Italia e sulle iniziative eventuali prese dall’esecutivo, rispondeva laconico: «Non ci sono stati ancora contatti, ma è possibile che ci siano» – ieri probabilmente saranno fischiate le orecchie. La lettura mattutina dei quotidiani sulla prima pagina del Messaggero gli riservava, infatti, un severo richiamo firmato da Romano Prodi: «È giunto il momento in cui il governo si debba assumere la responsabilità di ricercare con Fiat e sindacati una strada comune per ricostruire una presenza italiana forte e concorrenziale» nel settore dell’automobile.
AUTO A MARCIA INDIETRO
Difficilmente l’analisi dell’ex presidente del Consiglio avrebbe potuto essere più lucida e più spietata. Per la morbidezza dei toni utilizzati nell’editoriale, che a Sergio Marchionne riconosceva addirittura di aver preso «una decisione magistrale» riguardo alla fusione dell’azienda con Chrysler. Per la durezza dei numeri con cui parlava dell’attuale «effetto di senescenza che fatalmente conduce alla morte di un’impresa», ovvero il continuo calo della quota di mercato della casa torinese e la diminuzione delle auto prodotte dagli stabilimenti nazionali, «da 1.271mila
vetture nel 2001 ameno di 500mila nello scorso anno». Ed anche per la sottile ironia con cui delineava il compito che ora attende il governo: «Si tratta solo di fare, con troppi anni di ritardo, quello che tutti gli altri Paesi hanno fatto per garantire un futuro alla propria economia».
In quell’avverbio «solo» si legge tutta la condanna nei confronti dell’inerte esecutivo Berlusconi, che all’amministratore delegato del Lingotto ha lasciato decidere per anni i destini industriali del Paese, senza mai chiedergli conto delle sue scelte e delle sue promesse non mantenute. Ma si legge anche l’implicito rimprovero all’attuale governo, che ancora non ha ritenuto di inserire la vicenda Fiat tra le priorità da affrontare per riportare l’economia nazionale in acque sicure.
Così l’Italia è tuttora priva di una politica industriale in grado di preservare un settore da 160mila occupati e 40 miliardi di euro di fatturato, considerando sia la casa automobilistica torinese sia i produttori di componenti che rappresentano l’indotto. Mentre Obama – ricordava Prodi sul quotidiano romano – ha mobilitato «cospicui aiuti finanziari per salvare Detroit», la Merkel ha ottenuto di mantenere in Germania la Opel, e Zapatero grazie ai sussidi ha convinto le multinazionali a restare in Spagna.
Il nostro Paese resta in attesa che si compia la profezia degli analisti spesso ricordata da Marchionne sui sei o sette grandi gruppi automobilistici che soli sopravviveranno al mondo entro i prossimi anni. Aspetta e spera, scontando anche quella «perdita di velocità nella ricerca» che all’ex presidente della Commissione europea ieri faceva chiedere: «Negli ultimi saloni da Francoforte
a Detroit tutti hannopresentato modelli ibridi ed elettrici e hanno mostrato un ruolo dominante dell’elettronica in tutte le funzioni di controllo e sicurezza. E da noi?». Il tempo dell’Italia sta per scadere, perché se Marchionne grazie alla fusione con Chrysler ha salvato l’impresa e preservato un presidio importante dell’economia nazionale, «negli ultimi due anni questi due obiettivi sembrano allontanarsi». Adesso tocca al governo agire – concludeva Prodi -perché «le dittature impongono, ma le democrazie debbono guidare».

