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Scuola. Iscrizioni, Ghizzoni (PD): le famiglie scelgono la qualità

“Il Maestro unico percepito come modello didattico povero”.”Le famiglie vogliono il meglio per i propri figli, perche’ sanno quanto conta l’investimento nell’educazione. E il meglio e’ un’offerta formativa ricca e stimolante”. Cosi’ Manuela Ghizzoni, deputata del Pd, commenta l’inchiesta dell’agenzia Dire secondo cui, ad una prima ricognizione, le famiglie avrebbero scelto, in fase di iscrizione alla primaria, soprattutto il tempo pieno.
“Le 24 ore- continua Ghizzoni- sono un modello rigido e anacronistico che non rispetta l’esigenza che hanno i ragazzi di confrontarsi con forme espressive diverse. Il modello del maestro unico e’ povero. In piu’- chiude- i genitori hanno compreso che i nuovi modelli orari erano dettati piu’ che altro da ragioni di bilancio”.

Università, Pd: governo blocca università. Ghizzoni: auspichiamo modifiche a milleproroghe

“Il Governo vuole bloccare il sistema universitario”. Lo denuncia la capogruppo democratica nella commissione cultura della Camera, Manuela Ghizzoni che sottolinea come “non si possa spiegare altrimenti l’assenza nel decreto milleproroghe del ‘tradizionale sconto’ del costo personale universitario convenzionato con il Ssn dal rapporto fra le spese per gli stipendi e il finanziamento statale. Senza questo sconto – sottolinea Ghizzoni – moltissimi atenei rischiano di superare la soglia del 90% del fondo di funzionamento ordinario destinato a spese di personale e in questo modo incapperebbero nella tagliola voluto dalla Gelmini del totale blocco del turnover. Per scongiurare una vera e propria chiusura di molti atenei abbiamo presentato un emendamento al decreto milleproroghe su cui auspichiamo la più ampia convergenza della maggioranza e del Governo”.

"Le città all'esame dei redditi. Dieci lombarde tra le prime", di Andrea Maria Candidi e Giovanni Parente

Un collage di mille fotogrammi ad alta risoluzione. Anzi, ottomilacentouno, tanti quanti sono i campanili italiani. E non bisogna lasciarsi tradire dalla prima sensazione – come quella che attraversa chi guarda un’istantanea vista altre mille volte – alla lettura dei redditi Irpef 2008. Perché dietro al quadro di un paese che conferma di andare avanti a due velocità, da una parte il Nord, dall’altra il Sud (si veda la cartina a fianco con le diverse intensità di colori che “pesano” i capoluoghi), si nascondono anche sorprese.
Di certo, nella hit parade dei redditi medi per città, prima di ritrovarsi al di sotto del Rubicone è necessario scendere di molte posizioni: Fiesole, nel fiorentino, arriva 51 posti dopo Medea, in provincia di Gorizia, che è prima assoluta con più di 54mila euro di media a contribuente. Mentre Roma, in testa tra le metropoli del Centro-Sud, costringe a spingersi fino al numero 108. Il divario con Milano – al 17° posto nella graduatoria generale, ma in testa nella classifica dei soli capoluoghi – è evidente: 24.500 euro contro 30mila.

Sono in Lombardia, peraltro, dieci città tra i primi venti capoluoghi, praticamente tutte, tranne Cremona e Sondrio. I numeri dei capoluoghi (si veda la tabella in alto a destra) confermano inoltre l’eccezionalità, di questi tempi, della profezia sugli ultimi che saranno i primi: le ultime province nate – ad esempio il Medio Campidano della Sardegna, o Barletta-Andria-Trani in Puglia – sono proprio nelle ultime posizioni. Il recordo del Sud e delle Isole spetta invece al capoluogo sardo: Cagliari si colloca al 28° posto in graduatoria con poco più di 22mila euro dichiarati di media, seguito da Caserta (33°) con 21.760 euro.

