Università La Sapienza- Aula A – Roma
L’introduzione sarà svolta da Marco Broccati (segreteria nazionale FLC) e conclusa da Domenico Pantaleo (segretario generale FLC). Interviene On. Manuela Ghizzoni.
Partecipano il segretario generale della CRUI prof. Marco Mancini, Mario Morcellini (portavoce dell’interconferenza dei Presidi), Maria Chiara Carrozza, di associazioni studentesche e dei precari, Paolo Rossi (CUN) e di docenti e ricercatori.
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Regionali: Sondaggio Lorien Errani 59% Bernini 29%
La candidata del Pdl, Anna Maria Bernini perde 8 punti e mezzo rispetto alla sua coalizione, mentre Vasco Errani guadagna 6,4 punti percentuale rispetto alla somma dei voti dei partiti che lo sostengono. Il candidato dell’Udc Gian Luca Galletti va meglio del suo partito di due punti. Queste le tendenze dei tre maggiori candidati alle elezioni regionali di marzo fotografate da un sondaggio commissionato dal partito di Casini a livello nazionale alla Lorien and consulting e realizzato a metà febbraio. Secondo la rilevazione il centrodestra arriva al 37,8 per cento (Pdl 25,8, Lega Nord io,8 e altri 1,2) mentre la Bernini si ferma al 29,3. Il centrosinistra invece arriverebbe al 52,8 per cento, mentre Vasco Errani raggiunge il 59,2. Il Pd viene dato al 38,5, l’Italia dei Valori al 6,7, il Prc insieme al Pdci fa il 3,1, Sinistra ecologia e Libertà al 2,9, altri all’1,6). A vantaggio di Bernini ci sono però due considerazioni da fare: tra i candidati è l’ultima arrivata e quindi avrà tempo per recuperare e in ogni caso normalmente le differenze percentuali tra le coalizioni di partiti e il candidato presidente tendono a ridursi normalmente con l’approssimarsi del voto.
Errani e Galletti sembrano invece più forti dei partiti che li sostengono e il dato che riguarda il governatore rivela indirettamente che per ora il cosiddetto caso Delbono non lo sta danneggiando.
Corriere della Sera – Bologna 23.02.10
Il PD partecipa alla primavera antirazzista
Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo? Il primo marzo 2010 l’omonima associazione propone di organizzare una grande manifestazione non violenta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società.
Questo movimento nasce meticcio ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli. Si collega e si ispira a “La journée sans immigrés: 24h sans nou”, il movimento che in Francia sta organizzando uno sciopero degli immigrati per il 1 marzo 2010.
Il PD aderisce all’iniziativa, pubblichiamo l’intervento di Livia Turco.
Il primo marzo, il 20 e 21 marzo in tutto il paese italiani ed immigrati si troveranno insieme per dire no al razzismo si ad una civile convivenza. Si tratta di una mobilitazione importante che ha come protagonisti un cartello significativo di associazioni e gruppi e dei sindacati. Il Pd parteciperà agli incontri ed agli appuntamenti promossi in tutta Italia a partire dal primo marzo. Consideriamo importante che su tutto il territorio italiano i immigrati e italiani si impegnino per combattere la povertà e la precarietà per rivendicare il diritto al lavoro e all’istruzione per promuovere la legalità.
Questa primavera antirazzista è una bella pagina di democrazia perché accresce il senso di responsabilità verso i problemi del paese e ribadisce il valore fondamentale della dignità umana. Il Pd ha contrastato fermamente la legge Bossi Fini e la legge Berlusconi Maroni sulla sicurezza ed è impegnato nella battaglia tesa a costruire una svolta nella politica dell’immigrazione.
A partire dalle questioni più urgenti, anzitutto chiudendo la fabbrica della clandestinità attraverso una lotta ferma allo sfruttamento del lavoro al dilagare del lavoro nero e per imporre la promozione dell’ingresso regolare per lavoro per gli immigrati nell’ambito di una più generale battaglia per il lavoro e per un reddito adeguato. Il governo ha chiuso invece tutti i rubinetti dell’ingresso regolare per lavoro mettendo in contrapposizione italiani ed immigrati dimenticando ciò che dicono i dati Istat del 2009, che hanno visto un aumento della domanda di lavoro degli immigrati perché disponibili a fare lavori manuali ed umili che gli’italiani non vogliono più fare.