L’Unità 05.03.12

“Monito di Prodi al governo:l’auto decisiva per il Paese”, di Luigina Venturelli

Al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera – che solo pochi giorni fa, all’ennesima domanda sulle minacce di un possibile abbandono Fiat dell’Italia e sulle iniziative eventuali prese dall’esecutivo, rispondeva laconico: «Non ci sono stati ancora contatti, ma è possibile che ci siano» – ieri probabilmente saranno fischiate le orecchie. La lettura mattutina dei quotidiani sulla prima pagina del Messaggero gli riservava, infatti, un severo richiamo firmato da Romano Prodi: «È giunto il momento in cui il governo si debba assumere la responsabilità di ricercare con Fiat e sindacati una strada comune per ricostruire una presenza italiana forte e concorrenziale» nel settore dell’automobile.
AUTO A MARCIA INDIETRO
Difficilmente l’analisi dell’ex presidente del Consiglio avrebbe potuto essere più lucida e più spietata. Per la morbidezza dei toni utilizzati nell’editoriale, che a Sergio Marchionne riconosceva addirittura di aver preso «una decisione magistrale» riguardo alla fusione dell’azienda con Chrysler. Per la durezza dei numeri con cui parlava dell’attuale «effetto di senescenza che fatalmente conduce alla morte di un’impresa», ovvero il continuo calo della quota di mercato della casa torinese e la diminuzione delle auto prodotte dagli stabilimenti nazionali, «da 1.271mila
vetture nel 2001 ameno di 500mila nello scorso anno». Ed anche per la sottile ironia con cui delineava il compito che ora attende il governo: «Si tratta solo di fare, con troppi anni di ritardo, quello che tutti gli altri Paesi hanno fatto per garantire un futuro alla propria economia».
In quell’avverbio «solo» si legge tutta la condanna nei confronti dell’inerte esecutivo Berlusconi, che all’amministratore delegato del Lingotto ha lasciato decidere per anni i destini industriali del Paese, senza mai chiedergli conto delle sue scelte e delle sue promesse non mantenute. Ma si legge anche l’implicito rimprovero all’attuale governo, che ancora non ha ritenuto di inserire la vicenda Fiat tra le priorità da affrontare per riportare l’economia nazionale in acque sicure.
Così l’Italia è tuttora priva di una politica industriale in grado di preservare un settore da 160mila occupati e 40 miliardi di euro di fatturato, considerando sia la casa automobilistica torinese sia i produttori di componenti che rappresentano l’indotto. Mentre Obama – ricordava Prodi sul quotidiano romano – ha mobilitato «cospicui aiuti finanziari per salvare Detroit», la Merkel ha ottenuto di mantenere in Germania la Opel, e Zapatero grazie ai sussidi ha convinto le multinazionali a restare in Spagna.
Il nostro Paese resta in attesa che si compia la profezia degli analisti spesso ricordata da Marchionne sui sei o sette grandi gruppi automobilistici che soli sopravviveranno al mondo entro i prossimi anni. Aspetta e spera, scontando anche quella «perdita di velocità nella ricerca» che all’ex presidente della Commissione europea ieri faceva chiedere: «Negli ultimi saloni da Francoforte
a Detroit tutti hannopresentato modelli ibridi ed elettrici e hanno mostrato un ruolo dominante dell’elettronica in tutte le funzioni di controllo e sicurezza. E da noi?». Il tempo dell’Italia sta per scadere, perché se Marchionne grazie alla fusione con Chrysler ha salvato l’impresa e preservato un presidio importante dell’economia nazionale, «negli ultimi due anni questi due obiettivi sembrano allontanarsi». Adesso tocca al governo agire – concludeva Prodi -perché «le dittature impongono, ma le democrazie debbono guidare».

L’Unità 05.03.12

"Atleti e studenti allo stesso tempo? In Italia è (quasi) impossibile", di Giulia Zonca

La giornata è sempre in salita perché la sveglia suona davvero presto, le ore sono troppo piene e gli extra non ci stanno mai. Essere campione e studente insieme in Italia è difficile perché è tutto fai da te: se riesci a strizzare la tua vita nello zaino quotidiano bene, altrimenti o molli lo sport o ti fai bocciare. Lisa Fissneider ha 17 anni, un soprannome da campionessa, «Goldfisch», e non si ricorda il titolo dell’ultimo film che ha visto: «È passato troppo tempo». Alessia Polieri ha la stessa età e l’unico sfizio quotidiano che riesce a nominare è «un po’ di facebook serale purché il computer sia spento prima delle 10». Entrambe nuotano, hanno talento e questa settimana, ai campionati italiani di Riccione, cercano la qualificazione per le Olimpiadi. A scuola si accontentano di stare a galla perché faticare per una medaglia e avere buoni voti sono obiettivi incompatibili da queste parti.

