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"Lavoro, annullato il tavolo. Fornero: non ci sono risorse", di Massimo Franchi

Il sesto tavolo sulla riforma del lavoro previsto per oggi pomeriggio non si terrà. Ad annullarlo, con un comunicato ufficiale, il ministero del Lavoro. Lo scambio di battute tra Mario Monti ed Elsa Fornero paradossalmente però segna un passo avanti fortissimo per il tavolo della riforma sul lavoro. Il ministro del Welfare ha per la prima volta spiegato espressamente al premier che per riformare ed allargare gli ammortizzatori sociali servono soldi. E non pochi, anche se non li ha quantificati. Proprio per non «tradire» le lunghissime discussioni fatte con le parti sociali, la ministra ha deciso di prendere «qualche giorno di tempo». In questo modo ha chiesto esplicitamente al presidente del Consiglio di trovare le «risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali», come recita il comunicato di via Veneto. Elsa Fornero ha quindi spuntato il fatto che il governo «ritenga che il tema delle risorse» «sia componente essenziale per la definizione del complessivo riordino del mercato del lavoro». Una sostanziale adesione alle posizioni delle parti sociali, sindacati in primis, che fin dalla prima riunione hanno sostenuto come «il nodo delle risorse sia decisivo» perché, come continua a ripetere Susanna Camusso, «senza nuove risorse la riforma rischia di non allargare le tutele a chi oggi è escluso e ridurle a chi oggi le ha». Il comunicato, uscito alle 20,30 dopo che il ministro ha anticipato la decisione ai leader delle parti sociali telefonando direttamente a Marcegaglia, Camusso, Bonanni ed Angeletti, è comunque un capolavoro di diplomazia. «La riunione a Palazzo Chigi – vi si legge – ha portato alla decisione di prendere qualche giorno di tempo per individuare, pur nella comune consapevolezza della delicata situazione finanziaria del Paese, risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali». Difficile però pensare che nel giro «di qualche giorno» il governo possa trovare e quantificare le risorse necessarie per la riforma. INCONTRO TESO L’incontro del pomeriggio è stato a tratti teso. Un’ora e mezzo di colloquio alla vigilia del sesto tavolo plenario. Quello in cui il ministro del Welfare doveva finalmente fare chiarezza sui nuovi ammortizzatori sociali e spiegare alle parti sociali comec ostruire i due pilastri (cassa integrazione e assegno di disoccupazione), come finanziarli e come accorpare Cassa integrazione straordinaria e in deroga. Di ritorno da New York, Elsa Fornero era arrivata a palazzo Chigi piena di speranza. Ma è rimasta delusa. A fare da spalla a Mario Monti, c’erano anche il sottosegretario Antonio Catricalà e, soprattutto, Vittorio Grilli, il controllore dei conti. La sua presenza certificava quindi come si volesse parlare di risorse. Ma non nel senso auspicato dalle parti sociali, che ne chiedevano per allargare e rendere universali le tutele per chi perde o non ha lavoro. «Di soldi non ce ne sono», ha ribadito Grilli, lasciando aperto un solo spiraglio. Dalle linee d’azione dell’esecutivo potrebbe arrivare una boccata di ossigeno alla riforma: da un lato la lotta all’evasione, anche contributiva, dall’altro la spending review sui bilanci della pubblica amministrazione che sta portando avanti il ministro Piero Giarda. Uno spiraglio molto stretto. Una decisione che è quindi stata apprezzata dalle parti sociali e dal Pd. Per il capogruppo in commissione Lavoro Cesare Damiano: «Va Bene avere occhio ai conti,ma riformare gli ammortizzatori sociali senza investire risorse è una missione impossibile. Se il rinvio del confronto – spiega Damiano – con le parti sociali ha lo scopo di presentare una proposta del governo credibile da un punto di vista finanziario per assicurare migliori tutele ai lavoratori si tratta di una scelta utile per un buon proseguimento della trattativa. Altrimenti – osserva però Damiano – si corre il rischio di perdere del tempo prezioso». ART.18, RISPUNTA PROPOSTA CISL-UIL Oggetto dell’incontro a palazzo Chigi, inevitabilmente, è stato anche però il delicato tema dell’articolo 18. L’intenzione, si ripete negli ambienti governativi, è quella di procedere con un ammodernamento della norma che consenta di ridurre i tempi processuali e di fissare paletti che limitino la discrezionalità del giudice del lavoro. Si rifanno avanti dunque le proposte di Cisl e Uil in materia che puntavano ad una legge che esplicitasse le ragioni per cui un licenziamento si può considerare discriminatorio. Un modo, secondo i proponenti, per dare certezza di diritto e rapidità nelle decisioni non solo a vantaggio delle imprese, ma anche dei lavoratori. Una posizione però del tutto avversata dalla Cgil che continua a ritenere l’articolo18 una norma di civiltà che tutela dai licenziamenti indiscriminati. ❖

