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"Le macerie istituzionali", di Adriano Prosperi

Oggi non è solo all´Aquila che si deve sgombrare il terreno dalle macerie. Quelle che segnano i luoghi istituzionali del Paese sono diventate così tante da cancellare il profilo del nostro orizzonte di riferimento e da diffondere un sentimento generale di ansia e di smarrimento. Per questo fa bene il Presidente della Repubblica a segnalare che il valore della Costituzione resta ancora un punto di riferimento fondamentale per l´opinione pubblica.
È dall´altezza di questo osservatorio che bisogna misurare la gravità della situazione. Oggi il documento votato all´unanimità della prima sezione del Consiglio Superiore della Magistratura mette sotto gli occhi di tutti lo spettacolo del disastro provocato dagli attacchi violentissimi del presidente del Consiglio dei ministri alla magistratura. Ne abbiamo letti quasi uno al giorno per anni. Qualcuno li considera intemperanze caratteriali su cui poi esperti mediatori dal sorriso facile e dalla parola morbida si occupano di versare mielate rassicurazioni. Si rischia di abituarsi allo spettacolo: una variante italiana dei costumi politici, con tanto di sesso, barzellette e canzoni napoletane. Non così pensano i magistrati della prima sezione del Csm. Si tratta secondo loro di una denigrazione e di un condizionamento della magistratura assolutamente inaccettabili perché mettono in pericolo l´equilibrio tra poteri e ordini dello Stato. Senza questo equilibrio non si dà un ordinamento civile capace di tutelare i diritti di ognuno. Lo sappiamo. Dovremmo saperlo. È un dato elementare, semplicissimo, un pilastro fondamentale del sistema democratico. Ma i magistrati non si limitano a condannare. Il loro documento rivolge «un pressante appello a tutte le istituzioni perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell´intera magistratura». Oggi la magistratura è accusata nientemeno che di sovversione. E non si è trattato solo di parole. Le accuse del premier si sono tradotte in gravissimi episodi di diffamazione e aggressione all´immagine e alla dignità di singoli magistrati, vere e proprie esecuzioni in effigie. Questo documento del Csm segna una svolta storica nella lotta politica italiana: segnala una situazione di emergenza e invita a scelte adeguate. Scuote un torpore politico e morale che è frutto di una corruzione radicata in profondità. Quando si cominciano ad accettare certe cose in silenzio, quando si decide di smorzare i toni della reazione e a far finta di niente non si è contribuito al buon andamento della cosa pubblica come qualcuno può pensare: di fatto si è già accettato di vivere nella «Repubblica del Male Minore». È quello che sta accadendo da tempo.
È un fatto che appartiene al peggiore costume del nostro passato, a forme di corruzione morale e di indifferenza per le regole che ha avuto tanti nomi ma che ha una sola sostanza. Di secolo in secolo si sono usati nomi diversi: «nicodemismo»,«dissimulazione onesta», «familismo amorale». Diversi i fenomeni storici, legati però da un minimo comune denominatore morale che si è fissato nel costume di casa: il chiudere la porta e la finestra sul mondo degli altri, il conservarsi indifferenti alla cosa pubblica , il tollerare le lesioni ai diritti individuali in nome del tranquillo vivere dei più, il considerare ovvio che chi dispone del potere faccia straccio dei diritti di chi non gli obbedisce. Da questo costume sono nate le vergogne e gli errori della storia italiana: è questo che permise al popolo italiano nel suo insieme di accettare senza reagire l´immane vergogna delle leggi razziali, salvo poi addossare questa colpa al solo pontefice regnante come unico titolare della coscienza collettiva.
Ma quello della violenza contro i magistrati non è che il fenomeno più evidente prodotto da un leader politico che disprezza la giustizia come norma e come istituzione e si fabbrica le leggi e le sentenze su misura. Altre rovine sono state seminate un po´ dovunque da quella che oggi anche i commentatori più moderati e più filo governativi si rassegnano ormai a riconoscere come una congenita incapacità di Silvio Berlusconi di affrontare le responsabilità del governo di una grande nazione. Un sistema di potere personalistico ha fatto continuamente leva sul principio rozzo e intrinsecamente dittatoriale di interpretare una vittoria elettorale come una investitura plebiscitaria a comandare. I suoi attacchi alle istituzioni hanno superato da tempo ogni limite tollerabile in un sistema fondato sulla divisione dei poteri. Per disgrazia del Paese il comando è caduto nelle mani di una persona determinata a servirsene per tutelare e accrescere i suoi beni e per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Da qui l´invenzione a getto continuo di norme e decreti «ad personam»: mentre scriviamo è in atto l´ennesima affannosa corsa del Parlamento per poter definire legittimo il fatto che un imputato non si presenta in tribunale. E non è certo la prima volta che quel potere legislativo che il popolo ha affidato al Parlamento viene confiscato e distolto dai problemi del Paese per togliere un privato cittadino che è anche per caso il presidente del Consiglio dagli impicci con la giustizia. Ai problemi del Paese si è data finora una risposta sbrigativa considerandoli come emergenze da affidare a strutture sottratte alle leggi ordinarie. Ma la politica dell´emergenza sta crollando sotto una valanga di scandali. E la vicenda delle liste elettorali segna il fallimento clamoroso di un sistema che ha concepito le elezioni non come un modo per far emergere una classe di governo dal consenso dei cittadini ma come l´imposizione agli elettori di candidati scelti su altri e ben diversi parametri da quelli della capacità e dell´onestà nel servire gli interessi del Paese. Un fatto è certo: comandare non è governare. Una cultura di governo deve conoscere e rispettare le regole. Questo governo le ignora a tal punto che ha visto ridicolizzato da un tribunale amministrativo per insipienza e approssimazione il recente decreto «interpretativo», cioè l´ennesimo tentativo di sanare le malefatte col solito decreto tappabuchi. Questo governo? Diciamo pure quest´uomo: l´uomo che oggi tace. Il suo silenzio è più di una confessione. La voce arrogante che ha aggredito e sbeffeggiato istituzioni e ordini fondamentali del sistema democratico, dalla magistratura alla presidenza della repubblica, oggi è assente da uno scenario dove si aggirano smarriti e balbettanti i suoi cortigiani. Spettava a lui, se fosse stato quello statista che non è, prendersi la responsabilità del pasticcio combinato dai suoi e chiedere alle altre forze politiche e al Paese di risolvere insieme il problema: che è un problema di tutti se è vero che il diritto al voto è l´incancellabile principio base della democrazia. Diritto di tutti: di ogni partito, non solo del più grosso come tende a dire la poco democratica petulanza dei portavoce della maggioranza. Ma se i diritti di tutti non sono difesi con la durezza e l´intransigenza necessaria, se si continua ad accettare una violenza eversiva sfacciata e uno spettacolo di conclamata immoralità e corruzione accettando di abbassare la protesta in un sussurro, forse non ci accorgeremo nemmeno quando dalla Repubblica del Male Minore ci avranno trasferito armi e bagagli nel territorio della confinante Repubblica della Giustizia assente.
La Repubblica 10.03.10

