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"Come la par condicio contribuisce a devastare la coscienza degli italiani", di Roberta De Monticelli

Roberta De Monticelli è docente di Filosofia della persona all’Università San Raffaele di Milano. Giovedì era ospite del programma di Radio3 Fahrenheit. Si è così imbattuta nelle regole della par condicio. E ha deciso di scrivere questa lettera – di cui pubblichiamo un ampio stralcio – al direttore generale della Rai.
Oggi nel nostro Paese la differenza fra il vero e il falso è tenuta in un disprezzo tale che un telegiornale del servizio pubblico può proclamare impunemente falsità fattuali. Questo stesso fatto, di inaudita gravità, suscitava l’esigenza di un dibattito pubblico, che in effetti era cominciato. Ma nelle sedi più naturali perché questo dibattito raggiungesse la maggioranza degli italiani, cioè i canali televisivi e radiofonici, questo dibattito è stato oscurato, come tutti gli altri dibattiti di idee che abbiano attinenza con lo scontro politico in atto. Mi permetto di scrivere questa lettera aperta al Direttore Generale della Rai perché oggi, sperimentando personalmente l’effetto di questa disposizione da lui decisa, ho compreso meglio quale sia la sua ricaduta devastante sulla – già così fragile – coscienza morale e civile degli italiani, e vorrei sottoporre la mia esperienza alla sua attenzione.

Volevo concludere un’intervista radiofonica a Fahrenheit, programma di Radio3, citando due testi di una grande pensatrice, di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita, Jeanne Hersch (Ginevra 1910-2000): «Nessuno – né un dio, né un demone, né un mago, né uno scienziato – potrà fare che il mare, là davanti a me, non abbia questa mattina scintillato sotto il sole». E poi: «Nessuno parla come gli passa per la testa, perché non parlerebbe affatto. Parlare è piegarsi alle norme di senso della lingua in cui si parla… È per questo che la menzogna era considerata da Kant la colpa per eccellenza. Perché essa distrugge il linguaggio».

E le ho citate, quelle parole. Ma avrei voluto commentarle proprio con riferimento al fatto accertabile di un’informazione falsa (più d’una, invero) data come vera dal servizio televisivo pubblico. Invece mi sono trattenuta dal nominare quel fatto. Mi sono trattenuta anche dal menzionare l’oscuramento del libero dibattito, per un periodo così lungo. Ho detto il vero solo in generale, quando sono i fatti particolari che lo rendono vero. Perché l’ho fatto? Perché a più riprese ero stata pregata di non menzionare fatti e nomi dell’attualità politica: dato che, in forza di quel provvedimento, avrei fatto correre il rischio di oscuramento o di gravi sanzioni perfino a quella trasmissione così pacificamente culturale, ai suoi artefici, alla sua conduttrice, persona professionalmente e moralmente impeccabile.

Ecco l’effetto – perdoni – diabolico della Sua disposizione: che per lealtà nei confronti di chi onestamente e validamente svolge il suo compito, e tiene in piedi quel poco che resta di dibattito pubblico, dunque di persone alle quali indubbiamente dobbiamo lealtà e rispetto degli accordi presi – si può essere indotti all’autocensura, contro tutte le proprie convinzioni intellettuali e morali.

Ogni esperienza anche minima è esemplare di un significato generale. Questa è, nella sua modestia, profondamente dolorosa. Il suo significato generale è che l’effetto perverso dei provvedimenti di questo tipo è addirittura di indurre perfino le persone che a) non rischierebbero niente ma b) tendono a porre comunque al primo posto in ciascuna determinata situazione il dovere morale che quella situazione comporta, ad agire nel senso voluto da una disposizione di legge che si ritiene ingiusta, ingiusta al di là della soglia tollerabile, e alla quale dunque è moralmente lecito non obbedire. E ad agire contro l’aspirazione più profonda della propria anima (dire la verità sui fatti vergognosi, dirla chiara, precisa, e dirla tutta).

Si parva licet – medium il dovere di lealtà e di rispetto degli accordi presi – l’effetto perverso è quello che sempre ha la legge quando è ingiusta: l’effetto cicuta. Socrate riconosce il principio della certezza del diritto, il cui venir meno egli giudica un male superiore a quello causato dalla sua personale morte, per quanto scandalosamente ingiusta. E per seguire l’eticamente dovuto – promuovere un male minore se è necessario per evitarne uno maggiore – fa il gioco dell’ingiusto (che pure dispone dell’autorità per emettere una disposizione di legge). Non rida, la prego, di questo paragone apparentemente così incongruo, e tralasci l’irrilevanza relativa del fatto, e di chi glielo propone. Nel minimo sempre può leggersi il massimo. Ci sono cicute enormi e tragiche e cicute così minime e poco rilevanti da indurre la nostra attenzione a passar oltre, con un’alzata di spalle. Eppure nell’essenza eccolo, il veleno di ogni degenerazione autoritaria, che fa di una democrazia rappresentativa la pura e semplice espressione della legge del più forte: volgere la legge morale contro se stessa, ottenerne il suicidio.