Lisa è una ranista, vive a Caldaro, a 15 km da Bolzano. Oro ai Mondiali juniores, elemento della staffetta mista azzurra e curata a vista da Federica Pellegrini che la considera «una da cui aspettarsi molto». Non scherza, non sta andando a caso e da tempo sa che in piscina c’è un pezzo di vita, non un è passatempo. Si allena come una professionista, cioè in pratica lavora ma la nostra scuola non ne tiene conto: «Faccio l’Istituto tecnico, per carità i miei insegnanti cercano di conciliare verifiche e interrogazioni, ma il sistema non aiuta neanche loro. Sono giovane, non so cosa succederà in futuro, dovrebbero darci più possibilità di portare avanti scuola e agonismo ma di fatto ci costringono a scegliere». La prima Olimpiade vista in tv è quella dell’altro ieri, Atene 2004: «Stavo dentro lo schermo, ora quel mondo a parte potrebbe diventare reale, posso esserci io e non voglio andare ai Giochi per guardarmi in giro e dire che bello, voglio dare un senso a tutta questa fatica». Negli ultimi mesi, per lavorare al meglio prima delle gare, si è fatta Bolzano-Verona e ritorno tutti i giorni. Mattinata da alunna, pomeriggio da atleta nel centro federale, rientro dopo le 20,30 e compiti a seguire. All’adolescente non resta gran che: «Il tempo libero è sinonimo di sonno, divano. Ma faccio quello che mi piace. Non so quanti a 17 anni possono dire lo stesso».

Alessia si allena a Imola con Fabio Scozzoli, uno che è già salito sul podio mondiale. Lei è la giovane promessa: misti e delfino, una passione generazionale per i film con i vampiri, un fastidio per il soprannome che le hanno appiccicato addosso troppo in fretta, ai primi successi nazionali: «Mi hanno chiamata Harry Potter, non c’entra nulla con me. Per gli occhi grandi? Perché qualche anno fa ho letto il libro? Se fossi un mago mi eviterei certe levatacce». Si alza alle 5,15, all’alba: nuoto prima e dopo le lezioni: «Sono in quarta scientifico ed è un percorso a ostacoli. Parlo con le mie colleghe straniere, le spagnole e le tedesche non si strapazzano così. Hanno i crediti sportivi, orari diversi nelle fasi di gara, in certi periodi possono studiare a casa e dare verifiche a scuola. Da noi nulla. Non si fidano. Siamo come tutti gli altri, il concetto magari è giusto ma io non faccio la vita delle mie compagne di classe».

In pochi si avventurano oltre le superiori. Beatrice Adelizzi, sincronetta bronzo ai Mondiali di Roma, si è spaccata la schiena fino alla medaglia poi ha detto basta: «Voglio fare l’università e non si concilia con lo sport ad alto livello». Le eccezioni ci sono. Daniele Meucci, mezzofondista, bronzo nei 10.000 metri agli Europei 2010, si è appena laureato in ingegneria dell’automazione. Un cervellone e un esempio raro, ma in ogni caso ha rinunciato a molte gare in passato per lo studio, ha fatto delle scelte, perso stagioni e l’atletica gli consente di essere ancora in carriera a 26 anni. Nel nuoto o nella ginnastica è più complicato, l’età concede poco e il Ministero dell’Istruzione meno.
Quando ci mancano campioni ogni dirigente dice: «Bisogna ripartire dalle scuole», forse è meglio ripartire con le scuole e rifare l’orario.

La Stampa 05.03.12

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La ricetta di Profumo: “Dal 2013 partirà il liceo sportivo”, di Grazia Longo

Il «credito sportivo» del sistema scolastico americano è un’altra cosa, ma anche nel nostro Paese si registra un importante passo avanti per favorire una maggiore integrazione tra studio e sport. Sta per nascere, su un progetto sostenuto dal ministro alla Pubblica Istruzione Francesco Profumo, il «liceo sportivo».

Una mini rivoluzione: di che cosa si tratta esattamente?
«Il liceo sportivo sarà un’articolazione del liceo scientifico e prevede un incremento delle ore di educazione fisica e delle discipline connesse alla gestione del fenomeno sportivo».