Pd: il governo cancella la scuola pubblica. I democratici si mobilitano in tutto il Paese a difesa dell’istruzione con i loro leader

Incontri pubblici in diverse città italiane, un appello che sta raccogliendo le firme del mondo della cultura e dello spettacolo, una gomma da cancellare da distribuire davanti alle scuole per dire che «il governo cancella la scuola pubblica, il Pd sta con gli studenti e gli insegnanti». È la campagna che i democratici lanciano a partire dalla giornata clou di domani. L’appuntamento principale è a Reggio Emilia, città simbolo della «buona scuola», con il segretario Pier Luigi Bersani. contemporaneamente, tra gli altri, Dario Franceschini sarà a Roma, Massimo D’Alema a Potenza, Anna Finocchiaro a San Giovanni in Persiceto (in provincia di Bologna). Visto che le «durissime battaglie » combattute dai parlamentari delPd non bastano, «abbiamo deciso di cambiare strategia- spiega Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del partito, in conferenza stampa a Bologna- partiamo dal basso e andiamo ad incontrare il mondo della scuola». Nelle «1.000 piazze per la scuola», quindi, i militanti del Pd «denunceranno le gravi condizioni in cui la scuola pubblica è ridotta – spiega Puglisi – e il caos che regna sovrano a causa del riordino degli indirizzi nelle superiori », con tanto di «scippo di competenze alle regioni da parte del governo». Oltre il Pd artefici delle proteste di piazza – che si concentreranno davanti al ministero dell’Istruzione e toccheranno l’apice venerdì12 con lo sciopero generale – saranno associazioni, movimenti, partiti politici, sindacati, studenti e genitori. Stamattina in piazza, dalle 8,30 alle ore 14,00 davanti al Miur, saranno due associazioni di settore – Conitp e Adesso scuola – per chiedere alle Regioni (a cui la riforma delle superiori affida un ruolo decisivo nello sviluppo dell’offerta formativa degli istituti professionali) di ampliare gli organici attraverso l’aggiunta di più ore di laboratorio.

