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"Il peso delle regole e lo spread legale", di Luigi Ferrarella

In Germania il capo dello Stato si dimette appena i magistrati chiedono al Parlamento di revocargli l’immunità, in Italia il Parlamento vota che Ruby è la nipote di Mubarak. Lo spread vero tra i due Paesi, oltre che nei titoli di Stato, sta forse tutto qui. Tanto più che in Germania il presidente della Repubblica Christian Wulff, protetto da un’immunità che i politici italiani si sognano, si è dimesso appena la Procura di Hannover ha domandato al Parlamento federale di revocarla per poter aprire un’indagine su un prestito controverso e sul successivo tentativo di impedire che la notizia fosse pubblicata dal quotidiano popolare Bild. In Italia invece 314 parlamentari, molti dei quali gravati da sentenze definitive o indagini serie, hanno votato che Ruby potesse davvero essere creduta la nipote di Mubarak, hanno contestato con delibere alla Consulta che indagini su premier e ministri (Berlusconi, Matteoli, Mastella) non potessero essere svolte dalla magistratura ordinaria, e hanno più volte sottratto alla custodia cautelare parlamentari (Milanese, Cosentino, Tedesco) di destra e sinistra.
Ancor più impressionanti in Germania, per il divario con gli standard italiani, sono poi le motivazioni di chi ha dato le dimissioni, i commenti di chi le ha ricevute, e le reazioni della società tedesca che ne ha preso atto.
«Ho fatto errori in buona fede ma sono sempre stato onesto e questo alla fine verrà dimostrato, ma intanto la fiducia in me è stata compromessa», ha infatti spiegato Wullf, dimettendosi per il solo sospetto di un credito a condizioni di favore e del tono minaccioso di un messaggio lasciato nella segreteria telefonica del direttore del giornale.
Benché Wullf fosse stato imposto alla presidenza della Repubblica nel 2010 da Angela Merkel, ieri proprio la Cancelliera, dopo aver espresso rispetto per la convinzione di Wullf di «essersi sempre comportato bene», ha aggiunto: «Nonostante tutto, ha abbandonato la sua carica perché non poteva più servire il popolo. È realmente una forza del nostro Stato di diritto» il fatto che «tratti tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla posizione di ciascuno».
Ciò che in Italia sarebbe stato un terremoto, nelle cui macerie il politico-Sansone di turno avrebbe trascinato tutto il Paese tra pretese di impunità e speculari strumentalizzazioni politiche, in Germania è stato talmente ammortizzato da lasciare quasi indifferente la Borsa di Francoforte, da non determinare sensibili variazioni nell’andamento dei titoli di Stato, e da comportare soltanto l’ovvio rinvio ieri del viaggio di Merkel in Italia per consentirle di fare il punto con i leader dei partiti della sua coalizione.
Strani questi tedeschi? Parrebbe di no, a giudicare dal fatto che un mese fa il presidente della Banca centrale svizzera, Philipp Hildebrand, si è dimesso appena gli è stato fatto notare che, tre settimane prima che la banca ancorasse il franco all’euro e determinasse così un apprezzamento del dollaro, sua moglie aveva investito in dollari che poi le avevano fruttato un non colossale guadagno di 62.000 euro. «Io non lo sapevo — ha giurato — ma sono giunto alla conclusione che non potrò mai fornire la prova che l’operazione fu ordinata da mia moglie: le mie dimissioni consentiranno alla Banca di recuperare la sua credibilità, che è il suo asset più importante».
E dopo tedeschi e svizzeri, sono stati gli inglesi pochi giorni fa a registrare le dimissioni del ministro dell’Energia, il liberaldemocratico Chris Huhne, perché sospettato di aver fittiziamente addebitato alla moglie una propria infrazione di velocità allo scopo di non perdere punti sulla patente: «Lascio perché voglio evitare interferenze con la carica che ricopro».
È proprio vero: nel ventennale di Mani Pulite, riemerge «l’anomalia» del presunto «conflitto tra politica e magistratura». Solo che l’«anomalia», al cospetto dell’Europa, sta tutta in Italia.