Scalfari, Zagrebelsky e Spinelli riflettono sul decreto salvaliste

«Quel pasticciaccio di Palazzo Chigi», di Eugenio Scalfari
Ora è chiaro che un decreto interpretativo (come è stato definito quello di ieri) non può contravvenire ad una legge vigente e sostanzialmente abrogarla senza con ciò produrre un´innovazione. Cessa pertanto la natura interpretativa che risulta essere soltanto un´appiccicatura mistificante, e riappare invece un intervento che modifica anzi contraddice norme vigenti sulla stessa materia.
C´è un´altra questione assai delicata: l´intera materia elettorale riguardante le Regioni è di spettanza delle Regioni stesse. Le stesse leggi elettorali in materia di procedura differiscono in parecchi punti l´una d´altra. E´ quindi molto dubbio che il governo nazionale possa entrare con una sua interpretazione su leggi che non sono interamente di sua diretta spettanza. Interpretazioni di tal genere spetterebbero ai consigli regionali i quali tuttavia sono scaduti in attesa del rinnovo elettorale.
Su tutte queste questioni saranno certamente proposti ricorsi e quesiti alla Corte. Ove questa li accogliesse mi domando quale sarebbe la validità e gli esiti degli scrutini del 29 marzo. Il Presidente della Repubblica aveva giustamente definito «un pasticcio» la situazione venutasi a creare. Purtroppo il decreto di ieri non risolve affatto il pasticcio anzi per molti aspetti lo aggrava.
Quanto alla scorrettezza politica, la più grave riguarda la mancata condivisione della sanatoria decretata dal governo con le forze d´opposizione. Il Presidente della Repubblica ne aveva ripetutamente sottolineato l´opportunità ed anzi aveva condizionato ad esso ogni statuizione. Il suo rifiuto dell´altro ieri ad autorizzare un decreto che modificasse le procedure elettorali ad elezioni in corso era motivato anche da questo.
Non solo la condivisione è mancata ma il premier ed i suoi collaboratori senza eccezione alcuna hanno incolpato l´opposizione d´aver reso impossibile l´esercizio del diritto elettorale. In particolare questa responsabilità dell´opposizione si sarebbe verificata a Roma, dove militanti radicali e di altri partiti avrebbero fisicamente bloccato i rappresentanti della lista Pdl impedendo loro di varcare la soglia dell´ufficio elettorale del tribunale.
Questa circostanza, sulla quale i radicali hanno già sollevato denuncia di calunnia, dovrà comunque esser provata dinanzi al Tar del Lazio nell´udienza di domani. E´ comunque grave un´inversione così macroscopica delle responsabilità, sulla base della quale i colpevoli vengono condonati e gli innocenti puniti.
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Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha definito il decreto del governo come «il male minore», distinguendosi ancora una volta con queste parole dalla linea di Berlusconi. Ma nel caso in questione Fini ha sbagliato per difetto. Il decreto interpretativo non è un male minore. E´ un male identico se non addirittura peggiore d´un decreto innovativo.
Anzitutto non si può dare un´interpretazione diversa e così estensiva ad una procedura elettorale con effetto retroattivo. L´interpretazione, se retroattiva, diventa infatti un vero e proprio condono ed un condono è quanto di più innovativo vi sia dal punto di vista legislativo.
Ma c´è di peggio. Poiché nel diritto pubblico un precedente produce una variante valida anche per il futuro, questo precedente potrà essere invocato d´ora in poi per condonare qualunque irregolarità procedurale a discrezione del governo. Non bastava il sistema delle ordinanze, immediatamente esecutive e sottratte ad ogni vaglio preventivo di costituzionalità; ad esso si aggiungerà d´ora in poi il decreto interpretativo facendo diventare norma l´aberrante principio che la sostanza prevale sempre sulla forma, come dichiarò pochi giorni fa il presidente del Senato, Schifani, dando espressione impudentemente esplicita ad un principio eversivo della legalità. Esiste nella nostra lingua la parola «sprocedato» per definire una persona scorretta che si comporta in modo contrario ai suoi doveri. La esse è privativa, sprocedato significa appunto «senza procedura».
E bene, stabilire la prevalenza della sostanza sulla forma in materia di procedura non ha altra conseguenza che legittimare l´illegalità permanente nella vita pubblica, o meglio: far coincidere la legalità con il volere del capo dell´esecutivo, cioè stabilire la legittimità dell´assolutismo.
Un decreto interpretativo con potere retroattivo realizza questo gravissimo precedente. Non a caso Berlusconi lo ha preteso facendo balenare ripetutamente la minaccia di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzioni tra il governo e il Capo dello Stato. Gianni Letta è stato il «missus dominicus» di questo vero e proprio ultimatum e – a quanto si sa – l´ha fatto valere con inusitata decisione. Questi gentiluomini del Papa ci stanno dando molte sorprese da qualche giorno in qua sui più vari terreni. Un Letta in armatura e lanciato a passo di carica non l´avevamo ancora visto anche se da tempo sotto il suo guanto appariva sempre più spesso l´artiglio di ferro.
Male minore, presidente Fini? Purtroppo non sembra.
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Che fare? Chi ne ha titolo rappresenti al Tar i problemi che sono di sua competenza per quanto riguarda il giudizio di applicazione del decreto. (Il Tar lombardo ha già concesso a Formigoni la sospensiva dell´ordinanza dell´Ufficio elettorale e deciderà definitivamente nei prossimi giorni). E chi ha titolo sollevi i problemi di costituzionalità dinanzi alla Corte.
Le sortite «sprocedate» di Di Pietro nei confronti del presidente della Repubblica sono da respingere senza se e senza ma. Nella situazione data il Capo dello Stato è stato messo in condizioni di necessità e ha dovuto dare la precedenza all´esercizio del diritto elettorale, riuscendo anche a far togliere alcune disposizioni transitorie che riservavano l´applicazione del decreto alle sole Regioni di Lombardia e Lazio. Si sarebbe in quel caso creata una diseguaglianza tra gli elettori di fronte alla legge recando così un vulnus costituzionale di palese evidenza. Resta il pasticcio ed un precedente che accelera la trasformazione dello Stato dalle regole all´arbitrio del Sovrano. Gli elettori giudicheranno anzitutto i candidati e i programmi da essi sostenuti. Ma sarà bene che riflettano anche su questi aspetti politici di involuzione democratica. Non sarà un referendum pro o contro Berlusconi, ma certamente l´occasione per scegliere in favore di leggi valide per tutti o in favore delle «cricche» che hanno occupato le istituzioni usandole a favore dei loro privatissimi interessi. L´occasione per cambiare questo andazzo arriverà tra venti giorni. Errare è umano, ma perseverare nell´errore non lo sarebbe.