I dati del ministero delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi 2008 forniscono la possibilità di guardare, all’interno delle singole realtà, la distribuzione dei contribuenti in base al reddito. Così, ad esempio, le città che hanno il numero più alto di residenti che dichiarano oltre 100mila euro – classe massima censita – sono esattamente quelle ai primi posti nella classifica dei capoluoghi. Le prime dieci hanno tutte un numero di ricchi superiore al 2% del totale dei propri contribuenti (a Milano, addirittura il 3,5 per cento). Un’altra simulazione permette di affermare come, in linea generale, tra il 2004 e il 2007, sia diminuito complessivamente il numero di cittadini che dichiara fino a 10mila euro, mentre è aumentata la percentuale di ricconi.

Ma, ci si chiede, è proprio questa la realtà? Come fa mezzo paese ad andare avanti con livelli di reddito così bassi? «Le differenze dipendono non solo dalla capacità di produrre redditi, ma anche dalla fedeltà fiscale» fa notare Luca Ricolfi dell’osservatorio Nord-Ovest e docente di Analisi dei dati all’università di Torino. L’articolazione del quadro va oltre la distinzione Nord-Sud perché si possono registrare variazioni significative in termini di mancata dichiarazione anche all’interno di una stessa area geografica. Anche in chiave federalismo fiscale, l’invito di Ricolfi è proprio di fare attenzione a quale sarà il metro di misura utilizzato perché molto potrebbe cambiare se si considera il gettito effettivo o quello potenziale.

«Ci sono indicazioni che sottolineano come l’evasione fiscale al Sud sia più alta per Iva e Irap, probabilmente qualche ricaduta potrebbe verificarsi anche per l’Irpef» è l’impressione di Massimo Baldini, professore di Scienza delle finanze all’università di Modena. Il divario che si legge dai numeri potrebbe non essere quello che si registra nel quotidiano. «La distanza nei redditi medi tra regioni settentrionali e meridionali – riflette ancora Baldini – è maggiore di quella che si registra nei consumi. Questo dipende dagli effetti redistributivi della spesa pubblica e dall’evasione fiscale».

Oltre i dati sui valori medi, ci sono realtà consolidatesi nel tempo. Prendiamo, ad esempio, proprio le città del Sud. «Il valore medio fotografa da un lato un divario di sviluppo – precisa Luca Bianchi dello Svimez – in cui esiste una fortissima polarizzazione dei redditi con diseguaglianze marcate». Allo stesso tempo, però, c’è anche un altro lato della medaglia da considerare: «La media è portata in basso da chi dichiara zero». In sostanza, l’evasione non è solo quantitativamente, ma anche qualitativamente diversa. «Nel Mezzogiorno esiste ancora una quota di evasori totali – aggiunge – perché ci sono situazioni di sommerso che in alcuni casi possono coinvolgere tutta la filiera produttiva». Attenzione, poi, a invocare il diverso impatto della dinamica dei prezzi nei centri meridionali. «A un costo della vita che può essere più basso al Sud – conclude Bianchi – fa da controaltare un livello dei servizi erogati inferiore rispetto alle altre aree. Questo significa che imprese e cittadini devono spendere per potervi accedere».
Il Sole 24 Ore 22.02.10

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“Solidarietà federalista da inventare”, di Massimo Bordignon

I dati sui redditi medi dichiarati dai contribuenti nelle città italiane impressionano per le differenze, ma non costituiscono certo una sorpresa. Nella città più ricca (Milano) si dichiara tre volte quello della città più povera, Adria. Le prime quattro città per livello di reddito sono tutte lombarde; per trovare una città del Sud, bisogna scendere alla 33esima posizione. Viceversa, le ultime venti città sono tutte situate nel mezzogiorno. Ma il divario Nord-Sud non è l’unica chiave di lettura suggerita dai dati.

Le due grandi metropoli e capoluogo di regione, Milano e Roma, spiccano rispetto ai relativi territori. Viceversa, in altre Regioni sono le città più piccole a dominare nella classifica dei redditi. Siena e Pisa sono più ricche di Firenze, Padova e Treviso di Venezia, Novara lo è di Torino. Certo i dati vanno presi con cautela. Stupisce per esempio la posizione relativa di Trento e Bolzano, che appaiono più povere di Como e Firenze. Bisogna però ricordare che si tratta dei redditi dichiarati, con tutto ciò che ne consegue.