». Il sesto tavolo sulla riforma del lavoro previsto per oggi pomeriggio non si terrà. Ad annullarlo, con un comunicato ufficiale, il ministero del Lavoro. Lo scambio di battute tra Mario Monti ed Elsa Fornero paradossalmente però segna un passo avanti fortissimo per il tavolo della riforma sul lavoro. Il ministro del Welfare ha per la prima volta spiegato espressamente al premier che per riformare ed allargare gli ammortizzatori sociali servono soldi. E non pochi, anche se non li ha quantificati. Proprio per non «tradire» le lunghissime discussioni fatte con le parti sociali, la ministra ha deciso di prendere «qualche giorno di tempo». In questo modo ha chiesto esplicitamente al presidente del Consiglio di trovare le «risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali», come recita il comunicato di via Veneto. Elsa Fornero ha quindi spuntato il fatto che il governo «ritenga che il tema delle risorse» «sia componente essenziale per la definizione del complessivo riordino del mercato del lavoro». Una sostanziale adesione alle posizioni delle parti sociali, sindacati in primis, che fin dalla prima riunione hanno sostenuto come «il nodo delle risorse sia decisivo» perché, come continua a ripetere Susanna Camusso, «senza nuove risorse la riforma rischia di non allargare le tutele a chi oggi è escluso e ridurle a chi oggi le ha». Il comunicato, uscito alle 20,30 dopo che il ministro ha anticipato la decisione ai leader delle parti sociali telefonando direttamente a Marcegaglia, Camusso, Bonanni ed Angeletti, è comunque un capolavoro di diplomazia. «La riunione a Palazzo Chigi – vi si legge – ha portato alla decisione di prendere qualche giorno di tempo per individuare, pur nella comune consapevolezza della delicata situazione finanziaria del Paese, risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali». Difficile però pensare che nel giro «di qualche giorno» il governo possa trovare e quantificare le risorse necessarie per la riforma. INCONTRO TESO L’incontro del pomeriggio è stato a tratti teso. Un’ora e mezzo di colloquio alla vigilia del sesto tavolo plenario. Quello in cui il ministro del Welfare doveva finalmente fare chiarezza sui nuovi ammortizzatori sociali e spiegare alle parti sociali comec ostruire i due pilastri (cassa integrazione e assegno di disoccupazione), come finanziarli e come accorpare Cassa integrazione straordinaria e in deroga. Di ritorno da New York, Elsa Fornero era arrivata a palazzo Chigi piena di speranza. Ma è rimasta delusa. A fare da spalla a Mario Monti, c’erano anche il sottosegretario Antonio Catricalà e, soprattutto, Vittorio Grilli, il controllore dei conti. La sua presenza certificava quindi come si volesse parlare di risorse. Ma non nel senso auspicato dalle parti sociali, che ne chiedevano per allargare e rendere universali le tutele per chi perde o non ha lavoro. «Di soldi non ce ne sono», ha ribadito Grilli, lasciando aperto un solo spiraglio. Dalle linee d’azione dell’esecutivo potrebbe arrivare una boccata di ossigeno alla riforma: da un lato la lotta all’evasione, anche contributiva, dall’altro la spending review sui bilanci della pubblica amministrazione che sta portando avanti il ministro Piero Giarda. Uno spiraglio molto stretto. Una decisione che è quindi stata apprezzata dalle parti sociali e dal Pd. Per il capogruppo in commissione Lavoro Cesare Damiano: «Va Bene avere occhio ai conti,ma riformare gli ammortizzatori sociali senza investire risorse è una missione impossibile. Se il rinvio del confronto – spiega Damiano – con le parti sociali ha lo scopo di presentare una proposta del governo credibile da un punto di vista finanziario per assicurare migliori tutele ai lavoratori si tratta di una scelta utile per un buon proseguimento della trattativa. Altrimenti – osserva però Damiano – si corre il rischio di perdere del tempo prezioso». ART.18, RISPUNTA PROPOSTA CISL-UIL Oggetto dell’incontro a palazzo Chigi, inevitabilmente, è stato anche però il delicato tema dell’articolo 18. L’intenzione, si ripete negli ambienti governativi, è quella di procedere con un ammodernamento della norma che consenta di ridurre i tempi processuali e di fissare paletti che limitino la discrezionalità del giudice del lavoro. Si rifanno avanti dunque le proposte di Cisl e Uil in materia che puntavano ad una legge che esplicitasse le ragioni per cui un licenziamento si può considerare discriminatorio. Un modo, secondo i proponenti, per dare certezza di diritto e rapidità nelle decisioni non solo a vantaggio delle imprese, ma anche dei lavoratori. Una posizione però del tutto avversata dalla Cgil che continua a ritenere l’articolo18 una norma di civiltà che tutela dai licenziamenti indiscriminati. ❖

L’Unità 01.03.12

“Lavoro, annullato il tavolo. Fornero: non ci sono risorse”, di Massimo Franchi

Il sesto tavolo sulla riforma del lavoro previsto per oggi pomeriggio non si terrà. Ad annullarlo, con un comunicato ufficiale, il ministero del Lavoro. Lo scambio di battute tra Mario Monti ed Elsa Fornero paradossalmente però segna un passo avanti fortissimo per il tavolo della riforma sul lavoro. Il ministro del Welfare ha per la prima volta spiegato espressamente al premier che per riformare ed allargare gli ammortizzatori sociali servono soldi. E non pochi, anche se non li ha quantificati. Proprio per non «tradire» le lunghissime discussioni fatte con le parti sociali, la ministra ha deciso di prendere «qualche giorno di tempo». In questo modo ha chiesto esplicitamente al presidente del Consiglio di trovare le «risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali», come recita il comunicato di via Veneto. Elsa Fornero ha quindi spuntato il fatto che il governo «ritenga che il tema delle risorse» «sia componente essenziale per la definizione del complessivo riordino del mercato del lavoro». Una sostanziale adesione alle posizioni delle parti sociali, sindacati in primis, che fin dalla prima riunione hanno sostenuto come «il nodo delle risorse sia decisivo» perché, come continua a ripetere Susanna Camusso, «senza nuove risorse la riforma rischia di non allargare le tutele a chi oggi è escluso e ridurle a chi oggi le ha». Il comunicato, uscito alle 20,30 dopo che il ministro ha anticipato la decisione ai leader delle parti sociali telefonando direttamente a Marcegaglia, Camusso, Bonanni ed Angeletti, è comunque un capolavoro di diplomazia. «La riunione a Palazzo Chigi – vi si legge – ha portato alla decisione di prendere qualche giorno di tempo per individuare, pur nella comune consapevolezza della delicata situazione finanziaria del Paese, risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali». Difficile però pensare che nel giro «di qualche giorno» il governo possa trovare e quantificare le risorse necessarie per la riforma. INCONTRO TESO L’incontro del pomeriggio è stato a tratti teso. Un’ora e mezzo di colloquio alla vigilia del sesto tavolo plenario. Quello in cui il ministro del Welfare doveva finalmente fare chiarezza sui nuovi ammortizzatori sociali e spiegare alle parti sociali comec ostruire i due pilastri (cassa integrazione e assegno di disoccupazione), come finanziarli e come accorpare Cassa integrazione straordinaria e in deroga. Di ritorno da New York, Elsa Fornero era arrivata a palazzo Chigi piena di speranza. Ma è rimasta delusa. A fare da spalla a Mario Monti, c’erano anche il sottosegretario Antonio Catricalà e, soprattutto, Vittorio Grilli, il controllore dei conti. La sua presenza certificava quindi come si volesse parlare di risorse. Ma non nel senso auspicato dalle parti sociali, che ne chiedevano per allargare e rendere universali le tutele per chi perde o non ha lavoro. «Di soldi non ce ne sono», ha ribadito Grilli, lasciando aperto un solo spiraglio. Dalle linee d’azione dell’esecutivo potrebbe arrivare una boccata di ossigeno alla riforma: da un lato la lotta all’evasione, anche contributiva, dall’altro la spending review sui bilanci della pubblica amministrazione che sta portando avanti il ministro Piero Giarda. Uno spiraglio molto stretto. Una decisione che è quindi stata apprezzata dalle parti sociali e dal Pd. Per il capogruppo in commissione Lavoro Cesare Damiano: «Va Bene avere occhio ai conti,ma riformare gli ammortizzatori sociali senza investire risorse è una missione impossibile. Se il rinvio del confronto – spiega Damiano – con le parti sociali ha lo scopo di presentare una proposta del governo credibile da un punto di vista finanziario per assicurare migliori tutele ai lavoratori si tratta di una scelta utile per un buon proseguimento della trattativa. Altrimenti – osserva però Damiano – si corre il rischio di perdere del tempo prezioso». ART.18, RISPUNTA PROPOSTA CISL-UIL Oggetto dell’incontro a palazzo Chigi, inevitabilmente, è stato anche però il delicato tema dell’articolo 18. L’intenzione, si ripete negli ambienti governativi, è quella di procedere con un ammodernamento della norma che consenta di ridurre i tempi processuali e di fissare paletti che limitino la discrezionalità del giudice del lavoro. Si rifanno avanti dunque le proposte di Cisl e Uil in materia che puntavano ad una legge che esplicitasse le ragioni per cui un licenziamento si può considerare discriminatorio. Un modo, secondo i proponenti, per dare certezza di diritto e rapidità nelle decisioni non solo a vantaggio delle imprese, ma anche dei lavoratori. Una posizione però del tutto avversata dalla Cgil che continua a ritenere l’articolo18 una norma di civiltà che tutela dai licenziamenti indiscriminati. ❖

