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"Il mio grido lungo due minuti nel Paese alla fine del mondo", di Luis Sepulveda

Le prime ore del 27 febbraio sono trascorse in mezzo a una strana quiete: una bella luna piena rischiarava gran parte del territorio cileno, dal Pacifico soffiava una brezza rinfrescante e niente lasciava presagire le ore terribili che si avvicinavano dalle profondità dell’oceano.

Alle 3.45 il Cile dormiva, a Viña del Mar ancora non si erano spenti gli echi del quinto giorno del Festival della canzone, a Santiago, Concepción o Valparaíso i più giovani uscivano dalle discoteche o dalle sale da ballo.
Improvvisamente, la terra ha cominciato a muoversi con una violenza inusitata. Noi cileni abbiamo una sorta di cultura del terremoto e sappiamo che i grandi cataclismi cominciano in modo lieve e continuano con un infernale crescendo fino alla consumazione della tragedia. Questo terremoto è stato diverso: è cominciato scaricando tutta la sua violenza, grado 8,5 della scala Richter, e ha continuato in questo modo per due minuti, abbattendo case, distruggendo ponti, spezzando in due strade, sradicando tralicci dell’alta tensione, seminando il panico e la desolazione di fronte a noi cileni, che non potevamo far altro che restare in piedi nell’oscurità e urlare per avvertire i nostri di mettersi nei punti più sicuri degli edifici.

Sono stati due minuti interminabili, tra finestre che cadevano, cornicioni che si staccavano, chiese che perdevano i campanili, muri che scricchiolavano e poi venivano giù, e il terreno che si apriva con fessure ampie e profonde. Per i cileni della costa la grande paura era quello che poteva succedere: lo tsunami che in pochi minuti ha cancellato dalla mappa la bella località balneare di Iloca, con le onde che ritirandosi hanno lasciato un panorama di case distrutte e i leoni del circo che galleggiavano dentro a una gabbia.

Ora, a meno di un giorno dalla tragedia, sappiamo che la bella città di Concepción, la “Perla del Sud”, quasi non esiste più, che la parte antica e coloniale di Curicó è ormai solo un ricordo, e non si arrestano le telefonate di amici che mi raccontano delle devastazioni nelle loro case o luoghi di lavoro. E la terra continua a tremare, nelle repliche che si succedono senza interruzione e con diversa intensità fin dal momento in cui il grande scossone ha raso al suolo cinquecentomila case e ne ha danneggiato un altro milione.

Eppure, nel pieno della tragedia, superando la paura, le cilene e i cileni hanno dimostrato una volta di più il loro aspetto di popolo organizzato e solidale. Al momento in cui scrivo queste righe, il conto delle vittime, per i crolli o per crisi cardiache, ammonta approssimativamente a circa settecento persone. Poche, considerando le proporzioni del disastro; e le testimonianze rivelano che la gente ha seguito disciplinatamente le istruzioni della polizia e dei pompieri e si è allontanata rapidamente dai luoghi più a rischio, formando catene umane per aiutare gli anziani, i bambini, i più deboli.

Tranne qualche eccezione non ci sono stati saccheggi (anche se i due casi di assalti a supermercati sono stati enfatizzati dalla stampa scandalistica) e tutto il Paese apprezza l’atteggiamento della presidente Michelle Bachelet, che negli ultimi giorni del suo mandato si è assunta, dal momento stesso del terremoto, il compito di dirigere le operazioni di soccorso.

All’alba di ieri, 27 febbraio, il Paese ci ha mostrato il suo territorio lacerato, e tra i volontari che partecipavano cercando sopravvissuti tra le rovine si avvertiva l’eco dei versi del poeta Fernando Alegría: “Quando ci scuote un temporale o ci sferza un terremoto, quando il Cile non può essere sicuro delle sue mappe, io dico infuriato: Viva il Cile, merda!”.

Così, in questo Paese della Fine del Mondo, sono i cileni: caparbi, rassegnati e capaci di superare i momenti più terribili.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
La Repubblica 01.03.10

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“Lo spirito di una terra che non si arrende”, di Bruno Arpaia
Un’esilissima striscia di terra lunga 4.200 chilometri, lungo la quale si succedono implacabili deserti, ghiacciai e laghi cristallini, foci di fiumi maestosi, ghiacci quasi antartici. Il Cile è questo: un paese vario e meraviglioso, che però, sfortunatamente, si trova al centro della cosiddetta “cintura di fuoco”, dove lo scontro fra la placca tettonica di Nazca e quella sudamericana provoca un terremoto altamente distruttivo in media ogni dieci anni.
I cileni lo sanno bene, non dimenticano la loro storia, non dimenticano quel terremoto che distrusse Santiago nel 1647 e che ispirò un bellissimo racconto di Kleist. I cileni non dimenticano il sisma del 1960 a Valdivia, il più forte del Novecento, con i suoi 9,5 gradi della scala Richter e i suoi 1.700 morti, né quello del 1985. Perché i cileni sono, sì, un popolo latino, aperto, solidale ed espansivo, ma sono anche quasi tedeschi quanto a scrupolosità e previdenza. Perciò, dai deserti di salnitro del nord ai paesaggi montani della Cordigliera o dell’isola di Chiloé, la stragrande maggioranza delle case e dei palazzi viene costruita da decenni secondo rigorose norme antisismiche. Anche per questo il terremoto di ieri non ha provocato decine di migliaia di vittime.
E tuttavia, in questi momenti, penso alle sterminate città di casupole e di baracche attorno alla capitale, a Valparaíso o a Viña del Mar, dove non ci sono palazzi, né case vere e proprie. Penso ai loro abitanti poverissimi e fieri, anche se, per gli economisti neoliberisti e per il Fondo monetario internazionale, la loro povertà non esisteva e non esiste. Quelle baracche di lamiera, mi dico, saranno state certamente distrutte; e anche se lì quasi nessuno sarà rimasto vittima di una trave caduta, perché quelle baracche non hanno travi, né acqua potabile, né elettricità, il terremoto avrà tolto a quei poveri anche il pochissimo che avevano.
Penso, chissà perché, a una tersa mattina dell’inverno australe, ai pellicani che contendevano ai pescatori il pesce appena pescato alla foce del BioBio, nei pressi di Concepción, l’epicentro del terremoto. Penso all’Università di quell’accogliente capoluogo, dove avevo tenuto una conferenza, e che adesso sta bruciando. Penso a Parral, a pochi chilometri da lì, dov’era nato un bambino di nome Neftalí Reyes che avrebbe vinto il Nobel con il nome di Pablo Neruda. E credo, soprattutto, nella capacità dei cileni di risollevarsi da questa tragedia, di dimostrare il loro spirito solidale, mai sconfitto da tanti anni di dittatura. So per certo che, come nel racconto di Kleist, «in quei momenti atroci nei quali tutti i beni terreni degli uomini vanno perduti e la natura tutta minaccia di sprofondare», lo spirito dei cileni «sboccerà come un bel fiore». «Sui campi» racconta Kleist, parlando del dopoterremoto del 1647, «si vedevano a perdita d’occhio uomini d’ogni ceto gli uni accanto agli altri; principi e mendicanti, matrone e contadine, impiegati e operai, monache e frati; e tutti si compiangevano, porgevano aiuto a vicenda, spartivano con gioia ciò che avevano salvato per il sostentamento della vita, come se la sventura comune avesse fatto di tutti i salvati una famiglia sola». Quella famiglia di cileni, inutile ribadirlo, è anche la nostra.