Ma il quadro generale che ne emerge è chiaro. Ed è un quadro su cui il legislatore dovrebbe riflettere seriamente. La legge delega sul federalismo fiscale, approvata nel 2009, è ora in via di attuazione. Non c’è dubbio che alcune cose previste nella legge mal si conciliano con la realtà fotografata dai dati sui redditi.

Per esempio, un’indicazione che si ricava dalla lettura della legge è che addizionali e sovraimposte Irpef dovrebbero diventare uno dei cardini dell’autonomia regionale e locale. I dati del Sole 24 Ore consigliano molta cautela nel perseguire questa strada.

Difficile costruire un sistema federale sostenibile quando le differenze nell’attribuzione delle risorse tributarie sono così rilevanti. Per i comuni, in particolare, è necessario ampliare la batteria dei tributi disponibili. È stato sicuramente un errore abolire l’Ici sulla prima casa, che offriva un gettito sicuro ai comuni e sui quali c’era un chiaro rapporto tra la base imponibile e le politiche svolto a livello municipale; il valore di una casa dipende dai servizi offerti dal comune.
Ma anche altre tipologie di imposte dovrebbero essere considerate. Per esempio, i consumi sono distribuiti in modo più uniforme sul territorio del reddito. E una compartecipazione all’Iva su base comunale potrebbe anche tener conto del fenomeno del pendolarismo, soprattutto per le città di grandi dimensioni. I pendolari consumano in loco, ma non pagano per i servizi di cui usufruiscono e che sono finanziati con le imposte pagate dai residenti. Una compartecipazione comunale all’Iva servirebbe a riequilibrare il sistema.

Una seconda indicazione che emerge è un auspicio a una grande attenzione nell’attuazione della legge per quanto riguarda i servizi che nel nuovo sistema i comuni dovranno offrire. La legge delega è molto rigida su questo punto; identifica un insieme di funzioni fondamentali che tutti i comuni dovrebbero offrire (circa l’80% delle spese attuali) e pretende di costruire un sistema perequativo che finanzi tutti questi servizi nella stessa misura.

Ma i comuni, anche solo limitandosi alle città di medie-grandi di questo campione, sono molto diversi tra di loro e hanno esigenze differenziate. Un’impostazione troppo rigida rischia solo di essere dannosa oltre che irrealistica. Meglio piuttosto selezionare alcuni servizi su cui c’è una forte esigenza solidaristica a livello nazionale (per esempio, la dotazione di asili nido) e concentrare su questo lo sforzo perequativo.

Infine, i dati ci dicono qualcosa anche sul tema annoso delle città metropolitane. La legge delega le identifica (sono nove, di cui otto già note, a cui all’ultimo momento è stata aggiunta anche Reggio Calabria) ma non dice cosa queste devono fare. Una recente proposta governativa risolve questo problema elencandone le funzioni, ricalcandole da quelle delle attuali Province e aggiungendone altre. Ma l’ipotesi di fondo della proposta governativa è che tutte le città metropolitane, una volta istituite debbano fare tutte le stesse cose. Alla luce delle differenze che emergono anche solo dal lato delle risorse economiche, esemplificate qui dal reddito dei cittadini, ha senso questa impostazione? O non era meglio prevedere anche in questo caso una differenziazione delle funzioni, sulla base delle esigenze diverse del territorio?

Il Sole 24 Ore 22.02.10

La tangentopoli dei birbantelli

Per Berlusconi non esiste nessuna tangentopoli ma solo dei birbantelli. Isolato dal mondo attacca Prodi che gli risponde per le rime: “Di malgoverno gli italiani hanno conosciuto quello di Berlusconi. È lui il premier delle promesse disattese che difende con le unghie e con i denti se stesso e le proprie aziende”. Nessuna nuova tangentopoli, nessuna corruzione ma, al massimo,solo qualche caso isolato. Così Berlusconi sulla valanga che sta schiacciando il Pdl sotto il fango della corruzione e dell’affarismo più spietato. E non contento del solito spot pubblicitario ha annunciato che nelle liste del Pdl non ci saranno “personaggi compromessi in modo certo”. A nessuno però è dato da sapere cosa intenda dire e, soprattutto, chi sia il giudice supremo per stabilire il “modo certo”. Anche perché non saranno certo i giudici, tanto odiati dal premier, a stabilire le regole. Quello che si sa è che per lui l’opposizione chiacchiera e sa dire solo di no. Un disco rotto dei vari ripetuto dai Bondi, La Russa e Bonaiuti che su ogni microfono dei cronisti lanciano i soliti discorsi pieni di luoghi comuni solo per nascondere le difficoltà di una maggioranza sempre più litigiosa e senza scrupoli.