». Il sesto tavolo sulla riforma del lavoro previsto per oggi pomeriggio non si terrà. Ad annullarlo, con un comunicato ufficiale, il ministero del Lavoro. Lo scambio di battute tra Mario Monti ed Elsa Fornero paradossalmente però segna un passo avanti fortissimo per il tavolo della riforma sul lavoro. Il ministro del Welfare ha per la prima volta spiegato espressamente al premier che per riformare ed allargare gli ammortizzatori sociali servono soldi. E non pochi, anche se non li ha quantificati. Proprio per non «tradire» le lunghissime discussioni fatte con le parti sociali, la ministra ha deciso di prendere «qualche giorno di tempo». In questo modo ha chiesto esplicitamente al presidente del Consiglio di trovare le «risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali», come recita il comunicato di via Veneto. Elsa Fornero ha quindi spuntato il fatto che il governo «ritenga che il tema delle risorse» «sia componente essenziale per la definizione del complessivo riordino del mercato del lavoro». Una sostanziale adesione alle posizioni delle parti sociali, sindacati in primis, che fin dalla prima riunione hanno sostenuto come «il nodo delle risorse sia decisivo» perché, come continua a ripetere Susanna Camusso, «senza nuove risorse la riforma rischia di non allargare le tutele a chi oggi è escluso e ridurle a chi oggi le ha». Il comunicato, uscito alle 20,30 dopo che il ministro ha anticipato la decisione ai leader delle parti sociali telefonando direttamente a Marcegaglia, Camusso, Bonanni ed Angeletti, è comunque un capolavoro di diplomazia. «La riunione a Palazzo Chigi – vi si legge – ha portato alla decisione di prendere qualche giorno di tempo per individuare, pur nella comune consapevolezza della delicata situazione finanziaria del Paese, risorse da destinare a sostenere l’auspicata vera e profonda riforma degli ammortizzatori sociali». Difficile però pensare che nel giro «di qualche giorno» il governo possa trovare e quantificare le risorse necessarie per la riforma. INCONTRO TESO L’incontro del pomeriggio è stato a tratti teso. Un’ora e mezzo di colloquio alla vigilia del sesto tavolo plenario. Quello in cui il ministro del Welfare doveva finalmente fare chiarezza sui nuovi ammortizzatori sociali e spiegare alle parti sociali comec ostruire i due pilastri (cassa integrazione e assegno di disoccupazione), come finanziarli e come accorpare Cassa integrazione straordinaria e in deroga. Di ritorno da New York, Elsa Fornero era arrivata a palazzo Chigi piena di speranza. Ma è rimasta delusa. A fare da spalla a Mario Monti, c’erano anche il sottosegretario Antonio Catricalà e, soprattutto, Vittorio Grilli, il controllore dei conti. La sua presenza certificava quindi come si volesse parlare di risorse. Ma non nel senso auspicato dalle parti sociali, che ne chiedevano per allargare e rendere universali le tutele per chi perde o non ha lavoro. «Di soldi non ce ne sono», ha ribadito Grilli, lasciando aperto un solo spiraglio. Dalle linee d’azione dell’esecutivo potrebbe arrivare una boccata di ossigeno alla riforma: da un lato la lotta all’evasione, anche contributiva, dall’altro la spending review sui bilanci della pubblica amministrazione che sta portando avanti il ministro Piero Giarda. Uno spiraglio molto stretto. Una decisione che è quindi stata apprezzata dalle parti sociali e dal Pd. Per il capogruppo in commissione Lavoro Cesare Damiano: «Va Bene avere occhio ai conti,ma riformare gli ammortizzatori sociali senza investire risorse è una missione impossibile. Se il rinvio del confronto – spiega Damiano – con le parti sociali ha lo scopo di presentare una proposta del governo credibile da un punto di vista finanziario per assicurare migliori tutele ai lavoratori si tratta di una scelta utile per un buon proseguimento della trattativa. Altrimenti – osserva però Damiano – si corre il rischio di perdere del tempo prezioso». ART.18, RISPUNTA PROPOSTA CISL-UIL Oggetto dell’incontro a palazzo Chigi, inevitabilmente, è stato anche però il delicato tema dell’articolo 18. L’intenzione, si ripete negli ambienti governativi, è quella di procedere con un ammodernamento della norma che consenta di ridurre i tempi processuali e di fissare paletti che limitino la discrezionalità del giudice del lavoro. Si rifanno avanti dunque le proposte di Cisl e Uil in materia che puntavano ad una legge che esplicitasse le ragioni per cui un licenziamento si può considerare discriminatorio. Un modo, secondo i proponenti, per dare certezza di diritto e rapidità nelle decisioni non solo a vantaggio delle imprese, ma anche dei lavoratori. Una posizione però del tutto avversata dalla Cgil che continua a ritenere l’articolo18 una norma di civiltà che tutela dai licenziamenti indiscriminati. ❖