Quando entrerà in funzione?
«Presto. Alla fine dell’anno scolastico in corso sarà approvato definitivamente il regolamento, che ha già ottenuto il parere positivo del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione con alcune proposte di arricchimento del testo che abbiamo recepito ed è in corso di acquisizione il parere del Consiglio di Stato».

Le tappe successive?
«Nell’anno scolastico 2012-2013 si provvederà alla formazione degli insegnanti e alla ricerca delle strutture. E nell’anno scolastico 2013-2014 si partirà con le lezioni».

Cosa l’ha convinta a promuovere questo progetto?
«A livello generale, le ricerche che provano come la poca attenzione all’educazione fisica a scuola non solo porti a un peggioramento della qualità della vita, ma contribuisca anche a un aumento dei costi nel corso della vita per porvi rimedio. Nello specifico dello sport agonistico, credo sia importante favorire la scelta di chi lo vuole praticare senza sacrificare l’istruzione scolastica e viceversa».

E intanto? Con quali strategie la scuola va incontro a potenziali campioni dello sport?
«è già in corso una sperimentazione per alunni-atleti che per periodi lunghi non possono frequentare le lezioni perché impegnati nelle gare. Si articola in una serie di accordi con le scuole dove sono iscritti questi ragazzi. Varie le modalità: dalle lezioni a distanza, grazie alle nuove tecnologie, alle attività tutoriali specifiche quando tornano a scuola. Sono, inoltre, già operative altre due sperimentazioni».

Quali?
«Un corso di alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, ma solo in alcune realtà, grazie a un protocollo d’intesa con il Coni, che contribuisce con 5 milioni di euro e con il Miur, che ha investito 2,5 milioni. Questa sperimentazione tende ad un’attività di sensibilizzazione e di educazione per una corretta pratica sportiva, attraverso la presenza di un esperto per ogni scuola prescelta».

L’altra sperimentazione coinvolge, invece, tutte le scuole?
«Sì, nell’ambito del contratto nazionale di lavoro degli insegnanti, sono previsti 60 milioni di euro per finanziare le ore aggiuntive dei docenti di educazione fisica che, oltre alle attività curriculari, formano i ragazzi, compresi quelli diversamente abili, che svolgono attività sportiva agonistica. L’obiettivo è quello di prepararli alle gare provinciali e nazionali».

La Stampa 05.03.12

“Atleti e studenti allo stesso tempo? In Italia è (quasi) impossibile”, di Giulia Zonca

La giornata è sempre in salita perché la sveglia suona davvero presto, le ore sono troppo piene e gli extra non ci stanno mai. Essere campione e studente insieme in Italia è difficile perché è tutto fai da te: se riesci a strizzare la tua vita nello zaino quotidiano bene, altrimenti o molli lo sport o ti fai bocciare. Lisa Fissneider ha 17 anni, un soprannome da campionessa, «Goldfisch», e non si ricorda il titolo dell’ultimo film che ha visto: «È passato troppo tempo». Alessia Polieri ha la stessa età e l’unico sfizio quotidiano che riesce a nominare è «un po’ di facebook serale purché il computer sia spento prima delle 10». Entrambe nuotano, hanno talento e questa settimana, ai campionati italiani di Riccione, cercano la qualificazione per le Olimpiadi. A scuola si accontentano di stare a galla perché faticare per una medaglia e avere buoni voti sono obiettivi incompatibili da queste parti.

Lisa è una ranista, vive a Caldaro, a 15 km da Bolzano. Oro ai Mondiali juniores, elemento della staffetta mista azzurra e curata a vista da Federica Pellegrini che la considera «una da cui aspettarsi molto». Non scherza, non sta andando a caso e da tempo sa che in piscina c’è un pezzo di vita, non un è passatempo. Si allena come una professionista, cioè in pratica lavora ma la nostra scuola non ne tiene conto: «Faccio l’Istituto tecnico, per carità i miei insegnanti cercano di conciliare verifiche e interrogazioni, ma il sistema non aiuta neanche loro. Sono giovane, non so cosa succederà in futuro, dovrebbero darci più possibilità di portare avanti scuola e agonismo ma di fatto ci costringono a scegliere». La prima Olimpiade vista in tv è quella dell’altro ieri, Atene 2004: «Stavo dentro lo schermo, ora quel mondo a parte potrebbe diventare reale, posso esserci io e non voglio andare ai Giochi per guardarmi in giro e dire che bello, voglio dare un senso a tutta questa fatica». Negli ultimi mesi, per lavorare al meglio prima delle gare, si è fatta Bolzano-Verona e ritorno tutti i giorni. Mattinata da alunna, pomeriggio da atleta nel centro federale, rientro dopo le 20,30 e compiti a seguire. All’adolescente non resta gran che: «Il tempo libero è sinonimo di sonno, divano. Ma faccio quello che mi piace. Non so quanti a 17 anni possono dire lo stesso».