La Repubblica 07.03.10

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«Una corruzione della legge che viola uguaglianza e imparzialità», intervista a Gustavo Zagrebelsky di Liana Milella
Non critica Napolitano, dissente da Di Pietro, benedice le proteste, boccia un decreto inconcepibile in uno Stato di diritto. Gustavo Zagrebelsky inizia citando un episodio che, «nel suo piccolo», indica lo stravolgimento dell´informazione. Al Tg1 di venerdì sera va in onda la foto di Hans Kelsen, uno dei massimi giuristi del secolo scorso. «Gli fanno dire che la sostanza deve prevalere sulla forma: a lui, che ha sempre sostenuto che, in democrazia, le forme sono sostanza. Una disonestà, tra tante. Gli uomini di cultura dovrebbero protestare per l´arroganza di chi crede di potersi permettere di tutto».
Professore, che succede?
«Apparentemente, un conflitto tra forma e sostanza».
Apparentemente?
«Se guardiamo più a fondo, è un abuso, una corruzione della forza della legge per violare insieme uguaglianza e imparzialità».
Perché? Non si trattava invece proprio di permettere a tutti di partecipare alle elezioni?
«Il diritto di tutti è perfettamente garantito dalla legge. Naturalmente, chi intende partecipare all´elezione deve sottostare ad alcuni ovvi adempimenti circa la presentazione delle candidature. Qualcuno non ha rispettato le regole. L´esclusione non è dovuta alla legge ma al suo mancato rispetto. È ovvio che la più ampia “offerta elettorale” è un bene per la democrazia. Ma se qualcuno, per colpa sua, non ne approfitta, con chi bisogna prendersela: con la legge o con chi ha sbagliato? Ora, il decreto del governo dice: dobbiamo prendercela con la legge e non con chi ha sbagliato».
E con ciò?
«Con ciò si violano l´uguaglianza e l´imparzialità, importanti sempre, importantissime in materia elettorale. L´uguaglianza. In passato, quante sono state le esclusioni dalle elezioni di candidati e liste, per gli stessi motivi di oggi? Chi ha protestato? Tantomeno: chi ha mai pensato che si dovessero rivedere le regole per ammetterle? La legge garantiva l´uguaglianza nella partecipazione. Si dice: ma qui è questione del “principale contendente”. Il tarlo sta proprio in quel “principale”. Nelle elezioni non ci sono “principali” a priori. Come devono sentirsi i “secondari”? L´argomento del principale contendente è preoccupante. Il fatto che sia stato preso per buono mostra il virus che è entrato nelle nostre coscienze: il numero, la forza del numero determina un plusvalore in tema di diritti».
E l´imparzialità?
«Il “principale contendente” è il beneficiario del decreto ch´esso stesso si è fatto. Le pare imparzialità? Forse, penseremmo diversamente se il beneficiario fosse una forza d´opposizione. Ma la politica non è il terreno dell´altruismo. Ci accontenteremmo allora dell´imparzialità».
Anche lei, come l´ex presidente Onida, considera il dl una legge ad personam?
«Questa vicenda è il degno risultato di un atteggiamento sbagliato che per anni è stato tollerato. Abbiamo perso il significato della legge. Vorrei dire: della Legge con la maiuscola. Le leggi sono state piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri, anche privati, il più pubblico di tutti gli atti: la legge, appunto. Si è troppo tollerato e la somma degli abusi ha quasi creato una mentalità: che la legge possa rendere lecito ciò che più ci piace».
Torniamo al decreto. Si poteva fare?
«La legge 400 dell´88 regola la decretazione d´urgenza. L´articolo 15, al comma 2, fa divieto di usare il decreto “in materia elettorale”. C´è stata innanzitutto la violazione di questa norma, dettata non per capriccio, ma per ragioni sostanziali: la materia elettorale è delicatissima, è la più refrattaria agli interventi d´urgenza e, soprattutto, non è materia del governo in carica, cioè del primo potenziale interessato a modificarla a suo vantaggio. Mi pare ovvio».
Quindi, nel merito, il decreto viola la Costituzione?
«Se fosse stato adottato indipendentemente dalla tornata elettorale e non dal governo, le valutazioni sarebbero del tutto diverse. Dire che il termine utile è quello non della “presentazione” delle liste, ma quello della “presenza dei presentatori” nei locali a ciò adibiti, può essere addirittura ragionevole. Non è questo il punto. È che la modifica non è fatta nell´interesse di tutti, ma nell´interesse di alcuni, ben noti, e, per di più, a partita in corso. È un intervento fintamente generale, è una “norma fotografia”».
Siamo di fronte a una semplice norma interpretativa?
«Quando si sostituisce la presentazione delle liste con la presenza dei presentatori non possiamo parlare di interpretazione. È un´innovazione bella e buona».
E la soluzione trovata per Milano?
«Qui si trattava dell´autenticazione. Le formule usate per risolvere il problema milanese sono talmente generiche da permettere ai giudici, in caso di difetti nella certificazione, di fare quello che vogliono. Così, li si espone a tutte le possibili pressioni. Nell´attuale clima di tensione, questa pessima legislazione è un pericolo per tutti; è la via aperta alle intimidazioni».
Lei boccia del tutto il decreto?
«Primo: un decreto in questa materia non si poteva fare. Secondo: soggetti politici interessati modificano unilateralmente la legislazione elettorale a proprio favore. Terzo: si finge che sia un interpretazione, laddove è evidente l´innovazione. Quarto: l´innovazione avviene con formule del tutto generiche che espongono l´autorità giudiziaria, quale che sia la sua decisione, all´accusa di partigianeria».
Di Pietro e Napolitano. È giusta la critica dell´ex pm al Colle?
«Le reazioni di Di Pietro, quando accusa il Capo dello Stato di essere venuto meno ai suoi doveri, mi sembrano del tutto fuori luogo. Ciascuno di noi è libero di preferire un comportamento a un altro. Ma è facile, da fuori, pronunciare sentenze. La politica è l´arte di agire per i giusti principi nelle condizioni politiche date. Queste condizioni non sempre consentono ciò che ci aspetteremmo. Quali sono le condizioni cui alludo? Sono una sorta di violenza latente che talora viene anche minacciata. La violenza è la fine della democrazia. Il Capo dello Stato fa benissimo a operare affinché non abbia mai a scoppiare».
Ma Di Pietro, nella firma del Presidente, vede un attentato.
«La vita politica non si svolge nel vuoto delle tensioni, ma nel campo del possibile. Il presidente ha agito usando l´etica della responsabilità, mentre evocare iniziative come l´impeachment significa agire secondo l´etica dell´irresponsabilità».
Lei è preoccupato da tutto questo?
«Sì, è anche molto. Perché vedo il tentativo di far prevalere le ragioni della forza sul quelle del diritto. Bisogna dire basta alla prepotenza dei numeri e chiamare tutte le persone responsabili a riflettere sulla violenza che la mera logica dei numeri porta in sé».
L´opposizione è in rivolta. Le prossime manifestazioni e le centinaia di messaggi sul web non rischiano di produrre una spirale inarrestabile?
«Ogni forma di mobilitazione contro gli abusi del potere è da approvare. L´unica cautela è far sì che l´obiettivo sia difendere la Costituzione e non alimentare solo la rissa. C´è chi cerca di provocare lo scontro. Per evitarlo non si può rinunciare a difendere i principi fondamentali. Speriamo che ci si riesca. La mobilitazione dell´opposizione responsabile e di quella che si chiama la società civile può servire proprio a far aprire gli occhi ai molti che finora non vedono».

