“La prossima legge di Bilancio dovrà affrontare un tema non più rinviabile, quello del supporto all’accesso universitario dei ragazzi delle fasce sociali meno abbienti, in particolare quelli che mostrano attitudini verso lo studio, ma che, se non sostenuti economicamente, non potrebbero proseguire la loro formazione. L’Italia è in coda ai Paesi Ocse per numero di laureati: il dato deve preoccupare perché le competenze sono una delle leve fondamentali per garantire l’innovazione necessaria a far ripartire il nostro tessuto economico e permettere la promozione sociale personale. Da componente della Commissione Istruzione della Camera ho lavorato a lungo su questi temi insieme ai colleghi in Parlamento e alla segreteria tecnica del sottosegretario Faraone. La discussione che si è sviluppata all’interno del Pd, e anche nel confronto con le altre forze parlamentari, ha confermato che il problema deve essere affrontato con uno spettro organico di interventi e di impegni finanziari. E’ per questo che, come ha preannunciato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, la Legge di Bilancio prevedrà un pacchetto di misure attese da tempo da studenti e loro famiglie, lo “Studentact”. Esso conterrà, finalmente, una mia proposta di “no tax area” per le fasce di reddito più basse, valida in tutti gli Atenei, con contemporaneo adeguato ristoro per le università in modo che, poi, non vengano a mancare le risorse necessarie a garantire servizi e didattica, così come la previsione di un sistema di tutoraggio per quegli studenti che scontano una debolezza nella formazione di base, che, troppo spesso, sfocia nell’abbandono. I provvedimenti di decontribuzione per le fasce meno abbienti devono, però, essere accompagnati dal consolidamento del sistema più complessivo del diritto allo studio universitario: lo si farà stabilizzando il finanziamento disposto dall’ultima legge di stabilità (55 milioni in più, di cui 5 già stabilizzati a regime), e a completare l’attuazione del D lgs del 2012, che regolamenta l’intera materia, correggendolo nei punti più problematici, come, ad esempio, i criteri di riparto delle risorse statali tra le Regioni, che dovranno basarsi sul fabbisogno. Infine, si interverrà sull’importo della borsa di studio per gli studenti meritevoli a basso reddito: l’importo attuale è insufficiente per un loro vero mantenimento agli studi universitari, soprattutto quando devono frequentarli in un’altra città. Qualcuno l’ha erroneamente intesa come una sorta di privilegio per pochi “geni” a discapito della stragrande maggioranza degli studenti. Non è così: con questa misura si vuole dare concreta sostanza al dettato costituzionale sul sostegno ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”. Un risultato non scontato, un vero cambio di passo rispetto alle politiche del diritto allo studio degli ultimi anni”.
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Hillary Clinton, sulla politica inclusiva
“È ampiamente dimostrato che la crescita inclusiva è ciò di cui l’America ha bisogno, non devono esserci più vantaggi per le persone più ricche.” Hillary Clinton, verso l’8 novembre 2016
Che tipo di cittadino costruiamo per la società di domani?