Il Corriere della Sera 18.02.12

“Il peso delle regole e lo spread legale”, di Luigi Ferrarella

In Germania il capo dello Stato si dimette appena i magistrati chiedono al Parlamento di revocargli l’immunità, in Italia il Parlamento vota che Ruby è la nipote di Mubarak. Lo spread vero tra i due Paesi, oltre che nei titoli di Stato, sta forse tutto qui. Tanto più che in Germania il presidente della Repubblica Christian Wulff, protetto da un’immunità che i politici italiani si sognano, si è dimesso appena la Procura di Hannover ha domandato al Parlamento federale di revocarla per poter aprire un’indagine su un prestito controverso e sul successivo tentativo di impedire che la notizia fosse pubblicata dal quotidiano popolare Bild. In Italia invece 314 parlamentari, molti dei quali gravati da sentenze definitive o indagini serie, hanno votato che Ruby potesse davvero essere creduta la nipote di Mubarak, hanno contestato con delibere alla Consulta che indagini su premier e ministri (Berlusconi, Matteoli, Mastella) non potessero essere svolte dalla magistratura ordinaria, e hanno più volte sottratto alla custodia cautelare parlamentari (Milanese, Cosentino, Tedesco) di destra e sinistra.
Ancor più impressionanti in Germania, per il divario con gli standard italiani, sono poi le motivazioni di chi ha dato le dimissioni, i commenti di chi le ha ricevute, e le reazioni della società tedesca che ne ha preso atto.
«Ho fatto errori in buona fede ma sono sempre stato onesto e questo alla fine verrà dimostrato, ma intanto la fiducia in me è stata compromessa», ha infatti spiegato Wullf, dimettendosi per il solo sospetto di un credito a condizioni di favore e del tono minaccioso di un messaggio lasciato nella segreteria telefonica del direttore del giornale.
Benché Wullf fosse stato imposto alla presidenza della Repubblica nel 2010 da Angela Merkel, ieri proprio la Cancelliera, dopo aver espresso rispetto per la convinzione di Wullf di «essersi sempre comportato bene», ha aggiunto: «Nonostante tutto, ha abbandonato la sua carica perché non poteva più servire il popolo. È realmente una forza del nostro Stato di diritto» il fatto che «tratti tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla posizione di ciascuno».
Ciò che in Italia sarebbe stato un terremoto, nelle cui macerie il politico-Sansone di turno avrebbe trascinato tutto il Paese tra pretese di impunità e speculari strumentalizzazioni politiche, in Germania è stato talmente ammortizzato da lasciare quasi indifferente la Borsa di Francoforte, da non determinare sensibili variazioni nell’andamento dei titoli di Stato, e da comportare soltanto l’ovvio rinvio ieri del viaggio di Merkel in Italia per consentirle di fare il punto con i leader dei partiti della sua coalizione.
Strani questi tedeschi? Parrebbe di no, a giudicare dal fatto che un mese fa il presidente della Banca centrale svizzera, Philipp Hildebrand, si è dimesso appena gli è stato fatto notare che, tre settimane prima che la banca ancorasse il franco all’euro e determinasse così un apprezzamento del dollaro, sua moglie aveva investito in dollari che poi le avevano fruttato un non colossale guadagno di 62.000 euro. «Io non lo sapevo — ha giurato — ma sono giunto alla conclusione che non potrò mai fornire la prova che l’operazione fu ordinata da mia moglie: le mie dimissioni consentiranno alla Banca di recuperare la sua credibilità, che è il suo asset più importante».
E dopo tedeschi e svizzeri, sono stati gli inglesi pochi giorni fa a registrare le dimissioni del ministro dell’Energia, il liberaldemocratico Chris Huhne, perché sospettato di aver fittiziamente addebitato alla moglie una propria infrazione di velocità allo scopo di non perdere punti sulla patente: «Lascio perché voglio evitare interferenze con la carica che ricopro».
È proprio vero: nel ventennale di Mani Pulite, riemerge «l’anomalia» del presunto «conflitto tra politica e magistratura». Solo che l’«anomalia», al cospetto dell’Europa, sta tutta in Italia.