L’Unità 10.03.10

"Il controllo delle TV e la partecipazione", di Chiara Saraceno

In una società democratica l´accesso ad informazioni attendibili e plurali è la precondizione della partecipazione politica, che non si esaurisce nell´esercizio del diritto di voto, come sembra pensare l´attuale maggioranza. Piuttosto, anche il pieno esercizio di questo diritto richiede sia l´esistenza effettiva di una possibilità di scelta, sia la capacità di valutare le opzioni disponibili sulla base, appunto, di informazioni attendibili e diversificate. Entrambe queste condizioni nel nostro Paese sono fortemente limitate. La prima, a causa di un sistema elettorale macchinoso, che toglie agli elettori persino la possibilità di scegliere chi votare all´interno di un partito o di una coalizione, e da ultimo anche alla mercè di decreti interpretativi ad hoc che rendono irrilevante la stessa osservanza delle norme. La seconda, a causa di un sistema di informazione che, soprattutto nel suo strumento più importante e più utilizzato, la televisione, è totalmente controllato dalla maggioranza. Un controllo ora perfezionato con l´eliminazione dei talk show durante il periodo di campagna elettorale.
Questa riduzione del diritto alla informazione avviene in un contesto in cui i cittadini, e ancor più le cittadine, mostrano un interesse limitato per la politica e per la pluralità delle fonti di informazione. Secondo i dati di una indagine recente dell´Istat, il 23,3% della popolazione italiana dai 14 anni in su non si occupa mai di politica. Pur in diminuzione rispetto a dieci anni fa, questo disinteresse è particolarmente concentrato non solo, come ci si potrebbe aspettare, tra coloro che non hanno ancora diritto di voto (non si occupa mai di politica il 46,8% degli adolescenti tra i 14 e i 17 anni), ma soprattutto tra i più anziani. Oltre la metà degli ultra settantacinquenni dichiara di non occuparsi mai di politica. È anche molto più presente tra le donne che non tra gli uomini. Il 40,1% delle donne dichiara di non parlare mai di politica e il 29,3% di non informarsi mai. La differenza tra uomini e donne aumenta con l´età e diminuisce con l´istruzione. È anche più alta nel Mezzogiorno. Le donne più giovani e quelle con più elevato livello di istruzione hanno comportamenti molto simili ai loro coetanei. Accanto al sesso e all´istruzione, anche la professione e la condizione occupazionale incidono sull´interesse per la politica e la disponibilità ad informarsi. Le casalinghe sono le meno interessate e informate. Ed anche tra le operaie e gli operai le percentuali di coloro che non discutono mai e non si informano mai di politica superano il 30%. Più che una scelta, perciò, questa estraneità sembra essere legata a condizioni di vita, di socialità, e di risorse personali che non sollecitano o non consentono la partecipazione, a fronte di una comunicazione politica che genera estraneità. Nel caso delle donne poi, una classe politica così pervicacemente e sistematicamente maschile sembra fornire quotidiana conferma a chi pensa che la politica sia «cosa da uomini». Che l´estraneità si traduca in rinuncia al voto o in voto dato in base a suggerimenti di famigliari o conoscenti, in ogni caso si tratta di cittadini che di fatto delegano totalmente ad altri le decisioni politiche, come se non li/le riguardassero e non toccassero le loro condizioni di vita.
Chi si informa, lo fa prevalentemente tramite la televisione. Questa è usata dalla quasi totalità di chi si informa, a fronte del 52% di utilizzo dei quotidiani. Inoltre la televisione è la fonte esclusiva di informazione nel 23% dei casi. Solo il 22,1% si informa anche attraverso i quotidiani. Anche in questo caso, sono più gli uomini delle donne, più le persone più istruite di quelle a bassa istruzione, a utilizzare anche i quotidiani e in generale più canali informativi, inclusi la radio, colleghi, conoscenti, Internet, oltre che, in misura molto ridotta, partiti e sindacati.
Risultati analoghi erano emersi da una indagine del Censis limitatamente al modo in cui gli elettori si erano informati in occasione delle elezioni europee. I telegiornali erano stati determinanti per il 69,3% degli elettori (ma il 76% dei meno istruiti, il 78,7% dei pensionati e il 74% delle casalinghe). Per il 30,6% erano stati viceversa determinanti i programmi televisivi di approfondimento e i talk show, mentre i giornali erano stati determinanti solo per il 25,4% degli elettori.
Controllare i telegiornali, eliminare i talk show, minacciare la carta stampata non allineata, quindi, è una strategia vincente per chi vuole mantenere l´elettorato in uno stato di minorità basato sulla delega in bianco, piuttosto che favorirne la maturazione e la partecipazione attiva. Ma oltre ad una informazione corretta e plurale, occorre anche una politica, e una comunicazione politica, che solleciti l´interesse a partecipare, e non solo ad essere voyeuristici e impotenti spettatori di litigi, scandali, furberie varie.
La Repubblica 10.03.10

