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“L’opa ostile sul professore”, di Massimo Giannini

È partita l´Opa su Monti. Ed è più ostile di quanto non sembri. Dopo Casini, anche il Cavaliere lancia dunque la sua offerta pubblica d´acquisto sul Professore. Silvio Berlusconi ha avvelenato i pozzi per un quasi ventennio, costruendo un «bipolarismo di guerra» fondato sull´aggressione e la delegittimazione dell´avversario. E adesso, come per miracolo, si concede una folgorazione tardiva: la Grosse Koalition all´italiana, o all´amatriciana. Pdl, Pd e Terzo Polo, secondo l´ex premier, dovrebbero accordarsi per candidare Mario Monti a Palazzo Chigi anche per la prossima legislatura. Sulla carta, una proposta tutt´altro che peregrina. L´ipotesi di un «Monti bis» riflette un sentimento diffuso. Prima di tutto nella testa vuota di una politica che non ha più molto da offrire agli elettori, e che per questo si affida al governo tecnico come ad uno scudo dietro al quale ripararsi, in attesa di ricostruire una piattaforma programmatica accettabile e autosufficiente. E poi soprattutto nella pancia disillusa di un Paese che invece ha molto da chiedere, e che per questo guarda al governo tecnico come a un punto di non ritorno, una riserva imperdibile di competenza e di credibilità alla quale attingere finchè si può. Letta in questa chiave, la mossa di Berlusconi è allo stesso tempo astuta e disperata.
L´astuzia consiste nell´ennesima operazione di mimesi politica e di trasformismo mediatico. Il Cavaliere vuol far credere agli italiani che il governo montiano è la prosecuzione naturale, sia pure con altri mezzi, del governo berlusconiano. «Lo sosteniamo, perché sta portando avanti il nostro programma». Questo ripete l´uomo di Arcore, per spiegare il suo endorsement nei confronti del Professore. Per questo può restare a Palazzo Chigi altri cinque anni. «È uno di noi»: questo è il messaggio implicito che la propaganda berlusconiana tenta di trasmettere all´opinione pubblica.
Ma a dispetto della banale vulgata arcoriana, a muovere il Cavaliere non è un improbabile «spirito costituente». È invece la solita intenzione di confondere le acque e nascondere i problemi. Lo dicono i fatti. In questi lunghi anni di avventura cesarista e populista, Berlusconi non ha mai neanche provato a fare una seria riforma delle pensioni (che la Lega gli ha sempre bloccato) né un pacchetto serio di liberalizzazioni (che la ex An gli ha sempre avversato). Non ha mai neanche provato a far pagare le tasse agli evasori, né a far pagare l´Ici alla Chiesa. Dunque, non si vede proprio in cosa consista la presunta «continuità» di azione e di ideazione tra il governo forzaleghista di ieri e quello «di impegno nazionale» di oggi. Il «decisionismo» moderato di Monti non è in alcun modo assimilabile al radicalismo inconcludente di Berlusconi.
Ma al Cavaliere, oggi, conviene azzardare l´Opa sul Professore per due ragioni. La prima ragione riguarda il centrodestra. Tutti i sondaggi lo dimostrano: senza la Persona che l´ha inventato e costruito a sua immagine e somiglianza, il partito personale si dissolve nel Paese, scivolando verso un drammatico 20% di consensi. Se le condizioni non mutano, il Pdl è condannato a una sconfitta sicura, sia alle amministrative di primavera sia alle politiche dell´anno prossimo. Non solo: senza il collante del leader onnipotente e carismatico, il partito si disgrega al suo interno, confermando il fallimento della Rivoluzione del Predellino e la natura «mercenaria» di una destra tenuta assieme non dagli ideali, ma solo dagli interessi. Con l´annessione unilaterale di Monti, il Cavaliere da un lato annega l´inevitabile disfatta elettorale dentro uno schema di Grande Coalizione dove non vince e non perde nessuno, e dall´altro lato rappattuma i cocci di un partito altrimenti destinato a una serie di scissioni a catena. La seconda ragione riguarda il centrosinistra. Con questo «audace colpo», Berlusconi cerca di rimandare la palla avvelenata nel campo di un Pd già diviso, costretto a dire no, per il 2013, ad un patto per un «governo di salute pubblica» di cui è oggi il principale contraente e garante.
Qui, dunque, sta la disperazione della «svolta» berlusconiana. Una scelta imposta dall´istinto di sopravvivenza, e non certo dal «senso di responsabilità». Fa bene Bersani a sottrarsi immediatamente all´«alleanza innaturale». Farebbe bene Monti a sottrarsi gradualmente all´«abbraccio mortale». Il Professore deciderà tra un anno se e come «capitalizzare» la sua esperienza politico-istituzionale. Ma una cosa è certa: il «montismo», per come lo stiamo imparando a conoscere, non è e non sarà mai riducibile a una «variante mite» del berlusconismo.