L’altra urgenza è un piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza tra italiani ed immigrati dotato di un relativo fondo che con i comuni e le regioni con il volontariato e l’associazionismo affronti i problemi del disagio abitativo, del degrado urbano, dell’accesso alla lingua e cultura italiana della promozione dei diritti dei minori e dei giovani, del sostegno alla scuola, della tutela della salute.
Infine approvare una riforma della legge della cittadinanza che riconosca la cittadinanza italiana a chi ama l’Italia e sopratutto ai minori di 18 anni nati in Italia che oggi sono italiani di fatto ma stranieri per l legge.
Il Pd si impegna a costruire i “forum per la civile convivenza tra italiani ed immigrati” in ogni parte del nostro paese per contribuire ad una battaglia sociale e culturale fondamentale e per avere una Italia più forte e più giovane.
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"Fiat si ferma, 30.000 lavoratori a casa", di Paolo Griseri
Linee ferme per due settimane in tutti gli stabilimenti di assemblaggio. È iniziato ieri il grande stop della Fiat: il più massiccio ricorso contemporaneo alla cassa integrazione degli ultimi decenni, 30 mila dipendenti a casa. È il segnale che il mercato, chiusa la stagione degli incentivi in Italia e in Germania, segna il passo. La decisione di non rinnovare i sussidi al mercato ha avuto come conseguenza un calo degli ordini del 50 per cento rispetto all´inizio dello scorso anno. Secondo Marchionne questo significa che nel 2010 in Italia si venderanno 350 mila auto in meno e che di queste almeno 150 mila saranno del gruppo Fiat.
Nel silenzio delle linee rimangono in piedi le proteste dei punti di crisi: Termini Imerese, Pomigliano e, da qualche giorno, Pratola Serra. La trattativa sul futuro occupazionale in Italia non sarà facile e attraverserà quasi certamente tutto il periodo elettorale. Nulla di ciò che è accaduto finora sembra in grado di far cambiare opinione al Lingotto: «Sul futuro di Termini Imerese abbiamo già detto tutto», ha ripetuto per tre volte ieri John Elkann, numero due della Fiat e principale azionista del gruppo.
Dunque su Termini non si torna indietro, nonostante le speranze manifestate ieri dal ministro Sacconi a Repubblica. Una certezza che spinge Guglielmo Epifani a commentare amaro: «Una Fiat che non ha a cuore il futuro degli stabilimenti italiani, non va bene. Evidentemente ha deciso di investire in altre aree». A far discutere è anche la scelta del Lingotto di pagare i premi ai manager e i dividenti agli azionisti: «La scelta di aumentare gli stipendi ai manager mal si concilia con le dichiarazioni dell´azienda che si dice in difficoltà e che parla di chiudere stabilimenti», osserva il leader della Cisl, Raffaele Bonanni.
Dopo la giornata di tensione di domenica, quando la polizia era intervenuta per rimuovere i blocchi attuati dagli operai ai cancelli, la situazione di fronte alla fabbrica dei motori di Pratola Serra è tornata relativamente calma. Ieri si è svolto un Consiglio provinciale straordinario che da Avellino si è poi trasferito di fronte allo stabilimento. I dipendenti, interessati come i loro colleghi di Pomigliano da una massiccia dose di cassa integrazione, temono che il loro futuro sia in bilico. I motori di gamma medio alta sono infatti quelli che risentono prima degli effetti della crisi e la decisione del Lingotto di trasferire a Cassino la produzione del segmento C portando a Pomigliano la piccola Panda, giustifica le apprensioni delle tute blu avellinesi. La scelta di ricorrere alla polizia per far entrare i tir che trasportano i motori ha reso la situazione incandescente: «Il denaro speso per pagare gli straordinari agli agenti – ha commentato sarcastico Giorgio Creamschi della Fiom – è stato il primo vero intervento del governo nella vicenda Fiat». Sul futuro di Pratola Serra azienda governo e sindacati si incontreranno a Roma venerdì.