Il Sole 24 Ore 01.03.10

Dilettanti allo sbaraglio

A Roma il PDL arriva in ritardo e la lista viene esclusa dalle regionali a Roma e provincia. La Polverini si appella a Napolitano, il PD le ricorda che è impossibile. Bonino: no alle leggi ad listam. Incapaci a presentare una lista, figurarsi a governare una regione.
Si è fermata prima di cominciare la campagna elettorale del PDL a Roma e provincia, davanti all’ingresso dell’ufficio elettorale del tribunale di Roma. Tenevano tanto alle Regionali del Lazio che sono arrivati in ritardo, così niente carte depositate e niente simbolo sulla scheda. La lista non c’è e non è servito ai rappresentanti di lista azzurri, usciti dalla zona franca sorvegliata dalle forze dell’ordine con in mano la documentazione, né il tentativo di rientrare fuori tempo massimo (cioè le 12 di sabato 27 febbraio) grazie al blocco dei rappresentanti delle altre liste arrivati in orario, né l’istanza all’ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Roma. L’ordinanza del Tribunale è chiara: istanza respinta. Ed Emma Bonino avvisa:” Non si azzardino dopo le leggi ad personam a fare quelle ad listam”. Anche perché quello che è successo a Roma è chiaro: non ci sono liste che sono state respinte, semplicemente il PDL non è riuscito a presentare la sua, a differenza di molti altri partiti ben più piccoli e meno organizzati. E’ inutile cercare forzature e scorciatoie, chi si candida a governare una regione deve dimostrare di aver chiaro che il rispetto delle regole è un valore assoluto, che va oltre le proprie convenienza.

All’ufficio elettorale c’era Mario Gasbarri, senatore del Partito Democratico: “Ero presente al Tribunale di Roma ed ho potuto filmare l’episodio con il cellulare. Posso perciò documentare che intorno alle ore 14, quindi due ore oltre il limite di tempo consentito, le firme non erano state consegnate e giacevano abbandonate in un corridoio. Mi auguro che ora il Pdl non cerchi ora espedienti per far rientrare dalla finestra ciò che, secondo la legge, è ormai fuori della porta”.

“Il centrodestra rispetti le regole e le leggi che non sono un optional o orpelli burocratici. Si misuri con le procedure giuridiche previste, senza impropri
appelli al capo dello Stato. La legge e’ uguale per tutti, non sono ammissibili scappatoie” ammonisce Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria del Pd.

Nico Stumpo, responsabile Organizzazione della segreteria del Pd nota come sia “singolare che una forza politica come il Pdl, che dice di voler governare il Lazio, non sia in grado di presentare la lista a Roma. Quanto è successo oggi è davvero sorprendente, ma è successo al Pdl, e magari anche ad altre liste a Roma o in altre province. Non si cerchino sotterfugi o scappatoie, la legge è, e deve essere, uguale per tutti”.

Restano i ricorsi ma la paura è tanta nel PDL dove si straparla come la Polverini di “eccessi di burocrazia che uccidono la democrazia”. Invece “i dirigenti del Pdl hanno combinato un gran pasticcio – è il commento della candidata di PD, radicali e IDV, Emma Bonino – La legge è chiara, il termine delle 12 è perentorio. Chi deve decidere decida, ma nel rigoroso rispetto della legge, che deve essere uguale per tutti. Se vincessi sarebbe vittoria a metà? La Polverini è in campo, ci sono liste che la sostengono».

E in tandem la candidata presidente Renata Polverini e il sindaco della capitale, Gianni Alemanno, fanno appello al Capo dello stato mentre il tandem dei rappresentanti di lista Alfredo Milioni e Giorgio Polesi sostengono di essere arrivati in Tribunale già dalle 11,25. Milioni si giustifica dicendo che “mi ero allontanato solo per mangiare un panino”!!

“Sarebbe bene che il Pdl, in evidente difficoltà, evitasse di tirare in ballo, per i propri errori sulla lista di Roma, il Presidente della Repubblica. Come spiega il costituzionalista e senatore del PD Stefano Ceccanti
“l’abolizione dello “jus dispensandi”,cioè del potere del Capo dello Stato di esenzione di singoli cittadini dal rispetto delle leggi senza il consenso del Parlamento, fu una delle conquiste più importanti del costituzionalismo di alcuni secoli fa, fin dal “Bill of Rights” inglese del 1688″!!!

Ilnostro augurio è che la Polverini non confonda la burocrazia con la democrazia. Matteo Orfini dela segreteria nazionale del PD ricorda: “Solo qualche giorno fa il Presidente della Camera Fini ci ha ricordato
che “in uno Stato di diritto, le procedure non possono essere considerate come degli inutili orpelli.
Chiediamo alla Polverini e agli altri esponenti del Pdl di accettare il verdetto, senza trasformare questa vicenda in un ennesimo caso politico che non farebbe bene alla nostra regione e, ci permettiamo di dire, nemmeno all’immagine della destra italiana”.

“i auguro che le regole vengano rispettate altrimenti
tanto vale non scriverle”. Ignazio Marino, senatore PD, commenta così l’esclusione delle liste del Pdl alle regionali nel Lazio. “Il Pdl – ontinua Marino – deve accettare la realtà e non fare appelli al Presidente
della Repubblica che appaiono davvero fuori luogo. Del resto va anche detto chiaramente che se non si è nemmeno in grado di dimostrare precisione ed efficienza in un compito piuttosto semplice come la presentazione delle
liste, come ci si può immaginare di proporsi come guida di una regione così complessa come il Lazio? Mi auguro che i cittadini si siano fatti un’idea precisa delle persone che potrebbero finire in posti strategici per il futuro della regione e che non commettano l’errore di dare fiducia a chi, al primo banco di prova, ha dimostrato inettitudine e superficialità”.