L’Unità 01.03.12

"Gli insulti e il silenzio del carabiniere", di Adriano Sofri

Meglio lasciar stare Pasolini, era un´altra cosa, un altro tempo. Si chiamano valle tutte e due, Valle Giulia e la Val di Susa: ma la differenza è chiara, no? E poi non l´hanno mai letta la famosa poesia del “Pci ai giovani”, se no non citerebbero sempre quei quattro versi, e sbagliando anche la citazione. Era parecchio lunga, quella poesia, e se la leggessero per intero si stupirebbero di quello che dice. E comunque i manifestanti della Val di Susa non hanno per lo più “facce da figli di papà”, e i poliziotti non sono più soltanto, per fortuna, “figli di poveri”, venuti dalle periferie, “i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa…”. Poliziotti e militanti si assomigliano molto di più adesso, e non so quali siano andati più assomigliando agli altri, né quale conferma ne caverebbe Pasolini. Il giovane militante (dall´accento meridionale, che non è un addebito, si deve poter manifestare in qualsiasi lingua in qualsiasi punto del mondo, gli addebiti riguardano solo i comportamenti) che fronteggia sfotte e insulta il carabiniere muto è un´altra cosa anche e specialmente perché c´è una telecamera che li riprende. Il manifestante parlava già a un destinatario di cui non vedeva la faccia, ed era inevitabile che da un certo punto in poi regolasse il suo gergo sulla telecamera che le registrava. L´episodio è stato irreparabilmente degradato dall´aggressione di ieri alla troupe del Corriere che l´aveva ripreso. Senza di che, immagino che la concorrenza dei programmi televisivi stesse già inseguendo manifestante e carabiniere per metterli insieme in uno studio e farli “confrontare”: estraendo il giovane carabiniere dal suo scafandro e dalla sua apnea d´ordinanza, questa volta sotto l´occhio di tante telecamere professionali, che indugino su sguardi abiti e gesti, soprattutto scarpe e mani, in una parodia di quello che dovrebbe succedere davvero, senza telecamere, a una tavola d´osteria di qualunque valle d´Italia.
Allora il manifestante, che nella scena iniziale aveva il privilegio del volto scoperto, potrebbe evadere dal proprio copione, quello sì sempre uguale, e fare a meno di dire stronzo, e argomentare con minor sciatteria e miglior convinzione l´idea che poliziotti e carabinieri in servizio cosiddetto di ordine pubblico siano pagati male per fare un brutto mestiere. Soprattutto potrebbe, il manifestante, stare a sentire che cosa ne dice il carabiniere, che magari ne ha da raccontare più di lui, sugli stadi di calcio e le famose periferie e i cortei operai e i propri fratelli e il resto. Compresa la propria ragazza, che il manifestante ha avuto l´idea malaugurata di evocare (“Le dai i bacini con questa maschera?”…).
Dopo aver deplorato la scadente arringa e l´epiteto oziosamente ripetuto di “pecorella”, si può forse riconoscere, a uno che non è incappucciato e anzi si presenta col proprio nome e cognome e indirizzo di Giaveno, la voglia di tirar fuori l´altro da una bardatura che forse lo protegge, ma certo anche lo mortifica, rischia di togliergli, col diritto di parlare, l´encomiabile scelta di tacere – ieri è stato encomiato – e capovolge in una maschera sigillata, sulla linea del guardrail in cui lo Stato finisce corpo a corpo coi cittadini, gli slogan sulla trasparenza.
Pasolini, arbitro di fogge e fisionomie, aveva naturalmente detto la sua sull´abbigliamento della polizia di allora: “Guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo… umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l´essere odiati fa odiare)”.
Il giovane carabiniere chiederebbe forse all´altro se sia contrario all´istituzione della polizia. Se il manifestante rispondesse senz´altro di sì, di essere contrario, di volere una società senza polizie, il carabiniere avanzerebbe fior di obiezioni: i dintorni di uno stadio di calcio, le strade di donne costrette a prostituirsi e picchiate, una periferia o un centro fra i tanti presidiati dalle forze armate di ´ndrangheta. Se il manifestante rispondesse di ammettere l´inevitabilità di una forza pubblica ma… allora il carabiniere replicherebbe che le buone ragioni finiscono dove comincia la violenza, e che la violenza diventa una buona ragione per la propria presenza là dove l´hanno mandato così bardato, e così via.
La discussione fra i due continuerebbe chissà per quanto tempo ancora, e chissà con quanti argomenti reciprocamente interessanti, ma noi lasciamoli lì seduti ad accapigliarsi e spiegarsi, e torniamo al punto di partenza. A Pier Paolo Pasolini che, attenzione!, nella famosa poesia diceva anche ai giovani: “Siamo ovviamente d´accordo contro l´istituzione della polizia”. Sentito? E addirittura “ovviamente”. E poi li rimproverava perché non se la prendevano con la magistratura: “Ma prendetevela con la Magistratura, e vedrete!”. Vedete dunque quanto tempo è passato, e che scherzi gioca la memoria ai citatori. Nessuno si è sognato di citare Pasolini l´altro giorno, quando si è preteso di impedire a Gian Carlo Caselli di parlare. L´essere odiati fa odiare. Se proprio si vuole, di tutti quei versi “francamente brutti” che Pasolini giustificò come una “captatio malevolentiae”, una provocazione che lo facesse prendere in conto dagli strafottenti giovani di allora, se ne usi un paio banalissimo, piuttosto che menar le mani, e anche dopo averle menate: “In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, cari”.

