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"L'errore di non ascoltare gli elettori", di Marcello Sorgi

Dopo quelle di Milano e Cagliari nel 2011, la terza sconfitta del Pd alle primarie di Genova ha aperto una discussione nel partito che va oltre l’amarezza del momento. Siccome anche stavolta a vincere è stato il candidato di Vendola, Marco Doria, si confrontano due interpretazioni. Una, per così dire più tecnica, è del segretario Pierluigi Bersani, dispiaciuto, ovviamente, ma convinto che finché il Pd consentirà alle sue diverse anime di presentare più candidati – com’è accaduto a Genova, dove la sindaca uscente Marta Vincenzi si contrapponeva alla parlamentare Roberta Pinotti -, dovrà mettere in conto, disperdendo i voti, di andare incontro a rovesci: cioè, in altre parole, di essersela cercata, la sconfitta. L’altra, più politica, è dell’ex segretario della Cgil ed ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati, secondo cui il Pd ha perso nuovamente perché non riesce a incarnare la richiesta di cambiamento proveniente dal suo elettorato.

A dire la verità nessuna delle due spiegazioni è convincente, proprio perché Genova non è un caso isolato e il ragionamento dovrebbe necessariamente ripartire dai precedenti. Le passate affermazioni di Giuliano Pisapia e Massimo Zedda, che strapparono la guida delle due città al centrodestra, erano state salutate dal Pd come vittorie, ma anche come campanello d’allarme di un’ ondata di antipolitica sottovalutata dai partiti.

Da tutti i partiti, non solo da quelli che erano usciti battuti. A Milano e a Cagliari, di conseguenza, pur sedendo al tavolo dei vincitori, il Pd doveva fare i conti con la propria crisi. Confermata tra l’altro, sia detto senza voler infierire, dal fatto che a Napoli a diventare sindaco era stato il candidato di Di Pietro, Luigi De Magistris, mentre il prefetto democratico Mario Morcone era rimasto escluso dal ballottaggio. E a Bologna, la capitale storica della sinistra italiana, il partito era sì riuscito a riconquistare il Comune – malgrado uno scandalo sentimental-amministrativo che aveva investito la giunta -, ma a stento. E la lista di Beppe Grillo toccava inaspettatamente il dieci per cento.

La sconfitta di Genova conferma che le difficoltà di rapporto tra il Pd e il suo elettorato non sono affatto superate. Anzi resistono immutate, a prescindere dalla collocazione del partito (l’anno scorso all’opposizione contro il governo Berlusconi, quest’ anno in maggioranza con Monti), dal mutamento complessivo del quadro politico e da quel che è stato fatto, o non fatto, per affrontarle. Sbaglierebbe tuttavia Bersani, o qualsiasi altro membro della nomenklatura democratica, ad accontentarsi di trovare radici locali e motivazioni contingenti del problema, si tratti della recente alluvione genovese che ricevette una risposta inadeguata da parte dell’amministrazione, o dei sacrifici che anche con i voti del Pd Monti ha dovuto imporre agli italiani.

La questione è diversa e riguarda appunto quell’ondata di antipolitica che un anno fa i partiti avevano colto in ritardo, promettendo però di affrontarla con un cambiamento di pelle e venendo incontro alle reazioni, non sempre motivate, dei loro elettori. In un anno, appunto, niente è stato fatto, né dal Pd né dagli altri. Non c’è stato neppure un accenno di autoriforma. E contrariamente a quel che molti militanti democratici si aspettavano, il Pd proprio in questi ultimi giorni è apparso come il perno di un progetto di riforma elettorale proporzionale che punta a ridare pieni poteri ai partiti nella formazione dei governi, togliendo ai cittadini il diritto di sceglierseli.

Forse Bersani e i suoi hanno pensato che l’onda lunga della caduta di Berlusconi si sarebbe risolta naturalmente in vantaggio per loro, coprendo le carenze di un’opera di rinnovamento promessa e rinviata. Forse, sbagliando, hanno ritenuto che bastassero le primarie per rianimare gli elettori e restituirgli l’illusione di contare. Invece, come dimostra la scarsissima partecipazione alle primarie di Genova, l’errore di valutazione non poteva essere più grosso. E l’ostacolo maggiore che il partito s’è trovato ad affrontare non è stato tanto il voto di protesta, ma l’indifferenza del suo elettorato.

In questo senso, va detto, Genova parla anche al Pdl, e non solo al Pd. Da qualche tempo infatti la parola primarie ha cominciato a far capolino anche nel centrodestra, come esempio di buona volontà per abbandonare la gestione cesarista di Berlusconi e abbracciare le regole normali dei partiti democratici. Ma alla prova pratica, il nuovo metodo non è stato all’altezza dei propositi. Roberto Formigoni, governatore della Lombardia nonché avversario giurato del segretario Angelino Alfano, ha proposto di candidare alle primarie il ministro tecnico Corrado Passera. Alfano ha replicato che Passera, per candidarsi, deve iscriversi al partito, sapendo che non può farlo. Ne è nata una polemica: e s’è capito che anche in questo caso le primarie del dopo-Berlusconi saranno gestite dalle correnti del Pdl. Con quale entusiasmo degli abbacchiati elettori di centrodestra, è facile immaginare.

La Stampa 14.02.12

“L’errore di non ascoltare gli elettori”, di Marcello Sorgi

Dopo quelle di Milano e Cagliari nel 2011, la terza sconfitta del Pd alle primarie di Genova ha aperto una discussione nel partito che va oltre l’amarezza del momento. Siccome anche stavolta a vincere è stato il candidato di Vendola, Marco Doria, si confrontano due interpretazioni. Una, per così dire più tecnica, è del segretario Pierluigi Bersani, dispiaciuto, ovviamente, ma convinto che finché il Pd consentirà alle sue diverse anime di presentare più candidati – com’è accaduto a Genova, dove la sindaca uscente Marta Vincenzi si contrapponeva alla parlamentare Roberta Pinotti -, dovrà mettere in conto, disperdendo i voti, di andare incontro a rovesci: cioè, in altre parole, di essersela cercata, la sconfitta. L’altra, più politica, è dell’ex segretario della Cgil ed ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati, secondo cui il Pd ha perso nuovamente perché non riesce a incarnare la richiesta di cambiamento proveniente dal suo elettorato.