La Repubblica 23.02.10
Parte la campagna per le regionali
Le buone ragioni per votare PD raccontate dai candidati e dal segretario nazionale. Sono state al centro di “Buone Regioni” l’iniziativa di apertura a Roma della campagna elettorale per le regionali con quasi tutti i candidati presidenti in Toscana, Puglia, Campania, l’Umbria, le Marche, la Liguria, la Calabria, il Piemonte, il Veneto, la Basilicata.
Bersani ha spiegato perché le opposizioni hanno fatto alleanze comuni nelle regioni: “Nessun politicismo ne tatticismo. Noi vogliamo fare altre politiche di governo e per fare altre politiche è inutile perdere. Bisogna vincere ed è per questo che in questi mesi abbiamo lavorato per migliorare le relazioni con le forze di opposizione per costruire alleanze a livello ragionale. Dopo tante traversie, alcune vere ma altre pompate, siamo sulla griglia di partenza. La macchina si sta scaldando e sono convinto che il motore darà la spinta ma serve ottimismo e fiducia e una buona conduzione della campagna elettorale perché le campagne elettorali hanno un peso molto significativo. certo, il berlusconismo ha preso una piega tale di deformazione dei meccanismi democratici tra fiducie, decreti, parlamentari nominati, che questo ha determinato un sommovimento delle forze moderate e della sinistra radicale per impedire che la destra prevalga. Non riusciamo a parlare dei problemi del Paese perché i metodi usati dal governo che va avanti a colpi di decreti hanno reso silente gran parte della società. Forze economiche e sociali sono state messe sotto ricatto, non si alzano a dire che il problema c’è. La maggioranza – ha concluso il leader Pd – detta l’agenda e crea tifoserie lontane dai problemi veri, ma questo non va bene”. Insomma, sul voto del 28 e 29 marzo Bersani accetta la sfida di Berlusconi che ha parlato di un voto nazionale, di una scelta di campo: “Le nostre coalizioni sono competitive, le candidature buone, abbiamo la capacità di offrire un’idea che è possibile un’altra Italia. Noi chiederemo un voto per dire che le cose così non vanno. Se ora Berlusconi vuole alzare tiro e parlare di battaglia nazionale non ci tiriamo indietro. Alle ultime amministrative il nome di Berlusconi era anche sui manifesti del più sperduto paesello da 2.000 abitanti. E lui ha bisogno del nemico, noi siamo in un altri meccanismo, deve cominciare a capire che lui è importante, ma fino a un certo punto. In 7 anni su 9 che ha governato il presidente del Consiglio i problemi non li ha risolti. Anzi, ha anche aggiunto qualcosa di suo. Ma tanto falsificherà le nostre posizioni, dirà bugie sui nostri programmi”. Quanto ai temi della campagna per le Regionali sarà centrale l’economia: “Negli ultimi 20 mesi ci hanno detto che la crisi non c’era, che i soldi dello scudo fiscale faranno girare l’economia. Mi viene da ridere. Quella manovra è stata solo un’ingiustizia per chi paga le tasse, lo scudo fiscale fa rientrare capitali dall’estero, arrivano 30 miliardi o anche più, come ci raccontano. Ma non ci illudiamo che arriveranno all’economia. Un po’ gireranno nell’edilizia, un po’ nelle obbligazioni delle grandi imprese, ma gli altri torneranno all’estero”.
Nella campagna per le prossime regionali “dobbiamo avere un piglio combattivo – esorta il segretario del Pd – loro ci attaccano ma noi dobbiamo andare giù alla pari.Ad esempio sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. In questo campo, se non c’e’ stato un miglioramento, la colpa e’ loro che governano. Noi dobbiamo impedire al centrodestra di creare i problemi. Ci sono le lungaggini, la burocrazia? C’e’ Brunetta, che volete da noi?”.