Il Corriere della Sera 18.02.12

"Il berlusconismo senza Berlusconi", di Michele Prospero

L ’anniversario di Mani Pulite (ma anche le dimissioni del presidente tedesco) spingono l’orologio a ritroso e inducono a cercare analogie tra la perdita di prestigio della politica e quello che in maniera traumatica accadde vent’anni fa in Italia. Il grado di debolezza del sistema politico è identico ad allora, e comune è l’intermezzo tecnico destinato a coprire una emergenza.
Una regolarità caratterizza la vicenda repubblicana: proprio quando la catastrofe del sistema si avvicina, i partiti escono di scena e le vesti dei salvatori della patria sono indossate da personalità collocate al di fuori del gioco politico. I grandi processi politici non si ripetono mai allo stesso modo e, oltre le apparenze che annunciano similitudini, esistono altre dinamiche che proprio nella loro differenza imprimono una direzione precisa agli eventi.
Non a quello che è eguale occorre perciò rivolgere l’analisi perché difficilmente al commiato del tecnico subentrerà di nuovo il cavaliere nero. Bisogna scavare piuttosto nel cuore di quello che nasconde una differenza per decifrare il senso delle mutazioni
adesso in gestazione. E quello che oggi si intravvede è la carta delle liste civiche nazionali sbandierate come una alternativa della società civile ai partiti delegittimati.
Ad un movimento civico pensa il ruspante presidente di calcio
incantato dall’esperienza esotica del Tea Party, ma coltiva l’idea
anche qualche altro imprenditore che annuncia da tempo (e poi sempre rinvia) la discesa nell’agone politico. Il comico genovese o il sindaco di Bari, accarezzano anche loro un progetto analogo. I sindaci di Napoli o forse taluni tecnici, qualche governatore o Di Pietro sono tutti tentati dall’avventura di lanciare una sfida ai partiti in nome della cittadinanza liquida che dà l’assalto al cuore dello Stato. Le liste civiche sono uno strano miscuglio di partito personale-carismatico e di radicale movimento di protesta
che, con una prosa recriminatoria, si agita contro i simboli della classe politica parassitaria. Al popolo della rete e ai comitati diffusi nei territori, i sindaci sono in grado di aggiungere il loro seguito personale, costruito su basi fiduciarie di tipo neoclientelare. La microfisica del potere comunale e la retorica dell’azione civica autogestita contro il ceto politico si abbracciano per dare una spallata al sistema. Il rifiuto della politica organizzata e il culto del capo solitario che opera senza controlli, condizionamenti, discussioni collocano le liste civiche nel solco della stagione del leaderismo assoluto che tanti guasti ha già provocato alla democrazia.
Difficile che la cittadinanza liquida, sedotta da un capo istrionico che fugge dalla coerenza della proposta, possa costruire un percorso politico egemonico. Il movimento dei movimenti o il cartello dei comitati se non vanta la potenza necessaria per farne una credibile alternativa (già stabilire chi sarà il sindaco dei sindaci provocherà incendi), può comunque sprigionare una forza di sbarramento notevole. Si tratta per questo di un processo sintomatico, nel senso che più che dare l’impronta al tempo nuovo esso segnala inquietanti presenze, rivela cioè che nei meandri della società operano ancora spinte disgregatrici. Come arrestarle? Avendo la consapevolezza che la
cittadinanza liquida, suo malgrado, prepara il terreno a poteri pesanti. Colpisce in nome della iperdemocrazia, ma si acquieta sotto la volontà di potenza del denaro. Per questo occorre ridefinire i confini del sistema, ricostruire una politica di nuovo organizzata e partecipata. Le liste civiche aprono il confuso tempo dei guastatori che rompono gli equilibri, altri poteri dopo di loro prenderanno l’iniziativa per realizzare il colpo grosso. Vent’anni dopo, la sfida non è diversa, cambiano però gli attori e le prospettive. L’alternativa rimane la stessa: o una nuova politica mediata da partiti rigenerati o immani potenze private al comando.