A dire la verità nessuna delle due spiegazioni è convincente, proprio perché Genova non è un caso isolato e il ragionamento dovrebbe necessariamente ripartire dai precedenti. Le passate affermazioni di Giuliano Pisapia e Massimo Zedda, che strapparono la guida delle due città al centrodestra, erano state salutate dal Pd come vittorie, ma anche come campanello d’allarme di un’ ondata di antipolitica sottovalutata dai partiti.

Da tutti i partiti, non solo da quelli che erano usciti battuti. A Milano e a Cagliari, di conseguenza, pur sedendo al tavolo dei vincitori, il Pd doveva fare i conti con la propria crisi. Confermata tra l’altro, sia detto senza voler infierire, dal fatto che a Napoli a diventare sindaco era stato il candidato di Di Pietro, Luigi De Magistris, mentre il prefetto democratico Mario Morcone era rimasto escluso dal ballottaggio. E a Bologna, la capitale storica della sinistra italiana, il partito era sì riuscito a riconquistare il Comune – malgrado uno scandalo sentimental-amministrativo che aveva investito la giunta -, ma a stento. E la lista di Beppe Grillo toccava inaspettatamente il dieci per cento.

La sconfitta di Genova conferma che le difficoltà di rapporto tra il Pd e il suo elettorato non sono affatto superate. Anzi resistono immutate, a prescindere dalla collocazione del partito (l’anno scorso all’opposizione contro il governo Berlusconi, quest’ anno in maggioranza con Monti), dal mutamento complessivo del quadro politico e da quel che è stato fatto, o non fatto, per affrontarle. Sbaglierebbe tuttavia Bersani, o qualsiasi altro membro della nomenklatura democratica, ad accontentarsi di trovare radici locali e motivazioni contingenti del problema, si tratti della recente alluvione genovese che ricevette una risposta inadeguata da parte dell’amministrazione, o dei sacrifici che anche con i voti del Pd Monti ha dovuto imporre agli italiani.

La questione è diversa e riguarda appunto quell’ondata di antipolitica che un anno fa i partiti avevano colto in ritardo, promettendo però di affrontarla con un cambiamento di pelle e venendo incontro alle reazioni, non sempre motivate, dei loro elettori. In un anno, appunto, niente è stato fatto, né dal Pd né dagli altri. Non c’è stato neppure un accenno di autoriforma. E contrariamente a quel che molti militanti democratici si aspettavano, il Pd proprio in questi ultimi giorni è apparso come il perno di un progetto di riforma elettorale proporzionale che punta a ridare pieni poteri ai partiti nella formazione dei governi, togliendo ai cittadini il diritto di sceglierseli.

Forse Bersani e i suoi hanno pensato che l’onda lunga della caduta di Berlusconi si sarebbe risolta naturalmente in vantaggio per loro, coprendo le carenze di un’opera di rinnovamento promessa e rinviata. Forse, sbagliando, hanno ritenuto che bastassero le primarie per rianimare gli elettori e restituirgli l’illusione di contare. Invece, come dimostra la scarsissima partecipazione alle primarie di Genova, l’errore di valutazione non poteva essere più grosso. E l’ostacolo maggiore che il partito s’è trovato ad affrontare non è stato tanto il voto di protesta, ma l’indifferenza del suo elettorato.

In questo senso, va detto, Genova parla anche al Pdl, e non solo al Pd. Da qualche tempo infatti la parola primarie ha cominciato a far capolino anche nel centrodestra, come esempio di buona volontà per abbandonare la gestione cesarista di Berlusconi e abbracciare le regole normali dei partiti democratici. Ma alla prova pratica, il nuovo metodo non è stato all’altezza dei propositi. Roberto Formigoni, governatore della Lombardia nonché avversario giurato del segretario Angelino Alfano, ha proposto di candidare alle primarie il ministro tecnico Corrado Passera. Alfano ha replicato che Passera, per candidarsi, deve iscriversi al partito, sapendo che non può farlo. Ne è nata una polemica: e s’è capito che anche in questo caso le primarie del dopo-Berlusconi saranno gestite dalle correnti del Pdl. Con quale entusiasmo degli abbacchiati elettori di centrodestra, è facile immaginare.

La Stampa 14.02.12

"Nuova valutazione, saltano i premi", di Mario D'Adamo

Il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, comincia ad abbozzare una risposta all’Unione europea, che nel novembre scorso, per saggiare l’affidabilità delle misure per contrastare la crisi del debito sovrano, aveva posto all’Italia 39 domande, due riguardavano l’istruzione. Con la n. 13 si volevano conoscere «quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti», mentre con la numero 14 si chiedevano chiarimenti sul piano di valorizzazione del «ruolo degli insegnanti in ogni singola scuola e sul tipo di incentivi che il governo intende mettere in campo».