Il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, nvita a non coinvolgere il Quirinale per la mancata ammissione delle liste Pdl a Roma per le regionali del
Lazio. “Renata Polverini è candidata e con molte liste a suo sostegno. Quindi il confronto democratico è pienamente libero e rispettato. Trovo, invece, stupefacente che ci si appelli al presidente della Repubblica e ai magistrati non per difendere un diritto, ma per cercare di coprire un abuso”, dice Zingaretti.

“Se un povero cristo compie degli atti in ritardo rispetto a quanto previsto dalla legge – prosegue l’esponente Pd- ne paga tutte le conseguenze. Non si capisce perché lo stesso non debba valere per chi, colpevolmente, presenta in ritardo una lista elettorale. Le regole devono valere per tutti: sia per il povero cristo che per il potente politico. Come presidente della Provincia, auspico che chi dovrà esaminare l`istanza sulla lista del Pdl affronti la questione con la massima serenità e nel rispetto delle regole”.

“Il Pdl, dopo non aver osservato le regole nella presentazione delle liste, pretende di cambiarle a proprio uso e consumo, e tira in ballo addirittura il Presidente della Repubblica”. Lo dice in una nota Alessandro
Mazzoli, segretario del Pd del Lazio. “La verità – aggiunge – è che il centrodestra paga la sua incapacita’ organizzativa,che i lustrini e gli annunci a sensazione non hanno potuto nascondere. Nessuno si permetta di parlare di diritti lesi, avvelenando il clima. Invito il centrodestra lasciare in pace il Capo dello Stato, risparmiandogli i suoi improbabili appelli”.

David Sassoli, europarlamentare e capo delegazione del Pd al Parlamento europeo nota come “er il Pdl la legge non è mai uguale per tutti. Piuttosto che rispettare le regole si preferisce coprire le proprie mancanze appellandosi al Presiedente della Repubblica in nome di diritti inesistenti. Qualunque cittadino in ritardo rispetto a delle scadenze, è comunque costretto a pagarne le conseguenze – ha aggiunto l’eurodeputato – e non può ricorrere a nessuno stratagemma. Perché il Pdl non può essere considerato al pari di qualsiasi Italiano? Il centro destra sostiene che l’eccesso di burocrazia uccide la democrazia. Ma questo dovrebbe valere sempre e non solo in certe circostanz, ma il Pdl usa a proprio favore due pesi e due misure. La differenza fra noi e la destra è che Emma Bonino ha scelto una forma di protesta civile – conclude Sassoli – per richiamare tutti alla legalità e alla democrazia; la destra chiede che siano aggirate le regole”.

E oggi Rosy Bindi in un’intervista al Mattino è ancora più chiara: “Io preferirei vincere anche nel Lazio battendoli e non perché manca la lista, ma le regole sono le regole. L’hanno fatta grossa, ora aspettino la Corte d’appello. Ma quel che è successo, è evidente, prova non di un problema organizzativo ma politico. E’ chiaro che, se una lista non
viene presentata, non è perché manca una firma o si fa tardi, ma perché sino all’ultimo momento si litiga e non c’è nessuno che abbia l’autorevolezza politica per risolvere problemi e casi aperti. Quel che è successo a Roma dimostra che il Pdl è in grande confusione. Non è solo questione di rapporti tra Fini e Berlusconi”. La presidente dell’assemblea nazionale del Pd fa una previsione: “Naturalmente io spero di vincere in tutte e tredici. Siamo competitivi e anche Berlusconi sa che non farà quel pieno che pensava di fare. Pianteremo
più bandierine noi di loro”.
www.partitodemocratico.it

"Gli scandali uccidono il senso dello Stato", di Ferdinando Camon

E’interessante sentire la lettura che il popolo fa del maxi-scandalo del riciclaggio: basta ascoltare i clienti dei bar. Non sanno niente di caroselli, elezioni all’estero, voti per posta. Ma nel bar ci sono 4-5 giornali, e le prime 3-4 pagine hanno le stesse frasi, le stesse foto, gli stessi titoli. Io porto la mia mazzetta, e la lascio circolare. Quando mi riportano un giornale, lo confesso, li interrogo. I clienti commentano con sarcasmo. Non so quanti milioni di italiani entrino in un giorno nei bar, ma sono milioni di italiani nei quali s’infiltra il sospetto che lo Stato non solo non stia vincendo la guerra contro la criminalità, ma non la stia nemmeno combattendo.

Vedono un politico che dichiara: «Mai conosciuta la ‘ndrangheta», e accanto c’è la foto di lui con un boss. La gente sghignazza. È un autosghignazzo: l’italiano da bar disprezza il corrotto ma compatisce se stesso, la propria impotenza. Noi non possiamo farci niente, chi può farci qualcosa è lo Stato, ma lo Stato sta dall’altra parte. Siamo traditi. Il maxiscandalo è per la gente un tradimento dello Stato.

Un titoletto dice: «Riciclatore prima che senatore». Il messaggio è chiaro: è un senatore perché era un riciclatore. Vuoi far politica? Sii disonesto. Carriera e disonestà sono sinonimi.

Il riciclaggio ammonta a due miliardi di euro, ma i clienti traducono: quattromila miliardi di lire. Così fa più impressione. Il confronto è sempre col proprio stipendietto, sopra o sotto i mille euro. Io, sbarcare il lunario. Loro sbarcano sulla luna.

Nelle intercettazioni il supposto corrotto «si vanta di aver affittato ufficiali e militari della Finanza», per fare «affari tranquilli». La parola che rode il cervello è «affittato». Questo «affitta» finanzieri. La Finanza è un’auto a noleggio. Servitori dello Stato in vendita. Allora lo Stato t’imbroglia: Legge, Giustizia, Politica sono gli strumenti con i quali frega te e i tuoi figli. In conclusione: pagare le tasse? «Conti correnti su decine e decine di banche»: tu ne hai uno solo, ne avevi due ma li hai unificati perché ognuno costa 5 euro al mese. Con 5 euro ti paghi 5 caffè. Le banche non sono di tutti i clienti, sono di questi clienti qua. Puoi fidarti delle banche?

La ‘ndrangheta raccoglie voti nelle case dei poveracci emigrati in Germania, e l’inviato dice che quelle case gli fanno «schifo». I voti no. Il votato da quei voti dovrebbe far gl’interessi di quei votanti. Ma come può, se gli fanno schifo? Avrà pure il diritto di non vomitare.

«L’ambasciatore si adoperava a procurargli falsi documenti»: se sei all’estero e hai bisogno di una pratica, vai alla tua ambasciata e ti senti un pezzente alla corte del re: rompi le scatole. Questo chiede documenti falsi e l’ambasciatore muove le chiappe. Sono ambasciate d’Italia o della mafia?