La repubblica 02.03.12

Dl liberalizzazioni: Si' del Senato alla fiducia

L’Aula di Palazzo Madama ha approvato la fiducia al Maxiemendamento con 237 si’, 33 no e 2 astenuti. Sulle banche , Bersani : “Il problema di migliorare la trasparenza dei rapporti tra banche e clienti sulle condizioni degli sconfinamenti è sacrosanto. Il governo dica qual è la soluzione e come risolvere il problema”. Via libera del Senato alla fiducia posta dal Governo sul Maxiemendamento del Governo interamente sostitutivo del decreto legge sulle liberalizzazioni . L’Aula di Palazzo Madama ha approvato la fiducia con 237 si’, 33 no e 2 astenuti. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera.

Il dl passa ora all’esame della Camera.

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Dopo le dimissioni annunciate dai vertici dell’Abi per lo stop alle clausole sulle commissioni e le linee di credito bancarie, il Segretario del Pier Luigi Bersani ha dichiarato: “Il problema di migliorare la trasparenza dei rapporti tra banche e clienti sulle condizioni degli sconfinamenti è sacrosanto. Si è in attesa di una delibera del comitato interministeriale per il credito e il risparmio, che deve disciplinare questo tipo di commissioni. In Senato è saltato il raccordo tra la norma approvata e questa delibera e così si rischia che le banche non siano in condizione di fare credito alle imprese e alle famiglie”.
Così ha chiesto che ora sulla norma sulle commissioni bancarie “il governo dica qual è la soluzione e come risolvere il problema”.

Anna Finocchiaro , Presidente del Gruppo del PD al Senato ha risposto ai giornalisti sul tema: “Sarà il governo ad occuparsi della posizione espressa oggi dalle banche. Spetta al governo trovare una soluzione, se lo ritiene. Io ritengo – ha proseguito Anna Finocchiaro – che di fronte a una protesta così vibrata, se veramente si è trattato di un errore tecnico, il governo debba prendere seriamente in considerazione la possibilità di tornare sulla questione. Io voglio solo sottolineare che in Senato l’esame è stato molto approfondito e anche abbastanza lungo. Sottolineo che oggi stiamo parlando delle banche, ma gli interessi e le pretese di fronte ai quali il Senato ha rischiato di inciampare non sono stati solo quelli delle banche, ma anche quelli delle assicurazioni, dei trasporti, delle professioni. E’ importante, comunque, che il Parlamento abbia lavorato in piena autonomia e ritengo questo un fatto molto positivo”.

www.partitodemocratico.it

Dl liberalizzazioni: Si’ del Senato alla fiducia

L’Aula di Palazzo Madama ha approvato la fiducia al Maxiemendamento con 237 si’, 33 no e 2 astenuti. Sulle banche , Bersani : “Il problema di migliorare la trasparenza dei rapporti tra banche e clienti sulle condizioni degli sconfinamenti è sacrosanto. Il governo dica qual è la soluzione e come risolvere il problema”. Via libera del Senato alla fiducia posta dal Governo sul Maxiemendamento del Governo interamente sostitutivo del decreto legge sulle liberalizzazioni . L’Aula di Palazzo Madama ha approvato la fiducia con 237 si’, 33 no e 2 astenuti. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera.

Il dl passa ora all’esame della Camera.