Gli indagati e i corrotti sono solo dei “birbantelli” di un governo che sa solo “fare”. Un ragionamento senza una piega per Berlusconi a cui va aggiunto il classico attacco al malgoverno di Prodi che riempiva di spazzatura la Campania. Ma chi ci crede ancora? Gli italiani sono davvero così scemi da pensare che Berlusconi è il governo delle imprese delle pulizie?

La risposta di Prodi non si è fatta attendere. Attraverso la sua storica portavoce. Sandra Zampa, il professore ha restituito al mittente l’effimera accusa. “Di malgoverno gli italiani hanno conosciuto quello di Berlusconi. È lui il premier delle promesse disattese che difende con le unghie e con i denti se stesso e le proprie aziende”. Quanto all’emergenza rifiuti a Napoli, poi, “è bene ricordare come lo stesso Bertolaso abbia più volte dichiarato di aver seguito il piano già predisposto con il presidente Prodi, risultato dunque molto efficace”.

Berlusconi sa solo pensare a sé stesso. L’attività del suo governo è un continuo susseguirsi di atti idonei a nascondere la polvere sotto il tappeto e a immunizzare il premier da ogni possibile accusa. Arrivano nuove scottanti intercettazioni e fanno male. Non c’è nulla di meglio che regolamentare le intercettazioni in modo tale che nessuna possa più nuocere al premier. Il ragionamento non fa una piega!

“Anche oggi il Presidente del Consiglio, i ministri e i rappresentanti della maggioranza non hanno perso tempo. Alfano annuncia ancora che arriverà il provvedimento anti corruzione (ma nessuno sa di cosa si tratta) e che la maggioranza marcerà in Senato per imporre il suo ddl sulle intercettazioni. Sappiamo che quel ddl, così come è uscito dalla camera, non lo voteremo mai”. Lo ha dichiarato in una nota Anna Finocchiaro, Presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama.
“Il Premier poi – prosegue la Presidente – ha attaccato Pd e opposizioni, come spesso fa quando è in difficoltà, e ha negato evidenti verità che riguardano la maggioranza. Cercano di alzare la polvere per coprire una realtà che per loro è purtroppo molto triste e inquietante. La magistratura farà luce sulle inchieste in corso”.

“Non sta a noi giudicare. Ma quello che emerge è comunque un quadro di gestione del potere assolutamente non trasparente. E quello che più infastidisce è che gli atti conosciuti di questo governo, penso al processo breve, al legittimo impedimento e al ddl sulle intercettazioni, sono provvedimenti che non aiutano la lotta alla criminalità e la giustizia tutt’altro. Berlusconi può continuare a fare la vittima e ad attaccare l’opposizione ma ormai è un modo stantio”.
“Consiglierei al Premier e al Pdl maggiore prudenza. La loro difficoltà politica è evidente e non la risolveranno accusandoci e alimentando inutili annunci, perché gli italiani stanno cominciando a rendersi conto della verità” conclude Anna Finocchiaro.

Per Filippo Penati, capo della segreteria di Bersani, “Berlusconi farebbe meglio a guardare ai guai del PDL che cerca di nascondere. E’ paradossale che si occupi del PD mentre la sua coalizione mostra ogni giorno di essere in grave difficoltà. Come è paradossale che continui a parlare di dialogo mentre sfugge al confronto e umilia il Parlamento con continui decreti e voti di fiducia.
Tutto questo mentre la maggioranza continua a occuparsi dei problemi del Premier e non di quelli del Paese”.
A.Dra
www.partitodemocratico.it

"Intercettazioni, bavaglio entro marzo e il Csm sarà messo sotto tutela", di Liana Milella