Il CSM accusa il premier: "Democrazia a rischio"

Mai parole così dure e così condivise. Mai così nette nei confronti del Presidente del Consiglio “accusato” dal Csm di «denigrare e condizionare la magistratura e i singoli magistrati» con modi, episodi ed espressioni del tutto «inaccettabili » perché «lesive dell’ordine democratico ». Mai, almeno nell’era dello scontro perenne tra politica e giustizia inaugurato nel 1994 con l’avvento di Berlusconi al governo, un documento del Consiglio superiore della magistratura aveva dato un altolà così forte all’esecutivo. Perché il testo approvato ieri della Prima Commissione di Palazzo dei Marescialli non solo è stato approvato all’unanimità dai membri della stessa .Ma prima di andare in plenum (oggi pomeriggio ore 16,30) il testo è stato rivisto e corretto e limato dal vicepresidente Nicola Mancino che a sua volta, così dicono i rumours di palazzo dei Marescialli, avrebbe ottenuto il via libera del Quirinale. Immediata la reazione del Pdl in una giornata già tesa per la faccenda liste e la fiducia sul legittimo impedimento e che dalla metà del pomeriggio in poi lo diventa ancora di più. Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi quasi minaccia: «Se il plenum discuterà questo documento, saremmo di fronte ad una grave ingerenza e violazione da parte dell’ordine giudiziario dei principi fondamentali dell’ordinamento democratico ». Il Pd replica a stretto giro di posta con Donatella Ferranti: «Quello di Bondi è un attacco grave e intimidatorio».
VOTO UNANIME Il Csm ha aperto una pratica a tutela delle toghe dopo aver raccolto mesi di «offese» e «intimidazioni» da parte del premier. La pratica è stata discussa una settimana fa perché ormai sono almeno otto gli episodi da settembre a oggi (da «pm cospiratori » a « plotoni di esecuzione» fino a «pm comunisti» e «talebani» con ulteriori coloriture lessicali nel mezzo). Da quella iniziale discussione ne è uscito un testo che ieri è stato definitivamente approvato dalla Prima Commissione e che oggi sarà votato in plenum. E che, nonostante le limature, mantiene toni durissimi: «Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati sono inaccettabili» perché così si mette «a rischio l’equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato che è il fondamento del l’ordinamento democratico di questo Paese». Il documento contiene anche un appello pressante, che ricalca la lettera del 27 febbraio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano enumero 1 del Csm al suo vice a palazzo dei Marescialli Nicola Mancino, «a tutte le istituzioni perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica». «L’assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l’assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini – scrive la Commissione – costituisce la più grave delle accuse» ed è «una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati». Tutto questo può produrre «oggettivamente nell’opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, determinando così una grave lesione del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione». Per affrontare le necessarie e auspicate riforme sulla giustizia, continua il documento, «è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo ». Delegittimare un’istituzione rispetto ad un’altra, significa «caduta di credibilità per l’intero assetto costituzionale ». Ecco perché non devono più ripetersi «episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati». Sarà, anche oggi, un’altra giornata ad altissima tensione, al Senato, nelle piazze, al Consiglio superiore. L’Italia dei Valori non ha dubbi: «Ormai Berlusconi confonde la satrapia con la democrazia».
L’Unità 10.03.10