La Repubblica 01.03.12

“Gli insulti e il silenzio del carabiniere”, di Adriano Sofri

Meglio lasciar stare Pasolini, era un´altra cosa, un altro tempo. Si chiamano valle tutte e due, Valle Giulia e la Val di Susa: ma la differenza è chiara, no? E poi non l´hanno mai letta la famosa poesia del “Pci ai giovani”, se no non citerebbero sempre quei quattro versi, e sbagliando anche la citazione. Era parecchio lunga, quella poesia, e se la leggessero per intero si stupirebbero di quello che dice. E comunque i manifestanti della Val di Susa non hanno per lo più “facce da figli di papà”, e i poliziotti non sono più soltanto, per fortuna, “figli di poveri”, venuti dalle periferie, “i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa…”. Poliziotti e militanti si assomigliano molto di più adesso, e non so quali siano andati più assomigliando agli altri, né quale conferma ne caverebbe Pasolini. Il giovane militante (dall´accento meridionale, che non è un addebito, si deve poter manifestare in qualsiasi lingua in qualsiasi punto del mondo, gli addebiti riguardano solo i comportamenti) che fronteggia sfotte e insulta il carabiniere muto è un´altra cosa anche e specialmente perché c´è una telecamera che li riprende. Il manifestante parlava già a un destinatario di cui non vedeva la faccia, ed era inevitabile che da un certo punto in poi regolasse il suo gergo sulla telecamera che le registrava. L´episodio è stato irreparabilmente degradato dall´aggressione di ieri alla troupe del Corriere che l´aveva ripreso. Senza di che, immagino che la concorrenza dei programmi televisivi stesse già inseguendo manifestante e carabiniere per metterli insieme in uno studio e farli “confrontare”: estraendo il giovane carabiniere dal suo scafandro e dalla sua apnea d´ordinanza, questa volta sotto l´occhio di tante telecamere professionali, che indugino su sguardi abiti e gesti, soprattutto scarpe e mani, in una parodia di quello che dovrebbe succedere davvero, senza telecamere, a una tavola d´osteria di qualunque valle d´Italia.
Allora il manifestante, che nella scena iniziale aveva il privilegio del volto scoperto, potrebbe evadere dal proprio copione, quello sì sempre uguale, e fare a meno di dire stronzo, e argomentare con minor sciatteria e miglior convinzione l´idea che poliziotti e carabinieri in servizio cosiddetto di ordine pubblico siano pagati male per fare un brutto mestiere. Soprattutto potrebbe, il manifestante, stare a sentire che cosa ne dice il carabiniere, che magari ne ha da raccontare più di lui, sugli stadi di calcio e le famose periferie e i cortei operai e i propri fratelli e il resto. Compresa la propria ragazza, che il manifestante ha avuto l´idea malaugurata di evocare (“Le dai i bacini con questa maschera?”…).
Dopo aver deplorato la scadente arringa e l´epiteto oziosamente ripetuto di “pecorella”, si può forse riconoscere, a uno che non è incappucciato e anzi si presenta col proprio nome e cognome e indirizzo di Giaveno, la voglia di tirar fuori l´altro da una bardatura che forse lo protegge, ma certo anche lo mortifica, rischia di togliergli, col diritto di parlare, l´encomiabile scelta di tacere – ieri è stato encomiato – e capovolge in una maschera sigillata, sulla linea del guardrail in cui lo Stato finisce corpo a corpo coi cittadini, gli slogan sulla trasparenza.
Pasolini, arbitro di fogge e fisionomie, aveva naturalmente detto la sua sull´abbigliamento della polizia di allora: “Guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo… umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l´essere odiati fa odiare)”.
Il giovane carabiniere chiederebbe forse all´altro se sia contrario all´istituzione della polizia. Se il manifestante rispondesse senz´altro di sì, di essere contrario, di volere una società senza polizie, il carabiniere avanzerebbe fior di obiezioni: i dintorni di uno stadio di calcio, le strade di donne costrette a prostituirsi e picchiate, una periferia o un centro fra i tanti presidiati dalle forze armate di ´ndrangheta. Se il manifestante rispondesse di ammettere l´inevitabilità di una forza pubblica ma… allora il carabiniere replicherebbe che le buone ragioni finiscono dove comincia la violenza, e che la violenza diventa una buona ragione per la propria presenza là dove l´hanno mandato così bardato, e così via.
La discussione fra i due continuerebbe chissà per quanto tempo ancora, e chissà con quanti argomenti reciprocamente interessanti, ma noi lasciamoli lì seduti ad accapigliarsi e spiegarsi, e torniamo al punto di partenza. A Pier Paolo Pasolini che, attenzione!, nella famosa poesia diceva anche ai giovani: “Siamo ovviamente d´accordo contro l´istituzione della polizia”. Sentito? E addirittura “ovviamente”. E poi li rimproverava perché non se la prendevano con la magistratura: “Ma prendetevela con la Magistratura, e vedrete!”. Vedete dunque quanto tempo è passato, e che scherzi gioca la memoria ai citatori. Nessuno si è sognato di citare Pasolini l´altro giorno, quando si è preteso di impedire a Gian Carlo Caselli di parlare. L´essere odiati fa odiare. Se proprio si vuole, di tutti quei versi “francamente brutti” che Pasolini giustificò come una “captatio malevolentiae”, una provocazione che lo facesse prendere in conto dagli strafottenti giovani di allora, se ne usi un paio banalissimo, piuttosto che menar le mani, e anche dopo averle menate: “In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, cari”.

La Repubblica 01.03.12

"Diritto violato per i docenti in odor di pensione". Nasce il comitato "Quota 96", di Giuseppe Grasso

Migliaia di lavoratori della conoscenza – auspice la blindatissima riforma delle pensioni targata Fornero – si sono trovati di nuovo uniti, in questi ultimi mesi, e hanno riscoperto la passione di impegnarsi oltre alla volontà di passare alla controffensiva. Hanno lasciato i banchi di scuola, nel tempo libero, e sono tornati a reclamare i propri diritti dando vita a un movimento di opinione nato sul web e propagatosi con una incredibile celerità. Era ora che il mondo dell’educazione, anche se non più di primo pelo, tornasse ad esigere dei diritti calpestati, che si ricompattasse intorno al proprio ruolo umiliato da una inveterata ‘filosofia’ tecnocratica sempre più asservita agli interessi e alle lobby dell’economia. Per quanto tempo i docenti italiani, ignorati da politiche culturali dannose, sono stati la cenerentola della società italiana? Quante cose ingiuste sono state scritte sul loro conto? E perché mai, infine, si dovrebbe far cassa con le loro pensioni invece che con gli aerei da guerra?

Ad accendere la miccia della riscossa ci ha pensato il comitato “Quota 96”, la cui nascita avevamo annunciato tempo fa e la cui azione sta mobilitando tantissimi lavoratori di tutta Italia. Si tratta, come abbiamo già dato conto, di 4000 persone, fra docenti e personale ATA, che rivendicano il diritto di andare in pensione – maturato il 1 settembre scorso con la vecchia normativa – sulla base della cosiddetta “Quota 96”, risultante dalla somma di requisito anagrafico e requisito contributivo. Nel 2012, stando a tale parametro previsto dalla riforma Damiano, poteva essere collocato a riposo chi aveva maturato 60 anni di età e 36 anni di contributi o 61 anni di età e 35 di contributi, o ancora, tout court, 40 anni di servizio a prescindere dall’età anagrafica.

La deputata del Pd Manuela Ghizzoni (unitamente alla senatrice Mariangela Bastico) si batte da tempo per la scuola e si è spesa molto per il comitato “Quota 96”, tanto è vero che ha ospitato nel suo sito, con un post dall’omonimo titolo, il denso e fruttuoso dibattito di questo nuovo “popolo viola”, le cui aspettative e progettualità di vita sono state ingiustamente troncate dalle cesoie dell’ultima riforma previdenziale. I lavoratori della conoscenza, da sempre, hanno una sola finestra di uscita per andare in pensione: il 1 settembre. Aver messo come termine utile il 31 dicembre 2011, anziché il 31 agosto 2012, non rende ragione al personale della scuola i cui ritmi, a differenza degli altri dipendenti pubblici, sono scanditi da quelli dell’anno scolastico e non da quelli dell’anno solare. Non si tratta, ovviamente, di un privilegio di casta ma di un diritto acquisito in base al quale tutti i lavoratori coinvolti, per la maggior parte della classe 1952, hanno adito le vie legali, rappresentati e patrocinati dall’avvocato Domenico Naso di Roma.