Le mosse di Berlusconi sulla giustizia: gli esperti del guardasigilli lavorano al blitz. Giulietti (Pd): disobbedienza civile contro il divieto di pubblicazione
Intercettazioni prima delle regionali e Csm sotto schiaffo, prorogato per sei mesi con la scusa dei trasferimenti delle toghe nelle sedi disagiate, in realtà in vista di una nuova legge elettorale in chiave anti-toghe. In più, nella ormai prossima riforma costituzionale, un´Alta corte che “scippi” al Csm la sezione disciplinare e assommi in sé anche le funzioni del Tar e del Consiglio di Stato per i ricorsi contro i trasferimenti per tutte le magistrature, ordinaria, contabile, amministrativa. In pratica, un Csm messo sotto tutela con la creazione di un ibrido doppione.
Un blitz a cui stanno lavorando gli esperti di via Arenula che, come prima mossa, punta ad approvare al Senato il ddl sulle intercettazioni esattamente nella stessa versione in cui, con la fiducia, lo ha votato la Camera l´11 giugno 2009. Lo dice il Guardasigilli Angelino Alfano: «Quel testo rappresenta un punto di equilibrio tra esigenze delle indagini e diritto alla riservatezza». Niente modifiche, nonostante i rigidi paletti posti dal Colle nel luglio di un anno fa, perché questo aprirebbe la via del un ritorno alla Camera dove i berluscones, che lo dicono esplicitamente, temono l´intervento di Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia della Camera, che in più punti ha cercato di limitare i danni.
Conviene ricordarlo: il 3 giugno 2008 il governo varò un ddl che ammetteva le intercettazioni solo per reati oltre i dieci anni. E Berlusconi non era nemmeno soddisfatto perché se fosse stato per lui dovevano essere possibili «solo per mafia e terrorismo». Se quel ddl fosse passato così, oggi non potremmo leggere cosa si dicevano, tra 2008 e 2009, gli imprenditori coinvolti nell´inchiesta di Firenze. Come sottolinea l´opposizione, questa è la contraddizione politica del Pdl che da un lato blocca le indagini con il ddl sugli ascolti, e dall´altro cerca di contrastare i danni mediatici ed elettorali dell´inchiesta di Firenze con il provvedimento (ammesso che si faccia) sulla corruzione.
La road map che si sta elaborando è questa: la prossima settimana via libera in commissione Giustizia al Senato del legittimo impedimento, votato poi definitivamente in quella successiva. Nella quale, al contempo, discutere gli emendamenti alle intercettazioni, per bocciarli tutti, e passare subito in aula. Nessun timore per la firma di Napolitano perché, sostengono gli uomini del Cavaliere, «il testo non presenta quell´evidente fumus di incostituzionalità che può consentire al presidente di negare il visto». Tra gli ex forzisti non ci sono dubbi, il testo va votato senza ulteriori cedimenti. Lo dicono Cicchitto, Osvaldo Napoli, la Santelli.
E i dubbi dell´opposizione? Ignorati. Quelli di Casini («Le intercettazioni permettono ai magistrati di cogliere i ladri con le mani nel sacco»). E quelli di Beppe Giulietti che, con Articolo 21, annuncia «disobbedienza civile» contro il divieto di pubblicazione degli ascolti anche per riassunto. «Si devono evitare le gogne mediatiche» gli ribatte Roberto Centaro, ex magistrato e relatore del ddl al Senato. In sintonia con il premier che ha proprio questo obiettivo: rendere definitivo quel divieto.
Per il Csm, da cui verranno ancora critiche contro le nuove norme, è in cottura una minestra avvelenata: la nuova legge elettorale che rende obbligatoria una proroga del Consiglio attuale fino alla fine dell´anno. Come pezza d´appoggio Alfano utilizza la legge sui trasferimenti d´ufficio nelle sedi senza pm appena fresca di approvazione. Il Csm dovrà applicarla, e quindi deve restare al suo posto. Se il cambio di regole elettorali potrà andare in porto subito, ci vorrà invece ben più tempo per l´Alta corte per cui è necessaria una legge costituzionale.
La Repubblica 22.02.10