La Repubblica 07.03.10

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«Il governo, la forma e la sostanza», di Barbara Spinelli
Fa una certa impressione rileggere gli articoli che Norberto Bobbio scrisse nelle pagine di questo giornale, tra il 1994 e il 1996, sulla forza politica edificata da Berlusconi a seguito di Tangentopoli: sull’inconsistenza dei club e circoli da lui creati, sulla loro vacuità, sullo spregio delle forme, tanto fieramente vantato.

Sulla violenza protestante della sua ribellione a liturgie e convenzioni della democrazia rappresentativa, vorremmo aggiungere: una violenza di tipo russo, alla Bakunin, che ricorda la vastità informe (la gestaltlose Weite) criticata nel 1923 dal giurista Carl Schmitt.
Fa impressione rivedere quei testi perché molte storture sono le stesse. Non furono curate allora per il semplice fatto che erano ritenute virtù nuove, e adesso la stortura s’è estesa divenendo non solo questione di codice penale ma di riti elettorali prima trasgrediti, poi mal rappezzati con leggi ad hoc. Quel che Bobbio rimproverava ai club era in sostanza questo: il disdegno delle regole, tanto più indispensabili nel regime democratico, che al popolo affida un’amplissima sovranità.

E l’ideazione di una forza non solo dipendente da un’unica persona («Un partito a disciplina militare, anzi aziendale», così Dell’Utri nel novembre ’94), ma priva di statuti, progetti, chiarezza innanzitutto sui finanziamenti.

Bobbio era pienamente consapevole del discredito che la corruzione rivelata da Mani Pulite aveva inflitto ai partiti, annerendoli tutti mortalmente e rendendo ancor più pertinente il termine partitocrazia.