Manuela Ghizzoni, capogruppo alla VII Commissione Cultura della Camera, è decisa a non mollare la presa e a perseguire indomita la battaglia in nome dell’equità. Per questo ribadisce ad Affaritaliani.it che il Governo Monti deve trovare il modo di correggere tale ‘stortura’ normativa con un equo provvedimento. La via legale non esclude la via legislativa, fa intendere la deputata, che è persona combattiva, ostinata, non avvezza a eufemismi o a perifrasi quando si tratta di difendere le cause dei lavoratori. «C’è una specificità nota a chi lavora nel mondo della scuola ed è che, per dare continuità didattica, la cessazione dal lavoro per i pensionandi è condizionata dai ritmi scanditi dall’anno scolastico ed è quindi vincolata ad un solo giorno, il 1 settembre per ogni anno. Nessun altro lavoratore del pubblico impiego è sottoposto a tale vincolo. La riforma Fornero ha creato una disparità che bisogna sanare».

Onorevole Ghizzoni, che possibilità sussistono, in concreto, per questi lavoratori?

La via politica è sempre percorribile. Bisogna creare le condizioni adeguate per il raggiungimento degli obiettivi fissati. Nel caso specifico, abbiamo due ordini di problemi: indurre, da un lato, le altre forze politiche a sostenere un’iniziativa per i pensionandi della scuola e, dall’altro, convincere la Ragioneria dello Stato che la platea dei beneficiari può essere stimata sulle 4000 unità, con una somma di oneri aggiuntivi per le casse dello stato ben inferiore ai 650 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016, quelli, cioè, ipotizzati dalla medesima Ragioneria.

È per questo che al Senato l’emendamento 6.51 non è stato approvato? Per un problema di copertura?

Esatto. È per questo motivo – anche alla luce della bocciatura dell’emendamento 6.51 – che stiamo creando le condizioni favorevoli affinché una futura azione di modifica dell’art. 24 del decreto legge 201/2011, in favore dei pensionandi della scuola, possa essere accolta positivamente tanto dalla Ragioneria quanto dalle forze politiche. Stiamo cercando di prestare la dovuta attenzione a quell’impegno, preso dalla stessa ministra Fornero, perché possa consentire di dar risposta alle questioni aperte sul tema delle pensioni in un apposito provvedimento. In esso dovranno entrare non solo gli esodati e i mobilitati ma anche i lavoratori della scuola in questione.

È vero che la Lega, al Senato, ha votato contro l’emendamento 6.51? Come lo spiega?

Purtroppo è così. Lo ritengo un atteggiamento incomprensibile per una forza politica che, a parole, ha fatto della difesa delle pensioni di anzianità la propria bandiera, salvo poi opporsi alla prima occasione utile per rendere concreto tale obiettivo.

Cosa può dirci sul proposito di depositare una interrogazione?

L’ho depositata ieri. L’interrogazione, rivolta al Ministero del Lavoro e dell’Economia, sarà la prima occasione con la quale incalzeremo la Fornero a darci risposte circostanziate.

Lei ha ospitato nel suo sito gran parte dei docenti che raggiungono quota 96 e che si sono costituiti in un comitato avviando anche un’azione legale. Sta forse diventando l’icona del movimento dell’educazione?

Non credo. Mi auguro solo che l’ospitalità sul mio sito possa essere reciprocamente apprezzata. In realtà, è dettata da uno spirito di servizio. La politica è anche questo: mettere in circuito idee, opinioni e proposte che provengono da persone di mondi diversi, sempre con l’obiettivo, però, di risolvere i problemi del paese. Qualcuno ricorderà, nell’ormai lontano gennaio, le motivazioni che portarono il gruppo del Pd a presentare un emendamento alla Camera: garantire la specificità della scuola anche in materia pensionistica e, al contempo, liberare cattedre per i docenti precari oltre che per i nuovi vincitori di concorso. Su questi punti si è coagulato un interesse che non guarda solo al particolare ma anche al benessere della scuola. Con i miei interventi nella discussione non mi ha mai sfiorato l’idea di mettere un cappello sul nascente comitato «Quota 96». Molto più semplicemente ho voluto contribuire ad un dibattito serio e approfondito che reputo giusto.

L’8 marzo è previsto l’incontro fra una delegazione di questo comitato e il Capo di Gabinetto del ministro Profumo, il dott. Luigi Fiorentino. Che cosa si prevede?

Io penso che registreremo, come è accaduto nelle settimane scorse, la disponibilità del ministro, disponibilità confermata, peraltro, da un suo commento personale rilasciato ad una professoressa siciliana. Vedremo se ci sarà un’apertura in tal senso. Sarà poi nostro compito far sì che l’apertura del ministro, se davvero vi sarà, sia estesa a tutti gli altri componenti del governo. Il prof. Profumo conosce bene il problema ed è certamente interessato ad una soluzione.

Però uno scollamento tra la politica e i cittadini, ormai, si è creato, non le pare? Come rimediarvi?

Posso capire la diffidenza che la politica ispira nei cittadini. Troppe volte abbiamo dato esempi non proprio fulgidi rispetto alla missione della politica, che è quella di lavorare per il bene comune. Sono consapevole, pertanto, che potrò suscitare disappunto e sospetto nell’affermare che noi continueremo ad impegnarci per una soluzione politica; soluzione, si badi bene, che non è solo mia, ma di tutto il gruppo parlamentare del Pd. È anche vero, però, che la politica ha i suoi tempi di evoluzione e di maturazione rispetto ai problemi e che, per questo motivo, non possiamo assicurare risultati immediati (del resto non sono adusa a fare promesse che so di non poter mantenere). Quel che è certo è che ci sarà il nostro impegno fino al conseguimento dell’esito finale. E comunque il lavoro delle settimane scorse depone a favore della nostra coerenza e del nostro rigore. Non posso e non voglio dimenticare che, per soli 4 voti, abbiamo mancato l’obiettivo. Il personale della scuola, «incastrato» nell’anno scolastico 2011/2012, attende una risposta. L’interrogazione che ho presentato va in questa direzione.

da www.affaritaliani.it

“Diritto violato per i docenti in odor di pensione”. Nasce il comitato “Quota 96”, di Giuseppe Grasso

Migliaia di lavoratori della conoscenza – auspice la blindatissima riforma delle pensioni targata Fornero – si sono trovati di nuovo uniti, in questi ultimi mesi, e hanno riscoperto la passione di impegnarsi oltre alla volontà di passare alla controffensiva. Hanno lasciato i banchi di scuola, nel tempo libero, e sono tornati a reclamare i propri diritti dando vita a un movimento di opinione nato sul web e propagatosi con una incredibile celerità. Era ora che il mondo dell’educazione, anche se non più di primo pelo, tornasse ad esigere dei diritti calpestati, che si ricompattasse intorno al proprio ruolo umiliato da una inveterata ‘filosofia’ tecnocratica sempre più asservita agli interessi e alle lobby dell’economia. Per quanto tempo i docenti italiani, ignorati da politiche culturali dannose, sono stati la cenerentola della società italiana? Quante cose ingiuste sono state scritte sul loro conto? E perché mai, infine, si dovrebbe far cassa con le loro pensioni invece che con gli aerei da guerra?