"Infibulazione, la battaglia dalla parte delle bambine", di Rachele Gonnelli

L’obiettivo di eliminare nel 2010 la pratica delle mutilazioni sessuali femminili non è stato raggiunto: ogni anno le vittime sono tre milioni Ma ci sono stati passi avanti. Il caso della Mauritania e la fatwa degli ulema.
Doveva essere l’anno zero, il 2010, la fine della pratica della mutilazione genitale femminile, una piaga che colpisce 3 milioni di bambine ogni anno soprattutto nell’Africa centrale ma anche in Indonesia, Egitto e persino tra le immigrate in Europa e in America. Servirà invece almeno un’altra generazione per debellare la pratica che prescrive ad ogni madre e zia di ragazza «perbene» di essere la sua carnefice, la sua torturatrice.
La tradizione, ammantata da precetto religioso per i musulmani ma seguita in Senegal ad esempio anche dalla minoranza cristiana, vuole che la giovane degna di essere sposata sia amputata in tutto o in parte del clitoride. «Altrimenti è convinto Fatimatou, un padre di Nouakchott in Mauritaniamia figlia non potrà pregare o sposarsi». In occasione della giornata mondiale contro la mutilazione genitale femminile dello scorso 6 febbraio l’Unicef ha ricordato che nel mondo ci sono 120 milioni di donne che hanno subito questo trattamento. Cinquecentomila vivono in Europa. Una diritto umano calpestato, eppure non esiste ancora nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che abbia bandito questa attività, chiesta a gran voce dalla campagna Tolleranza zero a cui partecipa l’associazione Non c’è pace senza giustizia. Negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante, in molti Stati sono state emanate leggi contro la mutilazione femminile, soprattutto tra la prima e la seconda conferenza del Cairo sui diritti delle donne, cioè tra il 2003 e il 2008. L’attività di lobbing delle associazioni internazionali, appoggiate dalle agenzie Onu, ha conquistato alla causa importanti appoggi istituzionali da governi e first lady come Suzanne Mubarak e Chantal Compaoré di Egitto e Burkina Faso, che hanno promosso convegni e campagne d’informazione.
È il lavoro sul campo però il più complesso, nelle zone rurali e arretrate. Proprio dove è più diffusa l’infibulazione delle ragazze e delle bambine il processo di affrancamento da questo retaggio da schiave è più lento. Per contrastarlo non basta una campagna di sensibilizzazione sui rischi di effetti collaterali con personaggi famosi come testimonial. Bisogna andare casa per casa, convincere il gran marabù e il capo tribale. È ciò che è avvenuto in questi mesi in dieci villaggi del Niger occidentale, nella regione del Tillabery al confine con il Mali, che si sono convinti ad abbandonare queste pratiche. In Sudan il governo ha promosso una campagna di informazione capillare con l’obiettivo di ridurre a zero le mutilazioni entro una generazione, «entro il 2018», vista la tendenza che vede di madre in figlia decrescere fortemente il numero di coloro che accettano di tramutarsi da vittima in carnefice.
In Mauritania dove il 90 percento delle ragazzine vengono mutilate nonostante una legge lo vieti da cinque anni, lo scorso 12 gennaio, dopo due giorni di serrata discussione, un forum di 34 ulema e saggi sunniti ha emesso una fatwa, un precetto imperioso in base alla legge coranica, mettendo al bando le mutilazioni genitali femminili definite «atto anti islamico». Lo sceicco Ould Zein, capo del consiglio degli eruditi ha spiegato che se anche l’escissione viene citata negli Hadiths, le testimonianze della vita del Profeta,«non c’è alcun riferimento chiaro che legittimi questa pratica nel Corano». La difficoltà ha aggiunto Zein è quella di separare la religione dalla tradizione. Per questo, secondo Isatou Touray dell’ong Gamcotrap in Gambia non è del tutto contraria a pratiche alternative. Una sorta di limitazione del danno, per dare una alternativa alla scelta secca tra conformarsi o opporsi alla tradizione, con la coscienza che si tratta di un percorso culturale lungo e tortuoso. In Kenya e in Costa d’Avorio la medicalizzazione dell’operazione pare abbia ridotto dall’80 al 50% le donne mutilate. Mentreper ammissione dell’Oms la messa al bando della pratica in alcuni Paesi ha abbassato l’età dell’intervento in una deriva sempre più clandestina. Resta il diritto umano calpestato, vissuto nel silenzio e tramandato di madre in figlia. Un silenzio che rimbomba nelle stanze del Palazzo di Vetro.
L’Unità 22.02.10