Tuttavia i partiti restavano essenziali per la democrazia, secondo lui, perché senza partiti il potere si fa opaco, arbitrario, imprevedibile. Il non-partito propagandato da Forza Italia minacciava d’essere un’accozzaglia senza storia, una «rete di gruppi semiclandestini»: incompatibile con la «visibilità del potere» che «distingue la democrazia dalle dittature» (Stampa, 3-7-94). La pura negazione (non-partito) non diceva nulla perché infinite sono le possibilità da essa racchiuse: «Se dico “non bianco” comprendo in queste parole tutti i colori possibili e immaginabili (…). La democrazia rifiuta il potere che si nasconde», dirà il filosofo in un’intervista a Giancarlo Bosetti nel 2001. Il non-bianco equivale all’amorfa vastità descritta da Schmitt.

Agli esordi anche i professionisti della politica erano invisi, e lo sono a tutt’oggi: gli uomini che si dedicano alla causa pubblica e ne vivono. Come nel film di Elia Kazan, meglio era scovare un Volto nella Folla, trasformarlo in talentuoso comunicatore, e la fabbrica del consenso partiva. Già nel 1957, Kazan crea il prototipo del manipolatore nichilista delle folle, eterno homo ridens, dandogli il nome di Lonesome Rhodes, il «Solitario» venuto dal nulla o meglio dalla galera. Di uomini così era fatto il non-partito escogitato da Mediaset, e lo è tuttora. Tuttora si avvale dei consigli di Previti, condannato definitivamente per corruzione in atti giudiziari. O di Verdini, indagato per corruzione.

Il politico di professione è considerato da costoro parassita, incapace di fare. La cerchia attorno a Berlusconi è piena di uomini che agiscono al riparo della politica e della legge: imprenditori o avvocati (soprattutto avvocati del Capo). Lo stesso Stato è sospettato, se non li serve: tanto che la sede del governo non è più Palazzo Chigi ma il domicilio del Capo a Palazzo Grazioli. Bobbio dà a questo fantasmatico potere il nome di partito personale di massa, e nel ’94 chiede al suo leader precisazioni: se il suo non è un partito cos’è, esattamente? Come s’è finanziato? Cosa farà per dare al proprio potere visibilità: dunque forme, regole rispettose del codice penale e di procedure elettorali che non avvantaggino i più forti o ricchi? Si vede in questi giorni come i riti, le sequenze formali, le procedure, siano sviliti e lisi.

Il disastro delle liste presentate tardi o malamente nel Lazio e in Lombardia conferma difetti congeniti, non sanati dal partito creato con Alleanza nazionale. All’origine: una politica al tempo stesso autoritaria e informe al punto di smottare di continuo come la terra semovente di Maierato in Calabria. Diciotto anni sono passati da Mani Pulite e i club di Mediaset hanno per questa via privatizzato la politica, screditandola agli occhi degli italiani e convincendo anch’essi che il privato è tutto, il pubblico niente. Si ascolti Verdini, sull’Espresso del 23-5-08. All’obiezione sul conflitto d’interessi replica, ardimentoso: «Il conflitto d’interessi non interessa più a nessuno. Neanche a chi non ha votato il Cavaliere. Diamo cento euro in più nella busta paga, detassiamo gli straordinari, favoriamo i premi aziendali senza tassazione e poi vediamo. Alla fine, la gente fa i conti con la propria famiglia».

La famiglia, l’affare, il favore chiesto per figli, mogli, cognati: son tutte cose che vengono prima, e se farsi strada affatica ci si serve della politica come di una scatola d’utensili cui si attinge per proteggersi dalla legge e aggirarla. Dell’Utri lo ammette: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera» (intervista a Beatrice Borromeo, Il Fatto 10-2. La dichiarazione non è stata smentita né ha fatto rumore).

Bobbio disse ancora che il berlusconismo è «una sorta di autobiografia della nazione». Autobiografia non solo collettiva ma di ciascuno di noi: cittadini evasori, onesti, non per ultimo cittadini-giornalisti. Un giorno o l’altro dovremo domandarci ad esempio, nelle redazioni, come mai inondiamo i lettori di pagine di intercettazioni che nulla c’entrano con reati penalmente perseguibili. Come mai riceviamo dai giudici 20.000 pagine di telefonate, solo in parte cruciali. Se davvero si difende il diritto degli inquirenti a tutte le intercettazioni utili, per render visibili crimini e poteri nascosti, vale la meta mettere un muro fra le intercettazioni rilevanti e quelle concernenti il privato come le scelte sessuali, a meno che le prestazioni non avvengano in cambio di favori illeciti. Anche questo innalzare muri era pensiero dominante, in Bobbio. Citando Michael Walzer ripeteva: «Il liberalismo è un universo di “mura”, ciascuna delle quali crea una nuova libertà». Il lettore non capisce più nulla, alle prese con faldoni di intercettazioni, e rischia una nausea senza più indignazione.

Il disprezzo delle forme e delle leggi caratterizza ieri come oggi il berlusconismo (con l’eccezione di Fini, da qualche tempo) e sempre ha generato regimi carismatici autoritari. Fu l’estrema destra francese, negli Anni 30, ad anteporre il «Paese reale» (o sostanziale) al «Paese legale».

Anch’essa formò Leghe, non partiti. Il partito è una parte, non rappresenta un’interezza, per natura si dà un limite. Nella stessa trappola dell’informe cade oggi il governo, e il vecchio istinto del non-partito fa ritorno. Con disinvoltura ineguagliata Schifani, di fronte all’intrico delle liste, si augura «che venga garantito il diritto di voto a tutti e che la sostanza prevalga sulla forma». Augurio comprensibile il primo, pernicioso il secondo.