E così il ministro, impegnandosi per il momento a rispondere alla prima domanda, fa partire un’iniziativa sperimentale denominata “VALeS”- Valutazione e Sviluppo Scuola. Niente incentivi agli insegnanti e alle scuole migliori, però. Più risorse, invece, alle scuole meno preparate e più in difficoltà. Entro il 12 marzo prossimo le scuole interessate a partecipare all’iniziativa devono presentare richiesta, previa delibera positiva dei rispettivi collegi dei docenti, compilando il modulo di adesione on line disponibile sul sito del ministero della pubblica istruzione, e vi possono partecipare anche i dirigenti scolastici (circolare n. 16 del 3 febbraio 2012, prot. n. 176). Non più di 300 scuole potranno aderire, non essendo ingenti, par di capire, le risorse a disposizione: da dieci e ventimila euro per scuola. Per la scelta il ministero terrà conto dell’ordine cronologico di presentazione delle richieste, garantendo un’equilibrata distribuzione sul territorio nazionale e un’equa ripartizione delle scuole del primo e del secondo ciclo. Il ministro ha deciso di archiviare il progetto sperimentale di valutazione «Valorizza», basato sulla valutazione reputazionale dei singoli prof, che aveva consentito a 276 docenti in tutt’Italia di ricevere una mensilità aggiuntiva a titolo di premio per la buona qualità del lavoro svolto a scuola. Troppe le criticità rilevate. Mentre prosegue l’altro progetto di durata triennale «VSQ» (valutazione per lo sviluppo e la qualità delle scuole) della Fondazione Agnelli. A questo si aggiunge il nuovo progetto, anch’esso triennale, che prevede tre fasi. Nel corso della prima, quest’anno scolastico, si rileveranno gli apprendimenti attraverso la somministrazione di prove standard con calcolo del valore aggiunto contestualizzato da parte dell’Istituto nazionale per la valutazione, Invalsi, e si raccoglieranno i dati strutturali che ogni singola scuola contribuisce a fornire secondo modalità simili all’iniziativa «scuola in chiaro». Questa fase, nel corso della quale visiteranno le scuole, secondo uno specifico protocollo, nuclei di osservatori esterni coordinati da ispettori, terminerà con la consegna di un rapporto di valutazione e l’invito a progettare un percorso miglioramento. La scuola avrà tempo il prossimo anno scolastico, seconda fase, per attuare le iniziative di miglioramento, per le quali potrà chiedere la collaborazione dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, Asas, delle Università e altre risorse del territorio. Stessa procedura per i dirigenti scolastici. Nella terza fase le scuole e i dirigenti scolastici saranno nuovamente valutati dai nuclei esterni, che ne apprezzeranno i risultati raggiunti. Le relative informazioni saranno pubblicate sul servizio «scuola in chiaro», ai fini della trasparenza e della «accountability». I fondi serviranno per finanziare lo svolgimento delle attività della seconda fase e le relative spese di funzionamento, comprese quelle per retribuire «il maggior impegno profuso dalla comunità professionale nel partecipare al processo di valutazione». Infine, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ocse, collaborerà con il ministero in tutte le fasi del progetto, per assicurare l’allineamento dell’esperienza italiana con il panorama internazionale.

da ItaliaOggi 14.02.12

“Nuova valutazione, saltano i premi”, di Mario D’Adamo

Il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, comincia ad abbozzare una risposta all’Unione europea, che nel novembre scorso, per saggiare l’affidabilità delle misure per contrastare la crisi del debito sovrano, aveva posto all’Italia 39 domande, due riguardavano l’istruzione. Con la n. 13 si volevano conoscere «quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti», mentre con la numero 14 si chiedevano chiarimenti sul piano di valorizzazione del «ruolo degli insegnanti in ogni singola scuola e sul tipo di incentivi che il governo intende mettere in campo».

E così il ministro, impegnandosi per il momento a rispondere alla prima domanda, fa partire un’iniziativa sperimentale denominata “VALeS”- Valutazione e Sviluppo Scuola. Niente incentivi agli insegnanti e alle scuole migliori, però. Più risorse, invece, alle scuole meno preparate e più in difficoltà. Entro il 12 marzo prossimo le scuole interessate a partecipare all’iniziativa devono presentare richiesta, previa delibera positiva dei rispettivi collegi dei docenti, compilando il modulo di adesione on line disponibile sul sito del ministero della pubblica istruzione, e vi possono partecipare anche i dirigenti scolastici (circolare n. 16 del 3 febbraio 2012, prot. n. 176). Non più di 300 scuole potranno aderire, non essendo ingenti, par di capire, le risorse a disposizione: da dieci e ventimila euro per scuola. Per la scelta il ministero terrà conto dell’ordine cronologico di presentazione delle richieste, garantendo un’equilibrata distribuzione sul territorio nazionale e un’equa ripartizione delle scuole del primo e del secondo ciclo. Il ministro ha deciso di archiviare il progetto sperimentale di valutazione «Valorizza», basato sulla valutazione reputazionale dei singoli prof, che aveva consentito a 276 docenti in tutt’Italia di ricevere una mensilità aggiuntiva a titolo di premio per la buona qualità del lavoro svolto a scuola. Troppe le criticità rilevate. Mentre prosegue l’altro progetto di durata triennale «VSQ» (valutazione per lo sviluppo e la qualità delle scuole) della Fondazione Agnelli. A questo si aggiunge il nuovo progetto, anch’esso triennale, che prevede tre fasi. Nel corso della prima, quest’anno scolastico, si rileveranno gli apprendimenti attraverso la somministrazione di prove standard con calcolo del valore aggiunto contestualizzato da parte dell’Istituto nazionale per la valutazione, Invalsi, e si raccoglieranno i dati strutturali che ogni singola scuola contribuisce a fornire secondo modalità simili all’iniziativa «scuola in chiaro». Questa fase, nel corso della quale visiteranno le scuole, secondo uno specifico protocollo, nuclei di osservatori esterni coordinati da ispettori, terminerà con la consegna di un rapporto di valutazione e l’invito a progettare un percorso miglioramento. La scuola avrà tempo il prossimo anno scolastico, seconda fase, per attuare le iniziative di miglioramento, per le quali potrà chiedere la collaborazione dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, Asas, delle Università e altre risorse del territorio. Stessa procedura per i dirigenti scolastici. Nella terza fase le scuole e i dirigenti scolastici saranno nuovamente valutati dai nuclei esterni, che ne apprezzeranno i risultati raggiunti. Le relative informazioni saranno pubblicate sul servizio «scuola in chiaro», ai fini della trasparenza e della «accountability». I fondi serviranno per finanziare lo svolgimento delle attività della seconda fase e le relative spese di funzionamento, comprese quelle per retribuire «il maggior impegno profuso dalla comunità professionale nel partecipare al processo di valutazione». Infine, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ocse, collaborerà con il ministero in tutte le fasi del progetto, per assicurare l’allineamento dell’esperienza italiana con il panorama internazionale.