Stravotato all’estero, in Italia è «un perfetto sconosciuto». Ma tanti voti non significano tanta popolarità? Noo? Significano tanta mafia? «Ascoltami testa di c…, tu puoi anche diventare presidente della Repubblica ma resti il mio schiavo»: il cliente del bar legge la frase ad alta voce. Un boss parla a un senatore: il parlamentare fa le leggi ma è schiavo. Quindi fa le leggi per il suo padrone. La ‘ndrangheta.

La ‘ndrangheta: una sera sì e l’altra pure, sentiamo ai tg i tremendi colpi inferti alla mafia: pare sgretolata. E tu ci credi? Non è che invece si moltiplica? Domani ti suonano il campanello e ti chiedono il pizzo.

«Ascolta amico, il Fioravanti e la Mambro li ho tirati fuori io, li ho aiutati economicamente», ma non erano ergastolani? Non diciamo sempre: «Sbatterli in galera e buttar via la chiave?». Invece questi la chiave se la mettono in tasca, e la tirano fuori quando vogliono.

Cos’è che tagliano a fette, al bar, ogni mattina, le lingue del popolo? Il Pdl? La Politica? La Giustizia? Di più: con questi scandali si uccide nel popolo il senso dello Stato.
La Stampa 01.03.10

"Scuola, pioggia di 5 in condotta e la matematica resta la bestia nera", di Mario Reggio

I dati del primo quadrimestre. Più 20% di indisciplinati. I dubbi del Pd: alle medie non è così, la Gelmini riferisca in Commissione Cultura i dati esatti. La strage continua. Il 5 in condotta miete anche quest´anno migliaia di vittime. Tra medie e superiori, al termine del primo quadrimestre, gli studenti “indiscipilinati” sono stati oltre 63 mila, diecimila in più dello scorso anno scolastico. I dati sono stati resi pubblici ieri da ministero della Pubblica Istruzione e riguardano l´ottanta per cento degli istituti scolastici. Ma non basta. Aumentano i giovani, tre su quattro, soprattutto nelle superiori, istituti professionali e tecnici in testa, in larga percentuale a Sud, che hanno almeno una insufficienza. Tre le materie più ostiche: matematica, inglese e italiano.
Rammaricata, ma con moderazione, il ministro Mariastella Gelmini: «Non mi fa piacere quando ad un ragazzo viene assegnata un´insufficienza – afferma – spero che possa essere recuperata nel secondo quadrimestre. Ma una scuola che promuove tutti non fa gli interessi dei ragazzi. La nostra scuola è lontana da quella del 6 politico. Anche il comportamento è importante nella valutazione complessiva degli studenti».
Ma la situazione è davvero così catastrofica? Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in Commissione Cultura della Camera, nutre molti dubbi. «Dalle informazioni in nostro possesso non si prefigura affatto per la scuola media un incremento delle insufficienze – dichiara – perché celare questo dato positivo? Forse perché rafforza l´immagine della Gelmini come il vessillo del rigore nella scuola? La ministra – conclude – venga immediatamente a riferire in Commissione fornendo i dati esatti sugli esiti degli scrutini per compararli con quelli dello scorso anno». In realtà, se si confrontano i numeri delle medie inferiori con quelli dello scorso anno scolastico, si scopre che gli studenti che hanno preso il 5 in condotta assieme ad insufficienze in altre materie sono calati da 18 a 17 mila. E i “discoli” che si sono ritrovati in pagella solo il 5 in condotta sono crollati da più di 4 mila a poco meno di mille e cinquecento.
Altra musica alle superiori.
I giovanotti che hanno almeno un voto sotto la sufficienza in condotta assieme al voto negativo in altre materie sono saliti a 46 mila: diecimila in più dello scorso anno scolastico. In testa gli studenti delle scuole professionali, seguiti da quelli dei tecnici e del liceo scientifico. Come alle medie, anche nelle superiori, l´area critica si concentra nelle regioni di Sud, mentre la situazione migliora di molto nel Nordest. E dal ministero della Pubblica Istruzione fanno sapere che «da quest´anno, sulla valutazione della condotta è stato compiuto un giro di vite che ha introdotto criteri ancora più rigorosi rispetto all´anno passato. Infatti, per l´attribuzione dell´insufficienza, non sarà più necessario che l´alunno abbia totalizzato 15 giorni di sospensione, ma basterà una sola sanzione disciplinare». L´avviso agli studenti è chiaro: nel secondo quadrimestre, per recuperare, massima disciplina.
La risposta della Rete degli Studenti non si fa attendere: «Mentre il ministro tenta di recuperare credibilità sbandierando ancora i provvedimenti sulla condotta, ci chiediamo chi dovrebbe stare al fianco di tutte le studentesse e gli studenti che hanno preso una o più insufficienze, visto che le scuole non sono in grado di mettere in campo serie iniziative di recupero per la mancanza di soldi».
La Repubblica 01.03.10

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“Scrutini, pioggia di 5 in condotta e di insufficienze”, di MARIA LOMBARDI