L’Unità 18.02.12

“Il berlusconismo senza Berlusconi”, di Michele Prospero

L ’anniversario di Mani Pulite (ma anche le dimissioni del presidente tedesco) spingono l’orologio a ritroso e inducono a cercare analogie tra la perdita di prestigio della politica e quello che in maniera traumatica accadde vent’anni fa in Italia. Il grado di debolezza del sistema politico è identico ad allora, e comune è l’intermezzo tecnico destinato a coprire una emergenza.
Una regolarità caratterizza la vicenda repubblicana: proprio quando la catastrofe del sistema si avvicina, i partiti escono di scena e le vesti dei salvatori della patria sono indossate da personalità collocate al di fuori del gioco politico. I grandi processi politici non si ripetono mai allo stesso modo e, oltre le apparenze che annunciano similitudini, esistono altre dinamiche che proprio nella loro differenza imprimono una direzione precisa agli eventi.
Non a quello che è eguale occorre perciò rivolgere l’analisi perché difficilmente al commiato del tecnico subentrerà di nuovo il cavaliere nero. Bisogna scavare piuttosto nel cuore di quello che nasconde una differenza per decifrare il senso delle mutazioni
adesso in gestazione. E quello che oggi si intravvede è la carta delle liste civiche nazionali sbandierate come una alternativa della società civile ai partiti delegittimati.
Ad un movimento civico pensa il ruspante presidente di calcio
incantato dall’esperienza esotica del Tea Party, ma coltiva l’idea
anche qualche altro imprenditore che annuncia da tempo (e poi sempre rinvia) la discesa nell’agone politico. Il comico genovese o il sindaco di Bari, accarezzano anche loro un progetto analogo. I sindaci di Napoli o forse taluni tecnici, qualche governatore o Di Pietro sono tutti tentati dall’avventura di lanciare una sfida ai partiti in nome della cittadinanza liquida che dà l’assalto al cuore dello Stato. Le liste civiche sono uno strano miscuglio di partito personale-carismatico e di radicale movimento di protesta
che, con una prosa recriminatoria, si agita contro i simboli della classe politica parassitaria. Al popolo della rete e ai comitati diffusi nei territori, i sindaci sono in grado di aggiungere il loro seguito personale, costruito su basi fiduciarie di tipo neoclientelare. La microfisica del potere comunale e la retorica dell’azione civica autogestita contro il ceto politico si abbracciano per dare una spallata al sistema. Il rifiuto della politica organizzata e il culto del capo solitario che opera senza controlli, condizionamenti, discussioni collocano le liste civiche nel solco della stagione del leaderismo assoluto che tanti guasti ha già provocato alla democrazia.
Difficile che la cittadinanza liquida, sedotta da un capo istrionico che fugge dalla coerenza della proposta, possa costruire un percorso politico egemonico. Il movimento dei movimenti o il cartello dei comitati se non vanta la potenza necessaria per farne una credibile alternativa (già stabilire chi sarà il sindaco dei sindaci provocherà incendi), può comunque sprigionare una forza di sbarramento notevole. Si tratta per questo di un processo sintomatico, nel senso che più che dare l’impronta al tempo nuovo esso segnala inquietanti presenze, rivela cioè che nei meandri della società operano ancora spinte disgregatrici. Come arrestarle? Avendo la consapevolezza che la
cittadinanza liquida, suo malgrado, prepara il terreno a poteri pesanti. Colpisce in nome della iperdemocrazia, ma si acquieta sotto la volontà di potenza del denaro. Per questo occorre ridefinire i confini del sistema, ricostruire una politica di nuovo organizzata e partecipata. Le liste civiche aprono il confuso tempo dei guastatori che rompono gli equilibri, altri poteri dopo di loro prenderanno l’iniziativa per realizzare il colpo grosso. Vent’anni dopo, la sfida non è diversa, cambiano però gli attori e le prospettive. L’alternativa rimane la stessa: o una nuova politica mediata da partiti rigenerati o immani potenze private al comando.

L’Unità 18.02.12

«Più servizi per bambini e anziani. Così libereremo il tempo delle donne», di Antonella Baccaro