da ItaliaOggi 14.02.12

"Lo strano miracolo delle tessere Pdl", di Gianni Del Vecchio

Fra i tesserati 2012 del Pdl puoi trovare un po’ di tutto, anche persone che sono del centrodestra a loro insaputa, come direbbe Scajola. Nelle liste trovi militanti del Pd e di Rifondazione comunista, esponenti politici di altri partiti, ignari iscritti di un’associazione di cacciatori, 139 residenti fantasma in un sottoscala barese, un imprenditore finito nelle inchieste della magistratura per i legami d’affari con i Casalesi e, immancabilmente, un bel po’ di defunti. Questa è stagione di congressi provinciali e delle grandi città per il Pdl e, inevitabilmente, tempo di battaglie politiche fra le varie correnti.
E, come i riti della Prima Repubblica insegnano, il primo effetto è la corsa all’accaparramento di pacchetti di voti da parte dei signori delle tessere. Accaparramento che purtroppo non esclude il ricorso a metodi quanto meno poco ortodossi, se non a volte sul filo della legalità. Non è un caso che si stiano moltiplicando le denunce da parte di parlamentari ed ex esponenti di governo pidiellini, gli esposti alla magistratura e le inchieste delle procure. Veleni, accuse reciproche e indagini che finiscono per balcanizzare ancor di più un partito già in profonda crisi di identità e di consensi, che il segretario Angelino Alfano sta tentando in tutti i modi di rivitalizzare.
Proprio la rapida e ripida discesa nei sondaggi che il partito di Berlusconi sta sperimentando, è il primo segnale che nell’operazione tesseramento per il 2012 qualcosa non sia andato per il verso giusto. Il Pdl infatti ha raccolto un milione e duecentomila tessere, un grande successo che mal si coniuga con i numeri deprimenti rilevati dagli istituti demoscopici.
Secondo la media dei sondaggi elettorali stilata da termometropolitico.it, il primo partito di centrodestra oggi arriverebbe a malapena al 23 per cento, a 15 punti di distanza dal 38 per cento raccolto alle ultime politiche del 2008. E poi fa pensare la distribuzione territoriale delle tessere, molto sbilanciata verso Lazio e Campania (quasi cinquecentomila iscritti), stando a quanto filtra da via dell’Umiltà. Tanti dubbi, che stanno però diventando realtà, visto che cominciano a venir fuori piccoli e grandi anomalie su tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud. La denuncia più clamorosa è quella che arriva da Modena. Nella città emiliana, ci sarebbero ben seicento tessere arrivate all’ultimo momento che puzzano di malavita. A rivelarlo non è un malizioso comunista ma Isabella Bertolini, parlamentare pidiellina e coordinatrice modenese, tra le fondatrici di Forza Italia e fedelissima di Berlusconi. La Bertolini ha addirittura inviato una lettera ad Alfano (dal quale ancora non ha avuto nessuna risposta) in cui sottolinea la stranezza del boom del tesseramento nella sua città (quasi seimila iscritti rispetto al migliaio di un anno fa) ma soprattutto vuol vederci chiaro su quelle 600 adesioni che arrivano dal casertano e dalla Calabria, zone ad alta intensità criminale.
Una preoccupazione più che fondata: Giovanni Tizian, giornalista della Gazzetta di Modena sotto scorta per le sue inchieste su ’ndrangheta e camorra in Emilia, s’è preso la briga di andare a spulciare i nuovi tesserati modenesi e ha pescato il nome di un imprenditore indagato dalla procura antimafia di Bologna per legami d’affari con il clan dei Casalesi. Se in Emilia il problema sono le infiltrazioni, a Vicenza invece c’è un’indagine della procura cittadina su diverse iscrizioni a insaputa del destinatario.
I magistrati stanno passando al setaccio circa ottomila richieste di adesione sospette perché ne ipotizzano la falsità di una parte: un “taroccatore” avrebbe trascritto sui moduli del Pdl i dati anagrafici di centinaia di persone copiandoli dagli elenchi dell’Associazione cacciatori veneti. Sta di fatto che fra i tesserati pidiellini sono finiti militanti di Rifondazione comunista, l’ex parlamentare del Pd Massimo Calearo e il sindaco di Codognè, il leghista di ferro Roberto Bet. Assieme a diverse persone defunte. Anche in questo caso, come a Modena, c’è chi nel Pdl ha alzato la voce per segnalare lo scandalo: l’ex ministro dei beni culturali Giancarlo Galan si è detto «molto indignato » e «per niente meravigliato».
Un meccanismo più o meno simile è saltato fuori a Bari, dove una militante del Pd ha presentato un esposto in procura perché si è trovata suo malgrado nel Pdl. Un caso non isolato, visto che va legato a quello dei 139 baresi tesserati e residenti allo stesso indirizzo, un sottoscala di un palazzo.
Peccato che lì ci sia la sede di una società privata che si è affrettata a smentire qualsiasi collegamento al gruppone di residenti-fantasma e al partito di Berlusconi. Una brutta vicenda, che non è andata giù all’ex sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. L’ex An ha chiesto che venga presto trovato il responsabile e cacciato immediatamente. Insomma, mentre a Roma il povero Alfano cerca di caratterizzare il Pdl come «il partito degli onesti», sul territorio (da Nord a Sud, passando per il Centro) a prevalere è il solito partito dei furbetti.

da Europa Quotidiano 14.02.12

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Tessere false, arruolati anche avversari i congressi azzurri finiscono in procura”, di GIULIANO FOSCHINI E LELLO PARISE