A scuola non si va solo per apprendere saperi e competenze, ma anche, e soprattutto, per cominciare a comprendere come si diventa cittadini e come si sta da cittadini in una comunità. Guardando a tante prese di posizione recenti di genitori singoli o in gruppo su temi svariati – compiti pomeridiani e delle vacanze, pasto in mensa o panino portato da casa, vaccinazioni, educazione al rispetto dell’altro trasformato in insegnamento della teoria gender, installazione delle telecamere – mi chiedo, e vi chiedo, se non stiamo buttando a mare il senso delle istituzioni. E’ un’affermazione forte, me ne rendo conto, ma è un tema che, penso, ci riguardi tutti, e da molto vicino. Ognuno vorrebbe una scuola a propria immagine e somiglianza, una scuola “à la carte”, e in questo, pur con tutti i possibili distinguo e il rispetto per le ragioni di tutti, io intravvedo una deriva potenzialmente pericolosa per il nostro patto sociale. Non sono una operatrice della scuola, quindi non ho nulla da difendere, non sto difendendo lo status quo, non sto difendendo insegnanti e presidi che, anzi, troppo spesso hanno confuso tentativi di condivisione degli obiettivi educativi agiti dalle famiglie con l’intromissione nella loro libertà di insegnamento. Difendo nulla e nessuno se non l’alleanza educativa tra famiglia e personale scolastico sulla quale si fonda il principio di delega dell’istruzione dei propri figli a maestre e professori, fermo restando il diritto alla partecipazione del progetto educativo da parte delle famiglie. L’Istituzione Scuola si basa su questa alleanza, una alleanza che richiede rispetto reciproco, condivisione di obiettivi formativi e che consente di fidarci e affidarci reciprocamente. Un’alleanza che si sta allentando per responsabilità che non sono certo solo di una parte, ma che si sta comunque allentando. Se in passato, in mancanza di strumenti culturali, le famiglie forse si affidavano troppo alla scuola e al suo personale, oggi, dico ancora forse, ci si affida troppo poco, o meglio si diffida troppo e di tutto. E questo, mi pare, non possa portare a nulla di buono per il senso di comunità e della tenuta del nostro patto sociale. Perché l’alunno di oggi sarà un adulto e un cittadino di domani. E non sarà indifferente se e come vorrà stare nella comunità in cui vive.
Università, l’Adi denuncia le scarse prospettive per gli assegnisti di ricerca
Il 93% degli assegnisti di ricerca, nei prossimi anni, uscirà dal mondo accademico. E’ una dato molto preoccupante, come ho detto al Sole 24 ore e come ho confermato anche, ieri pomeriggio, alla Camera, nel corso della conferenza stampa, a cui sono stata invitata a partecipare, convocata dall’ADI, l’associazione dei dottori e dottorandi, per presentare il rapporto che fotografa lo stato di salute (evidentemente cagionevole) del comparto. Ringrazio l’associazione non solo per l’invito, ma anche per il lavoro accurato frutto di raccolta dati e somministrazione di questionari. Non è che la politica non ascolti – penso ai mille ricercatori che grazie alla passata Legge di bilancio sono stati assunti, misura che puntiamo a stabilizzare anche in questa Legge di bilancio – ma, è certo, che non è stato fatto ancora abbastanza per recuperare gli anni di disattenzione passati i cui effetti continuano a riverberarsi in negativo sul mondo delle università e degli enti di ricerca. Non possiamo permettere che tanti giovani, sulla cui formazione e competenze si è investito, non possano poi proseguire il cammino lavorativo in quello che è il naturale sbocco: il mondo accademico.
Hillary Clinton, sui cambiamenti climatici
“Io credo nella scienza. Io credo che i cambiamenti climatici siano reali e che noi possiamo salvare il nostro pianeta creando milioni di posti di lavoro puliti e ben pagati» Hillary Clinton, verso l’8 novembre 2016
Legge editoria, Baruffi e Ghizzoni “Per il pluralismo dell’informazione”
“Una legge capace di sostenere le imprese editoriali minori, ma vitali, capaci cioè di stare sul mercato, e con propensione all’innovazione digitale”: così i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni commentano l’approvazione in via definitiva della nuova legge sull’editoria che istituisce un nuovo Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione.