Liberare il tempo delle donne, sottraendole all’obbligo di far fronte all’assenza dei servizi per la famiglia. Soprattutto al Sud. Sono in arrivo, nella prossima primavera, nuove risorse derivanti dalla riprogrammazione dei Fondi europei, per rafforzare i servizi di cura di anziani non autosufficienti e bambini. A anticiparlo è il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca.
Ministro, in che modo il governo intende affrontare il problema delle donne soprattutto al Sud, dove il tasso di occupazione è la metà di quello del resto del Paese?
«Partendo dalla causa. Al Sud la carenza di servizi per la cura degli anziani non autosufficienti e dei bambini produce tre effetti deleteri: sottrae reddito alle famiglie, riduce la libertà delle donne di scegliere se attendere alla cura delle persone o lavorare. E in più mette i bambini del Sud che non possono frequentare gli asili nido in condizione di svantaggio sociale».
Cosa è possibile fare?
«La soluzione passa attraverso il rafforzamento dei servizi di cura degli anziani non autosufficienti e dei bambini. A questo scopo abbiamo intenzione di riprogrammare una parte dei fondi europei, a primavera».
Quali sono invece gli strumenti per incentivare le assunzioni delle donne?
«Qui siamo già intervenuti due volte. La prima con il decreto “salva-Italia” che ha previsto la deducibilità integrale, da Irpef e Ires, dell’Irap sul costo del lavoro, incrementata in caso di donne e under 35. Tutto a valere su risorse ordinarie».
L’altro intervento?
«È quello sul credito d’imposta a valere sui fondi strutturali. Si tratta dell’introduzione di un credito pari al 50% del costo salariale per ciascun lavoratore svantaggiato — cioè disoccupati di lunga durata, donne residenti in aree a bassa occupazione femminile, giovani inoccupati — che venga assunto dalle imprese del Mezzogiorno a tempo indeterminato».
Ma è già in vigore?
«Sono interventi in vigore dal gennaio 2012».
Uno studio Svimez rileva che se si tenesse conto del lavoro nero, il tasso di disoccupazione femminile al Sud sarebbe il doppio di quello ufficiale: al 30,6%. Cosa pensate di fare in proposito?
«I tentativi messi in atto in passato per affrontare con strumenti ad hoc il problema del lavoro nero non hanno dato buoni risultati».
Non c’è molto da fare?
«Il lavoro nero va trattato come un effetto, non come una causa, e come tale va combattuto con misure che, a prima vista, possono sembrare distanti dall’obiettivo primario».
Per esempio?
«Aumentare le azioni di sviluppo, fare emergere le imprese attraverso la leva del credito. Ad esempio, abbiamo potenziato da subito il Fondo sociale per le piccole imprese. Sarà loro interesse emergere per poter usufruirne. Il resto lo fanno politiche più mirate, come quelle che ho già descritto».
Intanto sta per arrivare la «task force» della Commissione europea per aiutarci a affrontare il problema della disoccupazione giovanile. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Arriverà la prossima settimana e dovrà verificare se i Paesi che hanno come obiettivo una maggior occupazione giovanile hanno orientato i fondi strutturali alla soluzione di questo problema. Faccio notare che i presidenti della Commissione e del Consiglio europeo, Josè Manuel Barroso e Herman Van Rompuy, hanno detto che l’Italia si è già mossa in questo senso».
A quanto ammonta la parte dei fondi riprogrammati destinati al problema giovanile?
«Alla metà dei fondi in questione: circa un miliardo e mezzo».
La «task force» incrocerà il tavolo della riforma del lavoro guidato dal ministro Elsa Fornero?
«Mi sento di escluderlo: lo scopo è quello di aiutarci a trovare le risorse per i nostri interventi».

Il COrriere della Sera 18.02.12

"Contributi più alti sui contratti atipici", di Luisa Grion e Roberto Mania

La riforma del lavoro sarà varata entro marzo, ma lo schema degli interventi è già delineato. L´ultimo tassello del progetto, che ieri il ministro ha illustrato nelle sue linee guida ai colleghi europei, sarà rappresentato dall´intervento sull´articolo 18. È previsto anche un rafforzamento del sussidio di disoccupazione e contributi più alti per i contratti atipici.

La riforma del lavoro sarà varata entro marzo, ma lo schema degli interventi è già delineato. L´ultimo tassello del progetto, che ieri il ministro ha illustrato nelle sue linee guida prima in Parlamento e poi a Bruxelles ai colleghi europei del Lavoro, sarà rappresentato dall´intervento sull´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

AMMORTIZZATORI
Lunedì, nell´incontro con sindacati e Confindustria, il ministro Fornero toglierà definitivamente il velo alla sua proposta sugli ammortizzatori sociali. L´impianto, però, è chiaro. Ci saranno solo due istituti per il sostegno al reddito, uguali per tutti, senza distinzione per età, area di lavoro, dimensioni dell´azienda, tipo di contratto, settore di attività: la cassa integrazione ordinaria e l´indennità di disoccupazione. Nell´impostazione del governo non c´è più posto per la cassa integrazione straordinaria, per la cassa integrazione in deroga, né, infine, per l´indennità di mobilità. L´idea di fondo – sul modello di quanto avviene nei paesi del nord Europa – è che gli ammortizzatori sociali debbano servire o a integrare il reddito dei lavoratori di un´azienda che attraversa una crisi dalla quale sarà comunque in grado di uscire, oppure come sostegno al reddito di una persona che ha perso il lavoro ed è coinvolta in un percorso di ricollocazione. E chi dovesse rifiutare una nuova occupazione, adatta alle proprie caratteristiche professionali, perderà il sussidio. Per finanziare la riforma, che comunque non entrerà in vigore prima di un anno e mezzo per colpa della nuova recessione, si allargherà la platea dei contribuenti alle piccole imprese artigiane e commerciali che oggi versano pochissimo. Non ci saranno nuove risorse pubbliche. «Stiamo studiando con il lanternino ogni possibile ristrutturazione della contribuzione per vedere di dare un´assicurazione a tutti con la loro redistribuzione», ha detto la Fornero.