Alessia si allena a Imola con Fabio Scozzoli, uno che è già salito sul podio mondiale. Lei è la giovane promessa: misti e delfino, una passione generazionale per i film con i vampiri, un fastidio per il soprannome che le hanno appiccicato addosso troppo in fretta, ai primi successi nazionali: «Mi hanno chiamata Harry Potter, non c’entra nulla con me. Per gli occhi grandi? Perché qualche anno fa ho letto il libro? Se fossi un mago mi eviterei certe levatacce». Si alza alle 5,15, all’alba: nuoto prima e dopo le lezioni: «Sono in quarta scientifico ed è un percorso a ostacoli. Parlo con le mie colleghe straniere, le spagnole e le tedesche non si strapazzano così. Hanno i crediti sportivi, orari diversi nelle fasi di gara, in certi periodi possono studiare a casa e dare verifiche a scuola. Da noi nulla. Non si fidano. Siamo come tutti gli altri, il concetto magari è giusto ma io non faccio la vita delle mie compagne di classe».

In pochi si avventurano oltre le superiori. Beatrice Adelizzi, sincronetta bronzo ai Mondiali di Roma, si è spaccata la schiena fino alla medaglia poi ha detto basta: «Voglio fare l’università e non si concilia con lo sport ad alto livello». Le eccezioni ci sono. Daniele Meucci, mezzofondista, bronzo nei 10.000 metri agli Europei 2010, si è appena laureato in ingegneria dell’automazione. Un cervellone e un esempio raro, ma in ogni caso ha rinunciato a molte gare in passato per lo studio, ha fatto delle scelte, perso stagioni e l’atletica gli consente di essere ancora in carriera a 26 anni. Nel nuoto o nella ginnastica è più complicato, l’età concede poco e il Ministero dell’Istruzione meno.
Quando ci mancano campioni ogni dirigente dice: «Bisogna ripartire dalle scuole», forse è meglio ripartire con le scuole e rifare l’orario.

La Stampa 05.03.12

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La ricetta di Profumo: “Dal 2013 partirà il liceo sportivo”, di Grazia Longo

Il «credito sportivo» del sistema scolastico americano è un’altra cosa, ma anche nel nostro Paese si registra un importante passo avanti per favorire una maggiore integrazione tra studio e sport. Sta per nascere, su un progetto sostenuto dal ministro alla Pubblica Istruzione Francesco Profumo, il «liceo sportivo».

Una mini rivoluzione: di che cosa si tratta esattamente?
«Il liceo sportivo sarà un’articolazione del liceo scientifico e prevede un incremento delle ore di educazione fisica e delle discipline connesse alla gestione del fenomeno sportivo».

Quando entrerà in funzione?
«Presto. Alla fine dell’anno scolastico in corso sarà approvato definitivamente il regolamento, che ha già ottenuto il parere positivo del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione con alcune proposte di arricchimento del testo che abbiamo recepito ed è in corso di acquisizione il parere del Consiglio di Stato».

Le tappe successive?
«Nell’anno scolastico 2012-2013 si provvederà alla formazione degli insegnanti e alla ricerca delle strutture. E nell’anno scolastico 2013-2014 si partirà con le lezioni».

Cosa l’ha convinta a promuovere questo progetto?
«A livello generale, le ricerche che provano come la poca attenzione all’educazione fisica a scuola non solo porti a un peggioramento della qualità della vita, ma contribuisca anche a un aumento dei costi nel corso della vita per porvi rimedio. Nello specifico dello sport agonistico, credo sia importante favorire la scelta di chi lo vuole praticare senza sacrificare l’istruzione scolastica e viceversa».