Il rigetto delle forme va di pari passo con il rifiuto della legalità, con il primato dato ai diritti privati o corporativi sugli obblighi comuni, con la separazione dei poteri. Si combina alla sfrontatezza con cui l’homo ridens di Kazan, sicuro com’è del proprio talento, si sente legibus solutus, sciolto dai vincoli delle leggi. Talmente sciolto che Berlusconi non esita a dichiarare, nel novembre 1994: «Chi è scelto dalla gente è come unto dal Signore». La Chiesa non ebbe mai alcunché da dire. Anche questa domanda, che Bobbio pose al Vaticano, resta senza risposta.

Tanta sicurezza può dare alla testa. Se ce ne fosse un po’ di meno, se non continuasse la pratica dei «gruppi semiclandestini», si potrebbe chiedere semplicemente scusa agli italiani e alle istituzioni, per la cialtrona gestione delle liste. Aiuterebbe. Ma forse, come scrive Gian Enrico Rusconi sulla Stampa, sognare non ci è dato.
La Stampa 07.03.10

"È un´altra legge ad personam che discrimina le regioni con norme incostituzionali", di Liana Milella

Onida: intervento indebito del governo La parte più grave è quella per il Lazio: la presenza in tribunale non dimostra che la lista è stata presentata. Legge le anticipazioni del decreto e lo boccia senza possibilità di appello. L´ex presidente della Consulta Valerio Onida, oggi al vertice dell´associazione dei costituzionalisti, ritiene «inaccettabile» la soluzione che il governo ha dato al caso Roma. Una nuova «norma ad personam», «inammissibile» in quanto privilegia uno dei contendenti elettorali.
Le pare che sia costituzionale?
«Se il testo è così si tratta di disposizioni in parte forse innocue, ma inutili, e in parte clamorosamente illegittime».
Dov´è che il dl è possibile e dove deraglia vistosamente?
«Affermare che il favore per il diritto di elettorato debba essere preminente rispetto alle formalità non essenziali è ovvio, in quanto si tratta di un principio esistente. Allo stesso modo, è un principio esistente dire che vi deve essere un termine per regolarizzare difetti di forma non essenziali. Ma non si capisce perché debba valere solo per due regioni. Se una norma è generale deve valere per tutti, altrimenti è un privilegio».
E la violazione grave?
«Stabilire che basti dimostrare di essere stati presenti nell´ufficio al momento della chiusura delle liste costituirebbe una disposizione palesemente illegittima che non avrebbe alcuna portata interpretativa. Dimostrare la presenza fisica di una persona in un luogo non equivale a provare che una lista è stata presentata, poiché la presentazione è un atto formale. Il fatto che una persona sia stata presente nell´ufficio elettorale non basta a dimostrare che ha anche presentato la lista. Altro sarebbe se la persona avesse chiesto di presentarla e gli fosse stato dato un turno di attesa».
Quali articoli della Costituzione sarebbero violati?
«Si tratterebbe di un intervento indebito dell´esecutivo diretto a cambiare le carte in tavola durante una procedura in corso. Sarebbe una sorta di legge ad personam che pretende di modificare una situazione giuridica concreta».
Ma il dl non sarà un precedente anche per le future elezioni?
«La materia è molto delicata perché è essenziale assicurare il rispetto della parità di condizioni nella competizione elettorale. Quindi è inammissibile che il governo intervenga per favorire un qualcuno dei contendenti».
La firma di Napolitano è possibile?
«Il mio giudizio resta nettamente negativo soprattutto per questa disposizione».
Ma il diritto all´elettorato può prevalere sulle «formalità»?
«Che si debba dare preminente rilievo alla tutela dei diritti fondamentali in questa materia elettorale è evidente».
Ridurre al rango di «formalità» la violazione di regole elettorali è accettabile?
«Bisogna distinguere. Ci sono formalità essenziali il cui rispetto è fondamentale per raggiungere lo scopo voluto dalla legge. E formalità di contorno non essenziali la cui eventuale mancanza non costituisce un ostacolo insormontabile».
Quelle di Milano sono «formalità» superabili o no?
«Sulla base della prima decisione dell´Ufficio centrale regionale, mi sembra si tratti di difetti non tali da inficiare la validità della presentazione, a meno che non si scopra che ci sono stati dei veri e propri elementi di falsità».
E per Roma?
«Se la presentazione della lista non è stata tempestiva, non si può ritenere questa una mera irregolarità sanabile».
Dare 24 ore in più è una violazione?
«Direi di no perché il principio per cui si possono sanare le mere irregolarità è già presente nell´ordinamento e quindi non c´è bisogno di una legge ad hoc per applicarlo».
La norma transitoria per Lazio e Lombardia è anomala?
«Sì, perché riguarda solo due regioni, mentre se si stabilisce un principio esso deve valere per tutti. Mi risulta peraltro che casi di esclusioni di liste ci sono anche in altre regioni. E in alcune la legislazione in materia è regionale».
Perché Milano può essere sanata senza un ulteriore vulnus e Roma no?
«Per le ragioni che ho detto. Inoltre sono due casi molto diversi. Nel primo la mancata ammissione della lista regionale capeggiata da Formigoni inciderebbe sulla scelta del presidente vanificando tutti i collegamenti che le varie liste hanno dichiarato alla sua candidatura. Nel secondo si tratta solo di una delle liste collegate alla candidata Polverini in una sola circoscrizione provinciale. La scelta del presidente rimarrebbe interamente aperta e possibile».
La Repubblica 06.03.10