Si sono ritrovati iscritti militanti di Pd e Lega. Dopo le denunce, i carabinieri hanno bussato alla sede nazionale
Alcuni casi segnalati dall´interno dello stesso partito. Mantovano: “Quei pochi truffatori vanno individuati e cacciati”. Congressi con il trucco. Quelli del Pdl. Piovono esposti nelle procure per sedicenti iscritti nelle liste del partito. A fronte di un milione di cittadini che avrebbero aderito al Pdl per eleggere rappresentanti alle assemblee comunali, provinciali e nazionali, c´è chi all´interno dello stesso Pdl denuncia «anomalie» orchestrate da «pochi truffatori». L´accusa è dell´ex sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano: «Non c´è da meravigliarsi che qualcuno ci provi, accade in tutti i partiti. Non deve però accadere che non si accerti come stanno le cose. Io sono onorato di far parte del Pdl, chiedo quindi linea dura contro questi truffatori: vanno espulsi».
Il materiale non manca. Da Bari a Savona, da Cosenza a Casapesenna, da Modena a Vicenza fioccano le denunce. C´è l´iscritta del Pd che si trova fedelissima di Berlusconi, la dj leghista con la foto sulla tessera firmata da Alfano. Nei giorni scorsi i carabinieri di Vicenza hanno sequestrato tessere e documenti nella sede di via dell´Umiltà per accertare, per esempio, come mai tutti i cacciatori veneti fossero miracolosamente diventati iscritti al Pdl. A Bari, invece, 139 aderenti risultano residenti in un sottoscala. In mezzo a queste discussione, l´ex ministro Raffaele Fitto appare comunque entusiasta: «Il Pdl sta celebrando in tutta Italia una fortunata stagione congressuale. Ci confermiamo un grande partito capace di discutere e scegliere».

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Verifiche su novemila nomi ci sono tutti i cacciatori
Il primo sequestro i magistrati veneti lo hanno effettuato nella sede di via dell´Umiltà a Roma. Ora i carabinieri di Vicenza, coordinati dal pm Sergio Berlato, stanno spulciando le carte: l´ipotesi è di falso continuato in scrittura privata. Il caso dei finti iscritti nel Pdl in Veneto ha davvero dell´incredibile: a Vicenza le tessere sospette all´attenzione degli investigatori sono 8mila, a Treviso più di un migliaio. Ci sono militanti di Rifondazione e della Lega, morti, l´onorevole Massimo Calearo eletto nel Pd. Il caso più bizzarro è quello dei cacciatori: praticamente tutti gli iscritti all´Associazione cacciatori veneti si sono trovati con una tessera del Pdl in tasca. Nel mirino – come ha denunciato tra gli altri l´ex ministro Galan – è finito l´europarlamentare Sergio Berlato.

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L´anomalia dei 139 di Bari residenti in un sottoscala
E´ una militante del Pd, ma si ritrova iscritta al Pdl barese. Si chiama Concetta Ladalardo, ha 38 anni: «Non volevo crederci, poi ho scoperto che nome, cognome e data di nascita sono quelli della sottoscritta e la cosa mi ha dato molto fastidio. Presenterò un esposto alla magistratura, voglio giustizia». Il caso salta fuori dopo la denuncia di due consiglieri comunali “azzurri”, Filippo Melchiorre e Massimo Posca, che al congresso cittadino segnalano le «adesioni anomale» di 139 cittadini. Risultano tutti, compresa la Ladalardo, residenti in via Colaianni, 10: è l´indirizzo di un sottoscala. Il senatore Luigi D´Ambrosio Lettieri, segretario del partito, per metà impacciato e per metà seccato, assicura: «Stiamo verificando».

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A Modena è polemica sull´iscrizione dei casertani
Il caso Emilia Romagna nasce a Modena dove il 25 febbraio si candideranno tre aspiranti coordinatori provinciali. La coordinatrice uscente, l´onorevole Isabella Bertolini, usa parole molto forti accusando gli avversari della sua candidata di aver prodotto una serie di tesseramenti assi dubbi. «Ci sono città che hanno duplicato i numeri degli iscritti. E la cosa bizzarra – dice – è che i nuovi tesseramenti arrivano quasi tutti da una area geografica ben circoscritta: nel Pdl di Modena gli aderenti di Caserta e provincia sono 240, quelli originari dell´intera Calabria 93 su circa 5.800 iscritti: sono numeri che si commentano da soli». Il procuratore Vito Zincani, in attesa di un passo ufficiale, ha fatto già sapere che leggerà attentamente tutte le carte.

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Due big agli arresti per collusioni mafiose
La campagna di tesseramento del Pdl in Calabria si incrocia con due inchieste molto importanti di ‘ndrangheta. Due dei “signori” delle tessere del partito calabrese sono stati arrestati dall´antimafia, per altri reati, poco dopo aver chiuso la campagna di tesseramento: il consigliere regionale Franco Morelli (13.671 preferenze alle ultime elezioni) è finito in manette su ordine del pm Ilda Boccasini. Mentre il 21 dicembre la Dda di Reggio Calabrina ha arrestato il consigliere comunale Giuseppe Plutino. Per entrambi l´accusa è di contiguità alle cosche. Così mentre il coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Scopellitti, brindava alle 50mila tessere sul tavolo di Alfano, su quelli della procura arrivavano esposti che spingevano a tenere gli occhi aperti sull´incredibile boom.

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Quote pagate con Post-pay 91 iscritti subito cancellati
Tesserati di altri partiti, persone agli arresti domiciliari, anche nomadi. Sono alcuni degli iscritti al Pdl in provincia di Savona. Nelle liste, tra gli altri, c´erano anche il consigliere comunale del Partito democratico, Reginaldo Vignola e suo figlio Alessio che hanno presentato una denuncia in procura. Il partito ha prontamente provveduto a cancellare circa 91 iscrizioni, ritenute “inattendibili”, tutte arrivate al fotofinish da uno stesso indirizzo mail e con la quota(10 euro a testa) pagata tramite una PostPay. A compiere l´operazione un perito informatico che giura di aver eseguito soltanto «una prestazione professionale» ma nulla vuole dire su chi gli ha fornito gli elenchi. È possibile, però, che a farlo parlare ci pensi direttamente la magistratura.