E ancora, attaccare sulla Lega Nord, falsa autonomista al contrario dei democratici: “la Lega è un problema del Pdl, tende a posizioni che ci allontanano dall’Europa e spesso e’ determinante per le politiche nazionali. La Lega è un partito fintamente del nord: è la Lega-Roma. E’ il più saldo garante del Governo romano, tutte le volte che nel Governo c’è un problema serio, l’aiuto indefettibile viene da lì. Non possono fare tre parti in commedia” ha spiegato Bersani. Marcedes Bresso, presidente uscente della Regione Piemonte usa toni simili: “In tutta Europa i partiti razzisti e xenofobi sono isolati. Ovunque, tranne che da noi. Questo è un punto politico che non possiamo trascurare. Io – ha aggiunto la Bresso – credo che non sia ancora abbastanza percepito il degrado che sta producendo al Nord la Lega”.
Bersani invece ha ricordato come si è “messo spesso il colore verde in tutti i Comuni, è una mistificazione dell’autonomia che nasconde una grande operazione centralista: il colore dei Comuni è quello dei gonfaloni e noi siamo quelli dei gonfaloni”.
Nel dibattito irrompe inevitabilmente la questione delle iniziative del governo in materia di anti-corruzione e dei candidati “puliti” nelle liste elettorali. “Mi viene da sorridere – dice Bersani – sono mesi che assistiamo a un abbassamento del sistema delle regole da parte del centrodestra. Ora improvvisamente si sono convertiti ad alzare quest’asticella. Ho qualche dubbio, gradirei essere smentito. Il governo e il centrodestra oggi dicono di volere norme anticorruzione? Bastava che dormissero gli ultimi 6 mesi, invece hanno pensato al processo breve, alla Protezione civile spa…. Il tema della trasparenza cruciale. Noi dobbiamo metterci la faccia e dobbiamo sapere che non tutto può essere affidato ai magistrati. Servono criteri della politica, noi abbiamo un nostro codice etico e in piu’ vanno bene le indicazioni della Commissione antimafia. Noi siamo sotto questo profilo in condizioni di garanzia” ha sottolineato Bersani.
Il segretario Pd ha evidenziato che “l’uomo può essere ladro ma anche l’occasione può fare l’uomo ladro” e quindi semplificare i passaggi “tra imprese e amministrazione” impedisce la corruzione. è necessario togliere quello che c’e’ di troppo tra la vita dei cittadini, la vita delle imprese e le amministrazioni. Non sto dicendo di non mettere regole. Le regole ci vogliono ma quelle efficaci’
Il tema della legalità dell’azione criminale è stato al centro anche delle dichiarazioni del candidato calabrese Agazio Loiero, implicato nell’inchiesta Why not, la cui sentenza è attesa fra tre giorni. Loiero ha annunciato che si ritirerà se verrà condannato e ha ricordato come . la sua giunta si sia costituita parte civile in tutti i processi per n’drangheta, poi nonostante un bilancio gracilissimo la Regione ha stanziato 5 milioni di euro per comprare le auto alla polizia e abbiamo fatto la staizone unica appaltante per sottrarre alle mafie le opere pubbliche”
E sull’inchiesta giudiziaria sugli appalti del G8 Bersani ha commentato: “La magistratura farà il suo lavoro per accertare quel che è successo. Penso che questo aiuterà anche a correggere le regole e a non fare ulteriori errori perché’ si possa riprendere un clima di serenità. Questo paese ha un sacco di problemi e dobbiamo poterli affrontare”. In sala, al centro Grandi Eventi di Roma, mancano Emma Bonino, candidata nel Lazio, Filippo Penati (Lombardia) e Vasco Errani (Emilia Romagna). La candidata è in Lombardia per spiegare le ragioni che l’hanno portata a proclamare uno sciopero della fame e della sete: la battaglia per l’accesso ai mezzi di informazione e la regolarità dei meccanismi di autenticazione delle firme. Ma Pier Luigi Bersani, presentando a Roma i candidati del centrosinistra alla Regionali, rassicura: la minaccia di ritirare i candidati radicali non significa che Bonino farà un passo indietro: “Non credo – dice il segretario Pd – che comunque la sua candidatura sia a rischio”. C’è invece Nichi Vendola che esorta il Pd a “ritrovare le parole giuste che ricostruiscano un’idea di coalizione e di alternativa” specie “a fronte delle crepe importanti che si manifestano nel blocco di centrodestra”. Enzo De Luca, candidato in Campania fa autocritica: “A Napoli il governo di centrosinistra ha sbagliato. Punto. Quando i rifiuti arrivavano ai primi piani dei palazzi, noi eravamo al governo. Però ora smettiamola con la propaganda: l’emergenza rifiuti è tutta quanta in piedi in Campania. I rifiuti sono accumulati nei grandi territori devastati a nord di Napoli. Lì ci sono milioni di tonnellate di ecoballe e in quel territorio si registrano i tassi di malattie tumorali più alti d’Italia”.