Ad accendere la miccia della riscossa ci ha pensato il comitato “Quota 96”, la cui nascita avevamo annunciato tempo fa e la cui azione sta mobilitando tantissimi lavoratori di tutta Italia. Si tratta, come abbiamo già dato conto, di 4000 persone, fra docenti e personale ATA, che rivendicano il diritto di andare in pensione – maturato il 1 settembre scorso con la vecchia normativa – sulla base della cosiddetta “Quota 96”, risultante dalla somma di requisito anagrafico e requisito contributivo. Nel 2012, stando a tale parametro previsto dalla riforma Damiano, poteva essere collocato a riposo chi aveva maturato 60 anni di età e 36 anni di contributi o 61 anni di età e 35 di contributi, o ancora, tout court, 40 anni di servizio a prescindere dall’età anagrafica.

La deputata del Pd Manuela Ghizzoni (unitamente alla senatrice Mariangela Bastico) si batte da tempo per la scuola e si è spesa molto per il comitato “Quota 96”, tanto è vero che ha ospitato nel suo sito, con un post dall’omonimo titolo, il denso e fruttuoso dibattito di questo nuovo “popolo viola”, le cui aspettative e progettualità di vita sono state ingiustamente troncate dalle cesoie dell’ultima riforma previdenziale. I lavoratori della conoscenza, da sempre, hanno una sola finestra di uscita per andare in pensione: il 1 settembre. Aver messo come termine utile il 31 dicembre 2011, anziché il 31 agosto 2012, non rende ragione al personale della scuola i cui ritmi, a differenza degli altri dipendenti pubblici, sono scanditi da quelli dell’anno scolastico e non da quelli dell’anno solare. Non si tratta, ovviamente, di un privilegio di casta ma di un diritto acquisito in base al quale tutti i lavoratori coinvolti, per la maggior parte della classe 1952, hanno adito le vie legali, rappresentati e patrocinati dall’avvocato Domenico Naso di Roma.

Manuela Ghizzoni, capogruppo alla VII Commissione Cultura della Camera, è decisa a non mollare la presa e a perseguire indomita la battaglia in nome dell’equità. Per questo ribadisce ad Affaritaliani.it che il Governo Monti deve trovare il modo di correggere tale ‘stortura’ normativa con un equo provvedimento. La via legale non esclude la via legislativa, fa intendere la deputata, che è persona combattiva, ostinata, non avvezza a eufemismi o a perifrasi quando si tratta di difendere le cause dei lavoratori. «C’è una specificità nota a chi lavora nel mondo della scuola ed è che, per dare continuità didattica, la cessazione dal lavoro per i pensionandi è condizionata dai ritmi scanditi dall’anno scolastico ed è quindi vincolata ad un solo giorno, il 1 settembre per ogni anno. Nessun altro lavoratore del pubblico impiego è sottoposto a tale vincolo. La riforma Fornero ha creato una disparità che bisogna sanare».

Onorevole Ghizzoni, che possibilità sussistono, in concreto, per questi lavoratori?

La via politica è sempre percorribile. Bisogna creare le condizioni adeguate per il raggiungimento degli obiettivi fissati. Nel caso specifico, abbiamo due ordini di problemi: indurre, da un lato, le altre forze politiche a sostenere un’iniziativa per i pensionandi della scuola e, dall’altro, convincere la Ragioneria dello Stato che la platea dei beneficiari può essere stimata sulle 4000 unità, con una somma di oneri aggiuntivi per le casse dello stato ben inferiore ai 650 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016, quelli, cioè, ipotizzati dalla medesima Ragioneria.

È per questo che al Senato l’emendamento 6.51 non è stato approvato? Per un problema di copertura?

Esatto. È per questo motivo – anche alla luce della bocciatura dell’emendamento 6.51 – che stiamo creando le condizioni favorevoli affinché una futura azione di modifica dell’art. 24 del decreto legge 201/2011, in favore dei pensionandi della scuola, possa essere accolta positivamente tanto dalla Ragioneria quanto dalle forze politiche. Stiamo cercando di prestare la dovuta attenzione a quell’impegno, preso dalla stessa ministra Fornero, perché possa consentire di dar risposta alle questioni aperte sul tema delle pensioni in un apposito provvedimento. In esso dovranno entrare non solo gli esodati e i mobilitati ma anche i lavoratori della scuola in questione.

È vero che la Lega, al Senato, ha votato contro l’emendamento 6.51? Come lo spiega?

Purtroppo è così. Lo ritengo un atteggiamento incomprensibile per una forza politica che, a parole, ha fatto della difesa delle pensioni di anzianità la propria bandiera, salvo poi opporsi alla prima occasione utile per rendere concreto tale obiettivo.

Cosa può dirci sul proposito di depositare una interrogazione?

L’ho depositata ieri. L’interrogazione, rivolta al Ministero del Lavoro e dell’Economia, sarà la prima occasione con la quale incalzeremo la Fornero a darci risposte circostanziate.

Lei ha ospitato nel suo sito gran parte dei docenti che raggiungono quota 96 e che si sono costituiti in un comitato avviando anche un’azione legale. Sta forse diventando l’icona del movimento dell’educazione?

Non credo. Mi auguro solo che l’ospitalità sul mio sito possa essere reciprocamente apprezzata. In realtà, è dettata da uno spirito di servizio. La politica è anche questo: mettere in circuito idee, opinioni e proposte che provengono da persone di mondi diversi, sempre con l’obiettivo, però, di risolvere i problemi del paese. Qualcuno ricorderà, nell’ormai lontano gennaio, le motivazioni che portarono il gruppo del Pd a presentare un emendamento alla Camera: garantire la specificità della scuola anche in materia pensionistica e, al contempo, liberare cattedre per i docenti precari oltre che per i nuovi vincitori di concorso. Su questi punti si è coagulato un interesse che non guarda solo al particolare ma anche al benessere della scuola. Con i miei interventi nella discussione non mi ha mai sfiorato l’idea di mettere un cappello sul nascente comitato «Quota 96». Molto più semplicemente ho voluto contribuire ad un dibattito serio e approfondito che reputo giusto.