La Camera dei deputati, nella serata di martedì 4 ottobre, ha approvato in via definitiva la legge che istituisce un nuovo Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e prevede deleghe al Governo per ridefinire la disciplina del sostegno pubblico all’editoria. Il provvedimento contiene norme a favore delle realtà editoriali medio-piccole, comprese le radio e le televisioni locali, escludendo dagli aiuti gli organi di partito e i grandi gruppi editoriali quotati in Borsa. Contiene anche norme che fissano un tetto massimo per gli stipendi dei dipendenti e collaboratori della Rai, norme relative al sistema distributivo attraverso le edicole e norme che disciplinano il funzionamento del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e i prepensionamenti dei giornalisti. Hanno votato contro il Movimento 5 stelle e Forza Italia, astenuti Lega e Fratelli d’Italia. “La legge ha un obiettivo preciso – commentano i deputati modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni che hanno seguito da vicino l’iter legislativo del provvedimento – quello di sostenere le imprese editoriali minori, ma vitali, capaci cioè di stare sul mercato, e con propensione all’innovazione digitale”. Si favorisce, in sostanza, la piccola editoria, le cooperative di giornalisti, le organizzazioni no profit, le testate italiane all’estero e quelle per le minoranze linguistiche, sempre che applichino regolari contratti di lavoro, che abbiano un effettivo riscontro sul pubblico con tanto di copie vendute e siano attente alla qualità del prodotto finale, ad esempio, escludendo pubblicità lesive del corpo delle donne. “E’ un capovolgimento di prospettiva in favore del reale pluralismo dell’informazione – continuano gli on. Baruffi e Ghizzoni – Non a caso dai benefici economici sono esclusi i giornali di partito e del sindacato, le testate specialistiche così come quelle dei grandi gruppi editoriali. In tema di sobrietà, tanto invocata a parole dai 5 stelle che però hanno votato contro, segnaliamo anche il tetto massimo ai compensi in Rai che si ferma a 240mila euro annui, una cifra importante, ma comunque di molto ridotta rispetto a quanto stipulato oggi”. Nel provvedimento finale è anche prevista una delega al Governo per la regolamentazione delle edicole in modo da attuare – come previsto da un emendamento presentato dallo stesso Baruffi – un processo di liberalizzazione graduale che garantisca il pluralismo delle testate in tutti i punti vendita e rimuova gli ostacoli che limitano la possibilità di ampliare l’assortimento di beni in vendita, misura chiesta dagli edicolanti per contrastare la crisi del settore.
Approfondimento: norme sul sostegno di editoria e informazione
Referendum, dopo il 4 ci sarà anche il 5 dicembre
#5dicembre. No, non è un errore: ho proprio voluto scrivere hashtagcinquedicembre. Perché dopo il 4, ci sarà il 5 dicembre e, come ho scritto ieri, dovremo continuare a parlarci, a camminare insieme. Pensavo fosse una preoccupazione solo mia, ma oggi leggendo l’editoriale di Mario Calabresi su la Repubblica mi accorgo che il tema comincia a essere sentito anche dai media. Le parole di Calabresi sono naturalmente molto più efficaci delle mie, ma il pensiero è il medesimo. Calabresi scrive “credo che i prossimi due mesi rischino di essere l’occasione perfetta per incenerire ogni possibilità di dialogo e di discussione in Italia. Così il 5 dicembre, quale che sia il risultato del referendum, ci troveremo a fare l’inventario delle macerie e a prendere nota delle lacerazioni che resteranno nel tessuto sociale italiano”. E allora il quotidiano Repubblica si propone come luogo mediatico dove il confronto si attenga al merito della riforma e al reciproco rispetto. E’ quanto, in tempi non sospetti, avevamo già cominciato a fare, a luglio, alla Festa de l’Unità di Carpi, quando, per tre venerdì successivi, abbiamo provato ad approfondire la riforma partendo dalla lettura e commento del testo delle nuove norme. Che io sia convintamente per il Sì non è una notizia e nemmeno una novità: ma questi due mesi non possono essere affrontati all’insegna dello scontro epocale. Bisogna spostare l’attenzione dal destino del Governo, dal futuro di Renzi e del PD, dall’articolazione degli schieramenti referendari e politici, per ricondurla ai contenuti della riforma sui quali saremo chiamati ad esprimerci, si spera consapevolmente. Perché dopo il 4, che è data importante, ci sarà anche il 5 dicembre, che è data altrettanto importante.
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