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Dopo le dimissioni annunciate dai vertici dell’Abi per lo stop alle clausole sulle commissioni e le linee di credito bancarie, il Segretario del Pier Luigi Bersani ha dichiarato: “Il problema di migliorare la trasparenza dei rapporti tra banche e clienti sulle condizioni degli sconfinamenti è sacrosanto. Si è in attesa di una delibera del comitato interministeriale per il credito e il risparmio, che deve disciplinare questo tipo di commissioni. In Senato è saltato il raccordo tra la norma approvata e questa delibera e così si rischia che le banche non siano in condizione di fare credito alle imprese e alle famiglie”.
Così ha chiesto che ora sulla norma sulle commissioni bancarie “il governo dica qual è la soluzione e come risolvere il problema”.

Anna Finocchiaro , Presidente del Gruppo del PD al Senato ha risposto ai giornalisti sul tema: “Sarà il governo ad occuparsi della posizione espressa oggi dalle banche. Spetta al governo trovare una soluzione, se lo ritiene. Io ritengo – ha proseguito Anna Finocchiaro – che di fronte a una protesta così vibrata, se veramente si è trattato di un errore tecnico, il governo debba prendere seriamente in considerazione la possibilità di tornare sulla questione. Io voglio solo sottolineare che in Senato l’esame è stato molto approfondito e anche abbastanza lungo. Sottolineo che oggi stiamo parlando delle banche, ma gli interessi e le pretese di fronte ai quali il Senato ha rischiato di inciampare non sono stati solo quelli delle banche, ma anche quelli delle assicurazioni, dei trasporti, delle professioni. E’ importante, comunque, che il Parlamento abbia lavorato in piena autonomia e ritengo questo un fatto molto positivo”.

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No Tav nella sede del PD

Bersani : “Sono molto preoccupato è una fase delicatissima, io sono disposto giorno e notte a parlare con i giovani e con chiunque ma serve una netta presa di distanza dalla violenza”. Oggi un gruppo di No Tav ha occupato l’ingresso della sede del Partito Democratico. L’obiettivo era quello di protestare contro la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa e per chiedere la liberazione dei manifestanti arrestati. Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Partito ha aperto con loro un confronto.Il segretario del PD, Pier Luigi Bersani ha proposto di far salire nella sede una rappresentanza dei manifestanti per ascoltare le loro ragioni. La proposta è stata respinta.

I No Tav hanno chiesto di pubblicare un loro volantino sul sito web del partito e il PD ha dato la propria disponibilità a patto che al primo punto del comunicato venisse aggiunto che “i No Tav si impegnano a condurre la loro protesta senza alcun ricorso alla violenza”.

“Sono molto preoccupato è una fase delicatissima, io sono disposto giorno e notte a parlare con i giovani e con chiunque ma serve una netta presa di distanza dalla violenza” ha detto Pier Luigi Bersani.
Dopo quasi due ore i no-Tav hanno lasciato la sede del PD.

Per Emanuele Fiano , responsabile Sicurezza del PD, “il Partito democratico è aperto al confronto ma ribadisce che in democrazia le decisioni che vengono assunte, rispettando tutte le procedure istituzionali, devono essere attuate. Questo è quello che abbiamo detto oggi ai ragazzi No Tav che sono venuti nella nostra sede nazionale. Non ci sono stati atti di violenza e noi abbiamo offerto prima la possibilità di un incontro e poi la possibilità di pubblicare un loro comunicato sul sito del PD, a condizione che fosse esplicitata la condanna a qualsiasi forma di violenza. Così non è stato e pertanto abbiamo ritenuto inaccettabile il documento. Continueremo a rimanere fermi nella nostra idea che ogni dissenso è legittimo, salvo quello violento, e che le istituzioni non devono cedere a nessuna forma di ricatto che impedisca l’attuazione di decisioni prese democraticamente”.

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Gas Rivara, i parlamentari Pd portano il caso sul tavolo dei ministri

Interrogazione urgente al Senato e risposta al “question time” del 7 marzo alla Camera. In concomitanza con la nuova manifestazione di protesta degli enti locali e dei cittadini dei territori interessati fissata per venerdì 2 marzo al Teatro Comunale di San Felice, i parlamentari modenesi del Pd Barbolini, Bastico, Ghizzoni e Miglioli hanno approntato un’azione comune, sebbene separata nei due rami del Parlamento, per ottenere risposte sul progetto dello stoccaggio sotterraneo di gas dai ministri del Governo Monti.