Le buone ragioni le ha ben riassunte in uno slogan Giuseppe Bertolussi ,candidato in Veneto: “C’è voglia di fare, abbiamo idee buone, e con la nostra testa le faremo camminare”. Da qui al voto di marzo, e poi al governo nelle buone regioni.
Marco Laudonio
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"Il partito mai nato", di Massimo Giannini
Nello scandalo della protezione civile è racchiusa la parabola del Pdl. una felice e astuta intuizione del capo che ne riflette tutti i limiti. Nella massa gelatinosa dello scandalo sulla Protezione civile è racchiusa la parabola di un partito mai nato. Invischiato tra le logiche politiche di governo e le pratiche affaristiche del sottogoverno, il Pdl si disvela per quello che era ed è rimasto fin dal giorno della famosa “Rivoluzione del predellino”: una felice ed astuta intuizione del Capo, che ne riflette tutti i limiti culturali e ne amplifica tutti i vizi individuali. L’ennesima proiezione avventuristica del solito “partito personale”, dalla quale non si è mai generato un vero “personale di partito”.
Questo dicono i veleni spurgati dalla ferita aperta nel cuore del potere berlusconiano, che macchiano per la prima volta la camicia bianca immacolata di Gianni Letta. Questo dimostrano le vipere uscite improvvisamente dal nido scoperchiato dalle inchieste delle procure, che si mordono tra loro contendendosi quello che Giuliano Ferrara sul Foglio chiama “l’osso della successione”. Questo conferma l’ultimo scontro durissimo tra il premier e Fini, sulla lettura della nuova Tangentopoli, sulla natura delle inchieste giudiziarie in corso, sulla fattura delle cosiddette “liste pulite”.
Due anni fa la fusione “a caldo” tra Forza Italia e Alleanza Nazionale fu la cosa giusta da fare. Ma il modo in cui è stata prima concepita e poi gestita testimoniano il sostanziale fallimento al quale stiamo assistendo. In quel pomeriggio freddo di Piazza San Babila, a Milano, Berlusconi si è “annesso” un Fini alle corde, alla vigilia del voto del 13 aprile 2008. L’operazione è riuscita perfettamente dal punto di vista elettorale. Il Partito del Popolo delle Libertà, blindato dal rituale patto di sangue con la Lega di Bossi, ottenne allora un successo clamoroso, con una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia repubblicana. Si disse allora, giustamente, che il Cavaliere aveva compiuto il suo capolavoro. Dopo quasi quindici anni vissuti pericolosamente, tra populismo mediatico e autoritarismo politico, era finalmente riuscito a cementare un blocco sociale largamente maggioritario nel Paese: una nuova destra. Non ancora risolta. Non del tutto europea.
Ma il dado era tratto, e il cantiere ormai aperto. L’originario “partito di plastica” lasciava il campo a un “partito di ferro”, articolato negli organigrammi e radicato nei territori. L’anchorman di Arcore non aveva più solo un suo pubblico, aveva finalmente un suo popolo. Su tutto questo, dopo aver fatto Forza Italia, avrebbe dovuto fare i “suoi” italiani. Moderati e conservatori, ma nel cambiamento. Su tutto questo, in altre parole, avrebbe dovuto costruire un nuovo progetto politico, culturale, identitario. Per poi farlo vivere attraverso l’azione di governo e la comunicazione dei ministri, la formazione dei gruppi dirigenti e la selezione degli apparati locali, l’integrazione tra i ceti sociali e l’interazione con le opinioni pubbliche.