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Pullman con 120mila schede ma è in arrivo il commissario
Nel momento della maggior crisi di consenso per il Pdl, in Campania questo è stato un anno straordinario. Tanto che il presidente della Provincia Luigi Cesaro, indagato in inchieste di camorra dalla procura di Napoli, è stato costretto ad affittare un pullmino per portare tutte le tessere a Roma: 120mila gli iscritti in Campania, con un vero e proprio boom in provincia di Napoli dove i fan del Pdl sono 45mila, quasi tutti proprio vicini a Cesaro. La situazione a Napoli città non è diversa. È scontro aperto tra il deputato Amedeo Laboccetta e l´assessore regionale Marcello Taglialatela, una guerra che potrebbe spingere il commissario regionale Francesco Nitto Palma a nominare un altro commissario: quello cittadino.

La Repubblica 14.02.12

“Lo strano miracolo delle tessere Pdl”, di Gianni Del Vecchio

Fra i tesserati 2012 del Pdl puoi trovare un po’ di tutto, anche persone che sono del centrodestra a loro insaputa, come direbbe Scajola. Nelle liste trovi militanti del Pd e di Rifondazione comunista, esponenti politici di altri partiti, ignari iscritti di un’associazione di cacciatori, 139 residenti fantasma in un sottoscala barese, un imprenditore finito nelle inchieste della magistratura per i legami d’affari con i Casalesi e, immancabilmente, un bel po’ di defunti. Questa è stagione di congressi provinciali e delle grandi città per il Pdl e, inevitabilmente, tempo di battaglie politiche fra le varie correnti.
E, come i riti della Prima Repubblica insegnano, il primo effetto è la corsa all’accaparramento di pacchetti di voti da parte dei signori delle tessere. Accaparramento che purtroppo non esclude il ricorso a metodi quanto meno poco ortodossi, se non a volte sul filo della legalità. Non è un caso che si stiano moltiplicando le denunce da parte di parlamentari ed ex esponenti di governo pidiellini, gli esposti alla magistratura e le inchieste delle procure. Veleni, accuse reciproche e indagini che finiscono per balcanizzare ancor di più un partito già in profonda crisi di identità e di consensi, che il segretario Angelino Alfano sta tentando in tutti i modi di rivitalizzare.
Proprio la rapida e ripida discesa nei sondaggi che il partito di Berlusconi sta sperimentando, è il primo segnale che nell’operazione tesseramento per il 2012 qualcosa non sia andato per il verso giusto. Il Pdl infatti ha raccolto un milione e duecentomila tessere, un grande successo che mal si coniuga con i numeri deprimenti rilevati dagli istituti demoscopici.
Secondo la media dei sondaggi elettorali stilata da termometropolitico.it, il primo partito di centrodestra oggi arriverebbe a malapena al 23 per cento, a 15 punti di distanza dal 38 per cento raccolto alle ultime politiche del 2008. E poi fa pensare la distribuzione territoriale delle tessere, molto sbilanciata verso Lazio e Campania (quasi cinquecentomila iscritti), stando a quanto filtra da via dell’Umiltà. Tanti dubbi, che stanno però diventando realtà, visto che cominciano a venir fuori piccoli e grandi anomalie su tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud. La denuncia più clamorosa è quella che arriva da Modena. Nella città emiliana, ci sarebbero ben seicento tessere arrivate all’ultimo momento che puzzano di malavita. A rivelarlo non è un malizioso comunista ma Isabella Bertolini, parlamentare pidiellina e coordinatrice modenese, tra le fondatrici di Forza Italia e fedelissima di Berlusconi. La Bertolini ha addirittura inviato una lettera ad Alfano (dal quale ancora non ha avuto nessuna risposta) in cui sottolinea la stranezza del boom del tesseramento nella sua città (quasi seimila iscritti rispetto al migliaio di un anno fa) ma soprattutto vuol vederci chiaro su quelle 600 adesioni che arrivano dal casertano e dalla Calabria, zone ad alta intensità criminale.
Una preoccupazione più che fondata: Giovanni Tizian, giornalista della Gazzetta di Modena sotto scorta per le sue inchieste su ’ndrangheta e camorra in Emilia, s’è preso la briga di andare a spulciare i nuovi tesserati modenesi e ha pescato il nome di un imprenditore indagato dalla procura antimafia di Bologna per legami d’affari con il clan dei Casalesi. Se in Emilia il problema sono le infiltrazioni, a Vicenza invece c’è un’indagine della procura cittadina su diverse iscrizioni a insaputa del destinatario.
I magistrati stanno passando al setaccio circa ottomila richieste di adesione sospette perché ne ipotizzano la falsità di una parte: un “taroccatore” avrebbe trascritto sui moduli del Pdl i dati anagrafici di centinaia di persone copiandoli dagli elenchi dell’Associazione cacciatori veneti. Sta di fatto che fra i tesserati pidiellini sono finiti militanti di Rifondazione comunista, l’ex parlamentare del Pd Massimo Calearo e il sindaco di Codognè, il leghista di ferro Roberto Bet. Assieme a diverse persone defunte. Anche in questo caso, come a Modena, c’è chi nel Pdl ha alzato la voce per segnalare lo scandalo: l’ex ministro dei beni culturali Giancarlo Galan si è detto «molto indignato » e «per niente meravigliato».
Un meccanismo più o meno simile è saltato fuori a Bari, dove una militante del Pd ha presentato un esposto in procura perché si è trovata suo malgrado nel Pdl. Un caso non isolato, visto che va legato a quello dei 139 baresi tesserati e residenti allo stesso indirizzo, un sottoscala di un palazzo.
Peccato che lì ci sia la sede di una società privata che si è affrettata a smentire qualsiasi collegamento al gruppone di residenti-fantasma e al partito di Berlusconi. Una brutta vicenda, che non è andata giù all’ex sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. L’ex An ha chiesto che venga presto trovato il responsabile e cacciato immediatamente. Insomma, mentre a Roma il povero Alfano cerca di caratterizzare il Pdl come «il partito degli onesti», sul territorio (da Nord a Sud, passando per il Centro) a prevalere è il solito partito dei furbetti.