Il caso Rivara approda sui tavoli dei ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. I parlamentari modenesi del Pd Giuliano Barbolini, Mariangela Bastico, Manuela Ghizzoni e Ivano Miglioli stanno portando avanti un’azione comune, sebbene separata per modalità nei due rami del Parlamento, per fare in modo che la voce di protesta del territorio e della Regione nei confronti del progetto del deposito interrato di stoccaggio di gas a Rivara possa essere ascoltata a livello ministeriale. I deputati Manuela Ghizzoni e Ivano Miglioli hanno interessato il gruppo Pd in Commissione ambiente e l’interrogazione presentata in proposito avrà già mercoledì prossimo 7 marzo una risposta da parte dei rappresentanti del ministero competente nel corso del cosiddetto “question time”. I senatori Barbolini e Bastico hanno, invece, depositato oggi un’interrogazione urgente a risposta in Aula indirizzata al ministro dell’Ambiente e a quello dello Sviluppo economico. Nel testo del documento si ripercorre l’iter amministrativo di un progetto che prevede uno stoccaggio di 3,2 miliardi di metri cubi di gas in un’area di 120 chilometri quadrati, il primo impianto di questo tipo in Italia. I Ministeri dell’Ambiente e per i Beni e le attività culturali hanno, il 22 febbraio scorso, autorizzato la ditta richiedente a effettuare operazioni di accertamento preliminari tese a dimostrare la fattibilità del progetto stesso. Il “no” a questo impianto da un intero territorio è sempre stato netto in questi anni. Per domani sera, venerdì 2 marzo, al Teatro di San Felice, è programmata l’ennesima manifestazione di protesta organizzata dagli enti locali coinvolti e dai cittadini. La Regione Emilia Romagna – ente, tra l’altro, che condivide con il Ministero dello Sviluppo economico la competenza per l’autorizzazione definitiva – aveva già dato nel 2009 parere contrario al progetto e oggi ha ribadito il proprio parere negativo “anche relativamente alla sola fase di accertamento preliminare”. Le ragioni addotte sono legate a “oggettivi e incontestabili elementi di pericolosità presenti nell’area di Rivara”. E’ per questo che i parlamentari modenesi del Pd Barbolini, Bastico, Ghizzoni e Miglioli chiedono, con forza, ai ministri interrogati “se non ritengano opportuno sospendere ogni attività legata alla realizzazione dell’imponente impianto di stoccaggio di gas metano, considerate le caratteristiche del luogo e l’opposizione più volte manifestata dalla Regione Emilia-Romagna e ribadita dopo la pubblicazione dell’ultimo decreto, alla realizzazione del medesimo impianto”.

"Perché colpiscono l’Unità e il sindacato", di Paolo Nerozzi

Negli ultimi giorni si sono verificati due eventi su cui credo sia opportuno riflettere: la recente intervista dell’Ad di Fiat Sergio Marchionne sullo stato produttivo dell’azienda e la «sbullonatura» della bacheca dell’Unità alla Magneti Marelli. Due fatti apparentemente diversi, ma non del tutto dissimili.
Marchionne con la sua intervista al Corriere di fatto smentisce ed archivia il progetto di «Fabbrica Italia»: l’Ad di Fiat sostiene che «… abbiamo deciso di non parlare più di fabbrica Italia. Siamo l’unica azienda al mondo da cui si pretendono informazioni così di dettaglio… », rivendicando così la cacciata della Fiom dalla Fiat e non escludendo la chiusura di alcuni stabilimenti. E tutto ciò senza che i sindacati firmatari dell’accordo, che aveva quale premessa gli investimenti, trovino il modo di far sentire la loro voce e senza una presa di posizione netta da parte del Governo che vede mettere in discussione una parte fondamentale della produzione industriale del nostro Paese. Né un accenno sulla politica industriale di questo Paese, né un richiamo all’esigibilità degli accordi (per dirla come Marchionne) o alla mancata applicazione, nel caso di Melfi, di una sentenza della magistratura. Nello stesso tempo la Magneti Marelli, azienda del Gruppo Fiat, dopo cinquant’anni, ha deciso di smantellare le bacheche dove veniva affissa l’Unità, compiendo un gesto che non sarebbe stato immaginabile neanche durante gli anni di maggiore scontro ideologico. Credo che questi due avvenimenti, se pur diversi tra loro, abbiamo un forte legame. Da un lato si vuole mano libera nei confronti di tutti (siano essi i sindacati e lo stesso governo) e nelle scelte di politica industriale e di investimenti senza la minima volontà di mediazione, e dall’altro si sceglie un atto simbolico per dimostrare la rimozione del dibattito e del confronto nei luoghi di lavoro. Siamo di fronte al tema centrale: la democrazia. È pensabile che un’azienda, che ha ricevuto tanto dall’Italia per contributi economici e posizione dominante, possa non interloquire con i territori, con le parti sociali, con l’esecutivo? Ed è sostenibile la cacciata dell’Unità dopo cinquant’anni da una fabbrica? Ed è accettabile al tempo stesso che si trovi il modo di non reintegrare dei lavoratori sul luogo di lavoro come stabilito da una sentenza?
Io credo che a questi interrogativi dovremo provare a dare delle risposte e, come è evidente, si tratta di domande che interrogano innanzitutto la politica, almeno la buona politica e che dovrebbero interrogare anche i tanti «liberal» del nostro Paese. Provare a rispondere a queste domande potrebbe aiutare anche a decidere se andare o meno alla manifestazione della Fiom. Io una risposta l’ho trovata e ho deciso di andare».