Tutto questo, da quel lontano 18 novembre 2007, è clamorosamente mancato. Aveva ed ha ragione Gianfranco Fini, che già allora e poi al congresso fondativo del Pdl avvertì: non basta uscire dalla casa del padre per dire “abbiamo fatto un partito”. A quel partito occorreva ed occorre dare una struttura, un’organizzazione e poi una missione. In una parola: a quel partito bisognava e bisogna dare “un’anima”. Se tutto questo manca, un partito muore. Oppure, come nel caso del Popolo delle Libertà, nasce all’anagrafe, ma non alla politica, e meno che mai alla società. O meglio: può anche nascere, può persino sopravvivere, ma a tenerlo in vita non è un disegno unitario, non sono valori comuni e ideali condivisi. È invece nella fase statica la pura giustapposizione degli interessi, e nella fase dinamica la strenua difesa dei medesimi. Ma niente più di questo.
Infatti, oggi, è proprio questo nulla ad essere rivelato tangibilmente, nelle pieghe politiche che hanno mandato in crisi, stavolta sì per via giudiziaria, il governissimo Berlusconi-Bertolaso. E in questo nulla, che sembra preludere o sottintendere quello che i giornali di famiglia chiamano un più o meno strutturale “difetto di conduzione che risale al Principe”, deflagrano le guerre intestine, il fuoco amico, le veline al curaro “di chiara fabbricazione interna”. Esplodono i conflitti tra sub-potentati nazionali e cacicchi locali, tra potenziali “delfini” e sedicenti “successori”. Dalle politiche fiscali alle candidature regionali, dalle nomine nell’establishment alle Spa pubbliche: non c’è fronte aperto, dopo la pubblicazione dei materiali d’indagine delle procure di Firenze o di Roma, sul quale non impazzi la lotta fratricida.
È il tutti contro tutti: Fini contro Berlusconi, Tremonti contro Letta, Ghedini contro Verdini, Cicchitto contro Fitto, Cosentino contro Bocchino. E via a scendere, per li rami di un’improbabile albero “dinastico”. Qualcosa di più complesso della semplice “degenerazione cortigiana”. E di meno nobile dell’antica dialettica interna ad un vero partito di massa come la Dc, dove i leader si scannavano, ma alla fine trovavano una sintesi, più o meno compromissoria, all’insegna di una constituency visibile, ancorché discutibile: lo statalismo assistenziale, il solidarismo cattolico, l’economia sociale di mercato all’italiana, il proporzionalismo clientelare.
Nel Pdl questi ingredienti sono mancati e mancano in radice. C’è un’altra idea della destra, laica e costituzionale, incarnata dal presidente della Camera. Ma le istanze del “co-fondatore” non hanno diritto di cittadinanza, o sono palesemente ininfluenti perché largamente minoritarie. Per il resto c’è l’anchilosi delle politiche e la paralisi delle culture. Questo centrodestra non offre agli italiani un’idea di Paese possibile. Dal Welfare alle tasse, dalla recessione alle istituzioni, non è in grado di proporre riforme, e meno che mai di attuarle. Tutto si gioca e si consuma nel perimetro asfittico, intermittente e inconcludente del vitalismo leaderistico di Berlusconi, che ormai da tempo regna ma non governa. Mentre, sotto di lui, la corte si dilania.
Da questo punto di vista, lo scandalo della Protezione Civile apre uno squarcio ulteriore, e ancora più inquietante, sul futuro che ci aspetta. Quello che ha innescato, in termini politici, è un’illuminante epifania su ciò che potrebbe accadere (o forse accadrà) nel dopo-Berlusconi. Una scissione atomica, dove le “particelle”, piccole o grandi che siano, rischieranno di disperdersi nel caos entropico. Per cui – salvo soluzioni “imperiali” e di matrice cesarista, assurde ma coerenti con la biografia dell’uomo, tipo la figlia Marina – la vera domanda da farsi domani non è tanto “chi”, ma “che cosa” succederà a Berlusconi. Quanto all’oggi, non resta che constatare l’insostenibile “acedia del potere berlusconiano” (ancora Il Foglio). Il vero “amalgama mal riuscito” sembra il Pdl, persino più che il Pd.