E intanto? Con quali strategie la scuola va incontro a potenziali campioni dello sport?
«è già in corso una sperimentazione per alunni-atleti che per periodi lunghi non possono frequentare le lezioni perché impegnati nelle gare. Si articola in una serie di accordi con le scuole dove sono iscritti questi ragazzi. Varie le modalità: dalle lezioni a distanza, grazie alle nuove tecnologie, alle attività tutoriali specifiche quando tornano a scuola. Sono, inoltre, già operative altre due sperimentazioni».

Quali?
«Un corso di alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, ma solo in alcune realtà, grazie a un protocollo d’intesa con il Coni, che contribuisce con 5 milioni di euro e con il Miur, che ha investito 2,5 milioni. Questa sperimentazione tende ad un’attività di sensibilizzazione e di educazione per una corretta pratica sportiva, attraverso la presenza di un esperto per ogni scuola prescelta».

L’altra sperimentazione coinvolge, invece, tutte le scuole?
«Sì, nell’ambito del contratto nazionale di lavoro degli insegnanti, sono previsti 60 milioni di euro per finanziare le ore aggiuntive dei docenti di educazione fisica che, oltre alle attività curriculari, formano i ragazzi, compresi quelli diversamente abili, che svolgono attività sportiva agonistica. L’obiettivo è quello di prepararli alle gare provinciali e nazionali».

La Stampa 05.03.12

"Più poteri al capo del governo deputati e senatori tagliati del 20% e addio al bicameralismo perfetto", di Giovanni Casadio

L´obiettivo è di rafforzare la rappresentanza e favorire la governabilità. La bozza gode di una vasta maggioranza. I neo-maggiorenni voteranno per palazzo Madama. Trovato l´accordo su regole bipartisan dopo vent´anni di scontri sulle modifiche istituzionali. Il Senato federale non c´è. È stato lasciato a decantare negli uffici dei segretari di Pdl, Pd e Udc Alfano, Bersani e Casini, a cui è stato consegnato il documento sulle riforme istituzionali da varare prima della fine del governo Monti. Saranno loro, che si incontreranno probabilmente a metà settimana, a dire l´ultima parola sulla cosiddetta Camera delle Regioni. Gli sherpa – Violante, Adornato, Quagliariello, Pisicchio, Bocchino – hanno ultimato il lavoro giovedì scorso e trovato l´intesa bipartisan sulle nuove regole per la prima volta dopo vent´anni di scontri. Le definiscono «il minimo indispensabile senza inseguire il meglio possibile». Quindi, taglio dei parlamentari (508 deputati e 254 senatori), un bicameralismo “eventuale”, più poteri al premier, sfiducia costruttiva, una forma di “potere d´agenda” del governo che potrà chiedere alcune corsie veloci senza bisogno di ricorrere a decreti o alla fiducia. Ma soprattutto il ringiovanimento della politica: a 18 anni si potrà votare sia per la Camera che per il Senato (ora a 25) e essere eletti deputati a 21 e senatori a 35 (ora rispettivamente a 25 e 40 anni). Quagliariello mette le mani avanti: «Non c´è ancora il lasciapassare del Pdl». Adornato: «Vedremo cosa diranno i partiti ma di certo segna la fine delle guerre ideologiche».

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Il premier può cadere in aula solo se si indica un´alternativa

Sfiducia costruttiva. È un´altra delle novità introdotte nel “pacchetto riforme istituzionali” e che ha messo d´accordo tutti le forze politiche, almeno al tavolo dei “tecnici”. Prevede la possibilità di presentare in Parlamento una mozione sottoscritta da almeno un terzo dei componenti di ciascuna Camera e deve contenere l´indicazione del nuovo premier e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (mentre per la fiducia iniziale al governo basta la maggioranza semplice).
In pratica il governo può cadere solo se ne nasce un altro. La sfiducia costruttiva rappresenta un rafforzamento del ruolo del Parlamento. Se la mozione passa in una Camera e nell´altra no, la crisi comunque resta e il capo dello Stato mantiene nelle sue mani il potere di scioglimento.
Da segnalare inoltre che a Palazzo Madama si istituisce la Commissione paritetica per le questioni regionali che sarà composte dai presidenti delle assemblee rappresentative delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, oltre che da un numero di senatori che rispecchi la proporzione dei membri dell´assemblea. Darà parere obbligatorio sulle materie di cui si occupa il Senato.