Contro il decreto vergogna subito in piazza

Sabato 13 manifestazione PD e centrosinistra a Roma. “Un decreto che calpesta le regole senza vergogna. Subito in piazza e in Parlamento contro il governo e per difendere la democrazia violentata”. Lo scrive su Twitter il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, a proposito del decreto sulle regionali.
Il decreto ‘salva-liste’ è “una vergogna” e il Pd non resterà in silenzio. Lo dice il vicepresidente dei deputati democratici Michele Ventura: “L’intervento per cambiare le regole elettorali è una vergogna. Il Partito democratico non la farà passare in silenzio. Ancora oggi le dichiarazioni del centrodestra sono imbarazzanti e sprezzanti”.

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Nel pomeriggio appuntamento del centrosinistra al Pantheon. Ci saranno anche i viola

Le forze dell’opposizione alzano la voce contro il decreto “interpretativo” con cui il governo è intervenuto sul caso delle liste non ammesse alle regionali. Tra sit-in, presidi e manifestazioni, ecco una lista degli appuntamenti di oggi. Uno dei principali a Roma, alle 16,30 in piazza del Pantheon, a cui aderiranno sia i partiti del centrosinistra che il Popolo Viola.

Sit-in davanti Montecitorio (ore 11). Il portavoce nazionale della Federazione della Sinistra e candidato alla presidenza della regione Campania, Paolo Ferrero, ha convocato un sit-in alle ore 11 di fronte a Montecitorio.
“Si annuncia la scomparsa della Democrazia, uccisa dal governo il 5 marzo alle 19.30”. E’ quanto si legge in un manifestino funebre distribuito ai partecipanti.

Assemplea del Popolo Viola a Montecitorio (ore11). Sempre davanti a Montecitorio si sta svolgendo un’assemblea del Popolo Viola. “Il presidente Napolitano ci spieghi”: con questo e altri slogan i manifestanti sono decisi a rimanere in piazza fin quando non avranno “una risposta da Napolitano sulle ragioni della sua firma sul decreto. Organizzeremo anche una mobilitazione in questo momento di emergenza democratica”. Il Popolo Viola chiede al “Pd di concordare una manifestazione unitaria: non devono decidere solo i partiti ma anche i cittadini”. Tra gli slogan anche “Presidente Napolitano non abbiamo capito” e “Questo governo ha venduto la democrazia per un panino”. Al momento davanti a Montecitorio ci sono oltre duecento manifestanti. Al sit-in spiccano anche le bandiere dei partiti: molti i simboli dell’Italia dei Valori, di Rifondazione Comunista e Sinistra Ecologia e Libertà. Tra le altre anche alcune bandiere del Pd.

Milano, manifestazione davanti a prefettura (ore 12). Sit-in davanti alla prefettura organizzato da Vittorio Agnoletto per la Federazione della Sinistra. Decine di persone si sono fermate di fronte alla prefettura milanese bloccando il traffico per far sentire le loro ragioni e ribadire la propria contrarietà al decreto. Alcuni manifestanti, compreso lo stesso Agnoletto, si sono seduti a terra sulla strada di fronte alla prefettura incatenandosi simbolicamente e mostrando un volantino listato a lutto per “la morte della democrazia”. I dimostranti si sono poi diretti verso la sede del Tar lombardo in via Corridoni.

Roma, manifestazione Pd al Pantheon (ore 16,30). Le forze del centrosinistra danno appuntamento oggi a Roma, alle 16,30, al Pantheon. “Contro la destra dei sotterfugi e degli imbrogli la parola d’ordine sarà: per vincere, sì alle regole, no ai trucchi”: comunica il Pd in una nota. Secondo quanto si apprende da fonti del centrosinistra, alla manifestazione dovrebbe partecipare anche la candidata alla presidenza del Lazio, Emma Bonino.

Anche il Popolo Viola al Pantheon. Altro appuntamento del Popolo Viola per le 16.30 di oggi al Pantheon. Domani il ritrovo alle 15 a piazza Navona.

Popolo Viola, manifestazioni a Torino e Milano. Oltre a Roma il Popolo Viola annuncia manifestazioni anche a Torino e Milano. In ambedue le città l’appuntamento è per le ore 14 davanti alla sede della prefettura. “Altre città – informa un comunicato- si stanno organizzando per raggiungere Roma o il capoluogo più vicino. Ecco quello che tutti temevamo: di dover scendere in piazza contro un principio di dittatura”.

Milano, manifestazione Pd in via Dante (ore 17). Manifestazione del Partito Democratico alle 17 in via Dante a Milano. “Oggi pomeriggio manifestiamo con le penne per dire no al decreto salva liste, un provvedimento che invita a violare le regole, perché la penna è l’oggetto che i dirigenti del centrodestra avrebbero dovuto maneggiare meglio, evitando brutti pasticci”. Lo dichiarano i consiglieri regionali del Pd Giuseppe Civati e Carlo Monguzzi. “Saremo con il popolo di Facebook alle 16 davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, in corso di Porta Vittoria, e con il Pd e tutti coloro che chiedono il rispetto delle regole dalle 17 in Via Dante a Milano”.