ROMA – Studenti “somari” e pure indisciplinati. Vanno male, soprattutto in matematica e inglese, e non rispettano nemmeno le regole. Quelli del sud peggio di quelli del nord, ai tecnici i voti più bassi. Ecco cosa dicono i dati sugli scrutini del primo quadrimestre: tante, tantissime insufficienze, alle superiori il 2% in più rispetto allo scorso anno. E’ la scuola del rigore, commenta il ministro dell’Istruzione Gelmini. Un drammatico «insuccesso formativo», replica l’opposizione.
Fatto sta che se gli studenti italiani non metteranno la testa a posto e non la terranno un poco più a lungo sui libri, l’anno scolastico rischia di concludersi con una valanga di debiti e bocciature. Il bilancio dei primi mesi è disastroso: in oltre 63 mila tra medie e superiori hanno avuto in pagella un cinque in condotta (erano 52.344 lo scorso anno), secondo i dati diffusi dal Miur. Se agli scrutini finali non arriveranno alla sufficienza dovranno ripetere l’anno, come è accaduto nel 2009 ad almeno 10mila studenti. Non va meglio nelle altre valutazioni: 3 studenti su quattro alle superiori hanno uno o più 5. Matematica, inglese e anche italiano le materie che risultano più difficili.
I dati si riferiscono all’80% delle scuole e confermano la «linea più severa e rigorosa soprattutto nelle superiori». Il ministro Gelmini si dice dispiaciuta: «Non fa mai piacere quando a un ragazzo viene assegnata un’insufficienza. Spero che possa essere recuperata nel secondo quadrimestre. Ma una scuola che promuove tutti non fa l’interesse dei ragazzi. Oggi siamo lontani dalla scuola del 6 politico. Anche il comportamento è importante nella valutazione complessiva dei ragazzi, perché gli studenti sono titolari di diritti ma anche di doveri come il rispetto delle istituzioni scolastiche e dei compagni».
Più rigore nella valutazione della condotta, spiegano al Ministero. Da quest’anno per avere un’insufficienza non è necessario accumulare quindici giorni di sospensione, basta una sola sanzione disciplinare. Alle medie hanno preso 5 in condotta 17.035 studenti, per 1.498 studenti si è trattato dell’unica insufficienza. Alle superiori 46.490 ragazzi, più indisciplinati quelli dei primi anni. Regole trasgredite più al sud che al nord, gli istituti professionali e tecnici contano il maggior numero di insufficienze.
Ma veniamo al giudizio sulle singole materie. La situazione alle medie è più o meno stabile rispetto allo scorso anno, i voti non sufficienti riguardano anche questa volta la matematica innanzitutto, seguita dall’inglese, dalla seconda lingua e dall’italiano. Alle superiori invece va peggio rispetto al 2008-2009: gli studenti con almeno un’insufficienza sono passati dal 74% al 76%. Percentuali più alte negli istituti professionali (dall’81,3% dello scorso anno all’82,7% di oggi) e nei tecnici (dal 79,3% all’80,3%). Seguono l’artistico (dal 77,0% al 77,8%) ed ex istituto magistrale (dal 71,8% al 72,8%). Per quanto riguarda i licei, al linguistico gli studenti con insufficienze sono passati dal 58,4% al 59.1%, mentre allo scientifico e al classico sono aumentati, rispettivamente dal 66,5 al 67,1% e dal 61,5 al 62,6%. Anche qui i maggiori ostacoli in matematica (60,2% delle insufficienze), seguita da lingue straniere e italiano. L’anno più difficile? Il terzo dove nel primo scrutinio su cento studenti circa 77 hanno almeno una materia da recuperare.
Quello dell’«insuccesso scolastico» è un problema da affrontare, secondo Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione Cultura alla Camera, «il ministro venga a riferire in commissione sugli esiti degli scrutini, si nascondono i risultati positivi». Questi dati, secondo il coordinamento dei genitori democratici, dimostrano quanto la scuola «è stressata da tagli indiscriminati». Altro che scuola del rigore, secondo la rete degli studenti, così tante insufficienze dimostrano «il fallimento del sistema formativo».
Il Messaggero 01.03.10

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“Tecnica della Scuola: Primo quadrimestre, è boom di insufficienze. Ma il Pd non ci crede”, di A.G.
Non è proprio un bel “quadretto” quello che si prospetta per i nostri studenti: nell’ultimo giorno di febbraio, di domenica, il ministero dell’Istruzione ha reso noti i numeri altisonanti delle insufficienze in pagella fatti registrare al termine del primo quadrimestre nell’80% dei corsi di scuola media inferiore e superiore. Ebbene, 63.525 studenti complessivi non avrebbero raggiunto la sufficienza nel comportamento (quindi per gravi e reiterati motivi), a fronte dei 52.344 dello scorso anno.
Alle medie i più indisciplinati sono stati gli alunni del terzo anno e del sud; i più corretti starebbero invece in prima e al nord-est (tra l’altro per 88 studenti è stata l`unica insufficienza). Alle superiori discorso inverso: i ragazzi del primo anno (ben 16.347), che poi sono coloro che hanno lascito la terza media solo pochi mesi prima, sono quasi cinque volte più immaturi, almeno a livello di condotta, dei “colleghi” iscritti al quinto anno (3.844). Poche sorprese sui corsi: il maggior numero di insufficienze in condotta si registra negli istituti professionali (22.052) e nei tecnici (18.822). Seguono il liceo scientifico (2.262), l`istruzione artistica (1.547), l`ex-istituto magistrale (1.289), il liceo classico (471) e il liceo linguistico (47). Anche nelle superiori, le aree geografiche con il maggior numero di insufficienze sono concentrate nel Sud.
Al di là dei proclami, appare invece meno vistoso l’incremento delle insufficienze complessive: “nella scuola secondaria di I grado – ammettono tra le righe anche da viale Trastevere – si confermano gli stessi dati dell’anno scolastico 2008/2009. Le discipline dove si concentrano le insufficienze sono soprattutto la matematica, seguita dall’inglese, dalla seconda lingua e dall’italiano”. E pure nella secondaria di II grado i risultati degli scrutini presentano un aumento degli studenti con almeno una insufficienza solo di due punti percentuali (dal 74% al 76%): gli incrementi sono stati registrati soprattutto nei professionali (dall’81,3% dello scorso anno all’82,7% di oggi) e nei tecnici (dal 79,3% all’80,3%). Il maggior numero di insufficienze si registra al terzo anno, dove su cento studenti, circa 77 hanno almeno una materia da recuperare. “Come nella secondaria di I grado – dice il Miur – la matematica resta la capofila nelle discipline che risultano più difficili (60,2% delle insufficienze), seguita da lingue straniere (considerato che si studiano più lingue e che quindi si possono avere più voti negativi) e italiano”.
Le insufficienze in matematica sono state il 16,9% del totale (rispetto al 16,3% dello scorso anno scolastico); le insufficienze nelle lingue straniere sono state il 16,1% (15,6% nel 2008/2009); le insufficienze in italiano sono state il 12% (11,5% nel 2008/2009). Anche nelle carenze delle singole materie la capofila è il sud, in particolare le isole, dove l’82% degli studenti ha fatto registrare almeno un’insufficienza, a fronte di 68 nel nord-est.
“Non fa mai piacere – ha spiegato il ministro Gelmini – quando ad un ragazzo viene assegnata un’insufficienza. Spero che possa essere recuperata nel secondo quadrimestre. Ma una scuola che promuove tutti non è una scuola che fa l’interesse dei ragazzi. La nostra scuola è lontana da quella del 6 politico”.
Ma I dati non sono stati presi bene dall’opposizione, che li reputa amplificati. Il Pd, che parla di “fantasmi sessantottini”, ha chiesto la convocazione di Gelmini in commissione Cultura alla Camera. “La ministra – ha detto la capogruppo, Manuela Ghizzoni – venga immediatamente a riferire, fornendo i dati delle insufficienze per materie in numeri assoluti e in percentuali con quelli dello scorso anno, così da poterli comparare. Dalle informazioni in nostro possesso – continua – non si prefigura affatto per la scuola media un incremento delle insufficienze: perché celare questo dato positivo? Forse perché non rinforza l’immagine della Gelmini come vessillo del rigore nell’istruzione?”
E i diretti interessati, gli allievi, non sono da meno: secondo il leader della Rete degli studenti, Gelmini “con il solito tono da amministratrice delegata snocciola i dati degli scrutini del primo quadrimestre come se stesse parlando di un bilancio aziendale, arrivando a dichiararsi soddisfatta per la presenza di così tante insufficienze. Il ministro rispolvera la vecchia equazione seconda la quale il numero dei bocciati e rimandati indica uno stato di salute delle scuola, perché sarebbe indicativo di serietà e rigore”. Ma per De Zolt quella espressa dal responsabile del dicastero di viale Trastevere è “un’affermazione retorica e fondamentalmente sbagliata: un’insufficienza segnala un fallimento del sistema formativo, di cui il ministro dovrebbe sentirsi responsabile in prima persona”.
Agli studenti non è sfuggito che il numero di insufficienze, in particolare nelle materie scientifiche, sia rimasto decisamente alto, anche se in maniera disomogenea rispetto agli indirizzi e soprattutto tra le diverse aree del Paese: “è la dimostrazione ulteriore – sostiene il rappresentante degli allievi delle scuole superiori – che serve una riforma vera della scuola secondaria, basata sulla necessità di dare a tutti alte opportunità formative, investendo soprattutto nel mezzogiorno”. L’associazione si mette quindi nei panni dei migliaia di studenti che hanno ricevuto votazioni negative: gli istituti, infatti, anche a causa della carenza di fondi ministeriali non sono sempre in grado di organizzare corsi di recupero pomeridiani. “Mentre il ministro tenta di recuperare credibilità sbandierando (ancora) i provvedimenti sulla condotta, ci chiediamo chi dovrebbe stare al fianco di tutte le studentesse e gli studenti che hanno preso una o più insufficienze visto che le scuole non sono in grado – conclude De Zolt – di mettere in campo serie iniziative di recupero per la mancanza di soldi”.
Da Tecnica della Scuola 01.03.10