CONTRATTI
Il ministro ha già detto quello che vuole fare sul fronte dei contratti. «Nel mercato del lavoro italiano – ha spiegato ieri a Bruxelles – esistono troppe tipologie contrattuali che negli anni hanno generato una diffusa precarietà». Per ridurre le distanze il governo intende agire con una doppia leva: disincentivare l´abuso dei contratti a termine (oggi oltre il 71 per cento delle assunzioni avviene con contratti di questo tipo) attraverso un aggravio contributivo a carico del datore di lavoro (che servirà anche a pagare la cassa integrazione per i lavoratori atipici) e incentivare la trasformazione dei contratti a tempo in contratti a tempo indeterminato con sgravi contributivi pari a quanto versato in più. Di fatto una restituzione, un meccanismo bonus-malus a costo zero per le imprese che stabilizzano i contratti a tempo. Saranno ridefiniti i confini del contratto a chiamata e dei contratti a progetto. E arriveranno più controlli non solo per scovare il lavoro nero, ma anche per verificare se dietro un contratto flessibile si nasconde un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno.

ARTICOLO 18
E´ il capitolo più delicato. La Cgil, che ieri ha riunito tutti i segretari generali delle categorie insieme al leader confederale Susanna Camusso, non è disposta ad accettare alcun ritocco all´articolo 18. Solo su un punto è pronta a trattare: la riduzione dei tempi delle cause giudiziarie per i licenziamenti senza giusta causa, quelli per i quali l´articolo 18 prevede il reintegro. Ma il governo sembra intenzionato a fare qualcosa di più. Tanto che Cisl e Uil sono disposte a cambiare le regole per i licenziamenti individuali per motivi economici.

DONNE e SUD
Su disoccupazione femminile e meridionale, due picchi del problema lavoro, è già intervenuto il decreto «Salva Italia», ora per potenziarne gli interventi servono nuove risorse.Il decreto dà la possibilità alle imprese che decidono di impegnare lavoratrici e under 35 a tempo indeterminato di dedurre 10.600 euro per ogni assunzione. Sconto che sale a 15.200 euro nelle regioni del Sud. Il ministro Fornero assicura che donne e Sud sono «tra le nostre preoccupazioni» ma il governo non si impegna in nuovi sgravi Irpef. «Se all´interno di un provvedimento più vasto di riordino del sistema fiscale ci saranno risorse non potrò che esserne contenta» ha commentato.

APPRENDISTATO
Il governo punta a valorizzarlo come contratto prevalente nella fase di ingresso al lavoro, impostazione sulla quale sono d´accordo anche sindacati e imprese. Sono previsti una durata massima di tre anni, formazione certificata e agevolazione contributiva. Il Testo unico varato dal precedente governo con il consenso delle parti prevede che, «per alta formazione» l´apprendistato possa essere esteso anche a giovani fra i 18 e i 29 anni.

La Repubblica 18.02.12

“Contributi più alti sui contratti atipici”, di Luisa Grion e Roberto Mania

La riforma del lavoro sarà varata entro marzo, ma lo schema degli interventi è già delineato. L´ultimo tassello del progetto, che ieri il ministro ha illustrato nelle sue linee guida ai colleghi europei, sarà rappresentato dall´intervento sull´articolo 18. È previsto anche un rafforzamento del sussidio di disoccupazione e contributi più alti per i contratti atipici.