da Europa Quotidiano 14.02.12

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Tessere false, arruolati anche avversari i congressi azzurri finiscono in procura”, di GIULIANO FOSCHINI E LELLO PARISE

Si sono ritrovati iscritti militanti di Pd e Lega. Dopo le denunce, i carabinieri hanno bussato alla sede nazionale
Alcuni casi segnalati dall´interno dello stesso partito. Mantovano: “Quei pochi truffatori vanno individuati e cacciati”. Congressi con il trucco. Quelli del Pdl. Piovono esposti nelle procure per sedicenti iscritti nelle liste del partito. A fronte di un milione di cittadini che avrebbero aderito al Pdl per eleggere rappresentanti alle assemblee comunali, provinciali e nazionali, c´è chi all´interno dello stesso Pdl denuncia «anomalie» orchestrate da «pochi truffatori». L´accusa è dell´ex sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano: «Non c´è da meravigliarsi che qualcuno ci provi, accade in tutti i partiti. Non deve però accadere che non si accerti come stanno le cose. Io sono onorato di far parte del Pdl, chiedo quindi linea dura contro questi truffatori: vanno espulsi».
Il materiale non manca. Da Bari a Savona, da Cosenza a Casapesenna, da Modena a Vicenza fioccano le denunce. C´è l´iscritta del Pd che si trova fedelissima di Berlusconi, la dj leghista con la foto sulla tessera firmata da Alfano. Nei giorni scorsi i carabinieri di Vicenza hanno sequestrato tessere e documenti nella sede di via dell´Umiltà per accertare, per esempio, come mai tutti i cacciatori veneti fossero miracolosamente diventati iscritti al Pdl. A Bari, invece, 139 aderenti risultano residenti in un sottoscala. In mezzo a queste discussione, l´ex ministro Raffaele Fitto appare comunque entusiasta: «Il Pdl sta celebrando in tutta Italia una fortunata stagione congressuale. Ci confermiamo un grande partito capace di discutere e scegliere».

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Verifiche su novemila nomi ci sono tutti i cacciatori
Il primo sequestro i magistrati veneti lo hanno effettuato nella sede di via dell´Umiltà a Roma. Ora i carabinieri di Vicenza, coordinati dal pm Sergio Berlato, stanno spulciando le carte: l´ipotesi è di falso continuato in scrittura privata. Il caso dei finti iscritti nel Pdl in Veneto ha davvero dell´incredibile: a Vicenza le tessere sospette all´attenzione degli investigatori sono 8mila, a Treviso più di un migliaio. Ci sono militanti di Rifondazione e della Lega, morti, l´onorevole Massimo Calearo eletto nel Pd. Il caso più bizzarro è quello dei cacciatori: praticamente tutti gli iscritti all´Associazione cacciatori veneti si sono trovati con una tessera del Pdl in tasca. Nel mirino – come ha denunciato tra gli altri l´ex ministro Galan – è finito l´europarlamentare Sergio Berlato.

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L´anomalia dei 139 di Bari residenti in un sottoscala
E´ una militante del Pd, ma si ritrova iscritta al Pdl barese. Si chiama Concetta Ladalardo, ha 38 anni: «Non volevo crederci, poi ho scoperto che nome, cognome e data di nascita sono quelli della sottoscritta e la cosa mi ha dato molto fastidio. Presenterò un esposto alla magistratura, voglio giustizia». Il caso salta fuori dopo la denuncia di due consiglieri comunali “azzurri”, Filippo Melchiorre e Massimo Posca, che al congresso cittadino segnalano le «adesioni anomale» di 139 cittadini. Risultano tutti, compresa la Ladalardo, residenti in via Colaianni, 10: è l´indirizzo di un sottoscala. Il senatore Luigi D´Ambrosio Lettieri, segretario del partito, per metà impacciato e per metà seccato, assicura: «Stiamo verificando».

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A Modena è polemica sull´iscrizione dei casertani
Il caso Emilia Romagna nasce a Modena dove il 25 febbraio si candideranno tre aspiranti coordinatori provinciali. La coordinatrice uscente, l´onorevole Isabella Bertolini, usa parole molto forti accusando gli avversari della sua candidata di aver prodotto una serie di tesseramenti assi dubbi. «Ci sono città che hanno duplicato i numeri degli iscritti. E la cosa bizzarra – dice – è che i nuovi tesseramenti arrivano quasi tutti da una area geografica ben circoscritta: nel Pdl di Modena gli aderenti di Caserta e provincia sono 240, quelli originari dell´intera Calabria 93 su circa 5.800 iscritti: sono numeri che si commentano da soli». Il procuratore Vito Zincani, in attesa di un passo ufficiale, ha fatto già sapere che leggerà attentamente tutte le carte.

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Due big agli arresti per collusioni mafiose
La campagna di tesseramento del Pdl in Calabria si incrocia con due inchieste molto importanti di ‘ndrangheta. Due dei “signori” delle tessere del partito calabrese sono stati arrestati dall´antimafia, per altri reati, poco dopo aver chiuso la campagna di tesseramento: il consigliere regionale Franco Morelli (13.671 preferenze alle ultime elezioni) è finito in manette su ordine del pm Ilda Boccasini. Mentre il 21 dicembre la Dda di Reggio Calabrina ha arrestato il consigliere comunale Giuseppe Plutino. Per entrambi l´accusa è di contiguità alle cosche. Così mentre il coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Scopellitti, brindava alle 50mila tessere sul tavolo di Alfano, su quelli della procura arrivavano esposti che spingevano a tenere gli occhi aperti sull´incredibile boom.