Legittimo impedimento: non ci fidiamo!

“Etiam si omnes, ego no”. Anche se tutti, io no. Con queste parole gli universitari tedeschi della Rosa Bianca si ribellavano al regime nazista, negli anni più bui della democrazia e della civiltà. Con le stesse parole oggi i senatori PD hanno detto no alla ennesima fiducia posta dal governo, questa volta sulla norma del legittimo impedimento. Sono parole del Vangelo secondo Matteo e da questa mattina, fin dall’inizio della discussione sul contestato provvedimento, una nutrita pattuglia di senatrici del Pd ha scelto di seguire i lavori d’aula con indosso una maglietta recante appunto la massima evangelica (Matteo 26, 33).
Oggi le abbiamo usate in Senato contro la vergogna della 30esima fiducia per approvare il legittimo impedimento, la legislazione creativa che viola la Costituzione. Avevamo annunciato l’ostruzionismo dopo il decreto truffa: oggi abbiamo presentato 1.700 emendamenti in Senato e prima della fiducia continueremo a farci sentire.

Hanno partecipato a questa forma di protesta Marilena Adamo, Silvana Amati, Teresa Armato, Emanuela Baio, Fiorenza Bassoli, Franca Donaggio, Cinzia Fontana, Vittoria Franco, Mariapia Garavaglia e Colomba Mongiello.
“Quando si sbaglia in un Paese civile – sostengono le senatrici- ci si assume le proprie responsabilità, si chiede scusa, si accettano le conseguenze e insieme si individua una soluzione che garantisca il rispetto delle regole e la salvaguardia dei principi democratici. È impensabile che, di fronte a qualsivoglia problematica, il governo sappia solo emanare decreti ad personam, ad familiam ed ora ad listam. Così come i giovani della Rosa Bianca hanno espresso il loro dissenso al regime dittatoriale, mutuiamo le stesse parole per dire no alla scelleratezza. Del resto sono stati definiti ‘dilettanti allo sbaraglio’ da uno dei loro leader. In questo momento serve il coraggio di una scelta”.

All’accusa di aver creato un sistema in cui l’unica voce possibile è quella del presidente del consiglio e della sua maggioranza, il ministro dei rapporti col Parlamento, Elio Vito, ha risposto infatti ponendo la fiducia, motivata dall’alto numero di emendamenti presentati dall’opposizione. Come osano questi facinorosi mettere bocca nelle leggi dello stato? E soprattutto in quelle fatte apposta per salvare il premier? Fortunatamente a placare gli animi è intervenuta una voce super partes, quella del presidente del senato, Renato Schifani:”Basta. Vi siete sfogati? Adesso basta”, ha detto, palesando l’infinita pazienza di un governo che, nella sua enorme saggezza e generosità, accetta persino l’esistenza dell’opposizione…

Dal suo insediamento il governo ha chiesto la fiducia 30 volte. L’ultima risale solo a cinque giorni fa – il 4 marzo – ed era stata posta sul decreto Enti locali alla Camera. In solo un anno e dieci mesi l’attuale governo ha battuto il Berlusconi II che nella XIV legislatura in quasi quattro anni aveva posto la fiducia 29 volte.

Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, intervenendo nell’aula del Senato per chiedere con forza che il premier sia presente in aula, afferma: “La nostra e’ una richiesta di natura politica e la poniamo senza arroganza. L’arroganza è quella di chi pone la fiducia su un provvedimento di origine parlamentare perché non vuole stare 2 giorni in quest’aula a discutere e votare 1700 emendamenti. Voi siete maestri di arroganza, prepotenza e oltraggio alla Costituzione. Inoltre non vedo nella nostra richiesta nessuna pretesa arrogante, se non la difesa cocciuta delle prerogative del Senato”.

Andrea Orlando, responsabile del Forum Giustizia del PD accusa: “I padani adesso fanno gli indiani. Ma la Lega non può tirarsi fuori da questa gravissima vicenda della fiducia per il legittimo impedimento, come vuol fare con ineffabile faccia di bronzo il suo capogruppo in Senato, Bricolo. Il Carroccio comincia a capire che per i cittadini insistere con le forzature, con le leggi ad personam, con una legislazione scritta a misura degli interessi di Berlusconi č una cosa insopportabile. Ma non se la puň cavare a buon mercato: la richiesta di fiducia l’ha posta il governo di cui la Lega fa parte, la legge sul legittimo impedimento l’hanno sottoscritta anche i ministri leghisti. Se c’č qualcuno che blocca il Parlamento a parlare degli affari di Berlusconi e non dei problemi veri del Paese è Bricolo insieme al suo amico Gasparri, sono il governo e la maggioranza rispetto alla quale la Lega non ha mai manifestato un briciolo di autonomia”.

Durissimo l’attacco di Luigi Zanda, vicepresidente dei senatori PD: “Berlusconi sta trasformando la nostra democrazia parlamentare in un regime che ha l’unico obiettivo di tutelare i suoi interessi. Emanare un decreto legge in materia elettorale a venti giorni dal voto e chiedere, come ha fatto oggi Berlusconi in Senato, la fiducia su un provvedimento che sostanzialmente gli attribuisce l’immunità sono atti tipici di un regime. I comportamenti del governo Berlusconi sono quanto di più lontano possibile dalle regole di una democrazia parlamentare. Berlusconi sbaglia. Gli italiani amano la democrazia e non gli permetteranno di manometterla”.

Stefano Ceccanti, senatore e costituzionalista del Pd, ci spiega come sia “un provvedimento utile a rendere il premier Silvio Berlusconi e i suoi ministri del tutto irresponsabili rispetto a reati che nulla c’entrano con la loro funzione”. La legge prevede che i processi al premier e ai suoi ministri possono essere sospesi in base ad un’autocertificazione sull’impossibilità di partecipare alle udienze.

Il pret a porter del diritto.
“Dopo la ‘finanza creativa’ del ministro Tremonti stiamo passando alla ‘legislazione creativa’, una legislazione cioè sempre più avulsa dai principi fondamentali
dell’ordinamento e che arriva addirittura a proporre l’approvazione di norme ‘ponte’ incostituzionali che diano la stura a successive leggi costituzionali”.
Così la senatrice del PD Maria Incostante, vice presidente
della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, nel suo intervento in Aula sul legittimo impedimento.
“Siamo al pret a porter del diritto, confezionare qualcosa che serve subito e annunciare di preparare un’altra
che servirà successivamente o magari non sarà necessaria qualora i reati del premier saranno prescritti. Questa maggioranza non ha remore nel trascinare il Parlamento e le istituzioni in una bagarre per la sopraffazione del potere politico sull’esercizio della funzione giurisdizionale, che la nostra costituzione definisce in un equilibrio di pesi e contrappesi. Il bilanciamento tra i due valori non può essere effettuato una volta e per tutte dal legislatore, ma vi dovrà provvedere di
volta in volta il magistrato competente. Non è una richiesta peculiare per l’Italia – sottolinea la senatrice PD – ma una necessità in tutti gli ordinamenti contemporanei come ricorda ad esempio l’orientamento della
Corte suprema americana nel caso Clinton vs Paula Jones”.

Insomma “questa legge rappresenta uno grave strappo al delicato tessuto costituzionale del nostro paese che gli italiani non saranno disposti a subire. A loro – conclude la senatrice Incostante – spetterà il giudizio su questa ennesima scellerata operazione”.
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