La riforma del lavoro sarà varata entro marzo, ma lo schema degli interventi è già delineato. L´ultimo tassello del progetto, che ieri il ministro ha illustrato nelle sue linee guida prima in Parlamento e poi a Bruxelles ai colleghi europei del Lavoro, sarà rappresentato dall´intervento sull´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

AMMORTIZZATORI
Lunedì, nell´incontro con sindacati e Confindustria, il ministro Fornero toglierà definitivamente il velo alla sua proposta sugli ammortizzatori sociali. L´impianto, però, è chiaro. Ci saranno solo due istituti per il sostegno al reddito, uguali per tutti, senza distinzione per età, area di lavoro, dimensioni dell´azienda, tipo di contratto, settore di attività: la cassa integrazione ordinaria e l´indennità di disoccupazione. Nell´impostazione del governo non c´è più posto per la cassa integrazione straordinaria, per la cassa integrazione in deroga, né, infine, per l´indennità di mobilità. L´idea di fondo – sul modello di quanto avviene nei paesi del nord Europa – è che gli ammortizzatori sociali debbano servire o a integrare il reddito dei lavoratori di un´azienda che attraversa una crisi dalla quale sarà comunque in grado di uscire, oppure come sostegno al reddito di una persona che ha perso il lavoro ed è coinvolta in un percorso di ricollocazione. E chi dovesse rifiutare una nuova occupazione, adatta alle proprie caratteristiche professionali, perderà il sussidio. Per finanziare la riforma, che comunque non entrerà in vigore prima di un anno e mezzo per colpa della nuova recessione, si allargherà la platea dei contribuenti alle piccole imprese artigiane e commerciali che oggi versano pochissimo. Non ci saranno nuove risorse pubbliche. «Stiamo studiando con il lanternino ogni possibile ristrutturazione della contribuzione per vedere di dare un´assicurazione a tutti con la loro redistribuzione», ha detto la Fornero.

CONTRATTI
Il ministro ha già detto quello che vuole fare sul fronte dei contratti. «Nel mercato del lavoro italiano – ha spiegato ieri a Bruxelles – esistono troppe tipologie contrattuali che negli anni hanno generato una diffusa precarietà». Per ridurre le distanze il governo intende agire con una doppia leva: disincentivare l´abuso dei contratti a termine (oggi oltre il 71 per cento delle assunzioni avviene con contratti di questo tipo) attraverso un aggravio contributivo a carico del datore di lavoro (che servirà anche a pagare la cassa integrazione per i lavoratori atipici) e incentivare la trasformazione dei contratti a tempo in contratti a tempo indeterminato con sgravi contributivi pari a quanto versato in più. Di fatto una restituzione, un meccanismo bonus-malus a costo zero per le imprese che stabilizzano i contratti a tempo. Saranno ridefiniti i confini del contratto a chiamata e dei contratti a progetto. E arriveranno più controlli non solo per scovare il lavoro nero, ma anche per verificare se dietro un contratto flessibile si nasconde un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno.

ARTICOLO 18
E´ il capitolo più delicato. La Cgil, che ieri ha riunito tutti i segretari generali delle categorie insieme al leader confederale Susanna Camusso, non è disposta ad accettare alcun ritocco all´articolo 18. Solo su un punto è pronta a trattare: la riduzione dei tempi delle cause giudiziarie per i licenziamenti senza giusta causa, quelli per i quali l´articolo 18 prevede il reintegro. Ma il governo sembra intenzionato a fare qualcosa di più. Tanto che Cisl e Uil sono disposte a cambiare le regole per i licenziamenti individuali per motivi economici.

DONNE e SUD
Su disoccupazione femminile e meridionale, due picchi del problema lavoro, è già intervenuto il decreto «Salva Italia», ora per potenziarne gli interventi servono nuove risorse.Il decreto dà la possibilità alle imprese che decidono di impegnare lavoratrici e under 35 a tempo indeterminato di dedurre 10.600 euro per ogni assunzione. Sconto che sale a 15.200 euro nelle regioni del Sud. Il ministro Fornero assicura che donne e Sud sono «tra le nostre preoccupazioni» ma il governo non si impegna in nuovi sgravi Irpef. «Se all´interno di un provvedimento più vasto di riordino del sistema fiscale ci saranno risorse non potrò che esserne contenta» ha commentato.

APPRENDISTATO
Il governo punta a valorizzarlo come contratto prevalente nella fase di ingresso al lavoro, impostazione sulla quale sono d´accordo anche sindacati e imprese. Sono previsti una durata massima di tre anni, formazione certificata e agevolazione contributiva. Il Testo unico varato dal precedente governo con il consenso delle parti prevede che, «per alta formazione» l´apprendistato possa essere esteso anche a giovani fra i 18 e i 29 anni.

La Repubblica 18.02.12