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Quote pagate con Post-pay 91 iscritti subito cancellati
Tesserati di altri partiti, persone agli arresti domiciliari, anche nomadi. Sono alcuni degli iscritti al Pdl in provincia di Savona. Nelle liste, tra gli altri, c´erano anche il consigliere comunale del Partito democratico, Reginaldo Vignola e suo figlio Alessio che hanno presentato una denuncia in procura. Il partito ha prontamente provveduto a cancellare circa 91 iscrizioni, ritenute “inattendibili”, tutte arrivate al fotofinish da uno stesso indirizzo mail e con la quota(10 euro a testa) pagata tramite una PostPay. A compiere l´operazione un perito informatico che giura di aver eseguito soltanto «una prestazione professionale» ma nulla vuole dire su chi gli ha fornito gli elenchi. È possibile, però, che a farlo parlare ci pensi direttamente la magistratura.

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Pullman con 120mila schede ma è in arrivo il commissario
Nel momento della maggior crisi di consenso per il Pdl, in Campania questo è stato un anno straordinario. Tanto che il presidente della Provincia Luigi Cesaro, indagato in inchieste di camorra dalla procura di Napoli, è stato costretto ad affittare un pullmino per portare tutte le tessere a Roma: 120mila gli iscritti in Campania, con un vero e proprio boom in provincia di Napoli dove i fan del Pdl sono 45mila, quasi tutti proprio vicini a Cesaro. La situazione a Napoli città non è diversa. È scontro aperto tra il deputato Amedeo Laboccetta e l´assessore regionale Marcello Taglialatela, una guerra che potrebbe spingere il commissario regionale Francesco Nitto Palma a nominare un altro commissario: quello cittadino.

La Repubblica 14.02.12

"Non ci saranno più vittime fantasma", di Luciano Gallino

La sentenza di Torino riveste un´importanza fondamentale in tema di tutela della salute sui luoghi di lavoro. Essa stabilisce anzitutto una relazione stretta tra una sostanza alla quale gruppi di lavoratori sono stati esposti in azienda e una patologia che li colpisce anche molti anni dopo. Per oltre un secolo, infatti, le famiglie dei lavoratori deceduti a causa dell´amianto sono state sconfitte in tribunale, con l´eccezione di rari casi individuali. Gli avvocati della difesa, infatti, riuscivano a insinuare nei giudici il dubbio che un cancro alla pleura o al polmone potesse davvero manifestarsi a decenni di distanza dal periodo di esposizione ad esso. In realtà sulla pericolosità delle polveri di amianto, dovuta alla loro conformazione vetrosa, aveva richiamato l´attenzione un´ispettrice di fabbrica inglese sin dal 1898. Nel corso del Novecento la sua denuncia fu seguita da quella di numerosi medici in Francia, Usa, Canada, Germania, Sud Africa, oltre che nel Regno Unito. Ma pur nei casi in cui si era arrivati a una causa, la parte civile ebbe sempre la peggio nel tentativo di dimostrare che era stato il lavoro su manufatti amiantiferi a decretare la morte di molti operai in un dato impianto, a distanza di venti o trent´anni.
Pertanto la sentenza di Torino avrà certamente un effetto sulla valutazione di altre tragedie. L´Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che le morti correlate alle condizioni delle fabbriche siano due-quattro volte maggiori di quelle dovute agli incidenti sul lavoro. Si tratta quindi di aggiungere agli oltre mille decessi che si registrano in Italia altre 2.000-4.000 vittime “fantasma” l´anno.
La responsabilità dei maggiori dirigenti è un altro aspetto innovativo della sentenza di Torino. Anche dinanzi a gravi compromissioni della salute dei dipendenti, il loro ad, il direttore generale o il presidente, siano italiani o stranieri, se la sono sovente cavata sostenendo che non potevano sapere che cosa succedeva. Il responsabile, se c´era, andava individuato nel direttore di stabilimento, nel capo reparto o altre figure intermedie. Dall´andamento del processo si può invece desumere che la sentenza in parola non si fondi semplicemente sull´ipotesi che il capo della Eternit Italia, o il maggior azionista svizzero, non potevano non sapere. Essa sembra invece statuire che i massimi dirigenti avevano il dovere di predisporre un sistema di informazioni atto a comunicare ciò che nella loro posizione avevano il dovere di sapere: che l´amianto uccide. L´omissione di tale intervento è ciò che ha concorso a renderli penalmente responsabili.
La sentenza di Torino vale anche a ricordare che l´amianto ha ucciso in Europa milioni di persone nel corso del Novecento, grazie all´importazione di 800.000 tonnellate l´anno, diminuite solo dopo il 1980. L´uso industriale dell´amianto è stato infatti vietato dalla Ue con grande ritardo, nel 1999. Inoltre, dato che il cancro indotto da esso ha tempi lunghi, continuerà a uccidere per decenni. Un rapporto 2001 dell´Agenzia Europea per l´Ambiente stimava che da lì al 2035 esso avrebbe provocato ancora tra 250.000 e 400.000 decessi. Dal che emerge un´altra colpa, largamente distribuita tra imprese, ministeri del lavoro e della sanità, dirigenti industriali, ricercatori. Per cent´anni, dopo che un´ispettrice del lavoro e un medico inglesi avevano denunciato la pericolosità di quella sostanza, non si è dato peso ai segnali precoci. Fino a quando non si sono trasformati in una terribile lezione, come dice il rapporto citato. Perciò la sentenza di Torino rappresenta pure un fermo invito a badare ai segnali precoci che di continuo si profilano in tanti settori industriali, dove si lavora con sostanze e processi forse non pericolosi come l´amianto, ma che rischiano comunque di infliggere col tempo dolorose lezioni.

La Repubblica 14.02.12