"La colpa di chi fa le leggi per se stesso", di Gustavo Zagrebelsky

«Un dio o un uomo, presso di voi, è ritenuto autore delle leggi?» chiede l´Ateniese ai suoi ospiti venuti da Creta e da Sparta. «Un dio, ospite, un Dio! – così come è perfettamente giusto». Queste parole aprono il grande trattato che Platone dedica alle Leggi, i Nòmoi. Il problema dei problemi – perché si dovrebbe obbedire alle leggi – è in tal modo risolto in partenza: per il timor degli Dei. Le leggi sono sacre.
Chi le viola è sacrilego. Tra la religione e la legge non c´è divisione. I giudici sono sacerdoti e i sacerdoti sono giudici, al medesimo titolo. Oggi non è più così. Per quanto si sia suggestionati dalla parola che viene dal profondo della sapienza antica, possiamo dire: non è più così, per nostra fortuna. Abbiamo conosciuto a sufficienza l´intolleranza e la violenza insite nella legge, quando il legislatore pretende di parlare in nome di Dio. Ma, da quella scissione, nasce la difficoltà. Se la legge ha perduto il suo fondamento mistico perché non viene (più) da un Dio, ma è fatta da uomini, perché dovremmo prestarle obbedienza? Perché uomini devono obbedire ad altri uomini? Domande semplici e risposte difficili.
Forse perché abbiamo paura di chi comanda con forza di legge? Paura delle pene, dei giudici, dei carabinieri, delle prigioni? Se così fosse, dovremmo concludere che gli esseri umani meritano solo di esseri guidati con la sferza e sono indegni della libertà. In parte, tuttavia, può essere così. In parte soltanto però, perché nessuno è mai abbastanza forte da essere in ogni circostanza padrone della volontà altrui, se non riesce a trasformare la propria volontà in diritto e l´ubbidienza in dovere. Ma dov´anche regnasse la pura forza, dove regna il terrore, dove il terrorismo è legge dello Stato, anche in questo caso ci dovrà pur essere qualcuno che, in ultima istanza, applica la legge senza essere costretto dalla minaccia della pena, perché è lui stesso l´amministratore delle pene. In breve, molti possono essere costretti a obbedire alla legge: molti, ma non tutti. Ci dovranno necessariamente essere dei costrittori che costringono senza essere costretti. Ci dovrà essere qualcuno, pochi o tanti a seconda del carattere più o meno chiuso della società, per il quale la legge vale per adesione e non per costrizione. In una società democratica, questo “qualcuno” dovrebbe essere il “maggior numero possibile”.
Che cosa è, dove sta, da che cosa dipende quest´adesione? Qui, ciascuno di noi, in una società libera, è interpellato direttamente, uno per uno. Se non sappiamo dare una risposta, allora dobbiamo ammettere che seguiamo la legge solo per forza, come degli schiavi, solo perché la forza fa paura. Ma, appena esistono le condizioni per violare la legge impunemente o appena si sia riusciti a impadronirsi e a controllare le procedure legislative e si possa fare della legge quel che ci piace e così legalizzare quel che ci pare, come Semiramìs, che “a vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta” (Inferno, V), allora della legge e di coloro che ancora l´invocano ci si farà beffe.
Possiamo dire, allora, che la forza della legge, se non si basa – sia permesso il banale gioco di parole – sulla legge della forza, si basa sull´interesse? Quale interesse? La moralità della legge come tale, indipendentemente da ciò che prescrive, dovrebbe stare nell´uguaglianza di tutti, nel fatto che ciascuno di noi può rispecchiarvisi come uguale all´altro. “La legge è uguale per tutti” non è soltanto un ovvio imperativo, per così dire, di “giustizia distributiva del diritto”. È anche la condizione prima della nostra dignità d´esseri umani. Io rispetto la legge comune perché anche tu la rispetterai e così saremo entrambi sul medesimo piano di fronte alla legge e ciascuno di noi di fronte all´altro. Ci potremo guardare reciprocamente con lealtà, diritto negli occhi, perché non ci sarà il forte e il debole, il furbo e l´ingenuo, il serpente e la colomba, ma ci saranno leali concittadini nella repubblica delle leggi.
Questa risposta alla domanda circa la forza della legge è destinata, per lo più, ad apparire una pia illusione che solo le “anime belle”, quelle che credono a cose come la dignità, possono coltivare. È pieno di anime che belle non sono, che si credono al di sopra della legge – basta guardarsi intorno, anche solo molto vicino a noi – e che proprio dall´esistenza di leggi che valgono per tutti (tutti gli altri), traggono motivo e strumenti supplementari per le proprie fortune, economiche e politiche. Sono questi gli approfittatori della legge, free riders, particolarmente odiosi perché approfittano (della debolezza o della virtù civica) degli altri: per loro, “le leggi sono simili alle ragnatele; se vi cade dentro qualcosa di leggero e debole, lo trattengono; ma se è più pesante, le strappa e scappa via” (parole di Solone; in versione popolare: “La legge è come la ragnatela; trattiene la mosca, ma il moscone ci fa un bucone”). Anche per loro c´è interesse alla legalità, ma la legalità degli altri. Poiché gli altri pagano le tasse, io, che posso, le evado. Poiché gli altri rispettano le procedure per gli appalti, io che ho le giuste conoscenze, vinco la gara a dispetto di chi rispetta le regole; io, che ho agganci, approfitto del fatto che gli altri devono attendere il loro turno, per passare per primo alla visita medica che, forse, salva la mia vita, ma condanna quella d´un altro; io, che posso manovrare un concorso pubblico, faccio assumere mio figlio, al posto del figlio di nessuno che, poveretto, è però più bravo del mio; io, che ho il macchinone, per far gli affari miei sulla strada, approfitto dei divieti che chi ha la macchinina rispetta; io, che posso farmi le leggi su misura, preparo la mia impunità nei casi in cui, altrui, vale la responsabilità.
L´ultimo episodio della vita di Socrate, alle soglie dell´autoesecuzione (la cicuta) della sentenza dell´Areopago che l´aveva condannato a morte, è l´incontro con Le Leggi. Le Leggi gli parlano. Qual è il loro argomento? Sei nato e hai condotto la tua vita con noi, sotto la nostra protezione nella città. Noi ti abbiamo fatto nascere, ti abbiamo cresciuto, nutrito ed educato, noi ti abbiamo permesso d´avere moglie e figli che cresceranno come te con noi. Tutto questo con tua soddisfazione. Infatti, non te ne sei andato altrove, come ben avresti potuto. E ora, vorresti ucciderci, violandoci, quando non ti fa più comodo? Così romperesti il patto che ci ha unito e questo sarebbe l´inizio della rovina della città, le cui leggi sarebbero messe nel nulla proprio da coloro che ne sono stati beneficiati.
Le Leggi platoniche, parlando così, chiedono ubbidienza a Socrate in nome non della paura né dell´interesse, ma per un terzo motivo, la riconoscenza. Il loro discorso, però, ha un presupposto: noi siamo state leggi benigne con te. Ma se Le Leggi fossero state maligne? Se avessero permesso o promosso l´iniquità e non avessero impedito la sopraffazione, avrebbero potuto parlare così? Il caso non poteva porsi in quel tempo, quando le leggi – l´abbiamo visto all´inizio – erano opera degli Dei. Oggi, sono opera degli uomini. Dagli uomini esse dipendono e dagli uomini dipende quindi se possano o non possano chiedere ubbidienza in nome della riconoscenza.
Certo: abbiamo visto che l´esistenza delle leggi non esclude che vi sia chi le sfrutta e viola per il proprio interesse, a danno degli altri. Ma il compito della legge, per poter pretendere obbedienza, è di contrastare l´arroganza di chi le infrange impunemente e di chi, quando non gli riesce, se ne fa una per se stesso. Se la legge non contrasta quest´arroganza o, peggio, la favorisce, allora non può più pretendere né riconoscenza né ubbidienza. Il disprezzo delle leggi da parte dei potenti giustifica analogo disprezzo da parte di tutti gli altri. L´illegalità, anche se all´inizio circoscritta, è diffusiva di se stessa e distruttiva della vita della città. Tollerarla nell´interesse di qualcuno non significa metterla come in una parentesi sperando così che resti un´eccezione, ma significa farne l´inizio di un´infezione che si diffonde tra tutti.
Qui è la grande responsabilità, o meglio la grande colpa, che si assumono coloro che fanno leggi solo per se stessi o che, avendo violate quelle comuni, pretendono impunità. Contrastare costoro con ogni mezzo non è persecuzione o, come si dice oggi, “giustizialismo”, ma è semplicemente legittima difesa di un ordine di vita tra tutti noi, di cui non ci si debba vergognare.
La Repubblica 01.03.10