L’Unità 01.03.12

“Perché colpiscono l’Unità e il sindacato”, di Paolo Nerozzi

Negli ultimi giorni si sono verificati due eventi su cui credo sia opportuno riflettere: la recente intervista dell’Ad di Fiat Sergio Marchionne sullo stato produttivo dell’azienda e la «sbullonatura» della bacheca dell’Unità alla Magneti Marelli. Due fatti apparentemente diversi, ma non del tutto dissimili.
Marchionne con la sua intervista al Corriere di fatto smentisce ed archivia il progetto di «Fabbrica Italia»: l’Ad di Fiat sostiene che «… abbiamo deciso di non parlare più di fabbrica Italia. Siamo l’unica azienda al mondo da cui si pretendono informazioni così di dettaglio… », rivendicando così la cacciata della Fiom dalla Fiat e non escludendo la chiusura di alcuni stabilimenti. E tutto ciò senza che i sindacati firmatari dell’accordo, che aveva quale premessa gli investimenti, trovino il modo di far sentire la loro voce e senza una presa di posizione netta da parte del Governo che vede mettere in discussione una parte fondamentale della produzione industriale del nostro Paese. Né un accenno sulla politica industriale di questo Paese, né un richiamo all’esigibilità degli accordi (per dirla come Marchionne) o alla mancata applicazione, nel caso di Melfi, di una sentenza della magistratura. Nello stesso tempo la Magneti Marelli, azienda del Gruppo Fiat, dopo cinquant’anni, ha deciso di smantellare le bacheche dove veniva affissa l’Unità, compiendo un gesto che non sarebbe stato immaginabile neanche durante gli anni di maggiore scontro ideologico. Credo che questi due avvenimenti, se pur diversi tra loro, abbiamo un forte legame. Da un lato si vuole mano libera nei confronti di tutti (siano essi i sindacati e lo stesso governo) e nelle scelte di politica industriale e di investimenti senza la minima volontà di mediazione, e dall’altro si sceglie un atto simbolico per dimostrare la rimozione del dibattito e del confronto nei luoghi di lavoro. Siamo di fronte al tema centrale: la democrazia. È pensabile che un’azienda, che ha ricevuto tanto dall’Italia per contributi economici e posizione dominante, possa non interloquire con i territori, con le parti sociali, con l’esecutivo? Ed è sostenibile la cacciata dell’Unità dopo cinquant’anni da una fabbrica? Ed è accettabile al tempo stesso che si trovi il modo di non reintegrare dei lavoratori sul luogo di lavoro come stabilito da una sentenza?
Io credo che a questi interrogativi dovremo provare a dare delle risposte e, come è evidente, si tratta di domande che interrogano innanzitutto la politica, almeno la buona politica e che dovrebbero interrogare anche i tanti «liberal» del nostro Paese. Provare a rispondere a queste domande potrebbe aiutare anche a decidere se andare o meno alla manifestazione della Fiom. Io una risposta l’ho trovata e ho deciso di andare».

L’Unità 01.03.12