L’8 marzo è previsto l’incontro fra una delegazione di questo comitato e il Capo di Gabinetto del ministro Profumo, il dott. Luigi Fiorentino. Che cosa si prevede?

Io penso che registreremo, come è accaduto nelle settimane scorse, la disponibilità del ministro, disponibilità confermata, peraltro, da un suo commento personale rilasciato ad una professoressa siciliana. Vedremo se ci sarà un’apertura in tal senso. Sarà poi nostro compito far sì che l’apertura del ministro, se davvero vi sarà, sia estesa a tutti gli altri componenti del governo. Il prof. Profumo conosce bene il problema ed è certamente interessato ad una soluzione.

Però uno scollamento tra la politica e i cittadini, ormai, si è creato, non le pare? Come rimediarvi?

Posso capire la diffidenza che la politica ispira nei cittadini. Troppe volte abbiamo dato esempi non proprio fulgidi rispetto alla missione della politica, che è quella di lavorare per il bene comune. Sono consapevole, pertanto, che potrò suscitare disappunto e sospetto nell’affermare che noi continueremo ad impegnarci per una soluzione politica; soluzione, si badi bene, che non è solo mia, ma di tutto il gruppo parlamentare del Pd. È anche vero, però, che la politica ha i suoi tempi di evoluzione e di maturazione rispetto ai problemi e che, per questo motivo, non possiamo assicurare risultati immediati (del resto non sono adusa a fare promesse che so di non poter mantenere). Quel che è certo è che ci sarà il nostro impegno fino al conseguimento dell’esito finale. E comunque il lavoro delle settimane scorse depone a favore della nostra coerenza e del nostro rigore. Non posso e non voglio dimenticare che, per soli 4 voti, abbiamo mancato l’obiettivo. Il personale della scuola, «incastrato» nell’anno scolastico 2011/2012, attende una risposta. L’interrogazione che ho presentato va in questa direzione.

da www.affaritaliani.it

"Marchionne pone nuove condizioni per restare in Europa", di Luigina Venturelli

«Non ci sono stati ancora contatti, ma è possibile che ci siano». Per il momento il responsabile dello Sviluppo economico, Corrado Passera, non si sbilancia e non prende impegni: l’incontro tanto invocato con l’amministratore delegato Fiat non è stato organizzato, e il braccio di ferro tra Sergio Marchionne e il mondo del lavoro italiano continua ad oggi senza arbitri né mediatori. «Non faccio commenti» si è limitato a dire il ministro rispetto all’ipotesi – adombrata solo pochi giorni fa – che il Lingotto, dopo il sito siciliano di Termini Imerese, possa chiudere altre due fabbriche delle cinque in attività in caso d’insufficienti esportazioni verso gli Stati Uniti.
UNA LUNGA SERIE D’AVVERTIMENTI Era l’autunno del 2009 quando il manager per la prima volta parlò senza mezzi termini della sovraccapacità produttiva del settore automobilistico in Europa. Ed era sempre la platea dei costruttori Acea di Bruxelles, come ieri, quella scelta per lanciare il primo di una lunga serie di avvertimenti in patria sull’eventualità di un abbandono Fiat dell’Italia perchè poco produttiva, poco competitiva, poco remunerativa. Così, nel ribadire che l’azienda torinese vi manterrà i propri presidi industriali soltanto «a condizioni estremamente chiare», l’a.d. di Fiat e Chrysler non ha avuto alcun bisogno di elencarle: sono le stesse condizioni che hanno motivato in questi anni la sua strategia di rottura con la Fiom-Cgil, la ricerca di intese aziendali estranee al contratto nazionale dei metalmeccanici ed, infine, l’abbandono di Confindustria e la firma di un’intesa separata di gruppo in nome di una pronta gestione degli stabilimenti. «Non possiamo continuare a perdere soldi in Europa semplicemente per tenere in piedi un sistema industriale che economicamente non ha basi» ha ripetuto ieri Marchionne (nel giorno dell’accordo con Sberbankper la produzione e distribuzione di vetture e veicoli commerciali leggeri in Russia), smentendo per ora il «sacrificio» di due fabbriche e rispolverando l’intenzione di «mantenere una politica industriale in Italia che dà la possibilità di raggiunge per competere nel mondo». Gli strumenti da utilizzare, ovviamente, sono la riforma del welfare e del mercato del lavoro: «Se io potessi fare solo una cosa, probabilmente creerei un ambiente del lavoro flessibile per gestire la domanda e l’offerta » ha chiarito il manager italocanadese, forte anche delle recenti dichiarazioni del presidente Bce, Mario Draghi, sulla necessità di «ripensare e ridimensionare il sistema del welfare». Insomma, «se continuiamo a insistere che tutte le cose che abbiamo avuto e costruito sono essenziali per il futuro, quando in effetti sono considerate degli ostacoli proprio del progresso industriale di un Paese, quella strada non ci porterà molto lontano».
LA REAZIONE DELLA CGIL Il riferimento alla Cgil e alla Fiom, ovvero alla battaglia del sindacato per mantenere i diritti previsti nel contratto nazionale e nello Statuto dei lavoratori, non potrebbe essere più chiaro. Soprattutto da parte di un’azienda che sugli investimenti annunciati non fornisce risposte precise: «A Mirafiori gli impegni li stiamo prendendo » e «la decisione di riportare la nuova Panda in Italia non è stata presa solo sulla base di considerazioni razionali,ma per via della relazione privilegiata di Fiat con l’Italia» ha replicato Marchionne alle domande in merito. Non rinuncia, invece, a riportare il Lingotto ai propri impegni finora non mantenuti la leader della Cgil, Susanna Camusso: «Il piano industriale di Fiat è fondato solo sulla Chrysler e gli Stati Uniti. Non si vedono i famosi 20 miliardi di investimenti e non si vedono modelli che possano riaprire la competizione di Fiat con gli altri produttori europei ». Per la segretaria generale di Corso Italia «bisognerebbe smetterla di farsi chiedere delle cose» dall’azienda. Piuttosto «il governo, in nome e per conto di questo paese, dovrebbe chiedere all’a.d. della Fiat che cosa fa per investire in Italia». Per ora l’esecutivo tace. Lasciando spazio ai rimpianti: «Purtroppo, nella Prima repubblica,non convincemmo il governo a vendere l’Alfa Romeo alla Ford invece che alla Fiat» ha aggiunto Camusso. Un po’ di competizione e concorrenza avrebbe fatto bene a questo Paese.

L’Unità 29.02.12