"L’Italia e gli immigrati. Il Paese del Primo Marzo", di Jean-Léonard Touadi

C’era una volta un paese di emigrati. Gli italiani che lasciavano le loro terre alla ricerca di pane e dignità. A quegli italiani il paese deve molto perché hanno assicurato per decenni, per se stessi e per i familiari rimasti in patria, una vita dignitosa. La memoria di questi cittadini tra due mondi, spesso maltrattati e soggetti a continue discriminazioni, è un monito a non fare agli altri, agli immigrati di oggi, ciò che è stato fatto a noi quando “gli albanesi eravamo noi” secondo il bellissimo libro di Gian Antonio Stella dal titolo assai rivelatore, «L’Orda».
Ed eccola qui, l’orda: l’ “invasione” evocata strumentalmente pochi giorni fa dal presidente del Consiglio Berlusconi; l’ondata nera dei criminali stigmatizzati con un’equazione tra immigrazione e clandestinità che ha profondamente indignato, oltre a migliaia d’italiani, anche la Caritas e il quotidiano L’Avvenire; l’orda di coloro che rubano il lavoro agli italiani quando tutti sanno che il lavoro immigrato per ora è complementare e non competitivo rispetto a quello degli italiani; la marea dei bambini stranieri che andrebbero separati dai loro coetanei italiani. E la lista potrebbe continuare.
Ma l’Italia dovrà rendersi conto che l’immigrazione è un fenomeno strutturale. L’immigrazione rappresenta la cifra precipua delle profonde trasformazioni che il paese deve affrontare da qui ai prossimi decenni, dove la capacità di confrontarci con le sfide della contemporaneità si misurerà con il nostro modo di gestire con responsabilità e innovazione normativa e programmatica la questione dell’immigrazione. Attraverso l’irrompere dell’immigrazione nel nostro tessuto produttivo e socio-culturale, dentro i processi di mutamenti urbani e all’interno dei meccanismi formativi delle nuove generazioni, l’Italia dovrà dimostrare la sua propensione a traghettarsi dentro la globalizzazione con mappe concettuali e strategie operative all’altezza della complessità contemporanea. È la grande novità dell’innesto che “pro-voca”, chiama a sé, e che stimola con la promessa della ricchezza data dalla diversità.
Il 1 ̊ marzo assume così il valore di un passaggio simbolico importante. Possiamo dire che costituisce un evento-avvento per la società italiana. Essa è chiamata a interiorizzare ciò che viene quotidianamente rimosso. Il 1 ̊ marzo potrebbe assumere per la coscienza civile più intima di questo paese le caratteristiche di un momento iniziatico, di passaggio verso una definitiva consapevolezza di essere diventato altro grazie all’irrompere degli altri. È un invito alla responsabilità, nel senso letterale di misurare il peso (res/pondus) della presenza e dell’agire dei nuovi cittadini per, insieme, costruire un futuro comune.
L’Unità 01.03.10

"Pioggia di cinque in condotta. Ma è scontro sui dati del ministero", di Salvo Intravaia

L’opposizione: “Perché nascondono altrui dati positivi. Il ministro riferisca”. Pioggia di 5 in condotta e linea del rigore confermata a scuola. Il ministero dell’Istruzione ha appena diffuso i dati relativi agli esiti del primo quadrimestre che secondo viale Trastevere “confermano la linea più severa e rigorosa attuata già dall’anno scolastico precedente in sede scrutinante, soprattutto nelle superiori”. Ma non tutti sono d’accordo. La Cisl scuola parla di “proclami a vuoto”, mentre Manuela Ghizzoni (Pd), in commissione Cultura alla Camera, dubita degli stessi dati e invita il ministro a riferirli in commissione. In effetti, alla scuola media le insufficienze in condotta sono diminuite. E di parecchio.