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Alla Camera saranno 508 gli eletti al Senato 254, resta la circoscrizione estera

Il taglio dei parlamentari è stato uno dei leit-motiv della fase istruttoria di queste riforme istituzionali. L´intesa prevede che si passi dagli attuali 630 deputati a 500 e dai 315 senatori a 250. A questi vanno però aggiunti rispettivamente 8 eletti alla Camera per il collegio estero e 4 eletti al Senato. Pertanto saranno 508 deputati e 254 senatori. Una sforbiciata che, quando è trapelata nei giorni scorsi, ha fatto discutere: è intorno al 20%, da alcuni è ritenuta ancora insufficiente.
Evidente che il numero dei parlamentari è un elemento decisivo per potere mettere mano alla legge elettorale. Se prevalesse il modello ispano-tedesco – di cui gli sherpa Violante, Adornato, Pisicchio, Quagliarello e Bocchino hanno già iniziato a parlare – allora sarebbero alla Camera 464 i deputati eletti con il sistema misto uninominale-proporzionale e uno sbarramento del 4-5 per cento. Altri 14 seggi potrebbero andare ai partiti minori come diritto di tribuna, mentre resterebbe in palio un piccolo premio di maggioranza. Dodici appunto i seggi attribuiti dalla circoscrizione estero. Anche per il Senato dovrebbe essere usata la stessa ripartizione. Sempre che non rispunti l´ipotesi Camera delle Regioni.

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Anche i diciottenni voteranno per il Senato cala l´età minima per entrare in Parlamento

Scenderà l´età minima per diventare parlamentari. Si tenta così un ringiovanimento della politica. Con una modifica degli articoli 56 e 58 della Costituzione si potrà essere eletti deputati a 21 anni (attualmente è a 25) e senatori a 35 (oggi a 40). E si va a votare a 18 anni non solo per la Camera, ma anche per il Senato. Pino Pisicchio, il “tecnico” che ha seguito i lavori per conto dell´Api di Rutelli, ha quantificato il numero di giovani elettori che con questa riforma andranno alle urne nel 2013: cinque milioni e mezzo in più. Può rappresentare una mini-rivoluzione del voto, una ventata di nuove esigenze e istanze da porre alla politica e anche un antidoto anti-casta.
Se scetticismo c´è, è stato espresso dal Pdl che soprattutto vorrebbe conservare i 40 anni per essere eletti senatori. Comunque, saranno gli organismi dei partiti a ritoccare, emendare e infine approvare le nuove regole prima che queste comincino il loro cammino in Parlamento. L´obiettivo resta quello della massima accelerazione. La road map, discussa dagli sherpa, prevede infatti che solo dopo la prima lettura parlamentare del “pacchetto riforme istituzionali” si agganci il vagone legge elettorale.

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Potrà nominare e revocare i ministri e chiedere lo scioglimento delle Camere

Rafforzati i poteri del premier in un delicato equilibrio che non vada a scapito del modello parlamentare della nostra democrazia. Il presidente del Consiglio avrà sempre la facoltà di indicare i ministri, che sono poi nominati dal capo dello Stato, ma avrà anche il potere di revoca dei ministri. Con questa riforma per dire, Berlusconi avrebbe potuto dare il benservito al ministro dell´Economia, Giulio Tremonti. Al nuovo governo la fiducia sarà votata da entrambe le Camere, però non in seduta congiunta, come era stato inizialmente ipotizzato. La fiducia è data al solo premier a maggioranza semplice.
Il presidente del Consiglio ha la facoltà di chiedere al capo dello Stato di sciogliere le Camere. Nella relazione dei “tecnici” al documento viene segnalato come questo tipo di modifiche vada nella direzione del modello istituzionale tedesco. Gli sherpa parlano di un buon punto di sintesi che «rafforza sia il governo che il Parlamento», in pratica di un potenziamento del ruolo del presidente del Consiglio e di un consolidamento del governo che non danneggi le prerogative del Parlamento dove viene introdotto l´istituto della sfiducia costruttiva.

La Repubblica 05.03.12