Torino, presidio Pd davanti a prefettura (ore 17). Anche il Pd di Torino e del Piemonte scende in piazza contro il decreto. La dirigenza del partito ha promosso per questo pomeriggio alle 17 un presidio davanti alla prefettura, in piazza Castello.

Bologna, manifestazione Pd (ore19). Questa sera, in occasione di un’iniziativa elettorale già programmata col segretario provinciale Andrea De Maria, si terrà un primo momento di protesta del Partito Democratico di Bologna contro il decreto “interpretativo”. L’iniziativa si terrà alle ore 19 al Centro Civico Lame, in via Marco Polo 51 a Bologna.

Psi: “Minuto di silenzio”. “Di fronte a un uso distorto e disinvolto che questa maggioranza fa dei poteri assegnati al governo a proprio esclusivo vantaggio, i socialisti propongono un minuto di silenzio in tutte le manifestazioni di partito e la convocazione a Lugano di un vertice immediato di tutto il centrosinistra”. E’ quanto afferma in una nota Riccardo Nencini, segretario del Psi.

Libertà e Giustizia: “Manifestazioni in tutti i capoluoghi”. In un comunicato Libertà e Giustizia chiede “a tutti i politici dell’opposizione e a tutti i movimenti della società civile di valutare la possibilità di non indire un’unica manifestazione di piazza a Roma, contro il decreto salva liste, ma di organizzare manifestazioni unitarie nei capoluoghi di Regione, per consentire al maggior numero di cittadini di partecipare alla protesta, in questo momento drammatico della nostra storia”.
La Repubblica 06.03.10

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"Scuola senza soldi. Genitori si tassano e fanno la protesta della carta igienica", di Maria Zegarelli

La scuola vera, non quella raccontata dalla ministra Maria Stella Gelmini, lancia l’ennesimo sos: senza fondi rischia unalenta asfissia e lo scivolamento verso il basso nella classifica che fino a qualche tempo fa la vedeva tra le più qualificate d’Europa. Ieri pomeriggio aRomal’Associazione scuole autonome del Lazio, Asal, ha promosso un incontro di tutti presidenti dei Consigli d’istituto con unico punto all’ordine del giorno: come far fronte ai pesanti tagli. Alcuni istituti della regione sono stati costretti per la prima volta a chiedere un contributo ai genitori per poter garantire il funzionamento didattico. Non stiamo parlando dell’acquisto della carta igienica, perché in moltissime scuole i genitori provvedono da tempo,madel funzionamento e della manutenzione dei laboratori informatici e scientifici, dell’acquisto dei libri, delle iniziative didattiche. E mentre i presidenti di istituto si riunivano i genitori dell’associazione «comitatigenitori.it», lanciavano un’altra iniziativa: esporre rotoli di carta igienica ai balconi, sulle cancellate delle scuole, alle manifestazioni, davanti ai Miur e alle prefetture, per attirare l’attenzione sul degrado a cui è esposta la scuola pubblica italiana. Pietro Perziani, preside dell’Istituto comprensivo Luchino Visconti di Roma, sei sedi per un totale di circa 50classi e mille alunni, mostra i conti. Per l’esercizio 2010 il Miur gli ha assegnato 227.265 euro a cui si aggiungono circa 130mila di avanzo di amministrazione. Tanti? Affatto, spiega elencando le detrazioni: «A quella somma dobbiamo sottrarre circa 50mila euro già impegnati; 90mila per i multiservizi, cioè le pulizie; e diverse altre voci. Alla fine ci restano 56mila euro di cui 30 mila necessari agli straordinari dei docenti e alle supplenze». I tagli hanno colpito tutti, a pioggia, tanto che gli enti locali sono stati a loro volta costretti a stringere il portafoglio prima destinato all’istruzione. «Non siamo più in grado di garantire i campi scuola, i progetti formativi e tutte quelle attività che contribuiscono all’arricchimento culturale degli studenti », spiega il preside.Nonè un caso isolato: è la norma. Il Visconti per la prima volta ha deliberato la richiesta di un contributo – volontario – ai genitori pari a 30 euro l’anno per far fronte alle esigenze didattiche della scuola. «Non era mai successo prima», conclude il preside. Non era mai successo che non ci fossero fondi per pagare i supplenti al punto da costringere i dirigenti scolastici a dividere gli alunni nelle altre classi in caso di assenza di un insegnante. Sta succedendo eppure i media ne parlano poco o niente. Così capita che i presidenti di istituto decidano di creare un coordinamento per stabilire i passi da compiere insieme e intanto scrivono un documento, firmato anche dalle associazioni dei genitori, diretto alla ministra Maria Stella Gelmini elencando le gravi carenze di fondi che stanno immobilizzando la scuola e chiedendo risposte adeguate. E capita che i « comitatigenitori. it» preparino rotoli di carta igienica. «I continui tagli ai fondi delle scuole – spiegano – cui assistiamo impotenti da anni e anni, costringono i genitori a sostenere sempre maggiori costi in cambio di una scuola sempre meno efficiente. Ai nostri figli viene progressivamente sottratto il diritto ad una scuola non solo di qualità, ma persino che garantisca sicurezza. Per questo vogliamo organizzare una campagna di sensibilizzazione e di protesta e il nostro simbolo sarà un semplice rotolo di carta igienica». Lo Stato deve alle scuole italiane oltre un miliardo di euro.
L’Unità 06.03.10