La Repubblica 23.02.10
Crisi, incontro tra Pd e sindacati
Si prospetta un 2010 ancora più difficile. Un’agenda di priorità sarebbe possibile se il governo si occupasse di problemi reali. In mattinata il Pd modenese ha incontrato Cgil, Cisl e Uil per presentare i contenuti della campagna di mobilitazione del partito sui temi del lavoro, in corso in questi giorni.
Erano presenti, per il Pd, il segretario provinciale Davide Baruffi, il presidente della commissione crisi del Consiglio comunale di Modena Michele Andreana e l’on. Ivano Miglioli, componente della commissione Lavoro della Camera. Per Cgil, Cisl e Uil rispettivamente i segretari provinciali Donato Pivanti, Francesco Falcone e Luigi Tollari.
Riforma ed estensione degli ammortizzatori sociali e sostegno fiscale ai contratti di solidarietà da un lato; sostegno ai redditi da lavoro e delle pensioni, investimenti in formazione e ricerca, incentivi all’economia verde dall’altro. Queste tra le principali proposte per affrontare una crisi che non solo non è finita, ma che presenta oggi il suo conto più salato sul piano sociale, nel momento in cui vanno in scadenza le 52 settimane di cassa integrazione e si accresce la lista della disoccupazione silenziosa per i lavoratori atipici (a tempo determinato o a progetto).
“La Regione Emilia Romagna – sostiene Baruffi – ha investito in questa direzione e sta facendo più di quanto non abbia fatto il governo nazionale con 10 provvedimenti anticrisi. E tuttavia non è sufficiente. Fino a quando il governo non riconoscerà che la crisi non è passata e che la condizione reale in cui versano le nostre imprese e i lavoratori sono drammatiche sarà ben difficile attendersi provvedimenti strutturali sia sul fronte della tenuta occupazionale, sia su quello della difesa dei redditi da lavoro”.
Che la crisi non sia terminata lo affermano anche i tre rappresentanti sindacali, che prospettano un 2010 ancor più difficile sul piano occupazionale e sociale. Manca anche una vera politica industriale, capace di traghettare il Paese fuori dalla crisi puntando su ricerca, innovazione e ambiente: su questo Pd e sindacati concordano, riconoscendo al tempo stesso che anche alla Regione e agli Enti Locali spetta su questo fronte un ruolo decisivo per promuovere nuove filiere produttive.
“Gli Enti Locali hanno assolto a un compito oneroso in questo ultimo anno e mezzo – sostiene Michele Andreana – nella misura in cui il Governo è latitante e tutte le contraddizioni si scaricano sul territorio. La riforma del welfare locale è avviata ma non conclusa e la sessa riorganizzazione delle burocrazie locali può fare ulteriori passi avanti. E tuttavia sarebbe illusorio immaginare che le risorse per includere tutti, estendere e rafforzare i servizi, possano venire solo da comuni e province: occorre una politica nazionale che non c’è e che sta abbandonando le comunità locali a se stesse”.
Non da ultimo il ruolo delle piccole e medie imprese: sostegno nell’accesso al credito, semplificazione amministrativa e rafforzamento degli ammortizzatori sociali anche per gli occupati nelle PMI, miglior riparto del carico fiscale e investimenti locali rappresentano le condizioni essenziali per un rilancio del ruolo degli artigiani di questo territorio, che rischiano invece di pagare il prezzo più alto di una crisi così prolungata.
“Il Parlamento non ha ancora avuto occasione di discutere della crisi – ribadisce l’on. Ivano Miglioli – cosa che non ha eguali nel resto d’Europa: da noi si preferisce inchiodare le istituzioni attorno a questioni che riguardano pochi noti, anziché affrontare i problemi delle imprese, dei lavoratori e delle loro famiglie”.
“Pur nella differenza di punti di vista – ha concluso Baruffi – è possibile affermare che un’agenda di priorità condivise sarebbe possibile. Se il Governo si occupasse di queste cose – lavoro, famiglie, ambiente, scuola – non solo potrebbe registrare quell’unità sindacale che fino a oggi è mancata, ma darebbe agli italiani il senso che, pur nella difficoltà, la politica è concentrata sui problemi reali delle persone”.