“Non fa mai piacere – dichiara il ministro Mariastella Gelmini – quando ad un ragazzo viene assegnata un’insufficienza. Spero che possa essere recuperata nel secondo quadrimestre. Ma una scuola che promuove tutti – continua – non è una scuola che fa l’interesse dei ragazzi. La nostra scuola è lontana da quella del 6 politico. Anche il comportamento è importante nella valutazione complessiva dei ragazzi, perché gli studenti sono titolari di diritti ma anche di doveri come il rispetto delle istituzioni scolastiche e dei compagni”.

Ma, quest’anno, com’è andata al milione e 660 mila ragazzini della scuole media e ai 2 milioni e 574 mila delle superiori? A beccarsi un sonoro 5 in condotta alla scuola media sono stati poco più di 17 mila alunni, con record al Sud. Ma l’anno scorso furono quasi mille in più: 18.033. In calo verticale anche il numero di ragazzini per i quali l’unica insufficienza è stata quella della condotta: 1.498 studenti quest’anno, contro i 4.268 dell’anno scorso. Un’inversione di tendenza che toccherebbe, alla scuola media, anche le altre discipline.

“Dalle informazioni in nostro possesso – spiega la Ghizzoni – non si prefigura affatto per la scuola media un incremento delle insufficienze: perché celare questo dato positivo? Forse perché non rinforza l’immagine della Gelmini come vessillo del rigore nell’istruzione? La Ministra – continua la deputata – venga immediatamente a riferire in Commissione sugli esiti degli scrutini del primo quadrimestre, fornendo i dati delle insufficienze per materie in numeri assoluti e in percentuali con quelli dello scorso anno, così da poterli comparare”. I cattivi voti, secondo la parlamentare, almeno alla media sono in netto calo rispetto ad un anno fa. Con un picco di insufficienze in Matematica, Lingua straniera ed Italiano, vere bestie nere dei ragazzini.

Alle superiori le cose sono andate peggio. Hanno rimediato una insufficienza in condotta 10 mila alunni in più dell’anno scorso: 46 mila in tutto. Con record sempre nel meridione. Ma si dimezza il numero di coloro che hanno riportato l’insufficienza soltanto in condotta: 3.574 quest’anno, 8.829 nel 2009. “E’ fuorviante valutare la bontà di un percorso formativo – spiega Francesco Scrima, della Cisl scuola – attraverso i 5 in condotta, ma dagli obiettivi formativi che raggiungono gli alunni”. Tre ragazzi su quattro poche settimane fa hanno presentato ai genitori pagelle con almeno una insufficienza. In 12 mesi il dato è aumentato leggermente: si è passati dal 74 al 76 percento.

“Questo dato – dicono dal ministero – evidenzia una linea di tendenza, già registrata nell’anno scolastico precedente, di maggiore severità”. Ma la Cisl non è affatto d’accordo. “Se i dati sono davvero questi – replica Scrima – quelli del ministro mi sembrano proclami a vuoto”. Sulla stessa linea la Ghizzoni. “Nonostante l’ipocrita rammarico per l’assegnazione delle insufficienze agli studenti – conclude la parlamentare – è chiaro che fronteggiare il grave problema dell’insuccesso scolastico non sia tra le priorità del Ministro, occupata piuttosto a costruire una scuola che esclude e che si nega al futuro dei ragazzi”.

E’ soprattutto negli istituti professionali che si registra il maggiore incremento di alunni con almeno una insufficienza: dall’81,3 percento dello scorso anno all’82,7 di oggi. Ma anche nei tecnici dove si sfonda il muro dell’80 percento. Nei licei, compresi gli ex magistrali (oggi socio-psicopedagogici), le cose vanno diversamente. Al classico 62 studenti su 100 hanno rimediato una insufficienza. Valore che sale al 67 per cento allo scientifico e al 73 per cento negli ex magistrali.
Anche nella scuola secondaria di secondo grado i maggiori grattacapi per studenti e genitori sono rappresentati da Matematica, Lingua straniera e Italiano.
La Repubblica 28.02.10

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SCUOLA: GHIZZONI (PD), GELMINI RIFERISCA IN COMMISSIONE CULTURA SU SCRUTINI PRIMO QUADRIMESTRE. Il MINISTRO FORNISCA DATI PRECISI, il SUO RAMMARICO E’ IPOCRITA

Roma, 28 feb. (Adnkronos) – ‘La ministra venga immediatamente a riferire in Commissione sugli esiti degli scrutini del I quadrimestre, fornendo i dati delle insufficienze per materie in numeri assoluti e in percentuali con quelli dello scorso anno, cosi’ da poterli comparare. Dalle informazioni in nostro possesso, ad esempio, non si prefigura per la scuola media un incremento delle insufficienze: perche’ celare questo dato positivo? Forse perche’ non rinforza l’immagine della Gelmini come vessillo del rigore nell’istruzione?’.
E’ quanto afferma la capogruppo del Pd in commissione Cultura alla Camera, Manuela Ghizzoni, secondo la quale ‘la ministra, invece di evocare fantasmi sessantottini come il 6 politico, farebbe comunque meglio ad adoperarsi per una scuola di qualita’, garantendo le risorse per l’aggiornamento degli insegnanti e l’innovazione didattica’.

‘Parole – sottolinea Ghizzoni – evidentemente estranee al suo linguaggio, basta pensare alla totale assenza di questi argomenti dalla presunta ‘epocale’ riforma delle scuole superiori. Nonostante l’ipocrita rammarico per l’assegnazione delle insufficienze agli studenti, e’ chiaro che fronteggiare il grave problema dell’insuccesso scolastico non sia tra le priorita’ della ministra, occupata piuttosto a costruire una scuola che esclude e che si nega al futuro dei ragazzi. Ma un Ministro all’istruzione (un tempo pubblica) che non mostra interesse per la crescita dei livelli di apprendimento di tutti i ragazzi sta assolvendo al proprio dovere? E, soprattutto – conclude – sta facendo il bene della Repubblica?’ .